giovedì 28 aprile 2016

La morte di Elvis Presley

Il 16 agosto del 1977 segnò una data fondamentale nella storia della musica perché nel primo pomeriggio di quel martedì il re del rock and roll Elvis Presley fu trovato morto in uno dei bagni della sua residenza di Graceland ponendo così una forzata fine alla carriera di uno dei più grandi interpreti della musica di tutti i tempi.

Nell'ultimo periodo Elvis conduceva una vita sregolata e senza orari, il giorno prima della sua morte si svegliò dopo le quattro del pomeriggio e quella stessa sera volle vedere il proprio dentista, il dottor Hofman, intorno alle 22:30 perché soffriva di forte mal di denti. Insieme a lui andò anche la donna con cui visse nell'ultimo periodo della sua vita, la ventunenne Ginger Alden con cui era fidanzato da meno di un anno. Il dentista praticò la pulizia della bocca e Elvis e gli fece anche alcune otturazioni, quindi visitò anche Ginger a cui pure praticò la pulizia della bocca. In quei giorni i rapporti tra Elvis e Ginger erano molto tesi perché il 16 agosto il cantante avrebbe dovuto partire per l'ennesima tournée della sua carriera e voleva che la ragazza lo seguisse, ma Ginger sosteneva di avere degli impegni che l'avrebbero trattenuta a Memphis e che lo avrebbe raggiunto in seguito.

Elvis e Ginger tornarono a Graceland alle 00:28 dalla visita dal dentista e mentre il cantante era ancora in macchina durante il suo ultimo spostamento gli fu scattata quella che rimarrà per sempre la sua ultima foto in vita. Alle 2:15 Elvis chiamò il suo medico personale, il dottor George Nichopoulos chiedendogli un analgesico perché uno dei denti curati da Hofman gli faceva ancora male, il medico gli prescrisse il Dilaudid ed Elvis chiamò quindi il fratellastro Rick Stanely chiedendogli di ritirare la prescrizione dal medico e le medicine dalla farmacia del Baptist Memorial Hospital. In rete si trova facilmente una copia della prescrizione del dottor Nichopoulos che include degli stimolanti oltre al Dilaudid, ma si tratta di un falso che veniva venduto insieme al bootleg Elvis' Greatest Shit del 1982 che nelle intenzioni di chi lo ha realizzato doveva raccogliere il peggior materiale mai registrato da Elvis. Nel documento falso il nome del medico è scritto sbagliato, Nichopolous invece di Nichopoulos, così come è sbagliato anche il codice di avviamento postale, 34108 invece di 38104.

Dopo aver assunto le medicine portategli da Stanley. Alle 4 di notte, ancora non riuscendo a dormire, Elvis svegliò il cugino Billy Smith e la moglie Jo per una partita di racquetball (sport simile allo squash ma giocato con una palla di gomma) con lui e Ginger, pensando che l'esercizio fisico lo avrebbe aiutato a tenere il peso sotto controllo, del resto la forma fisica sarebbe tornata a essere un fattore determinante vista l'imminente tournée. Nonostante Billy e Jo fossero addormentati a casa loro, accettarono l'invito e andarono a Graceland a giocare. Giocarono dapprima le due ragazze, poi Elvis e Ginger, poi Billy e Jo e poi Billy ed Elvis ma la partita dei due uomini degenerò in fretta e i due cominciarono a tentare di colpirsi reciprocamente con la palla, finché Elvis non si fece male allo stinco con la sua stessa racchetta. La partita finì con una risata di gruppo, quindi Elvis portò Ginger, Billy e Jo nella sala dove teneva il piano e intrattenne i suoi tre ospiti suonando e cantando due brani gospel e la canzone Blue Eyes Crying in the Rain di Fred Rose che Elvis aveva inciso per il suo penultimo album From Elvis Presley Boulevard, Memphis, Tennessee e Unchained Melody che Elvis aveva inciso per il suo ultimo album Moody Blue.

Verso le cinque del mattino Elvis e Ginger tornarono e letto e mentre il cantante camminava verso la sua stanza vide la figlia Lisa Marie ancora sveglia, la rimise a letto dandole un bacio della buona notte. Arrivato in stanza chiese a Rick di portargli altri sonniferi e il fratello gli consegnò il primo pacchetto di medicine che assunse quella mattina. Non riuscendo a dormire Elvis prese altre pastiglie alle 7 e ancora altre alle 8. Purtroppo le medicine assunte non ebbero l'effetto sperato e alle 9 Elvis, in preda a dolori addominali dovuti a una grave costipazione, si alzò dal letto dicendo a Ginger che sarebbe andato in bagno a leggere portando con sé un libro.

Nel frattempo Ginger si addormentò e si svegliò tra l'una e trenta e le due del pomeriggio non trovando Elvis accanto a sé. Non si allarmò da subito ed andò dapprima a lavarsi e truccarsi in un altro bagno, quindi andò a cercare Elvis nel bagno in cui l'uomo si era chiuso dalle 9 e dopo aver bussato senza ottenere la porta entrò e trovò il cantante steso a terra sul fianco sinistro con ancora i pantaloni abbassati in stato di incoscienza e con il viso immerso in una pozza di vomito. In preda allo spavento Ginger chiamò la governante al piano di sotto con l'interfono e questa inviò Al Strada, una delle guardie di Elvis, e il suo road manager Joe Esposito (nessuna relazione con l'omonimo cantante) che arrivò di corsa dal Howard Johnson Hotel e che capendo subito della gravità della situazione chiamò il soccorso medico e subito dopo chiamò anche Nichopoulos. Ginger, Al e Joe girarono il corpo sulla schiena ma questo era già freddo e rigido, provarono comunque a praticargli la rianimazione cardio-polmonare ma per via del rigor mortis la bocca di Elvis non si aprì, segno che il cantante era già deceduto da alcune ore e quindi ogni tentativo di rianimarlo sarebbe comunque stato vano. Sopraggiunsero sulla scena anche Vernon Presley, il padre del cantante, e Lisa Marie che Ginger tenne fuori dalla stanza per non farle vedere il cadavere del padre.

I paramedici arrivarono a Graceland alle 14:33, nonostante il cadavere fosse ormai freddo provarono comunque anche loro a rianimarlo e continuarono a farlo durante in tragitto verso l'ospedale anche intubandolo e somministrandogli degli stimolanti. Nel frattempo arrivò anche Nichopoulos che salì sull'ambulanza e diede istruzioni di portare Elvis al Batpist Memorial Hospital e non al Methodist South Hospital che sebbene fosse più vicino non aveva mai avuto Elvis in cura e quindi i registri relativi al cantante si trovavano al Baptist Memorial dove inoltre Nichopoulos aveva numerose conoscenze. Ma una volta arrivato all'ospedale, alle ore 15 Elvis Presley fu dichiarato morto.

L'autopsia iniziò il giorno stesso del decesso e questa accertò che il fegato del cantante era gravemente danneggiato, il cuore ingrossato e l'intestino occluso da materiale fecale. Gli esiti degli esami furono consegnati alla famiglia solo due mesi dopo e rilevarono nel corpo di Elvis la presenza di ben 14 farmaci di cui dieci ampiamente oltre i limiti imposti dall'uso terapeutico. L'ipotesi sostenuta dai patologi fu quindi che l'abuso di farmaci causò il decesso di Elvis Presley. Tuttavia il medico legale della contea di Shelby, il dottor Jerry Francisco, sostenne da subito che si trattò invece di un problema al cuore. Tutt'ora a quasi quarantanni dalla morte di Presley il dibattito su quale fu la causa del decesso è ancora aperto tra chi sostiene che il motivo sia l'abuso di farmaci e chi sostiene un evento di tipo cardiaco causato dallo sforzo della defecazione. Di questa seconda opinione è anche il dottor Shepperd della trasmissione televisiva Autopsy trasmessa da Channel 5 che nella puntata dedicata alla morte di Elvis fa notare che prima di morire il cantante di alzò dalla toilette e fece alcuni passi allontanandosi di un metro dalla toilette stessa e facendo cadere con la mano alcuni flaconi vicino al lavello. Di norma chi muore per abuso di farmaci perde coscienza e si addormenta, ma questo non sembra essere il caso di Elvis che al contrario si alzò e probabilmente aveva intenzione di chiedere aiuto.

Come tutte le morti premature di personaggi famosi anche il decesso di Elvis Presley ha dato vita a numerose teorie alternative tra le più fantasiose. Secondo alcuni Elvis sarebbe stato ucciso dal suo manager, il Colonnello Tom Parker, il quale sarebbe stato anche un agente dell'FBI incaricato di uccidere Elvis per evitare che questi rivelasse particolari scomodi che aveva scoperto sugli omicidi dei fratelli Kennedy. Ma si tratta di una delle tante ipotesi di complotto che si basa sul nulla; non vi è prova fattiva di nulla di tutto ciò.

Una teoria più nota vuole che Elvis abbia intenzionalmente abusato dei farmaci che aveva a disposizione per suicidarsi in quanto depresso. Ma se queste fossero state davvero le intenzioni del cantante avrebbe probabilmente cercato di ingerire tutte le dosi di medicine contemporaneamente (ad esempio accumulandole per l'ultima somministrazione se non poteva averle a disposizione prima senza destare sospetti da parte di Ginger o di Rick). Inoltre Ginger nelle interviste rilasciate dopo la morte di Elvis lo descrisse come euforico ed eccitato per la tournée che stava per intraprendere e questo non sembra proprio il quadro di una persona intenta a suicidarsi.

Ma la teoria alternativa più nota è senza dubbio quella secondo cui Elvis sarebbe vivo e si nasconderebbe da qualche parte del mondo, nessuno sa né dove né perché. Francamente questa teoria è più assurda di quella del suicidio e dovrebbe prevedere un gigantesco complotto di cui farebbero parte anche Nichopoulos, Francisco e tutti i medici che hanno avuto contatti con il cadavere di Elvis da Graceland fino all'autopsia. In rete e in alcuni libri si legge che Francisco avrebbe dichiarato che il cervello e il cuore di Elvis dopo l'autopsia sono rimasti al Baptist Memorial Hospital, nell'ambito di questa ricerca non abbiamo trovato la citazione originale e forse Francisco non ha mai proferito quella frase e quindi non possiamo prendere per assodato che Elvis sia stato sepolto senza questi organi vitali. Tuttavia anche senza questa smentita è oltre il ridicolo pensare che il cantante abbia finto la propria morte e non sia stato scoperto in quasi quattro decenni.

Le fonti che abbiamo utilizzato per questa ricerca sono i libri Careless Love: The Unmasking of Elvis Presley di Peter Guralnick, The Death of Elvis di Charles C. Thompson II e James P. Cole e The King and Dr. Nick: What Really Happened to Elvis and Me del dottor George Nichopoulos, i documentari Autopsy e Elvis Presley: The Last 24 Hours e numerose interviste rilasciate poco dopo l'accaduto da Ginger Alden facilmente reperibili su YouTube.

giovedì 21 aprile 2016

Trust - Répression

I parigini Trust vengono spesso definiti dalla critica e dalla stampa come la versione francese e più leggera degli AC/DC e nonostante la diversità linguistica imponga necessariamente una differenza anche nei suoni e nel cantato è effettivamente vero che l'hard rock veloce e divertente dei Trust non è molto lontano da quello dei più noti angloaustraliani. L'album migliore e più famoso della band è sicuramente il loro secondo intitolato Répression uscito nel 1980 ad un solo anno di distanza dal primo che porta il nome stesso della band. Il disco fu pubblicato poco dopo la morte del primo cantante degli AC/DC Bon Scott e infatti è dedicato proprio a lui, del resto il legame tra Scott e il cantante dei Trust Bernard Bonvoisin, detto Bernie, era molto stretto per via dell'amicizia che li legava e non solo. I Trust infatti nel loro primo album avevano inciso una cover del brano Ride On degli AC/DC ed esiste anche una registrazione live del pezzo che vede Bernie duettare con Scott, la registrazione è stata poi pubblicata nel bootleg Bon Scott Forever Volume 1. E nel loro album live Répression dans l'Hexagone i Trust eseguirono anche Live Wire e Problem Child sempre del gruppo angloaustraliano.

Répression è un disco di rock travolgente che volge verso il punk sia nelle sonorità che nelle tematiche trattate. E' composto da dieci tracce da cui emerge che nonostante le somiglianze i Trust offrono suoni diversi che non si trovano in nessun album degli AC/DC. Tutti i brani sono ovviamente veloci i incalzanti e come nel caso degli AC/DC non ci sono ballad né midtempo, ciò nonostante la varietà di suoni è nettamente superiore con un brano dalle tonalità smaccatamente rock and roll come Fatalité e anche uno i cui riff di chitarra tendono al blues intitolato Saumur. tra i brani migliori troviamo anche le energiche Antisocial, Passe e Les Sects con quest'ultima che vira decisamente verso lo speed metal.

Nello stesso anno il disco è stato ripubblicato con il medesimo titolo e cantato in inglese, rinunciando alla propria lingua di origine la musica dei Trust perde un po' di originalità ma ha guadagnato in diffusione visto che di due dei pezzi cantati in inglese sono state realizzate altrettante cover dagli Anthrax che nel loro album State of Euforia del 1988 hanno riproposto Antisocial e nell'EP Penikufesin del 1989 hanno inciso anche Sects (versione inglese della già citata Les Sects).

I Trust sono tra i più famosi gruppi rock tra quelli non anglofoni e nonostante la loro notorietà sia ancora ben lontana da quella delle band angloamericane la qualità della loro musica non ha nulla da invidiare a quella dei gruppi più famosi, purtroppo la loro carriera è durata troppo poco ma restano autori di grandi capolavori del rock, proprio come Répression.

giovedì 14 aprile 2016

Intervista a David Moretti

Gli anni 90 sono stati un decennio d'oro per il rock italiano e tra i vari gruppi che la nostra penisola ha prodotto spiccano qualitativamente su tutti gli altri i milanesi Karma. La band guidata dal frontman David Moretti ha pubblicato solo due album tra il 94 e il 96 che spaziano dal grunge al rock psichedelico arricchiti di suoni etnici e tribali. Chiusa l'avventura dei Karma e dopo oltre dieci anni di lontananza dalle scene nel 2007 lo stesso gruppo di musicisti tornò in studio sotto il nome di Juan Mordecai per registrare un unico album dalle sonorità molto varie.

Oggi David Moretti è direttore creativo di Wired a San Francisco e ha accettato la nostra proposta di un'intervista per raccontarci qualcosa di più sul suo profilo musicale e su come sono nati i tre album che ha inciso.

Ringraziamo David Moretti per la sua cortesia e disponibilità.


125esima Strada: Ciao David, e anzitutto grazie del tempo che ci dedichi. Parliamo come prima cosa dei Karma, come vi è venuta nei primi anni 90 l'idea di portare il grunge in Italia?

David Moretti: In realtà non ci siamo resi mai conto di essere “grunge”, forse fino alla produzione del primo album in italiano. I Karma nascono verso la fine degli anni 80 come cover band: Hendrix, Led Zeppelin, Pink Floyd, Rolling Stones, Beatles, Jefferson Airplaine… Ognuno di noi veniva da generi diversi: metal, punk rock, prog, hardcore, rock psichedelico. Il classic rock è stata la base sulla quale abbiamo costruito il nostro suono. Nel 1991 iniziammo a comporre musica nostra e a registrare il nostro primo “disco” in inglese sotto il nome di Circle of Karma. Fu Fabrizio Rioda dei Ritmo Tribale a convincerci a riscrivere i testi in italiano e nel 1992 abbreviammo il nome in Karma e iniziammo a farci conoscere come prodotto italiano. L’album omonimo uscì nel 1994 per Ricordi/Ritmi Urbani. Volevamo un suono contemporaneo e molte band dell’epoca avevano le nostre stesse radici: Pearl Jam, Mother Love Bone, King’s X, Alice in Chains, Soundgarden. Ma fu la stampa ad etichettarci come grunge.


125esima Strada: Come vi è venuta l'idea di mischiare il grunge e il rock con sonorità tribali ed etniche?

David Moretti: E’ difficile crederlo ascoltando il primo album, ma la vena acustica è sempre stata molto forte, tanto quanto quella psichedelica. Iniziammo a suonare con Pacho, il nostro percussionista, qualche mese prima dell’inizio delle registrazioni dell’album. Iniziammo a portare in giro uno spettacolo con percussioni industriali, lamiere, bidoni, perfino una lavatrice (!). Con lui fu amore a prima nota. Condivideva inoltre la mia “passione” per l’India e le filosofie orientali ed era (ed e’) un suonatore di tablas formidabile. Io suonicchiavo il sitar e una delle nostre jam finì come intro del nostro primo singolo La Terra. Il nostro secondo lavoro, Astronotus, nato come una lunga jam session di quasi 2 ore, e’ il frutto di questa miscela decisamente atipica.


125esima Strada: Personalmente trovo il tuo cantato in questa prima fase della tua carriera molto simile a quello di Layne Staley. Sei d'accordo con questa similitudine?

David Moretti: Grazie del complimento! Layne aveva una voce strepitosa. Ho sempre cantato in inglese, fin da giovanissimo. Amo molto le voci potenti ma versatili come Glenn Hughes, Doug Pinnick, Demetrio Stratos. Avendo una voce molto bassa e una discreta estensione mi è venuto naturale impostare i miei cantati su quei modelli. Layne e anche Vedder sono stati molto importanti nella mia fase di passaggio tra inglese e italiano. Il primo album è decisamente Alice in Chains, soprattutto nelle armonizzazioni dei cori.


125esima Strada: Parliamo invece degli Juan Mordecai, come è nato questo progetto e come ti è tornata da voglia di tornare in studio e sul palco a oltre dieci anni dall'avventura dei Karma?

David Moretti: Non ho mai smesso di comporre. Quando sei un musicista non vai mai in pensione. Mi sono così ritrovato dopo quasi dieci anni di distanza ad avere moltissimi brani archiviati. La vita ci aveva fatto prendere strade differenti, ma la persona con la quale mi vedevo più spesso era Andrea Viti che nel frattempo era entrato in pianta stabile negli Afterhours. Ognuno dei due si era attrezzato con un piccolo studio mobile casalingo e così iniziammo a scambiarci file audio. Alcuni pezzi erano talmente in sintonia che fu facile farne una playlist. Poi iniziammo a coinvolgere gli altri Karma, chi per una linea di chitarra, chi per le percussioni. In realtà gran parte del disco fu suonata e registrata da me ed Andrea tra il 2004 e il 2007. Ma ricontattare gli altri Karma fu l’inizio di un processo che ci riportò poi dal vivo per i due anni successivi.


125esima Strada: Cioè che stupisce del disco degli Juan Mordecai è l'incredibile varietà dei suoni proposti, a quali artisti vi siete ispirati per comporre i pezzi?

David Moretti: Juan Mordecai è un disco bastardo. Nel vero senso della parola. Tom Waits, Johnny Cash, ma anche MC5, Stooges potrei citarti migliaia di nomi. Siamo sempre stati onnivori musicalmente. Quando hai a disposizione 10 anni e poi fai una selezione, l’unico modo di tenere tutto insieme è farne un frullato. Per di più nessuno dei due ha mai avuto il controllo della cosa. “Mi serve una linea di basso”, “Ho bisogno di una melodia”, “ Ho aggiunto un solo, che dici?”… Questo è stato il modo con cui abbiamo messo insieme dieci pezzi. Anche la lunghissima jam finale è frutto di sovraincisioni a “distanza”. Quando uno di noi aveva il tempo aggiungeva qualcosa e passava all'altro. Per cucinare il tutto poi ci è servita una persona terza che prendesse le decisioni: il grande Taketo Gohara.


125esima Strada: Nei Karma cantavi in italiano e negli Juan Mordecai in inglese. Nella tua esperienza personale quali sono le caratteristiche e i pregi di ciascuna di queste due lingue da un punto di vista musicale e canoro?

David Moretti: Non sono mai stato un poeta, non è quello che sono. Amo la poesia, ma ho sempre trovato ingenua e banale ogni cosa che abbia fatto in quella direzione. Molte delle liriche dei Karma sono cut-and-paste di manuali di meditazione, saggi di filosofia, citazioni, fiabe orientali… Con l’inglese ho un rapporto più diretto, suona in me subito giusto. Almeno questa è la mia esperienza.


125esima Strada: Quali sono i tuoi musicisti preferiti di tutti i tempi?

David Moretti: Non riesco a fare una classifica. Ti direi i Led Zeppelin perché hanno ossessionato la mia adolescenza, perché trovo in loro molto dei suoni che amo dal rock britannico alle sonorità orientali. Ma è davvero molto difficile.


125esima Strada: Nella scena musicale attuale invece chi sono i tuoi preferiti?

David Moretti: Questa è ancora più’ difficile. Ti dico quello che ho aggiunto recentemente su Spotify: Iggy Pop – Post Pop Depression (con Josh Homme), Black Mountain – IV, Bee Caves – Animals with Religion. Adesso che vivo in California ascolto tantissima musica indipendente. Gli unici italiani che ascolto con molto piacere sono i Verdena. Per il resto sono completamente sconnesso.


125esima Strada: Essere un musicista ed essere direttore creativo di Wired sono profili professionali molto diversi, come riesci a coniugare questi due aspetti così all'apparenza distanti?

David Moretti: Nella mia vita ho sempre alternato grafica a musica e musica a grafica. A volte queste due cose si sono sovrapposte. Facevo il grafico per pagarmi l’università e il “vizio” della musica, poi mi sono ritrovato musicista “professionista” e quando la “professione” non mi ha più consentito di viverci sono tornato a fare il grafico.


125esima Strada: Ti rivedremo mai il sala di registrazione o su un palco?

David Moretti: Il bello di stare negli Stati Uniti e’ che qui suonano TUTTI. Molti dei miei colleghi hanno band e ogni tanto spariscono per una settimana girando in piccoli tour. Qui i locali ci sono, la gente va ai concerti e a nessuno gliene frega niente se hai 50 o 16 anni. Diciamo che sto scaldando l’ugola :)

giovedì 7 aprile 2016

Francess - Apnea

Il 2015 ha visto il debutto discografico della della giovanissima cantante italiana Francess, all'anagrafe Francesca English nata a New York nel 1989 da padre giamaicano e madre italiana, con il suo primo album intitolato Apnea. Nonostante la nota biografica sulla pagina di Facebook della cantante descriva la sua musica come soul, blues e jazz a noi sembra invece che questa afferisca all'R&B e sia più vicina a modelli come Erikah Badu, Monica o Blu Cantrell piuttosto che ad Alicia Keys o Norah Jones.

Ma a parte le etichette quello che importa è la caldissima voce di Francess offre dell'ottima musica di grande qualità e porta una ventata di sonorità nere in un paese che troppo spesso si ferma al pop di facile consumo. Di norma i dischi R&B presentano una predominanza di brani lenti, ma Apnea contrariamente alle aspettative offre un buon equilibrio tra brani lenti e altri più energici. L'album parte alla grande con la bellissima traccia di apertura intitolata Cool, proposta anche in chiusura in versione acustica, sostenuta dal forte giro di basso e di tastiere; anche il secondo brano In My Veins è piuttosto energico ed in questo sono i fiati ad avere il ruolo principale nell'accompagnare la voce di Francess.

Tra i brani lenti spiccano le bellissime Ashes Flesh and Bones, No Hero e The Other Half of Me affidate alla voce sensuale della cantante che riesce a creare l'atmosfera con grande efficacia. Mentre tra i pezzi più veloci meritano una menzione particolare anche le allegre e trascinanti Notes and Words, che chiude il disco prima della versione acustica di Cool, e Holding Your Breath. Tra gli altri brani veloci troviamo Never Know, caratterizzata da un insolito ritmo sincopato, e Upside Down, uptempo piuttosto tradizionale.

Tutte le undici tracce del disco sono comunque di altissimo livello, l'album non conosce un attimo di noia e offre oltre un'ora di R&B che mette in mostra il raro talento della cantante e della sua voce suadente che si dimostra all'altezza sia dei pezzi più trascinanti che di quelli più intimistici.

La voce e lo stile di Francess non hanno eguali nel nostro paese. Mentre in UK cantanti R&B come Shola Ama, Ms. Dynamite o Jamelia (che in realtà mancano dalle classifiche da almeno un decennio, lasciando il posto a cantanti bianchi che interpretano gli stessi stili) hanno portato l'R&B nel vecchio continente e in Germania Xavier Naidoo ha tradotto questo stile nella propria lingua così come ha fatto Nell Evans in Francia, in Italia l'R&B è stato interpretato poche volte e da musicisti e vocalist ben sotto il livello dei colleghi esteri che spesso sfiorano il ridicolo e alle volte lo centrano in pieno. Francess al contrario esce a testa alta dal confronto con gli interpreti migliori, ma purtroppo la musica di qualità nel nostro paese quasi mai affiora in superficie.

giovedì 31 marzo 2016

Taj Mahal - The Natch'l Blues

Basta il nickname del grande bluesman Taj Mahal, all'anagrafe Henry Saint Clair Fredericks, a suggerire che ci troviamo di fronte a un musicista atipico che non attinge solo dalla tradizione americana, ma che negli anni ha arricchito la propria musica di sonorità provenienti da terre lontane. E anche prima che iniziassero le sue sperimentazioni con la world music Taj Mahal non si accontentò di fermarsi al blues della tradizione di Muddy Waters o Howlin' Wolf ma aggiunse alla propria musica suoni che vengono dal soul e dal rhythm and blues.

Dopo il suo primo ed eponimo album di blues grintoso ma tradizionale pubblicato nel 1968, Taj Mahal pubblicò il suo secondo lavoro intitolato The Natch'l Blues nello stesso anno del precedente. Il disco è composto da nove brani di cui sei inediti scritti dallo stesso Taj Mahal, due standard della tradizione nera come You Don't Miss Your Water e Ain't That a Lot of Love e il brano folk The Cuckoo.

Tutti i brani sono piuttosto allegri e sono sostenuti dalla chitarre del nativo americano Jesse Ed Davis oltre che dal cantato di Taj Mahal. Il brano più forte del disco è sicuramente She Caugh the Katy che anni dopo fu usata dai Blues Brothers nel loro celeberrimo film.

Oltre a questa tra i brani di spicco troviamo le già citate Ain't That a Lot of Love grazie alla potente linea di basso ripresa poi in Gimme Some Lovin' degli Spencer Davis Group, anch'essa usata dei Blues Brothers, e You Don't Miss Your Water che sconfina decisamente verso il soul con un cantato che richiama lo stile di Otis Redding che pure interpretò lo stesso standard pochi anni prima.

Nella versione in CD pubblicata nel 2000 si trovano tre bonus track: una versione più energica e veloce di The Cuckoo, la lenta New Stranger Blues e la vibrante Things Are Gonna Work Out Fine condotta principalmente dall'armonica suonata dallo stesso Taj Mahal.

Dai suoi primi passi fino a pochi anni fa la carriera di Taj Mahal è proseguita a una velocità impressionante, sfornando album nuovi ogni pochi anni e soprattutto senza mai ripetere due volte lo stesso esperimento di mescolanza di stili diversi, e ogni volta che si cimenta in qualcosa di nuovo crea album memorabili: così come lo è The Natch'l Blues.

giovedì 24 marzo 2016

National Symphony Orchestra - Jesus Christ Superstar

La versione più celebre del leggendario musical Jesus Christ Superstar è senza dubbio quella dell'omonimo film del 1973 interpretato dal Ted Neeley e Carl Anderson, ma il fatto che sia la più nota non implica necessariamente che si tratti anche della migliore. Nel 1995 ne è stata infatti pubblicata la versione della National Symphony Orchestra diretta dal maestro Martin Yates e interpretata da Dave Willetts nel ruolo di Gesù e da Clive Rowe in quello di Giuda registrata negli Abbey Road Studios di Londra tra giugno del 1993 e novembre del 1994 e basta davvero poco a capire che questa versione è nettamente superiore ad ogni altra.

Bastano infatti pochi secondi dopo l'inizio di Heaven on Their Minds affinché già dalle prime parole My mind is clearer now si capisca che la potenza vocale di Clive Rowe surclassa ampiamente tutti i Giuda che lo hanno preceduto e pochi istanti dopo in than the things you say appare chiaro che anche l'estensione della voce di Rowe è notevolmente superiore e al confronto Carl Anderson sembra stridulo e immaturo; inutile il confronto con quello che è forse il secondo Giuda più famoso della storia, Jérôme Pradon nella versione uscita in DVD nel 2000 diretta da Gale Edwards e Nick Morris, che si dimostrò completamente incapace di raggiungere le note più alte. La prova di Rowe è semplicemente grandiosa e la sua interpretazione di Heaven on Their Minds supera in espressività anche la versione dei Queensrÿche contenuta nell'album di cover Take a Cover del 2007.

Maestosa anche la prova di Dave Willetts, potente e sicura, e nella sua interpretazione supera notevolmente Ted Neeley per forza, espressività e precisione. Lo stesso si può dire di tutti gli altri interpreti, da Paul Collins nel ruolo di Simone lo Zelota fino a Ethan Freeman in quello di Erode. Anche l'unica interprete femminile di rilievo, Issy Van Randwyck nel ruolo della Maddalena, offre una prestazione che coniuga dolcezza a potenza ed una notevole estensione nei suoi pezzi principali: Everything's Alright e I Don't Know How to Love Him.

Un ruolo fondamentale ha anche il coro a supporto dei solisti che si dimostra all'altezza della migliore esecuzione di sempre del musical di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice che si esprime con precisione ma al contempo lasciando apprezzare tutte le voci sia nei brani più energici come Simon Zealotes che in quelli più riflessivi come The Last Supper eseguita con la solennità di un canto liturgico.

Questa versione di Jesus Christ Superstar è impreziosita anche, come spesso succede, da alcuni adattamenti del testo. In Strange Thing, Mystifying Giuda dice infatti To let her stroke you and kiss your hair is hardly in your line mentre la versione originale direbbe To let her kiss you and stroke your hair, that's hardly in your line. Questa pratica è comunque piuttosto comune, anche nella già citata versione del 2000 in Heaven on Their Minds Giuda canta and our conquerors object to another noisy sect invece di I am frightened by the crowd because we are getting much too loud.

Purtroppo di questa versione esiste solo la versione su CD e non ne esiste una registrazione video che ne avrebbe garantito una diffusione molto maggiore. Ma proprio per questo serve a dimostrare che alle volte i prodotti di nicchia sono qualitativamente migliori di quelli più famosi.

giovedì 17 marzo 2016

Muro - Telon de Acero

I madrileni Muro nacquero nel quartiere Vallecas della capitale spagnola nel 1984 e la loro carriera discografica iniziò in modo atipico. Dopo la realizzazione di alcuni demo (nell'83, nell'84 e nell'86) pubblicarono il loro primo album live intitolato Acero y Sangre nel 1986 e solo nel 1988 diedero alle stampe il loro primo album in studio intitolato Telon de Acero. Con i loro primi dischi i Muro furono i primi a portare lo speed metal di stampo aglosassone, sul modello di Motorhead o Judas Priest, in Spagna e il loro esempio fu poi seguito da altre band iberiche come gli Angeles del Infierno o i baschi Su Ta Gar.

Il primo album in studio del gruppo è caratterizzato da un robusto speed metal basato sul suono veloce e forte delle chitarre e della sezione ritmica che ricorda molto il periodo di Ram It Down dei Judas Priest ed è contraddistinto dalla potente voce del cantante Silverio Solorzano, detto Silver, dotata di una notevole estensione. Inoltre nella maggioranza dei brani i ritornelli sono arricchiti da massicci cori eseguiti dall'intera band che rendono i brani stessi particolarmente energici e trascinanti. Tra i pezzi migliori spiccano la title track che si trova in apertura e che si apre con chitarra e campana a morto e poco dopo da un notevole scream di Silver che mostra le sue doti canore già dai primi giri del disco. Oltre a questa spiccano anche Extraño Poder, Juicio Final e Holocausto. Tra i brani notevoli va segnalata anche Solo en la Oscuridad che dura oltre cinque minuti e che inizia come una ballad con un arpeggio di chitarra ad accompagnare la voce del cantante per poi riprendere la strada dello speed metal dopo un minuto e mezzo.

Dopo Telon de Acero la band incise nel 1989 l'album Metal Hunter in cui ripropose i pezzi di Acero y Sangre tradotti in inglese, ma rinunciando alla loro lingua madre i brani persero un po' della loro originalità. Da allora la carriera dei Muro è continuata lungo la strada dello speed metal per oltre tre decenni e nonostante la band abbia visto numerosi cambi di formazione è ancora pienamente attiva. Dopo l'uscita dell'ultimo album nel 2013 intitolato El Cuarto Jinete anche Silver dovette lasciare il gruppo ed essendo sostanzialmente insostituibile la band prese la coraggiosa decisione di assoldare una donna, Rosa Pérez (ex cantante dei Black Shark), come vocalist in modo che ogni tipo di confronto con il passato fosse impossibile. La Perez ha già intrapreso con la band alcune esibizioni da vivo e la sua voce potente e graffiante suona decisamente adatta alla musica dei Muro. Attendiamo quindi i prossimi album, le premesse per credere che la nuova cantante sarà all'altezza del passato sono molto buone.