giovedì 24 dicembre 2015

Tarja - Henkäys Ikuisuudesta

Dopo aver abbandonato i Nightwish alla fine del 2005 per dissapori interni, la soprano finlandese Tarja Turunen non aspettò neppure un anno prima di avviare la propria carriera solista, ma anziché proseguire sulla strada del symphonic metal, che comunque avrebbe ripreso con gli album successivi, iniziò questa nuova fase con un disco di canti natalizi intitolato Henkäys Ikuisuudesta. L'album è una raccolta di brani classici e moderni con l'aggiunta del pezzo di apertura intitolato Kuin Henkäys Ikuisuutta scritto dalla stessa Tarja in finlandese.

Ciò che colpisce già dal primo ascolto è l'incredibile varietà dei brani scelti da Tarja che ha attinto da diversi decenni dello scorso secolo, da colonne sonore e anche dalla tradizione natalizia classica e lirica. Tra i pezzi moderni interpretati da Tarja troviamo infatti la celeberrima Happy Xmas (War is Over) di John Lennon, Happy New Year degli Abba, You Would Have Loved This di Cori Connors, The Eyes of a Child degli Air Supply, Marian Poika traduzione in finlandese di Mary's Boy Child di Jester Hairston e Walking in the Air dal film The Snowman che Tarja aveva già inciso nel 1998 nell'album Oceanborn dei Nightwish ma che qui troviamo registrata con una strumentazione più classica accompagnata solo da organo e archi. Questi brani sono proposti in versioni sostanzialmente uguali agli originali con la splendida voce di Tarja a renderli ancora più speciali e già da questi pochi pezzi si capisce come Tarja sia perfetta in qualunque stile canoro in cui si cimenti, passando dall'allegria del brano di Hairston al canto lirico di Walking in the Air.

Tra i brani classici ne troviamo quattro appartenenti alla tradizione finlandese, En Etsi Valtaa, Loistoa che Tarja aveva già inciso nel 2004 nel suo singolo natalizio Yhden Enkelin Unelma e che qui è stata reincisa, Varpunen Jouluaamuna, Mökit Nukkuu Lumiset e Jo Joutuu Ilta oltre all'Ave Maria di Schubert cantata in tedesco, il Quia Respexit dal Magnificat di Bach e Jouluyö, Juhlayö versione finlandese di Stille Nacth. Tarja canta tutti i brani classici con registro lirico e sulle sue interpretazioni c'è ben poco da dire perché è semplicemente impeccabile in ogni esecuzione.

L'album è stato ristampato nel 2010 con quattro brani nuovi tutti in finlandese; tre di questi Heinillä Härkien, Maa On Niin Kaunis e Arkihuolesi Kaikki Heitä erano stati incisi da Tarja l'anno predente per la compilation natalizia Maailman Kauneimmat Joululaulut, e il quarto Kun Joulu On è invece di nuovo tratto da Yhden Enkelin Unelma.

Tutti questi brani e molti altri sia moderni che classici vengono eseguiti regolarmente da Tarja dal vivo nelle sue tournée natalizie a riconferma del fatto che una delle voci metal più note del mondo è anche una delle voci classiche migliori del pianeta in grado di far vivere l'atmosfera natalizia come nessun'altro sa fare. Ma come abbiamo già scritto varie volte sulle pagine di questo blog a Tarja non servono più conferme a dimostrare che sa eseguire ogni stile canoro in modo perfetto.

giovedì 17 dicembre 2015

Halford - Halford 3 - Winter Songs

La band che porta il suo cognome è uno dei progetti paralleli di Rob Halford nati nel periodo del suo temporaneo allontanamento dai Judas Priest. Il terzo album degli Halford, uscito nel 2009, è intitolato Halford 3 - Winter Songs ed è una raccolta di canti natalizi, genere in cui si sono cimentati molti musicisti di ogni estrazione ma che può sembrare insolito per una band metal. In realtà per quanto raro questo non è un caso isolato visto che anche i Twisted Sister hanno realizzato un bellissimo album natalizio e anche altri gruppi come i Manowar, gli Helloween o i Bad Religion si sono cimentati in questo genere.

Il disco degli Halford è composto da dieci brani di cui quattro inediti scritti dallo stesso Rob in un caso coadiuvato dal resto della band, cinque classici della tradizione natalizia e Winter Song scritta nel 2008 da Sara Bareilles e Ingrid Michaelson qui proposta in versione ballad. Ciò che rende questo disco unico è l'accostamento delle melodie dei brani all'energia espressa dalla band che resta coerente con le produzioni consuete di Halford, con forti chitarre, sezione ritmica molto presente e la voce straordinaria e ineguagliabile di Rob a cantare i pezzi. I brani inediti, i cui testi sono tutti molto intimistici, spirituali e positivi, offrono una varietà di suono davvero ricca, si passa dall'aggressiva ed energica Get Into The Spirit alle allegre Christmas for Everyone e I Don't Care e tra gli inediti non manca un momento più riflessivo con Light of the World.

I brani classici come Oh Come O Come Emanuel, We Three Kings e What Child is This sono suonati rispettando le melodie originali che tutti conosciamo ma in modo molto forte e aggressivo portando così una bella ventata di modernità alla tradizione. I pezzi migliori sono comunque gli ultimi due: i classici natalizi per eccellenza Oh Holy Night e Come All Ye Faithful. E' con questi due che Halford raggiunge il livello più alto di questo atipico disco con cui crea perfettamente l'atmosfera natalizia in chiave metal.

Se c'è una cosa che non manca a Rob Halford è la capacità di esprimersi in stili musicali diversi, basti pensare alla varietà musicale prodotta dai Judas Priest e dalle sue sue derive street metal con i Fight e industrial metal con i 2wo. Rob fondò gli Halford per tornare al metal più classico e con questo ottimo album dimostrò anche di saper unire il metal alla tradizione come solo i grandi musicisti sanno fare e il risultato è un album che non può mancare né nella discografia degli amanti del metal né in quella degli amanti dei canti natalizi.

giovedì 10 dicembre 2015

Chorny Kofe - Vol'nomu - Volya

I Chorny Kofe (in cirillico Чёрный Кофе) sono uno dei gruppi di spicco della scena metal moscovita che con i suoi suoni teatrali e maestosi ha creato una nicchia di grande valore nella produzione metal mondiale grazie alle sonorità distintive che la identificano. La band fondata a Mosca nei primi anni 80 ha iniziato la propria attività nell'84 con il disco Pridi I Vse Vozmi (Приди и всё возьми), nonostante anche i primi LP fossero di ottima qualità i migliori dischi della loro carriera sono quelli registrati verso la fine del decennio tra cui il loro sesto uscito nel 1989 e intitolato Vol'nomu - Volya (Вольному — воля).

La musica dei Chorny Kofe si basa su un metal classico di ispirazione NWOBHM ricco di melodie grazie all'uso massiccio di tastiere che lo avvicina anche al pop metal molto in voga in USA e UK nello stesso periodo. Inoltre la forza della band si basa anche sulla potenza della voce del cantante Dmitry Varshavsky incredibilmente forte e acuta e sul suono delle chitarre al contempo energiche e melodiche che ricorda gruppi storici del metal come i Dio o i Rainbow.

L'album parte fortissimo con l'energica Brozhu Po Gorodu Oodin (Брожу по городу один) e tra gli altri brani spiccano anche la title track, Na Posljednij Pojezd (На последний поезд) e Svjetlyj Obra (Светлый обра) che sono ottimi esempi di come il gruppo sappia coniugare abilmente forza e melodia.

Il disco è composto in totale da 9 brani di cui sette veloci e due ballad piuttosto tradizionali che riprendono gli stilemi classici dei lenti metal. Bellissima anche la trascinante traccia conclusiva Eto — Rok (Это — рок), nuova versione del brano dallo stesso titolo inciso nel 1986 sulla ristampa dell'album Svjetlyj Mjetall (Светлый металл), che grazie ai cori sul ritornello risulta incredibilmente coinvolgente e molto più potente dell'originale. In pezzo non va confuso con il brano omonimo che apre il primo album degli Aria e che con questo ha in comune solo il titolo.

Nell'edizione in CD dell'album, che ha una copertina diversa rispetto al vinile, è aggiunta una decima traccia intitolata Staryj Park (Старый парк), cupa ballad dalle atmosfere new wave.

Nonostante numerosi cambi di formazione che hanno lasciato il solo Dmitry Varshavsky come unico membro della band dalle origini fino ad oggi, i Chorny Kofe, in cui oggi milita anche la moglie del cantante Jevgjenija Varshavskaja come chitarrista, continuano a produrre ottimi album di altrettanto ottimo metal e fortunatamente non sembrano intenzionati a fermarsi. E finché la qualità della loro musica resta questa saranno sempre i benvenuti nelle discografie di tutti gli amanti del rock.

giovedì 3 dicembre 2015

Leize - Cuando Te Muerden

I baschi Leize sono da quasi trent'anni una delle band di punta del rock urbano, stile del rock spagnolo che lega sonorità aspre e dure tipiche dell'hard rock (con influenze blues e spesso tendenti al metal) con testi che parlano di tematiche sociali come il disagio delle classi meno abbienti. Come genere musicale il rock urbano è quindi più caratterizzato dai temi trattati che non dalle caratteristiche sonore che sono in realtà riconducibili ad altri stili.

La band di Zestoa è tornata con un nuovo album ad ottobre del 2015 a sette anni di distanza dal precedente Solo para Ti . Il nuovo album intitolato Cuando Te Muerden resta fedele alla tradizione musicale della band con musiche ruvide e graffianti ricche di riff di chitarra, liriche rabbiose e abbondanti cori soprattutto nei ritornelli.

Il disco è composto di 11 tracce di grande impatto sonoro e tutte di ottima qualità, la maggior parte dei brani è forte e aggressivo, ma non mancano momenti più melodici come Hundiéndome en la Noche, Como Arena e Cuando Te Veo che richiama sonorità hair metal degli anni 80. Nel disco sono presenti anche due ballad, Sin Ti e Tu Amistad, che uniscono efficacemente melodia ed energia come la band ha già fatto in passato nei suoi brani lenti come Dejame Decirte o Abandonado. Le due ballad portano anche un po' di varietà nella musica dei Leize che, per quanto bella, bisogna ammettere resta sempre piuttosto uguale a sé stessa.

Tra i brani migliori si trovano anche il travolgente brano di apertura Donde Esta e la title track che inizia con il ringhio di un cane a cui si sommano le chitarre e poi il canto richiamando quindi quanto mostrato nella copertina del disco in cui si vedono le fauci di un cane sovrimpresse all'immagine di un vicolo deserto.

A 28 anni di distanza dall'esordio con Devorando las Calles i Leize confermano di saper fare ancora dell'ottima musica e di non risentire minimamente del peso degli anni, il gruppo guidato da Félix Lasa non è un'eccezione nell'ottimo panorama hard rock spagnolo in cui spiccano anche i Medina Azahara che sono sulla cresta dell'onda da quattro decenni e gli Héroes del Silencio che nella loro breve carriera si sono dimostrati uno dei migliori gruppi rock della storia. Ed è anche grazie a gruppi meno noti come i Leize che il paese iberico può confrontarsi a testa alta con la produzione rock dei paesi anglosassoni staccando nettamente tutti gli altri stati dell'Europa continentale.

giovedì 26 novembre 2015

Come nasce un capolavoro: Moonlight Shadow

Moonlight Shadow è uno dei brani più noti dello straordinario compositore e polistrumentista britannico Mike Oldfield, autore tra le varie sue opere di capolavori come tutta la serie dei dischi intitolati Tubular Bells. Secondo una leggenda abbastanza diffusa Moonlight Shadow sarebbe stata ispirata dalla morte di John Lennon per via del verso He was shot six times by a man on the run; in realtà non solo quanto narrato dal verso in questione non collima con la realtà (a Lennon furono sparati cinque colpi, non sei; e Mark Chapman era tutt'altro che un uomo in fuga perché dopo aver sparato a Lennon si sedette sul marciapiede in attesa della polizia) ma lo stesso Oldfield nella sua autobiografia intitolata Changeling: The Autobiography of Mike Oldfield spiegò come nacque il pezzo e la sua genesi è molto diversa da quanto sostenuto dalle leggende metropolitane.

Oldfield partì a sviluppare la melodia lavorando su alcuni accordi che aveva in testa, affidò dapprima la stesura del testo alla cantante Hazel O'Connor che ne scrisse una prima versione intitolata Midnight Passion, ma il musicista non fu soddisfatto del risultato. Dopo averci ragionato per tre mesi decise che a cantarla sarebbe stata Maggie Reilly e si accordò con lei per una sessione di registrazione, la notte prima Oldfield rimase sveglio per stendere il testo. L'ispirazione gli venne guardando fuori dalla finestra la Luna che illuminava il paesaggio circostante e dal film Houdini (Il Mago Houdini, nella versione italiana) con Tony Curtis e Janet Leigh. Riguardo all'ipotetica ispirazione alla morte di Lennon, Oldfield aggiunge che anche lui si trovava a New York quel fatidico giorno e che forse qualche pensiero su quei fatti gli rimase nel subconscio, ma nulla di più e nulla di intenzionale.

Oldfield ricorda anche che Maggie non cantava come lui si aspettava perché pronunciava le parole con la cadenza tipica del soul e quindi per lei il brano era Moonlight Shahdoah. Dopo aver speso molto tempo con grande concentrazione e impegno da parte di entrambi affinché la cantante scandisse le sillabe secondo le aspettative di Oldfield, l'esito fu finalmente quello desiderato e il successo fu superiore alle aspettative.

L'album in cui è inserito questo capolavoro si intitola Crisis, ma proprio grazie a Moonlight Shadow e all'altrettanto bella Foreign Affair fu tutto tranne che un momento di crisi.

giovedì 19 novembre 2015

Dai Karma agli Juan Mordecai

Il rock italiano ha vissuto negli anni 90 un momento di gloria e creatività che non si è mai ripetuto né prima né dopo e che ha visto la nascita di gruppi come i Ritmo Tribale, i Rats, i Clan Destino e molti altri che hanno portato una seppur breve ventata di novità in un panorama che di norma si basa sul pop di facile consumo. Una delle migliori espressioni della musica di quel decennio sono senza dubbio i milanesi Karma che nonostante abbiano avuto una carriera molto breve hanno scritto una delle più belle e importanti pagine della storia della musica del nostro paese riuscendo nell'ardua impresa di portare il grunge al di fuori dei confini nordamericani fino all'Italia.

Il gruppo nacque nel 1990 a Milano con il nome Circle of Karma e formato da David Moretti alla voce e alla chitarra, Andrea Bacchini alla chitarra, Andrea Viti al basso, Diego Besozzi alla batteria e Alessandro Rossi detto Pacho alle percussioni. La band registrò dapprima un album, mai pubblicato, interamente in inglese che alcuni anni dopo, e dopo aver abbreviato il proprio nome in Karma, tradusse in italiano e reincise dando così vita al proprio primo ed eponimo album realmente pubblicato. L'album fu l'unico disco italiano di vero grunge e forse il migliore al mondo realizzato in una lingua diversa dall'inglese. La band si ispirava alle grandi formazioni del genere come Pearl Jam, Soundgarden e soprattutto agli Alice in Chains anche dal punto di vista del cantato di Moretti molto simile a quello di Layne Staley; inoltre i Karma arricchirono la propria musica con sonorità tribali e orientali grazie alle percussioni e al sitar suonato dallo stesso Moretti. Il disco spazia dai brani più potenti e graffianti come Lo Stato Delle Cose, Il Volo e La Differenza ad altri più melodici tra cui spiccano Terra e Cosa Resta che a nostro giudizio è il brano più bello dell'intero disco. Tra i pezzi migliori si trova l'orientaleggiante Nascondimi che con i suoi richiami indiani replica l'esperimento simile operato dai Soundgarden nello stesso anno nel loro album Superunknown e anticipa di due anni le sonorità che i Kula Shaker avrebbero trasformato nel proprio marchio di fabbrica. In totale il disco è composto da 14 brani tutti di grande impatto, contrariamente alla maggioranza degli artisti italiani che realizzano album con tre o quattro brani di livello e una lunga serie di riempitivi.

Dopo il primo album i Karma tornarono nel 1996 con il loro secondo lavoro intitolato Astronotus in cui si allontanano dal grunge, che in quell'anno stava vivendo la propria parabola discendente, spostandosi verso il rock psichedelico ricco di distorsioni e accentuando le sonorità tribali ed etniche grazie alle percussioni sempre più presenti. Il disco propone di nuovo un buon equilibrio tra brani veloci come 3° Millennio e brani melodici come Indivisibili, Atomi e l'onirica Selezione Naturale. Il grunge non viene comunque completamente abbandonato anche se l'unico brano che ancora resta ancorato al suono di Seattle è l'ottima Atomi. Di grande impatto sono anche le strumentali Kali Yuga e Amazzonia, i due pezzi in cui i suoni etnici si fanno più forti, e la lunga e variegata jam Astronotus che unisce il suono delle chitarre a quelli tribali.

Dopo questo secondo album i Karma si allontanarono dalle scene e ufficialmente non pubblicarono altri album. Tuttavia nel 2007, a ben 11 anni di distanza da Astronotus, Moretti e Viti diedero vita a un duo chiamato Juan Mordecai che vide tra i propri musicisti di supporto gli ex Karma Bacchini, Besozzi e Pacho. Il primo e unico album degli Juan Mordecai, che a differenza dei Karma cantano in inglese, si intitola Songs of Flesh and Blood e pur restando nelle sonorità psichedeliche presenta una varietà musicale impressionante. Il disco parte con la graffiante Prodigal Son dalle atmosfere che tendono al punk e prosegue con la lenta The Flesh Song che è il brano più psichedelico dell'intero album. Tra i brani migliori si trovano anche Someone Better, di chiara ispirazione stoner rock, 3 Little Lusts ispirata invece al folk rock americano, e Black Clouds con le sue atmosfere country seppure più buie e cupe di quelle consuete dei cantanti statunitensi del genere. Non manca in questo disco un tocco di grunge con la stupenda Skin & Bones che ne propone una versione un po' più psichedelica rispetto alle sonorità dei Karma. In due degli undici pezzi la voce solista è affidata a Viti anziché a Moretti: I Saw You e Demon Lover, entrambe molto lente e d'atmosfera.

Il finora unico album degli Juan Mordecai è un assoluto capolavoro per qualità e varietà e questa esperienza aprì le porte alla reunion dei Karma nel 2010, ma la band tornò insieme solo da vivo per un tour e non registrò materiale inedito.

E' un vero peccato che Moretti e la sua band abbiano prodotto solo tre album perché sono indiscutibilmente tra i migliori musicisti della nostra penisola. Del resto oggi David Moretti è Deputy Creative Director di Wired ed è molto improbabile che torni a scrivere e registrare. Ma è comunque grazie a lui e al suo gruppo che il nostro paese può vantare queste poche ma ottime perle di rock.

giovedì 12 novembre 2015

L'omicidio di Peter Tosh

Peter Tosh era da poco tornato in Giamaica dopo un viaggio di lavoro negli Stati Uniti; quella sera, l'11 settembre del 1987, l'ex chitarrista degli Wailers che aveva da più di 10 anni intrapreso una carriera solista di successo si trovava nella sua casa al numero 5 di Plymouth Avenue nel quartiere Barbican di Kingston. Insieme a lui c'erano la moglie Marlene e tre amici, i musicisti Micheal Robinson, Santa Davis e Wilton "Doc" Brown. L'atmosfera in casa era molto allegra e distesa per via del freschissimo successo dell'ultimo album di Tosh No Nuclear War pubblicato proprio il giorno prima.

Peter e Marlene insieme ai loro amici si trovavano al primo piano della casa a guardare la televisione mentre aspettavano altri amici che sarebbero arrivati poco dopo. Intorno alle 20 un furgone Volkswagen guidato dal taxista Steve Russel che trasportava altre tre persone si fermò davanti alla casa di Tosh. I tre passeggeri scesero e bussarono alla porta.

Marlene, pensando che fossero arrivati gli altri due amici, chiese a Robinson di scendere ad aprire e Michael si trovò davanti Dennis Lobban, detto Leppo, amico di Peter a cui questi spesso elargiva soldi con grande generosità vista la difficile situazione economica di Leppo. Insieme a Dennis vi erano altri due uomini che Robinson non conosceva. I tre estrassero delle pistole e tenendo Micheal sotto tiro gli intimarono di non emettere suoni e chiesero se Peter fosse in casa e di condurli da lui. Robinson risalì le scale seguito dai i tre uomini, quando Marlene vide Leppo non si sorprese ma quando vide che i tre erano armati capì che qualcosa quella sera sarebbe andato storto.

Puntando la pistola al padrone di casa Leppo gli chiese dove tenesse i soldi e gli intimò di consegnargli della valuta americana che aveva portato dal suo recente viaggio, ma subito Marlene rispose che non ne avevano in casa. Uno degli assalitori colpì Tosh alla testa con il calcio della pistola e i tre ordinarono a tutti i presenti di sdraiarsi con la faccia a terra. Poco dopo arrivarono alla casa anche il dj Free I e la moglie Joy, gli altri due amici attesi da Tosh. Sulle prime nessuno rispose al campanello, quindi Free I sentì delle urla di una voce femminile provenienti dall'interno della casa e poco dopo un uomo che non conoscevano aprì loro la porta e li condusse all'interno, l'uomo che aveva aperto puntò la pistola a Joy e le ordinò di consegnargli la catena che portava al collo.

Tenendoli sotto tiro li portò nel salotto dove Tosh, Marlene e i loro amici erano stesi a faccia a terra; Joy ricorda i tre assalitori avevano già iniziato a picchiare duramente Peter il quale sanguinava dalla testa. I tre costrinsero anche Joy e Free I a mettersi a terra mentre continuavano a insistere con Tosh e Marlene affinché consegnassero loro i soldi che avevano in casa. Tosh disse agli assalitori di prendere ciò che volevano e uno dei tre spazientito iniziò a frugare le stanze in cerca di soldi e sotto il letto di Peter trovò il machete che il chitarrista teneva per difesa personale. L'assalitore minacciò Peter di tagliargli la testa se non avesse consegnato loro i soldi che aveva in casa e si avvicinò per minacciarlo con il machete. Marlene quindi balzò in piedi e si lanciò contro l'uomo con il machete che con poca fatica la ributtò a terra.

Capendo che Leppo e i suoi complici non se ne sarebbero andati a mani vuote e vedendo la situazione precipitare rapidamente, Tosh si offrì di donare loro dei soldi nei giorni successivi, appena avesse avuto modo di andare a prelevarli in banca. Per un attimo Leppo considerò l'offerta, ma subito dopo i tre aprirono il fuoco. Santa Davis ricorda di aver sentito odore di sangue e di aver capito che qualcuno era morto mentre i tre uomini sparavano all'impazzata su di loro: Marlene racconta che i colpi sparati furono circa 25, mentre secondo Joy furono più di 30.

Gli assalitori scapparono e sparirono tra le strade di Kingston. Marlene, che era stata colpita da due colpi alla testa, si finse morta e attese di sentire il rumore del motore dell'auto che si allontanava, quindi si alzò. Anche Joy si alzò nonostante fosse stata colpita al viso dal rimbalzo di uno dei proiettili sparati verso Marlene. Peter era stato colpito da due proiettili alla testa, sanguinava e respirava a fatica, ma era ancora vivo. Doc giaceva a terra morto. Anche Free I era ferito e respirava a fatica. Micheal era stato colpito a una spalla, ma stava complessivamente bene. Santa non era più nella stanza.

Marlene corse in strada a cercare aiuto, trovò Santa che disse di essere stato colpito alla spalla ma di stare bene. Dopo essersi accertato che gli assalitori erano scappati, l'uomo prese la sua Jeep e corse fino all'ospedale dove svenne addosso a un barelliere.

Davanti a casa Marlene si sbracciò per far fermare alcuni autoveicoli, se ne fermarono due e la donna chiese al guidatore del primo di portare Peter in ospedale. L'uomo acconsentì e Marlene e Michael salirono sullo stesso veicolo accompagnando Peter allo University Hospital dove fu dichiarato morto 20 minuto dopo l'arrivo.

Mentre Marlene correva giù dalle scale Joy si avvicinò al marito trovandolo ancora vivo. Poco dopo arrivò la polizia che li portò entrambi all'ospedale: Free I morì tre giorni dopo, mentre la donna non riportò gravi ferite. Doc Brown fu trovato morto a terra.

Temendo per la sua incolumità Leppo si consegnò al Jamaica Human Rights Council, ma non confessò mai i nomi dei suoi due complici che tutt'ora restano ignoti. Leppo fu condannato alla pena di morte, poi convertita in ergastolo. Il taxista Steve Russell raccontò di essere andato alla polizia dopo aver sentito la notizia della morte di Tosh e che gli fu detto di non fare denuncia e di lasciar perdere, in seguito fu comunque arrestato in relazione all'omicidio di Plymouth Avenue ma assolto in quanto non coinvolto.

Come ogni morte illustre anche l'omicidio di Peter Tosh ha stimolato la fantasia di chi vede complotti ovunque, in questo caso alcuni ritengono che Lobban non abbia agito in autonomia ma sia stato mandato dal governo giamaicano ad eliminare Tosh il quale con le sue canzoni anti-establishment era scomodo e pericoloso. Premesso che non è chiaro come un cantante che si limita a cantare delle canzoni possa essere considerato un sobillatore (non ci risulta che ad oggi nessuna rivoluzione sia stata guidata da cantanti), se Lobban fosse stato mandato dal governo avrebbe avuto mezzi migliori di un furgone VW guidato da un taxista. Inoltre se dietro alla morte di Tosh ci fosse un complotto governativo i cospiratori avrebbero realisticamente potuto mandare un killer meno imbranato di Lobban (che si è fatto ingannare dalla finta morte di Marlene) e avrebbero dato ordine di sparare subito e di uccidere tutti per non lasciare testimoni scomodi; nella realtà i tre assalitori non si sono nemmeno sincerati che lo stesso Tosh fosse morto prima di scappare, infatti il chitarrista era ancora vivo al momento della loro fuga.

L'unica motivazione addotta da chi crede al complotto è che nulla è stato rubato dalla villa, ma esiste una spiegazione molto più ovvia: Lobban e i suoi complici cercavano valuta americana (forse per scappare negli USA) e Tosh in casa non ne aveva. In ultimo, è ovvio che l'attività di un cantante di successo come Tosh abbia ripercussioni positive sull'economia della sua nazione, quindi pensare che il governo decida di eliminarlo è davvero una follia.

Le fonti che abbiamo utilizzato per la nostra ricerca sono i documentari Behind the Music: Peter Tosh e Stepping Razor: RedX, gli articoli di giornale The Night Peter Tosh Was Killed del Jamaica Observer e Gunmen Kill Peter Tosh, Reggae Star, in Jamaica del New York Times, il libro Steppin' Razor: The Life of Peter Tosh di John Masouri, un servizio della televisione Giamaicana e il breve documentario sulla morte del cantante del Jamaica Broadcast Corporation e la lunga intervista rilasciata da Marlene nel 2012.

giovedì 5 novembre 2015

Def Leppard - Def Leppard

Il 2015 ha visto il ritorno sulle scene degli inglesi Def Leppard a 7 anni di distanza dal loro precedente album intitolato Songs from the Sparkle Lounge. Joe Elliot aveva annunciato il titolo del nuovo lavoro lo scorso settembre in un'intervista a Rolling Stone e da subito la scelta di realizzare un album eponimo a trentacinque anni dall'esordio non apparve casuale ma piuttosto suonò come una chiara dichiarazione di voler tornare alle sonorità del passato, e se questo indizio non bastasse è stato il primo singolo pubblicato proprio in quell'occasione a chiarire quale strada il gruppo stava prendendo; il brano Let's Go è infatti un morbido e coinvolgente midtempo caratterizzato da un bel coro sul ritornello che sembra proprio preso dalla tradizione musicale della band. Un mese dopo e due settimane prima dell'uscita dell'album il gruppo ha pubblicato anche il secondo singolo intitolato Dangerous (titolo già usato in passato da innumerevoli artisti da Michael Jackson ai Roxette, a Busta Rhymes fino a David Guetta), un brano veloce e trascinante che di nuovo sembra riportare ai fasti di Adrenalize.

L'album intero è uscito il 30 ottobre si capisce già dal primo ascolto che si tratta di un capolavoro di assoluto valore con una buona combinazione di ballad, midtempo e pezzi veloci tutti di grande qualità a comporre un disco che non conosce un attimo di noia. Tutti i brani sono caratterizzati dal potente suono delle chitarre che uniscono energia e melodia come nessun altro gruppo al mondo sa fare, dalla voce inconfondibile di Joe Elliot che è ancora fresca e frizzante come agli esordi e dai cori presenti praticamente in tutti i brani come nella migliore tradizione del gruppo.

Ovviamente i pezzi migliori della band di Sheffield restano sempre quelli più energici che subito sprigionano carica ed entusiasmo, oltre alla già citata Dangerous spiccano Sea of Love, Broke 'N' Brokenhearted e Wings of an Angel. Tra gli altri si fanno notare anche Man Enough con il suo incedere groove e le bellissime ballad We Belong, Energize e Last Dance che riportano alla memoria le atmosfere dei migliori lenti dei Def Leppard come When Love and Hate Collide.

Ma la verità è che è veramente arduo trovare brani migliori di altri in questo stupendo album perché tutte le tracce sono bellissime e tutte meriterebbero di essere pubblicate in singolo e questa è una caratteristica che contraddistingue gli album dei Def Leppard fin dal loro esordio. Del resto che il gruppo non perda un colpo si capisce anche dalle performance live, basta vedere i video delle esibizioni degli ultimi anni per notare che mentre altri gruppi devono abbassare i loro brani di qualche tono la voce di Joe Elliot migliora con l'età anziché peggiorare così come le qualità tecniche dei musicisti rasentano la perfezione e la qualità delle esibizioni dal vivo dei Def Leppard sembra sempre più la stessa delle incisioni in studio.

I fan del "leopardo sordo" possono gioire perché questo album è davvero grandioso, lo stesso possono fare i fan del rock e della musica in generale, perché quando i grandi artisti tornano a registrare in studio producono sempre gemme di grande valore a dispetto dell'età e dei decenni di carriera.

giovedì 29 ottobre 2015

Pokolgép - Pokoli Színjáték

Gli ungheresi Pokolgép sono, insieme ad altri quali gli Ossian e gli Omen (da non confondersi con l'omonima band americana), tra i gruppi storici del metal ungherese e nella loro trentennale carriera hanno sfornato ottimi dischi che hanno contribuito a rendere la loro nazione uno dei principali produttori del genere.

Dopo un buon primo album nel 1986 intitolato Totális Metál la band è tornata ad un solo anno di distanza con il loro secondo lavoro intitolato Pokoli Színjáték che riesce nella difficile impresa di superare il primo quanto a qualità della musica. La band si cimenta bene in diversi stili musicali e il disco è di grande impatto non solo per l'energia trasmessa dalla musica in sé ma anche per la varietà dei suoni: i Pokolgép passano dallo speed metal, come nei brani Tökfej e Vallomás, all'heavy metal di stampo più classico, come nell'energica Tisztítótűz, fino alle potenti atmosfere hard rock tipiche della fine degli anni 80 con i brani Halálra Szeretlek e la title track che costituiscono i pezzi migliori dell'intero album. Nel disco è presente anche una ballad piuttosto tradizionale intitolata Ítélet Helyett.

Ciò che contraddistingue la musica dei Pokolgép è il forte suono delle chitarre che sanno coniugare bene energia e melodia spesso valorizzata da potenti assoli; altro punto di forza della band è la voce del cantante József Kalapács dotata di una notevole estensione che lo porta ad esprimersi benissimo anche negli acuti in cui si lancia. Inoltre i ritornelli sono molto trascinanti e, come nel caso di Tisztítótűz o Pokoli Színjáték, arricchiti dal canto corale del resto del gruppo che si somma alla voce del cantante.

La lunga carriera dei Pokolgép è stata particolarmente turbolenta con numerosi cambi di formazione che hanno lasciato il chitarrista Gábor Kukovecz come unico membro fisso della band dalle sue origini. Ma l'avvicendarsi di musicisti e di cantanti di alto livello e con caratteristiche diverse ha consentito al gruppo di produrre ben 13 album in studio tutti caratterizzati da buona varietà di suoni offrendo sempre dell'ottimo metal ai propri ascoltatori.

giovedì 22 ottobre 2015

Aesma Daeva - Dawn of the New Athens

Nonostante il symphonic metal sia di norma un genere musicale radicato e sviluppato in Europa, principalmente tra Paesi Bassi, Germania e Finlandia, anche gli Stati Uniti ne hanno prodotto ottime band come gli Alas o i gli Echoterra. La migliore espressione del variegato mondo del symphonic metal statunitense sono forse gli Aesma Daeva, band che propone un suono basato sul doom metal arricchito dalla voce lirica delle bravissime cantanti che si sono susseguite alla guida del gruppo.

Il loro album Dawn of the New Athens del 2007 è il primo registrato con l'attuale vocalist Lori Lewis che ha sostituito Melissa Ferlaak e offre una musica cupa, lenta e ricca di riff a cui si somma la voce cristallina di Lori. I brani sono in realtà tutti piuttosto simili, anche se sicuramente spicca la bellissima versione metal di D'Oreste D'Ajace dall'opera Idomeneo di Mozart cantata con il testo in italiano e ovviamente accelerata rispetto all'originale; anche in questo caso un po' atipico Lori dimostra di essere perfettamente all'altezza della prova, non che ne avesse bisogno vista la sua formazione classica.

L'unico pezzo del disco che avrebbe potuto essere evitato è Since the Machine in cui la cantante è affiancata da una voce maschile a imitazione dello stile di gruppi come gli Epica o gli After Forever. Fortunatamente gli Aesma Daeva evitano di rovinare la loro musica con grunt e growl ma il brano è comunque completamente inutile e francamente brutto. A parte questo piccolo momento di noia il resto del disco è molto valido, la band dimostra di essere conscia del fatto che la propria musica si deve reggere sulle doti vocali della cantante e tutto sembra proprio fatto apposta per valorizzarle.

Di sicuro gli Aesma Daeva non saranno ricordati tra i migliori esponenti del symphonic metal, anche perché la loro musica pur gradevole non presenta grandi varietà e rimane piuttosto uguale a sé stessa. Ma la loro commistione di doom e lirica è comunque interessante e questa band d'oltreoceano merita sicuramente di essere ascoltata.

giovedì 15 ottobre 2015

ilNero - E=MC2 - Essenza di Macchina Cuore Cervello

Ci sono artisti che per un motivo o per un altro non arrivano alla notorietà e alla fama che meriterebbero. Magari per scelte personali diverse o perché non hanno mai trovato modo di esprimere al meglio la propria creatività. E' questo il caso di uno dei migliori vocalist al mondo che ha goduto solo di pochi anni di notorietà ad inizio millennio quando ha raccolto una pesante eredità alla guida del più grande gruppo rock della storia d'Italia (e non solo). Ma fortunatamente il 2015 vede il ritorno sulla scena musicale di Gianluigi Cavallo detto Cabo, ex frontman dei Litfiba dal 2000 al 2006, con il suo nuovo gruppo chiamato ilNero.

Cabo esordì musicalmente nel 1994 con la pubblicazione di due singoli dance intitolati Brooklyn (pubblicato a nome DJ Cavallo) e A Say Baby (a nome Indyana) ma è l'anno seguente che arrivò la vera svolta con la realizzazione di un demotape di stampo chiaramente hard rock intitolato Il Patto composto da 12 pezzi.

Alla fine del 1999 Cavallo venne scelto da Ghigo Renzulli per sostituire Piero Pelù come voce dei Litfiba dopo l'uscita di quest'ultimo dal gruppo. Il primo album realizzato con Cabo alla voce fu Elettromacumba del 2000 e nonostante fosse più che decoroso mostrò che l'accordo musicale tra i due funzionava solo in parte. Le ballad e i brani midtempo come Il Pazzo che Ride, Il Giardino di Follia e Dall'Alba al Tramonto sono infatti molto belli e di grande effetto e soprattutto allargano l'offerta musicale dei Litfiba che fino ad allora di brani lenti ne avevano fatti proprio pochi. Ma sui brani veloci l'intesa tra i due non sembrava funzionare a dovere; basta confrontare le versioni di Il Patto e Piegami di Elettromacomba con quelli del demo di Cabo per rendersi conto che l'aggressività, l'energia e il suono graffiante degli originali sono completamente persi per adagiarsi su sonorità piatte e di maniera. In particolare l'inizio de Il Patto preso di peso da Regina di Cuori e da Prendi in Mano i Tuoi Anni semplicemente uccide il deflagrante brano scritto anni prima da Cabo. Ciò nonostante Cavallo dimostrò da subito di avere grande personalità e di imporre il proprio stile senza tentare minimamente di imitare Pelù (e chi dice il contrario non ha mai sentito né l'uno né l'altro): un paragone tra i due è del tutto impossibile perché hanno stili canori e musicali completamente diversi. Due grandissimi cantanti con ben poco in comune.

Con Cabo i Litfiba realizzarono altri due album in studio Insidia e Essere o Sembrare che confermarono quanto già mostrato con il primo: ottime ballad come Oceano e Giorni di Vento, mentre i pezzi veloci sono sempre troppo anemici, con l'esclusione dell'eccezionale Luce che Trema. Alla fine del 2006 Cavallo annunciò la propria uscita dai Litfiba per idee musicali incompatibili tra lui e Renzulli e per dedicarsi alla propria attività imprenditoriale come CEO di un'azienda informatica chiamata Virtualcom da lui stesso fondata. Dopo sette anni di silenzio Cabo tornò nel gennaio del 2014 con una cover di Heroes di David Bowie nettamente diversa dall'originale e anche da tutte le reinterpretazioni successive, forse un po' si avvicina alla versione dei Wallflowers del 1998 ma è comunque personalizzata in un lungo crescendo di energia. Bastarono quei sei minuti a dimostrare che Cabo aveva ancora molte frecce al proprio arco e a spingere i fan ad attendersi un ritorno in grande stile.

All'inizio del 2015 Cavallo annunciò la nascita del suo nuovo gruppo chiamato ilNero in cui milita anche il figlio Sebastiano in veste di chitarrista; il logo della band è un bellissimo ambigramma che reca la scritta ILNERO se lo si legge come si presenta e CABO se lo si ruota di 180 gradi. Dopo il primo concerto tenutosi il 30 gennaio del 2015 la band annunciò che il primo album era in fase di realizzazione e a maggio fu pubblicato il primo singolo intitolato Soli ed Unici, un vibrante midtempo dal testo poetico che richiama alla memoria i migliori pezzi della militanza di Cabo nei Litfiba.

A settembre, poche settimane prima dell'uscita dell'album è stato pubblicato anche il brano Cuore, che si apre con un'insolita introduzione al pianoforte raggiunto poi dagli altri strumenti e dall'inconfondibile voce del cantante. L'album intero, intitolato E=MC2 - Essenza di Macchina Cuore Cervello, è stato pubblicato ad ottobre del 2015 ed è composto di 11 tracce di puro rock immediato e tagliente, ricco di riff di chitarra e dalle atmosfere prevalentemente cupe ed energiche in cui la voce di Cabo si esprime al meglio della propria potenza e profondità. Tra gli 11 brani ce ne sono 9 nuovi (tra cui Cuore) scritti appositamente, oltre a una cover e la già citata Soli ed Unici che risale al demotape del 95. Nel disco si trovano pezzi veloci di grande impatto come Dolce Vita e Splendido Girone che a nostro giudizio sono i migliori dell'intero album e alcuni che partono lenti e sommessi per poi esplodere nel ritornello, tra questi si distingue Oltre per le sonorità blues che ne caratterizzano l'inizio. Tra i brani di spicco troviamo anche la bellissima ballad Reality Show, l'atipica title track che vira verso il trip hop e la leggera A Pezzi che dopo un avvio tendente al jazz prende con decisione la strada del soft rock. Come anticipato, nel disco troviamo anche la cover di Personal Jesus dei Depeche Mode anch'essa proposta in una versione differente dall'originale e da tutte le interpretazioni successive, il brano qui suona molto cupo e aggressivo e ricorda forse la versione di Marilyn Manson, ma il paragone non deve ingannare perché il risultato è senza alcun dubbio migliore visto che, banalmente, Cabo è una grande cantante decisamente superiore al ridicolo Marilyn Manson.

Il rock italiano odierno naviga in brutte, anzi pessime, acque. Ad esclusione dei Litfiba (che purtroppo non producono nulla di nuovo dal lontano 2012) non esiste nulla. Se il meglio che il nostro paese sa produrre sono i Negrita e se consideriamo rock i quattro accordi di Ligabue è perché il livello è veramente infimo. Fortunatamente ilNero, a dispetto del suo nome, getta un po' di luce in questa tenebra; per rialzare il livello della produzione musicale del nostro paese avevamo proprio bisogno che un signore che di lavoro fa il CEO di una multinazionale togliesse giacca e cravatta e si mettesse a fare del sano rock sanguigno in jeans e maglietta con i teschi.

Bentornato, Cabo! E non farci aspettare altri sette anni prima di farti risentire.

giovedì 8 ottobre 2015

Maná - Falta Amor

In Italia i Maná sono famosi per Corazon Espinado (in cui facevano da ospiti ai Santana nell'album Supernatural che rappresenta il momento peggiore della loro pur gloriosa carriera) e per un discutibile duetto con il nostrano Zucchero intitolato Eres Mi Religión (di cui fortunatamente esiste anche la versione del gruppo senza il contributo negativo del nostro compatriota) tratto dal loro album Revolución de Amor. Ma nonostante queste uscite di dubbio gusto il gruppo messicano ha alle spalle una florida carriera in cui ha prodotto ottima musica dimostrando di saper mescolare benissimo il rock con i suoni tipici della loro terra e delle zone circostanti.

E' un ottimo esempio di questo il loro secondo album (quarto, se si contano anche i due incisi quando il gruppo si chiamava Sombrero Verde) del 1990 intitolato Falta Amor. L'album parte alla grande con il brano Gitana che chiarisce subito quale sarà il suono distintivo dell'intero disco con morbide musiche rock e forti innesti di sonorità latinoamericane caratterizzate da percussioni e chitarre acustiche. Il pezzo migliore di tutto il disco è Rayando el Sol resa particolarmente accattivante dal controcanto corale nel ritornello. Ottima è anche la traccia intitolata Buscándola è caratterizzata da un'atmosfera molto allegra e tipicamente caraibica che mischia questa volta il rock con il calypso.

La title track è forse il pezzo più tradizionale con chitarre rock che danno un suono più occidentale rispetto agli altri brani e per questo risulta anche il brano più banale del disco. Ma i Maná non si fanno mancare nemmeno le influenze reggae con le allegre e trascinanti Estoy Agotado e Perdido en un Barco. Tra i brani degni di nota troviamo anche la ballad La Puerta Azul, piuttosto tradizionale ma comunque suggestiva per via della chitarra acustica e del coro sul ritornello.

Tutto il disco è decisamente godibile e allegro ma nonostante ciò Falta Amor è uno degli album di minor successo della band che raggiunse la notorietà in patria e all'estero solo con i successivi ¿Dónde Jugarán Los Niños? e Sueños Líquidos. Come abbiamo detto in apertura, alcune derive troppo commerciali a cavallo di inizio millennio hanno causato ai Maná qualche inciampo, ma questo non deve ingannare. Dall'album Drama Y Luz del 2011 infatti la band ha ripreso la strada della buona musica arricchendo il proprio suono con nuove sperimentazioni canore e di mescolanza musicale riportandosi così ai livelli che le competono.

giovedì 1 ottobre 2015

Crack Kills: il brano mai realizzato di Michael Jackson con i Run DMC

Durante le sessioni di registrazione di Bad Michael Jackson ebbe l'intuizione che avrebbe potuto incidere un brano insieme ai Run DMC i quali erano reduci dal successo planetario dell'album Raising Hell trainato dal singolo Walk This Way realizzato insieme agli Aerosmith. Fu proprio il successo del crossover messo a segno con la band di Steven Tyler a convincere a Michael a tentare anche lui una collaborazione con il gruppo del Queens.

Il brano scritto da Jackson si intitolava Crack Kills, ma il primo incontro tra il re del pop e i tre rapper andò talmente male che il pezzo non fu mai realizzato. Nel 2009 DMC raccontò in un'intervista a www.HipHopStan.com il motivo per cui la collaborazione si interruppe così presto. Il trio, accompagnato da DJ Hurricane, si recò nello studio di Jackson su Santa Monica Boulevard nell'omonima città della contea di Los Angeles dove avrebbe dovuto incontrare Michael alle sei del pomeriggio, ma questi arrivò solo con due ore di ritardo insieme alla sua assistente e al cuoco che avrebbe preparato la cena per lo staff di Jackson e per i suoi ospiti. Michael inoltre teneva in braccio il suo chimpanzee Bubbles e questo sorprese non poco i Run DMC e Hurricane.

DMC ricorda che Michael iniziò a parlare di quanto gli piacessero la musica e gli spettacoli dei Run DMC e del fatto che volesse incidere un brano con loro per il suo nuovo album sull'esempio di Walk This Way ma più simile ai suoni caratteristici dei trio alternandosi alla voce con Run e DMC come i due rapper facevano abitualmente; Michael sembrò avere le idee molto chiare su quanto voleva realizzare. Mentre parlava la sua attenzione fu catturata dalle catene che i tre portavano al collo e chiese a Jam Master Jay se poteva provare quella indossata dal DJ. Jay acconsentì e Michael passò la scimmia all'assistente per potersi mettere al collo la catena. Poco dopo fece per restituire la catena a Jay ma proprio in quell'istante la scimmia si sporse dalle braccia dell'assistente come se volesse andare in braccio a Jay il quale si spaventò e scattò all'indietro urlando.

Questo fece trasalire Jackson che riprese la scimmia urlando a sua volta e preoccupandosi che Bubbles si fosse spaventato per la reazione di Jay, DMC racconta l'accaduto vividamente imitando l'urlo stridulo del cantante. L'atmosfera tra Michael e Jay si fece tesa mentre DMC e Hurricane trattennero a stento le risate per la reazione isterica di Jackson. Durante la cena, che DMC ricorda era composta da pesca spada, broccoli, asparagi e riso integrale, Jay tentò di stemperare la tensione parlando con Michael e commentando quanto la cena fosse buona, ma l'umore di Jacko era ormai compromesso e rispose solo con cenni della testa.

Nonostante il fallimento totale dell'operazione Jackson mantenne i ringraziamenti ai Run DMC sul libretto di Bad e questi sono presenti non sono nell'edizione originale ma anche nella versione rimasterizzata del 2001 e in quella intitolata Bad 25 uscita nel 2012 in occasione del venticinquesimo anniversario. Le intenzioni di Jackson comunque erano senza dubbio serie, tant'è che aveva scritto il testo del brano e la copia manoscritta originale fu venduta su Ebay nel 2005 (come riportato anche sul forum di MichaelJacksonFanSquare) e poi di nuovo nel 2006.

In rete si legge spesso che le strofe dei Run DMC di Crack Kills furono incise in versione demo e pubblicate nell'edizione deluxe di Tougher Than Leather uscita nel 2005. In realtà le cose non stanno così, infatti la nota sul libretto del CD chiarisce che nonostante sulla bobina del demo in questione ci fosse scritto Crack (for Michael Jackson) (e questo può aver contribuito a creare l'equivoco) Run ha smentito che il brano fosse stato scritto per essere cantato con Michael Jackson, al contrario era ispirato ai Force MD's e a come il loro vocalist Jesse D lo avrebbe cantato in modo simile a Jackson. Del resto la demo in questione si intitola Crack (e non Crack Kills), ha un testo diverso e soprattutto è stato scritto da Run e da DMC e non da Michael Jackson.

E' un vero peccato che questa collaborazione tra due colossi dell'industria musicale non si sia concretizzata. I Run DMC hanno all'attivo molte collaborazioni con altri artisti (prima ancora degli Aerosmith ospitarono il chitarrista Eddie Martinez nel loro primo ed eponimo LP e il loro ultimo album Crown Royal è ricchissimo di collaborazioni) e nell'album HIStory anche Jackson ha collaborato con dei rapper come Notorious B.I.G. (nel brano This Time Around) e Shaquille O'Neal (in 2 Bad che curiosamente contiene un campione di King of Rock dei Run DMC) e siamo sicuri che anche Crack Kills sarebbe stato un brano vincente se fosse mai stato inciso.

giovedì 24 settembre 2015

Tarja - Ave Maria - En Plein Air

Non più tardi di qualche mese fa scrivevamo sulle pagine di questo blog che l'ultimo disco live di Tarja intitolato Luna Park Ride era tanto bello quanto inutile, ma avevamo scritto ciò perché la soprano finlandese aveva già annunciato che nel giro di qualche mese avrebbe pubblicato uno di quei capolavori di cui solo lei è capace e quindi non capivamo il senso di quella pubblicazione che non aveva da offrire nulla di nuovo. Nel settembre del 2015 è infatti uscito il suo primo album di musica classica intitolato Ave Maria - En Plein Air in cui eccezionalmente abbandona il metal per dedicarsi unicamente alla lirica.

L'album è una raccolta delle più belle Ave Maria mai scritte da autori classici e moderni, che spaziano da Camille Saint-Saëns a Gounod a Pietro Mascagni fino ad Astor Piazzolla, per chiudersi con un'incisione inedita scritta dalla stessa Tarja che fino ad oggi aveva eseguito solo dal vivo nelle sue tournée natalizie, così come nelle stesse occasioni aveva già eseguito dal vivo molti degli altri brani presenti in questo album. L'uscita del disco era stata anticipata nelle settimane precedenti dalla pubblicazione del video dell'Ave Maria del compositore italiano Paolo Tosti che già faceva intuire ciò che l'album intero ha confermato, cioè che Tarja è semplicemente perfetta in ogni brano e la sua voce cristallina risuona forte e armoniosa al tempo stesso. E' impossibile individuare brani migliori di altri perché sono tutti insuperabili, va solo notato che l'Ave Maria di Bach/Gounod è leggermente accelerata rispetto all'originale dando così un tocco di unicità a questa interpretazione.

Tra i dodici brani (tredici, se si include la bonus track Ave Maria Stella di Edvard Grieg disponibile solo su iTunes) manca la famosissima Ave Maria di Schubert e se questo a prima vista può sorprendere, la spiegazione è presto data: Tarja aveva l'aveva già incisa nel suo disco natalizio Henkäys ikuisuudesta del 2006 e non avrebbe avuto senso ripetersi.

Chiudiamo con una breve considerazione. Molti integralisti della lirica ritengono che Tarja, così come le altre regine del symphonic metal, non reggerebbe il confronto con le più blasonate soprano del panorama operistico come Angela Gheorghiu o Anna Netrebko perché non sarebbe in grado di cantare un'opera per intero, e questo è probabilmente vero per via della preparazione ovviamente diversa. Ma allo stesso modo nessuna delle cantanti d'opera saprebbe cantare il metal come Tarja e sul terreno comune, quale può essere quello delle Ave Maria, Tarja esce dal confronto a testa alta ed è molto più brava delle colleghe operistiche a scandire le parole: il canto di Tarja è perfettamente comprensibile (anche quando canta in italiano il brano di Tosti), mentre di solito nel cosiddetto bel canto non si riesce a intendere una sola parola. Questa capacità la eredita sicuramente dalla sua lunga esperienza nel rock e nel metal in cui scandire bene le parole è invece molto importante.

Tarja non aveva certo bisogno di dimostrare di essere di bravissima anche nel canto lirico puro, perché lo aveva già fatto con i suoi concerti natalizi e con Beauty and the Beat realizzato il collaborazione con il batterista Mike Terrana, ma con questo album si conferma comunque una cantante incredibilmente versatile e completa. Non ci resta che sperare che non passi troppo tempo prima del suo prossimo album metal.

giovedì 17 settembre 2015

Strane somiglianze: Panama e The Heat Is On

Capita frequentemente nel mondo della musica di scoprire che brani di grande successo assomigliano un po' troppo ad altri pubblicati in precedenza; quando le date di pubblicazione dei due pezzi sono notevolmente diverse è facile individuare chi ha copiato da chi, ma quando le uscite sono ravvicinate è necessaria un'analisi un po' più precisa.

E' questo il caso di due brani che presentano forti somiglianze entrambi pubblicati nel 1984: Panama dei Van Halen e The Heat Is On di Glenn Frey. I ritornelli dei due brani si somigliano in modo impressionante e qualche similitudine si può notare, anche se in modo meno marcato, nel ponte che collega la strofa al ritornello.

Il pezzo dei Van Halen è tratto dal loro album di maggiore successo intitolato 1984, che oltre a Panama contiene altri classici del loro repertorio come Jump e I'll Wait, pubblicato il 9 gennaio del 1984. Il pezzo di Glenn Frey è tratto, come è ben noto, dalla colonna sonora del film Bevery Hills Cop uscito nelle sale cinematografiche il 5 dicembre del 1984; il disco della colonna sonora del film e il singolo del brano dell'ex membro degli Eagles uscirono solo nel 1985 (come si può facilmente verificare da Wikipedia e dal sito di Billboard) e curiosamente il 45 giri si scontrò in classifica con la cover di California Girls di David Lee Roth dei Van Halen.

In sintesi, The Heat Is On fu trasmessa in pubblico per la prima volta alla premiere di Beverly Hills Cop l'1 dicembre del 1984 (il brano si sente proprio nelle scene iniziali del film) quindi quasi un anno dopo l'uscita di Panama.

Un anno è un periodo senza dubbio sufficiente per ascoltare un pezzo di successo e prenderne ispirazione in modo un po' troppo disinvolto. Il tutto lascia pensare che Glenn Frey sia debitore di più di un caffè ai Van Halen.

mercoledì 9 settembre 2015

La morte di Kurt Cobain

La mattina dell'8 aprile 1994 una squadra di elettricisti della VECA Electric arrivò alla villa al numero 171 di Lake Washington Boulevard, nella città di Seattle, per installare un nuovo sistema di luci di sicurezza. Il proprietario della villa non era un cliente comune, ma il famoso cantante rock e leader dei Nirvana Kurt Cobain.

Intorno alle 8:40 Gary Smith, uno degli elettricisti, si avvicinò alle finestre della serra e vide a terra ciò che sulle prime gli sembrò un manichino. Ma guardando meglio si accorse di un rivolo di sangue che usciva dall'orecchio destro, una bionda chioma fluente, un orologio da polso e un fucile appoggiato sul petto. Chiamò il 911, quindi chiamò la sede della ditta per cui lavorava dove gli rispose il collega Bruce Williams a cui chiese che aspetto avesse Kurt Cobain per assicurarsi che l'uomo morto fosse proprio il padrone di casa; Williams non lo sapeva e chiese a sua volta a una collega poco lontano. La donna disse che Cobain aveva lunghi capelli biondi e carnagione chiara e questi pochi dettagli bastarono a Smith a capire che l'uomo morto era proprio il cantante dei Nirvana e da quanto poteva vedere sembrava che si fosse sparato.

Il 911 inviò una squadra del Seattle Police Department e una del Seattle Fire Department e come abitualmente accade i pompieri arrivarono prima. Trovarono le porte della serra chiuse dall'interno e una di esse addirittura bloccata con uno sgabello, quindi ruppero i vetri per accedere alla serra. Poco dopo arrivò anche il primo agente di Polizia, l'ufficiale Von Levandowsky, che scrisse in seguito nel suo rapporto di aver trovato il cadavere steso a terra così come aveva riferito Smith con accanto una scatola di sigari che conteneva una siringa, un cucchiaino e altri strumenti utili a iniettarsi droga in vena. Poco lontano dal cadavere su un tavolo trovò anche un messaggio di addio manoscritto infilzato con una biro in modo che non volasse via. Lewandosky omise di scrivere che la biro con il foglio era infilzata in un vaso di terriccio posto sul tavolo. Il testo della lettera diceva in sintesi che a Kurt non piaceva più la vita che faceva, non gli piaceva più scrivere musica né esibirsi davanti al pubblico e che sarebbe stato di cattivo esempio per la figlia. Prima dei saluti concluse con una frase che nel giro di poco sarebbe diventata tristemente celebre: I don’t have the passion anymore and so remember, it’s better to burn out than to fade away.

Il quadro di quanto avvenuto fu da subito piuttosto ovvio. Cobain si era sparato in bocca e nonostante avesse il viso sfigurato dall'esplosione il coroner della Contea di King, in cui si trova Seattle, poté verificarne l'identità sulla base delle impronte digitali e stimò che il decesso era avvenuto tre giorni prima, il 5 aprile. Nel pomeriggio il medico legale emise il comunicato ufficiale confermando ciò che tutti già sapevano: Kurt Cobain era morto per ferita da arma da fuoco autoinflitta.

Nonostante tutto sembrasse fin troppo chiaro, fin dalla prima settimana dopo il ritrovamento del cadavere hanno iniziato a diffondersi le prime teorie del complotto secondo cui Kurt Cobain sarebbe invece stato ucciso. I principali e più famosi esponenti di queste teorie sono il giornalista Richard Lee e l'investigatore privato Tom Grant che fu incaricato dalla cantante Courtney Love (vedova di Cobain) di far luce sull'accaduto.

La prima motivazione addotta da chi non crede al suicidio è che la lettera di Kurt trovata infilzata nel vaso non sarebbe attendibile in quanto le ultime righe sembrano scritte con una grafia notevolmente diversa dal resto del testo. Anzitutto non è chiaro cosa questa teoria vorrebbe dimostrare, quand'anche fosse vero che le ultime righe sono state scritte da un'altra mano non si capisce per quale motivo questo indicherebbe che Kurt è stato ucciso. A meno che non si voglia credere che i cospiratori siano stati talmente pasticcioni da prendere una vera lettera di Cobain, aggiungerne del pezzi scritti in modo notevolmente diverso, non accorgersi di ciò e poi avere usato il foglio come fasulla lettera di addio: francamente il tutto è oltre i limiti dell'assurdo.

Se questa considerazione non bastasse, la ricostruzione del biografo Charles Cross proposta nella volume Heavier than Heaven risolve comunque l'apparente mistero. Cobain scrisse la parte principale del testo mentre era steso a letto e con il foglio ancora attaccato al blocco, mentre le ultime righe furono aggiunte sul pavimento di linoleum della serra appoggiando il singolo foglio sul pavimento. Per via della superficie irregolare che cede sotto la pressione della penna Cobain fu costretto a tracciare lettere più ampie. In ultimo, è sufficiente verificare nella raccolta di testi manoscritti di Cobain intitolata Journals (Diari, nella traduzione italiana) pubblicata nel 2002 che Kurt abitualmente aggiungeva dopo una prima stesura frasi addizionali scritte malamente in caratteri più grandi. La lettera, così come gli altri oggetti rivenuti sulla scena, sono chiaramente visibili nella raccolta di oltre 30 foto della scena pubblicate dal Seattle Police Department nel 2014.

Un'altra argomentazione che viene spesso presentata da chi non crede al suicidio è che la dose di eroina presente nel sangue di Kurt fosse troppo alta perché se la fosse iniettato da solo. Un articolo pubblicato dal Seattle Post Intelligencer il 14 aprile del 1994 riportò che il livello di morfina fosse di 1,52 milligrammi per litro, secondo Tom Grant questo comporta che la quantità di eroina iniettata nel corpo di Cobain fosse di oltre 200mg, mentre la dose letale è intorno ai 100mg per un uomo di corporatura media. Ma a tal proposito va notato che i tossicodipendenti sviluppano livelli di tolleranza più alti, come confermato da alcuni medici interpellati sull'argomento da Dateline NBC; inoltre dopo l'iniezione lo stordimento non si verifica istantaneamente ma lascia un po' di tempo a disposizione e di poco tempo aveva bisogno Cobain per prendere il fucile e spararsi in bocca.

La tesi di Tom Grant è che l'eroina sia stata iniettata a Cobain forzatamente per poterlo uccidere ed inscenare il suicidio, ma come sempre le teorie del complotto presentano più lacune di quelle che credono di colmare. Infatti se così fosse Kurt avrebbe dovuto presentare segni di colluttazione su tutto il corpo, ma nessun rapporto ufficiale menziona la presenza di alcun segno di lotta sul cadavere.

Un'ulteriore argomentazione proposta da chi non crede al suicidio è che i rapporti della polizia riportano che sul fucile sono state trovate impronte digitali latenti e non utilizzabili. Sempre secondo la biografia di Charles Cross il coroner Nikolas Hartshorne ha spiegato che il motivo per cui le impronte non erano leggibili è che per via del rigor mortis Cobain stringeva il fucile tra le mani ed esso gli è stato strappato dalla presa. Le dita di Kurt pertanto si sono mosse sul fucile rendendo le impronte illeggibili.

Purtroppo anche in questo caso la morte prematura di una persona famosa è diventata occasione per ricercatori senza scrupoli o poco accorti di vendere libri e DVD. Ma finché le argomentazioni portate sono di questo spessore non vi è alcun motivo ragionevole per dubitare del fatto che Kurt Cobain si sia sparato. Anche la nuova indagine condotta nel 2014 dopo che il Seattle Police Department esaminò quattro filmati registrati su pellicola da 35mm sulla scena del decesso (di cui non è noto il motivo per cui non sono stati esaminati già nel 94) non ha portato ad alcuna novità ma solo alla conferma di quanto era ovvio sin dall'inizio.

Oltre a quelle citate all'interno dell'articolo, le fonti che abbiamo utilizzato per la nostra ricerca sono gli articoli Nirvana: The 1994 Cover Story on Kurt Cobain’s Death, ‘Into the Black’ di Gina Arnold pubblicato da SPIN, Kurt Cobain's death was indeed a suicide, police say di CBS News, Lawsuit to release graphic Kurt Cobain death photos thrown out di CBS News, il documentario The Last 48 Hours of Kurt Cobain e la ricchissima documentazione messa a disposizione dai siti Justice for Kurt e The Smoking Gun.

giovedì 3 settembre 2015

TSA - TSA

I TSA sono una delle formazioni di punta della scena metal polacca e più in generale del ricco panorama rock dell'Europa orientale. Il loro nome procede sulla tradizione polacca di usare acronimi di tre lettere come nomi delle band anche se il significato esteso, ammesso che ne esista uno, non è mai stato chiarito. Il loro primo ed eponimo album risale al 1983 e getta le basi di quello che sarà il suono distintivo del gruppo per tutta la sua carriera. La musica dei TSA si ispira ampiamente a diversi gruppi della NWOBHM come i Judas Priest o i Saxon ma attinge anche largamente dal rock anni '70 prendendo spunti da band come i Deep Purple o gli Uriah Heep. I TSA infatti spaziano nei loro suoni dal metal classico, allo speed metal, all'hard rock fino al blues rock.

Degli otto brani, sette sono veloci e potenti e ad essi si aggiunge una sola ballad intitolata Trzy zapałki dalle sonorità marcatamente blues che a nostro giudizio rappresenta il punto più basso del disco, ma tolto questo breve momento di noia i restanti pezzi si assestano su una qualità decisamente alta. Tra i brani spiccano il trascinante pezzo di apertura Wysokie Sfery e quello più palesemente speed metal intitolato Na co cie stać. Non è solo la musica della band a caratterizzare i brani ma anche il potente cantato del vocalist Marek Piekarczyk che si lancia spesso in acuti e urli imitando le leggende del metal come Rob Halford e dimostrando di esserne ampiamente capace.

Il risultato è un album di ottima musica, molto energica e divertente che dimostra che i gruppi dell'est Europa possono competere a testa alta con quelli angloamericani più noti e celebrati. A un solo anno di distanza dalla pubblicazione l'album è stato ristampato con gli otto brani cantati in inglese e con il titolo Spunk!, francamente abbandonando la lingua madre la musica dei TSA perde un po' della sua originalità e quindi preferiamo la versione in polacco.

Il primo album non rappresenta un'eccezione nella discografia dei TSA che realizzarono ottimi album per tutta la loro carriera e anche il secondo, intitolato Heavy Metal World, fu poi tradotto in inglese ma senza cambiarne il titolo. Purtroppo i TSA hanno registrato in totale solo 5 album in studio di cui l'ultimo risale al 2004, dopo oltre dieci anni dal precedente; da allora la band ha concentrato la sua attività sulle esibizioni dal vivo senza quindi produrre materiale nuovo ma mantenendo così viva la propria ottima tradizione musicale.

giovedì 27 agosto 2015

Body Count - Body Count

Ice-T è noto al grande pubblico per essere un celeberrimo gangsta rapper (forse il migliore di sempre), un attore di successo di cinema e di serie televisive e il protagonista di ben due reality show. Ma oltre a tutto questo è anche il front man di un gruppo metal da lui stesso fondato: i Body Count. E mentre altri passano da carriere di gruppo a quelle soliste e anche al cinema per dimostrare di non saper far nulla di tutto ciò (come ad esempio Rob Zombie), la grandezza di Ice-T sta anche nel fatto che gli riesce bene ogni avventura in cui si cimenta.

Il primo ed eponimo album dei Body Count è uscito nel 1992 e unisce per la prima volta la voce forte e tonante di Ice-T al suono di chiara ispirazione thrash metal dei quattro musicisti. La musica, va notato, non raggiunge i livelli di velocità o di ricchezza di suoni di altre band più tradizionali del genere, come gli Anthrax o i Metallica, e parimenti la voce di Ice-T non arriva all'estensione dei cantanti di genere più navigati. Ma poco importa: l'effetto è voluto, perché quando si incontrano generi musicali così diversi è ovvio che ognuna delle due componenti deve rinunciare alle sue frange più estreme. In nessuno dei brani, comunque, Ice-T rappa come fa nei suoi dischi solisti; quando è alla guida dei Body Count canta dimostrando di sapersi difendere bene anche in questo campo.

Tra i brani migliori troviamo sicuramente l'energica title track che era già stata proposta uguale nel disco di Ice-T dell'anno precedente: O.G. Original Gangster, che rappresenta anche il punto più alto della sua carriera; peccato che nell'album della band manchi la divertente introduzione in cui il rapper si scagliava contro chi lo accusava di essersi venduto. Anche Voodoo è un pezzo di grande effetto in cui Ice-T imita il cantato di Screamin' Jay Hawkins. Tra i brani di punta troviamo anche la contestatissima e censuratissima Cop Killer, brano di grande impatto sonoro che però oggi fa sorridere pensando che chi nel 1992 cantava Cop Killer nel giro di pochi anni avrebbe interpretato per innumerevoli stagioni proprio un poliziotto nella serie televisiva Law and Order, ma dal punto di vista della qualità della musica poco importa.

Nonostante, come abbiamo già scritto, Ice-T canti più che rappare quando è alla guida dei Body Count, questo disco è considerato come una delle pietre miliari che hanno inaugurato il genere del rap metal insieme a Bring the Noise nella versione dei Public Enemy insieme agli Anthrax uscita nel 1991 (lo stesso anno di O.G. Original Gangster).

Come ogni tentativo di unire genere musicali all'apparenza opposti, anche questo album dei Body Count ha raccolto molte critiche da parte dei sostenitori più estremisti dei due generi musicali di cui è formato. Ma vista la qualità della musica proposta, a questi non possiamo che rispondere con le parole dello stesso Ice-T: I feel sorry for anybody who only listens to one form of music.

giovedì 13 agosto 2015

Buddy Guy - Born to Play Guitar

Alla veneranda età di 79 anni il leggendario bluesman Buddy Guy sforna ancora ottimi album con una regolarità e una frequenza impressionanti e la sua grandezza non sta solo nella costanza ma anche nella capacità di non restare fermo ai modelli del passato e di sapersi sempre rinnovare.

La sua ultima fatica intitolata Born to Play Guitar è stata pubblicata il 31 luglio dei 2015 a soli due anni dal precedente e ottimo Rhythm & Blues. L'album è composto da 14 brani nei quali spazia dal blues di Chicago di stampo più classico a un blues rock decisamente più moderno e in tutti i brani il ruolo del protagonista è affidato alla chitarra elettrica e alla sua voce.

Il disco parte con un ottimo brano che porta lo stesso titolo dell'intero album e che con il suo ritmo lento e scandito dalla chitarra e dalla tastiera riporta subito alle atmosfere più classiche dell'epoca d'oro del blues. Il secondo brano intitolato Wear You Out vede la presenza di Billy Gibbons degli ZZ Top come ospite e grazie al suono potente delle chitarre e al suo incedere energico è il miglior brano di tutto il disco. Anche Kim Wilson dei Fabulous Thunderbirds è presente in due brani, Too Late e Kiss Me Quick, solo in verste di armonicista ma con il suo strumento crea splendidi duetti con la chitarra di Buddy Guy. Tra gli ospiti troviamo anche Joss Stone che si lancia in un divertente duetto nel brano (Baby) You Got What it Takes e Van Morrison in una lenta ballata intitolata Flesh & Bone dedicata alla memoria del compianto B.B. King.

Tra i brani degli di nota troviamo anche le allegre e veloci Thick Like Mississippi Mud e Whiskey, Beer & Wine, ma in generale è difficile distinguere brani migliori all'interno di questo meraviglioso capolavoro: Buddy Guy non sbaglia un solo colpo per l'intero disco e tutte le 14 tracce sono davvero ottime ed è più che ovvio che le sue doti di chitarrista e di cantante non sono minimamente scalfite dall'età.

E' veramente un piacere vedere che nonostante sia prossimo agli ottanta Buddy Guy abbia ancora la salute, la voglia e la capacità di produrre ottima musica che può far impallidire chitarristi con meno della metà dei suoi anni. Ci auguriamo che possa continuare su questa strada per ancora tanti e tanti anni.

giovedì 6 agosto 2015

Xandria - Fire and Ashes

I tedeschi Xandria non sono tra i più blasonati gruppi del panorama symphonic metal, ma sono sicuramente tra i migliori esponenti di questo movimento. Con l'EP Fire & Ashes pubblicato il 31 luglio del 2015 sono alla seconda prova in studio con la nuova cantante Dianne van Giersbergen dopo l'album Sacrificium del 2014.

Il disco è composto da tre brani inediti, due versioni nuove di pezzi tratti dagli album precedenti e due cover. La band sostanzialmente ripropone il proprio suono distintivo fatto di forti basi metal contraddistinte dal pesante suono delle chitarre a cui si somma la voce cristallina della cantante che spesso volge il proprio canto in lirico. I primi due inediti intitolati Voyage of the Fallen e Unembraced sono entrambi veloci e trascinanti e in particolare il primo è impreziosito dalla presenza massiccia di un coro che si accosta alla voce della cantante. Il terzo brano intitolato In Remembrance è invece una ballata di grande effetto che mette ancora più in luce la potenza vocale di Dianne.

La prima delle due cover è I'd Do Anything for Love di Meatlof; la scelta del pezzo può sorprendere e proprio per questo è il brano più interessante dell'intero disco perché sebbene dal punto di vista musicale sia suonata in modo del tutto simile all'originale la voce di Dianne è ovviamente notevolmente diversa da quella di Meat Loaf e questo dà un tocco di particolarità al brano trasformandolo il qualcosa di completamente diverso.

L'EP prosegue poi con le due autocover Ravenheart e Now & Forever, sostanzialmente uguali alle versioni originali ma cantate da Dianne anziché da Lisa Middelhauve. Il disco si chiude con la cover di Don't Say a Word dei Sonata Arctica leggermente accelerata rispetto all'originale e impreziosita dal canto lirico di Dianne che la rende molto più interessante e particolare del pur bel pezzo originale.

Gli Xandria non sono sicuramente degli innovatori, fanno parte indubbiamente della schiera di emuli dei Nightwish nati dopo il grande successo di questi ultimi e il loro suono non è mai troppo dissimile tra un disco e l'altro; ma questo non toglie che siano tra i migliori di quelli che hanno seguito il percorso tracciato dalla band finlandese e che la loro musica meriti di essere ascoltata e apprezzata. Il loro ultimo EP non fa eccezione.

giovedì 30 luglio 2015

Quando i Kiss furono scambiati per un gruppo di imitatori

Psycho Circus del 1998 fu il disco della reunion, la band era tornata alla sua formazione originaria dopo che Peter Criss ed Ace Frehley avevano ripreso il loro posto nel gruppo. Prima dell'uscita del disco la reunion era stata festeggiata con un tour mondiale intitolato Alive/Worldwide Tour e ma con la pubblicazione di Psycho Circus la band partì subito per un nuovo tour che iniziò la notte di Halloween del 1998 al Dodger Stadium di Los Angeles.

Lo spettacolo, trasmesso in diretta via radio e via internet, durò oltre due ore e fu un grande successo dovuto anche a una band di supporto assolutamente d'eccezione: gli Smashing Pumpking, che per la notte di Halloween si esibirono vestiti da Beatles, con tanto di logo The Beatles sulla grancassa, e suonarono ben dieci pezzi. Con i suoi 32000 spettatori il concerto di apertura fu uno di quelli con più affluenza di pubblico dell'intero tour, superato solo dalle tappe in Argentina, Brasile e Messico.

Ma se ciò che successe sul palco è ben noto, ciò che accadde dopo il concerto è invece stato raccontato solo recentemente da Paul Stanley nella sua autobiografia intitolata Face the Music (disponibile in italiano con il titolo Dietro la maschera) pubblicata nel 2014. La band alloggiava al Sunset Marquis di Hollywood e appena dopo lo spettacolo salì sul furgone, ancora con il trucco, per tornare in albergo. Ma nelle vicinanze dell'hotel le strade erano congestionate, avevano sottovalutato la parata di Halloween.

Il furgone non poteva muoversi, ma a Paul venne un'idea: scendere a proseguire a piedi per i sette isolati rimanenti. "Come on, let's go", disse. Il resto della band protestò: "What? We're in full gear!", ma Paul insistette dicendo che ad Halloween tutti erano mascherati e nessuno li avrebbe notati.

Camminarono tra la folla, dapprima indisturbati. Poi un gruppo di persone si fermò a guardarli e fece loro i complimenti per i costumi così somiglianti agli originali, altri si limitarono a gesti di approvazione con il pollice verso l'alto. La band ringraziò in risposta ai complimenti.

Nessuno dei partecipanti alla parata si accorse che quei quattro vestiti da Starchild, Demon, Spaceman e Catman erano gli stessi che poco prima avevano suonato davanti a 32000 persone.

giovedì 23 luglio 2015

La morte di Brian Jones

Il giorno della sua morte Brian Jones era già l'ex chitarrista dei Rolling Stones, la band lo aveva escluso dalla formazione per via del suo pessimo carattere da circa un mese. Il 2 luglio del 1969 a Cotchford Farm, la sua residenza ad Hartfield nell'East Sussex, erano presenti altre due persone oltre a Brian Jones e alla sua fidanzata Anna Wohlin. Il primo era l'imprenditore edile Frank Thorogood che aveva l'incarico dei lavori di ristrutturazione della casa; Thorogood era stato presentato a Jones dall'autista del gruppo Tom Keylock e alloggiava momentaneamente in un appartamento sopra al garage della villa per poter presidiare i lavori in modo più efficace. La seconda persona era un'infermiera diplomata chiamata Janet Lawson che diceva di essere la fidanzata di Thorogood e che momentaneamente alloggiava con lui.

I rapporti tra Jones e Thorogood non erano buoni, il chitarrista era furioso con l'imprenditore per la qualità scadente dei lavori: solo pochi giorni prima una trave della cucina era caduta dal soffitto mancando Anna per pochi centimetri. Secondo qualche ricostruzione Jones aveva già licenziato Thorogood prima del 2 luglio, secondo molti altri stava valutando se farlo ma non aveva ancora preso una decisione finale. Questa seconda versione è molto più realistica perché se Jones avesse già licenziato Thorogood non si capisce perché questi alloggiasse ancora nella casa del chitarrista.

La sera del 2 luglio fino circa alle 22:30 Brian e Anna stavano guardando in televisione il famoso show Rowan & Martin's Laugh-In, quindi Brian si alzò per andare nell'appartamento di Frank e invitare i due per un drink a bordo piscina. Frank e Janet accettarono e si portarono alla piscina dove Brian e Anna erano già seduti. I quattro bevvero brandy, vodka e whiskey e di tanto in tanto Brian assunse delle pastiglie di tranquillante. Prima di mezzanotte Brian propose di fare un bagno in piscina. Le due donne rifiutarono, Anna disse che aveva freddo e fece per tornare in casa e Janet la seguì non dopo aver tentato di far desistere Brian che non riteneva potesse nuotare in quella condizione di ebbrezza.

I due uomini si tuffarono in piscina e poco dopo anche Frank rientrò in casa in cerca di sigarette. Quello che accadde all'interno della casa è oggetto di numerose ricostruzioni discordanti; è sicuro che Anna salì in camera per cambiarsi e che un attimo dopo fu impegnata in una telefonata ma non è chiaro se la fece o se la ricevette e chi dei tre sollevò per primo il ricevitore. Ciò che è certo è che per qualche minuto Thorogood rimase in piscina da solo con Jones e che poco dopo anche Thorogood venne via.

Janet rimase poco in casa e tornò fuori dove vide Brian Jones sul fondo della piscina a faccia in giù inerte. Janet urlò chiedendo aiuto, Anna sentì subito le urla perché la finestra della sua camera era rivolta proprio verso la piscina. L'infermiera tentò di estrarre Jones dall'acqua, ma da sola non ci riuscì. Nel frattempo Anna abbandonò il telefono sul letto, senza riagganciare, e corse fuori insieme a Thorogood. In tre estrassero Brian dalla piscina e Janet iniziò subito a praticargli la respirazione bocca-a-bocca per poi lasciare questo compito ad Anna in modo da poter eseguire il massaggio cardiaco. Nel frattempo Thorogood rientrò in casa per chiamare soccorsi, ma perse dei secondi preziosi perché Anna aveva lasciato il telefono scollegato.

L'ambulanza arrivò poco dopo mezzanotte seguita dalla polizia. Brian Jones fu dichiarato morto per cause accidentali dovute ad abuso di alcol e droga. La quantità di alcol nel sangue di Jones era di 140 milligrammi per decilitro: una quantità che non uccide ma che può pesantemente intontire. Inoltre dall'autopsia emerse che il cuore e il fegato di Jones erano gravemente compromessi dall'abuso di alcol e stupefacenti.

Per 25 anni questa teoria fu l'unica accettata, fino a quando nel febbraio del 1994 Tony Keylock dichiarò che Frank Thorogood (insieme ad Anna Wohlin nella foto accanto) poco prima di morire di tumore nel 1993 gli rivelò di aver ucciso Jones tenendolo sott'acqua; ma l'omicidio non fu volontario, Thorogood voleva solo spaventare Jones e farlo riemergere ma la situazione gli scappò di mano. In seguito anche Anna e Janet cambiarono le proprie versioni dei fatti per dare credito all'ipotesi che Thorogood avesse ucciso Jones. Anna pubblicò nel 1999 un volume intitolato The Murder of Brian Jones in cui racconta i fatti cambiando pochi dettagli rispetto alle sue prime deposizioni ma soffermandosi maggiormente sui rapporti tesi tra Thorogood e Jones e incolpando l'imprenditore di omicidio. Janet dichiarò al Daily Mail nel 2008 che la sua prima deposizione fu gravemente modificata dall'agente di polizia che la raccolse e aggiunse di non essere mai stata la fidanzata di Thorogood ma piuttosto di essere stata legata a Keylock il quale le aveva chiesto di andare per un periodo di tempo a Cotchford Farm per tenere sotto controllo Brian; Janet cambiò versione anche sulle cause della morte sostenendo anche lei di ritenere Thorogood responsabile per via del suo malcelato nervosismo poco prima che si scoprisse il cadavere.

Nonostante la teoria dell'omicidio perpetrato dall'imprenditore non sia del tutto folle va sottolineato che gli indizi in questo senso sono molto deboli. Tutta la teoria è basata su una confessione sul letto di morte che come ovvio lascia il tempo che trova perché il morto non può confermare o smentire e perché vi è un unico testimone. Anche i racconti delle due donne hanno poco peso perché entrambe hanno puntato il dito verso Thorogood solo dopo la supposta dichiarazione in punto di morte e a distanza di decenni dall'accaduto. Inoltre nessuna delle due è stata comunque testimone oculare e quindi le loro sono solo supposizioni.

Basta anche il comune buon senso a capire che questa teoria non è del tutto solida. Che Thorogood abbia ucciso Jones tenendolo sott'acqua implica necessariamente che il musicista non abbia minimamente tentato la difesa; altrimenti avrebbe avuto segni di colluttazione mentre né i testimoni né il medico li hanno mai menzionati e Anna avrebbe sentito le urla dalla finestra che si affaccia sulla piscina. Quindi dobbiamo ipotizzare che Jones fosse talmente stordito dall'alcol e dalle droghe da non essere in grado di difendersi, ma se era talmente stordito da non sapersi difendere l'ipotesi secondo cui era altrettanto incapace di nuotare torna ad essere la più probabile. Inoltre è veramente assurdo che Thorogood volesse fare uno scherzo così pesante al proprio committente: come unica conseguenza avrebbe ottenuto una denuncia per tentato omicidio e l'esonero dall'incarico dei lavori.

Tra le prove spesso portate a favore della teoria dell'omicidio c'è il fatto che il cadavere si trovasse sul fondo della piscina. Ma questo comportamento è assolutamente normale, qualunque cadavere di norma va a fondo e riemerge solo dopo ore quando si sono sviluppati dei gas intestinali (i testi da noi consultati sul comportamento dei cadaveri in acqua sono Crimini e farfalle di Cristina Cattaneo e Monica Maldarella, Manuale completo di medicina legale di Giuseppe Briand e Giuseppe Saverio Brosson e il paragrafo The Body in Water di questo documento dell'FBI).

Un'altra teoria vuole che Jones sia stato ucciso da Thorogood ma con l'aiuto dei suoi operai. Questa tesi è sostenuta da A. E. Hotchner nel libro Blown Away: The Rolling Stones and the Death of the Sixties, l'autore cita come proprie fonti le testimonianze di Dick Hattrell, ex manager della band, e di un amico di Brian che ha voluto restare anonimo e che si fa chiamare "Marty". Hattrell avrebbe saputo dagli operai di Thorogood che quella sera erano presenti anche loro a Cotchford Farm e che insieme a Frank hanno annegato Brian involontariamente, ma negli anni Hattrell ha smentito varie volte di aver detto questo. Marty sarebbe invece stato testimone oculare dell'omicidio ma in oltre quarant'anni non è mai uscito allo scoperto; l'uomo menziona anche la presenza di due donne legate sentimentalmente ai lavoratori le quali però restano anonime e non si sono mai fatte avanti per testimoniare. In realtà bastano le testimonianze di Anna e Janet a confermare che nessun operaio di Thorogood era presente quella sera. L'unica spiegazione sarebbe quindi che nei pochi minuti in cui le due donne hanno lasciato Brian solo con Thorogood gli operai siano intervenuti, abbiamo ucciso il musicista e poi siano scappati senza farsi vedere dalle due ragazze. Si tratta francamente di un'assurdità piuttosto evidente visto il poco tempo a disposizioni e l'ovvio rischio di essere scoperti.

Pur non potendo mettere la parola "fine" sull'intera vicenda, a oltre quarant'anni dall'accaduto l'ipotesi dell'incidente resta la più credibile e probabile.

Oltre a quelle già citate le fonti che abbiamo consultato sono The Stones: The Definitive Biography di Philip Norman, Amy, 27 di Howard Sounes, Brian Jones: The untold life and mysterious death of a rock legend di Laura Jackson, Old Gods Almost Dead di Stephen Davis, Sympathy for the Devil di Paul Trynka.