sabato 21 settembre 2019

Pierre Edel - Live in Moscow 2018

Una traduzione in inglese di questo articolo è disponibile qui.

L'etichetta di "ex concorrente di The Voice" inizia ad andare stretta al vocalist francese Pierre Edel la cui attività musicale procede sia dal vivo sia in studio con meritato successo. Il 21 settembre Pierre ha pubblicato su YouTube il video del concerto tenutosi a settembre del 2018 al Mezzo Forte Club di Mosca, dove ha intrattenuto il pubblico con i classici del rock and roll per oltre un'ora.

La band capitanata da Pierre Edel è composta da Dmitry Ursul alla chitarra, Kirill Zelepukhin alle tastiere, Anton Chuiko al basso, Michael Sorokin alla batterie e due coriste straordinarie quali Anna Solo e Lera Green. Il team è coadiuvato dietro le quinte dall'ingegnere del suono Igor Baidikov.


Durante il concerto Pierre Edel esegue una selezione di pezzi storici del rock e dell'hard rock degli anni 70 e 80 spaziando dai Bon Jovi ai Deep Purple passando per gli Styx e David Lee Roth. La band si muove sul palco alla perfezione e in ogni pezzo Pierre dà sfoggio della sua voce inconfondibile, potente e in grado di raggiungere note altissime. Oltre all'ottima voce del leader, spicca anche quella delle due ragazze, che danno subito prova delle loro capacità in Bad Medicine e che le ribadiscono in Hold the Line in cui ciascuna di loro canta una strofa lasciando a Pierre il ritornello.

Il concerto vede una predominanza di brani veloci, con l'unica eccezione di Feels Good to Me dei Black Sabbath, in cui Pierre esce a testa altissima dal confronto con Tony Martin. Nella setlist Pierre aggiunge un solo pezzo blues con The Ballad of John Henry di Joe Bonamassa di cui lascia inalterato il gusto psichedelico e che grazie alle lunghe parti strumentali mette in luce le ottime capacità di tutti i musicisti, che Pierre presenta con brevi interviste montate all'interno del video tra un pezzo e l'altro.

L'unico inedito in scaletta è il potente Rock 'n' Roll Slave (scritta da Pierre Edel e Dmitry Ursul), un grintoso e vibrante pezzo AOR in pieno stile anni 80 che consente più delle cover a Pierre di mettere in mostra le proprie capacità vocali. Il cantante chiude il concerto con due pezzi fortissimi dei Deep Purple quali I Can't Do It Right e Burn (che in un'intervista ci aveva rilevato essere uno dei suoi brani preferiti) che sicuramente lasciano nel pubblico un bel po' di energia e un ottimo ricordo.

Su Burn sfumano i titoli di coda che sanciscono la chiusura di questo concerto di una delle migliori voci del rock degli ultimi anni. E al termine della visione, questo video lascia la certezza che la voce è calda, la forma è smagliante e ora non resta che aspettare il prossimo disco di inediti di questo cantante fenomenale.

lunedì 16 settembre 2019

Black Star Riders - Another State of Grace

Il nome della band potrebbe non suonare familiare a tutti, ma a dispetto di ciò i Black Star Riders non sono una band esordiente dalla storia breve, ma un gruppo nato dalla formazione dei Thin Lizzy del 2012 che da allora ha deciso di utilizzare un nome diverso per le incisioni nuove così da non utilizzare il marchio della band storica.

Nel 2019 i Black Star Riders hanno pubblicato il loro quarto album dal titolo Another State of Grace composto da undici tracce nel puro stile tradizionale dei Thin Lizzy. Così come nei tre album precedenti, anche in questo nuovo disco la musica dei Black Star Riders è composta da un hard rock potente e diretto fatto per divertire e catturare l'ascoltatore dal primo giro nello stereo. L'album presenta ovviamente una predominanza di brani veloci in cui lo stile della storica band di Phil Lynott è perfettamente riconoscibile grazie all'uso delle cosiddette twin guitars che conferiscono ai pezzi un suono particolarmente grintoso.

L'album parte con la travolgente traccia di apertura Tonight the Moonlight Let Me Down, che dà un primo assaggio di ciò che si troverà nel resto del disco e il cui rimando alla storia Dancing in the Moonlight dei Thin Lizzy non è troppo velato, il pezzo è anche impreziosito da un assolo di sax nel finale. Tra i pezzi migliori troviamo anche la funkeggiante Soldier in the Ghetto che ricorda come i Thin Lizzy non abbiano mai rinunciato alle contaminazioni della musica nera. Ovviamente non possono mancare le influenze del folk irlandese che troviamo molto marcatamente nella title track che proprio grazie a queste risulta essere il pezzo migliore dell'album. Su undici tracce ne troviamo solo due dai ritmi più lenti, quali la ballad Why Do You Love Your Guns? e il midtempo What Will It Take?

Another State of Grace è in sintesi un disco che fa esattamente ciò che ci si aspetta debba fare, cioè diverte e intrattiene per tutta la sua durata, con una musica grezza, diretta e senza fronzoli. È ovvio che i Black Star Riders non faranno mai rivere i fasti dei Thin Lizzy perché un leader carismatico come Phil Lynott è impossibile da sostituire, e anche perché mentre la band originale attraversò vari periodi questa nuova formazione tende a mettere insieme tutti i caratteri distintivi dei Thin Lizzy producendo una musica un po' troppo uguale a sé stessa. Ma se si ascolta questo disco con le giuste aspettative non si può non considerare che l'obiettivo è centrato in pieno e che i Black Star Riders sono una delle realtà più interessanti del panorama rock degli ultimi anni.

lunedì 9 settembre 2019

Howlin' Wolf - The Howlin' Wolf Album

Dopo aver tentato lo strano esperimento di mischiare il blues con il rock psichedelico con l'album Electric Mud di Muddy Waters nel 1968, l'anno seguente la Chess Records tentò di replicare l'operazione con il secondo dei propri artisti di punta, ovvero lo storico bluesman Howlin' Wolf che nel 1969 aveva già all'attivo una lunga discografia costellata di successi. L'album risultante si intitola The Howlin' Wolf Album e la copertina bianca riporta solo la strana e singolare scritta This is Howlin' Wolf's new album. He doesn't like it. He didn't like his electric guitar at first either.

Il disco è composto da dieci tracce il cui suono abbonda di wah-wah e fuzzbox a cui si somma la potente voce di Howlin' Wolf che interpreta i pezzi nel suo stile distintivo, creando così un bizzarro connubio tra il blues di Chicago e le sonorità che al tempo erano tipiche di Jimi Hendrix e del rock psichedelico che veniva prodotto a Londra. L'LP non contiene pezzi inediti ma è composto interamente di cover, nove delle quali sono standard scritti da Willie Dixon tutti già interpretati in passato da Howlin' Wolf, tra i quali troviamo pezzi storici come The Red Rooster o Evil, più l'autocover di Smokestack Lightning del 1956 e già inclusa nell'album Moanin' in the Moonlight.

In generale il risultato musicale è molto confuso è forzato e non è un caso che l'album non abbia avuto il successo commerciale di Electric Mud. Tuttavia l'esperimento è sicuramente interessante e mostra un lato inedito e mai più replicato nella carriera di Howlin' Wolf. Se questo disco non verrà ricordato per la qualità della musica, lo è sicuramente per il coraggio dell'aver provato a mischiare stili così diversi e per l'aver voluto provare a creare un suond nuovo. Anche se va riconosciuto che questo esperimento non ha dato i risultati sperati.

martedì 3 settembre 2019

Visions of Atlantis - Wanderers

È passato solo un anno e mezzo dall'ultima uscita discografica dei Visions of Atlantis, con The Deep & The Dark del 2018, e la band austriaca ha già pubblicato un nuovo lavoro in studio intitolato Wanderers per il quale la formazione del gruppo vede una nuova modifica, con l'ingresso dell'italiano Michele Guaitoli, già vocalist dei Kaledon e dei Temperance, che sostituisce Siegfried Samer e affianca la voce della soprano francese Clémentine Delauney.

In questo nuovo album la band ripropone la propria formula collaudata che prosegue sulla strada battuta da The Deep & The Dark con basi potenti a cui si sommano le voci dei due eccezionali vocalist che si completano, si amalgamano, si rincorrono e spesso duettano con Clémentine a fare le voci alte e Michele quelle basse. Il suono che ne risulta è un symphonic metal patinato e melodico, con forti venature di AOR ottantiamo e che convince e rapisce già al primo ascolto.

Il disco è composto da tredici tracce e si apre con l'epica e lunghissima Release My Symphony che dà un primo assaggio di ciò che si troverà nel resto dell'album con Clémentine che nel finale aggiunge qualche tocco di canto lirico. La continuità con i lavori passati della band è sottolineata dalla traccia successiva Heroes of the Dawn che contiene un'autocitazione da Return to Lemuria dell'album precedente (che a sua volta si ispirava a Lemuria dell'album Cast Away del 2004) e che così come quest'ultima è ricca di fiati che danno un'atmosfera fiabesca al pezzo.

Nel complesso l'album presenta un buon equilibrio tra pezzi energici e quelli lenti. Tra i momenti più melodici troviamo le ballad Nothing Last Forever e Into the Light cantante da entrambi i vocalist e la title track caratterizzata da una strumentazione minimale e cantanta dalla sola Clémentine. Tra i pezzi migliori del disco spiccano sicuramente quelli in cui le influenze AOR sono più marcate, come le energiche A Life or Our Own e At the End of The World, oltre a To The Universe che è il brano che mostra più degli altri l'ottima mescolanza vocale dei due cantanti e che è anch'esso impreziosito da alcuni accenni di canto lirico nei ritornelli.

Chiude il disco la cover di In and Out of Love del DJ olandese Armin van Buuren originariamente affidata alla voce di Sharon Den Adel e che in questo caso è interpretata da Clémenetine che surclassa la collega quanto a potenza, espressività e per quanti diversi colori sappia dare al proprio canto.

Wanderers è in sintesi un ottimo album, fresco e divertente, che fa esattamente ciò che deve fare, cioè regalare un ora di metal melodico che trae la propria forza principale dalle voci straordinarie dei due vocalist che nonostante siano al loro esordio insieme sembrano già una coppia navigata ed affiatata. E se era già ben noto che Clémentine fosse una delle migliori autrici e interpreti al mondo, la sua collaborazione con Michele funziona alla grande e se le premesse delle nuova coppia sono queste siamo sicuri che i Visions of Atlantis abbiano un futuro ancora più roseo del loro già glorioso passato.

sabato 17 agosto 2019

Giacomo Voli - Cremona, 16/8/2019

È una notte di mezza estate, una di quelle rese celebri dal famoso sogno di Shakespeare, e questa volta la location per il concerto di Giacomo Voli è decisamente insolita, perché il CRAL di una grande azienda come la Tamoil non è il posto dove ci si aspetta che si possa fermare per una sera un cantante blasonato come il nostro Giacomo. Fa caldo, ma non troppo, e quindi il viaggetto verso Cremona si affronta volentieri.


Il concerto è anticipato da una cena a base di gnocchi tricolori, e come sempre la cena è anche un momento di convivialità, per conoscere gente nuova accomunata dalla passione per la buona musica e per la voce di Giacomo. E dopo aver fatto qualche nuova amicizia, inizia il concerto con Giacomo che imbraccia la chitarra poco dopo le 21:30 e già dal primo pezzo si capisce che la serata non avrà nulla di scontato, perché la scelta dei pezzi è singolare, visto che si parte con What's Up? dei 4 Non Blondes. La voce di Linda Perry è unica, ma Giacomo riesce alla grande a interpretare il pezzo, e io che pensavo che un brano del genere fosse impossibile da rendere in acustico evidentemente mi sbagliavo.

Nella prima parte della scaletta trovano ampio spazio gli Aerosmith, e nemmeno gli acuti di Steven Tyler non sono un problema per Giacomo che regge il confronto alla grande e anche in questo caso la scelta dei pezzi non è banale perché oltre ai superclassici come Dream On e I Don't Want to Miss a Thing troviamo anche Pink che potrebbe non essere tra i pezzi più conosciuti per chi non segue il gruppo. Giacomo si accompagna alternando la chitarra e la tastiera e sopperisce con quest'ultima all'assenza della batteria e il risultato è che il suono è molto più ricco e completo di quanto ci si aspetterebbe da un acustico, così che più che a un acustico sembra di assistere al concerto di una one man band.

Nel prosieguo del concerto Giacomo esegue un buon numero di pezzi dei Queen, con il pubblico che canta i ritornelli insieme al vocalist che attinge dal repertorio degli anni 70 con Bohemian Rhapsody, Killer Queen e Somebody to Love, fino agli anni 80 di Radio Ga Ga e I Want to Break Free. Ovviamente non può mancare un omaggio ai mostri sacri del rock anni 70, come i Led Zeppelin di Whole Lotta Love e i Deep Purple con Soldier of Fortune, Hush e Smoke on the Water.

Giacomo sorprende tutti quando dice che sta per fare qualche pezzo italiano prima di chiudere il concerto. Ma come, è già tempo di salutarci? Non è iniziato da un quarto d'ora al massimo? Guardo l'orologio e, no, sono passate quasi due ore. Ma è stato tutto così divertente che il tempo è volato. Godiamoci allora gli ultimi pezzi, con Ti Sento dei Matia Bazar e Impressioni di Settembre della PFM (entrambe già incise da Voli nei suoi album solisti). E prima di chiudere non possono mancare ancora due brani dei Queen come We Are The Champions e Crazy Little Thing Called Love che Giacomo regala perché il pubblico non vuole lasciarlo andare senza un encore.

Purtroppo il concerto finisce, anche se il tempo sembra essere passato in un attimo. Sceso dal palco, Giacomo si ferma a fare qualche foto con i fans e a scambiare qualche parola con il pubblico che si complimenta per la voce e per l'esecuzione. Durante il viaggio verso casa nell'autoradio scelgo l'ultimo album dei Rhapsody of Fire, perché stasera Giacomo ci ha dato prova di uno dei lati della sua vocalità e l'occasione è buona per ripassare anche quella più metal ed epica. E mentre ripensiamo al concerto che abbiamo appena visto, resta la consapevolezza che alla fine è andato tutto bene, che abbiamo assistito a una grande prova di un polistrumentista e cantante straordinario, e che è proprio così che una notte di mezza estate dovrebbe essere per essere perfetta.

mercoledì 14 agosto 2019

Bruce Springsteen - Western Stars

Sono passati sette anni dall'ultimo album di inediti di Bruce Springsteen, perché né High Hopes del 2014, né Chapter and Verse del 2016 erano di fatto dischi di pezzi nuovi. E dopo questa lunga attesa il Boss torna sulle scene con il suo diciottesimo album per il quale sceglie una formula nuova abbandonando completamente l'heartland rock per muoversi verso un country rock ispirato alle band californiane degli anni 70 come gli Eagles o i Creedence Clearwater Revival.

Il titolo stesso Western Stars indica come Bruce abbia spostato verso ovest i propri spunti e le immagine bucoliche che accompagnano il CD anticipano le sonorità che si troveranno nel disco. Il risultato è un album di tredici tracce lente i cui ritmi non si discostano mai dalle atmosfere rilassate del deserto americano. I ritmi lenti del disco sorprendono non poco, ma stupisce anche la presenza massiccia di strumenti ad arco, che non erano così predominanti nei dischi di Springsteen dai tempi di Waitin' on a Sunny Day di The Rising.

Se questa combinazione risulta comunque buona e funziona bene, il disco ha l'innegabile difetto che i pezzi sembrano tutti un po' troppo simili e le sensazioni suscitate dalla traccia di apertura Hitch Hikin' si troveranno poi anche in tutte le altre. Si distinguono solo Sleepy Joe’s Café? per i ritmi leggermente più vivaci, e la ballad There Goes My Miracle caratterizzata da atmosfere più profonde e solenni. Tra i pezzi migliori troviamo anche Tucson Train e Chasin' Wild Horses che sono i due brani in cui gli archi si sentono con maggiore intensità e la title track di cui è stato realizzato un video in ambientazione western.

Chiudono il disco Hello Sunshine, pubblicata in singolo prima dell'uscita dell'LP, che risente di qualche eco di Everybody's Talking di Harry Nilsson e l'acustico Moonlight Motel realizzata con solo piano, chitarra e voce.

In sintesi Western Stars è sicuramente un disco di altissimo livello e perfettamente godibile, ma per apprezzarlo bisogna ascoltarlo con le giuste aspettative. Se ci si aspetta il rock di Born in the U.S.A., qui non c'è. Questo disco non assomiglia a nulla che Springsteen abbia fatto in passato e potrebbe quindi scontentare i fan storici. Ma se lo si approccia con le giuste attese, non si può non considerare che Western Stars dimostra invece come questo settantenne abbia ancora molte strade da esplorare e che anche quelle nuove gli riescono bene come quelle già percorse.

martedì 6 agosto 2019

Le colonne sonore della serie di Men in Black

Il 2019 ha visto l'uscita nelle sale cinematografiche del quarto film della serie di Men in Black, iniziata nel 1997 con l'eponimo film con Will Smith e Tommy Lee Jones. Fin dal primo capitolo la  serie è stata famosa non solo per la parte cinematografica ma anche per le sue celebri colonne sonore.

Contestualmente all'uscita del primo Men in Black sono stati pubblicati due dischi, come all'epoca era abbastanza consueto: il primo intitolato Men in Black: The Score contenente le musiche di Danny Elfman effettivamente presenti nel film e il secondo intitolato Men in Black: The Album che contiene invece dei pezzi cantanti. Il più celebre brano tratto dall'album è sicuramente la title track di Will Smith basata su un campionamento di Forget Me Nots di Patrice Rushen del 1982 e ricordata anche per il celebre video in cui Will Smith balla in sincronia con un gruppo di altri uomini in nero a cui si aggiunge un grosso alieno. Nel disco è presente anche un secondo pezzo di Will Smith intitolato Just Cruisin' e altri dodici brani interpretati da alcuni dei maggiori esponenti della black music dell'epoca, tra cui i Roots, Nas, le Destiny's Child e gli A Tribe Called Quest.


Oltre a quelli di Will Smith i pezzi migliori del disco sono We Just Wanna Party with You di Snoop Doggy Dogg, alla sua ultima uscita discografica prima del cambio di nome in Snoop Doog, basata su un campionamento di Get Down on It di Kool and the Gang, e Dah Dee Dah (Sexy Thing) di Alicia Keys allora sedicenne al suo esordio. Completano in disco due pezzi strumentali di Danny Elfman presenti anche nella score. Ad esclusione delle due tracce di Elfman e della title track, nessuno dei pezzi dei disco compare nel film rendendo di fatto Men in Black: The Album una compilation di black music slegata dal film.

Men in Black fu inclusa anche nel primo album solista di Will Smith intitolato Big Willie Styles uscito pochi mesi dopo il film; nella versione europea dell'album è presente anche Just Cruisin' come bonus track. L'anno dopo entrambi i pezzi sono stati inclusi nel Greatest Hits di DJ Jazzy Jeff & The Fresh Prince, nonostante fossero stati incisi come brani solisti di Smith quando il duo non era più in attività.

Nel 2002, con l'uscita di Men in Black II, Will Smith ripeté l'esperimento di pubblicare la traccia principale della colonna sonora anche sul proprio album solista Born to Reign (e nel 1999 aveva fatto lo stesso con il film Wild Wild West e l'album Willennium). Tuttavia il pezzo Black Suits Comin' (Nod Ya Head) ebbe un approccio meno scherzoso e più serio e aggressivo rispetto alla colonna sonora del primo film, grazie al suono prominente delle chitarre seguendo un percorso musicale già iniziato con Willennium.

Di Men in Black II è stata pubblicato un unico disco intitolato Men In Black II: Music From The Motion Picture che contiene diciotto brani strumentali di Danny Elfman, Black Suits Comin' (Nod Ya Head) di Will Smith e I Will Survive interpretata da Tim Blaney che nel film dà la voce al cane Frank.

Nel 2012 uscì al cinema Men in Black 3 di cui fu pubblicata la colonna sonora dal titolo MIB3 Music by Danny Elfman che come dice il titolo stesso contiene sono i brani strumentali di Elfman. L'unico pezzo cantato che compare nel film è Back in Time di Pitbull che venne pubblicato in singolo, ma non incluso nell'album delle colonna sonora.

Il quarto capitolo della serie intitolato Men in Black: International, il primo e unico finora senza la partecipazione di Will Smith, è uscito nelle sale cinematografiche nel 2019 e contestualmente ne è stata pubblicata la colonna sonora dal titolo Men in Black: International - Original Motion Picture Score che contiene ventisei brani strumentali di nuovo di Danny Elfman, questa volta con la partecipazione di Chris Bacon.


Le colonne sonore di Men in Black sono sicuramente uno dei motivi del successo di questo franchise, e nonostante i capitoli cinematografici siano ad oggi quattro è indubbio che le prime due realizzate da Will Smith abbiano dato il contributo principale a consolidare il marchio di questa fortunata serie che è diventata in breve tempo un'icona degli anni 90 e il cui successo dura ancora più di vent'anni dopo il primo film.