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mercoledì 9 settembre 2015

La morte di Kurt Cobain

La mattina dell'8 aprile 1994 una squadra di elettricisti della VECA Electric arrivò alla villa al numero 171 di Lake Washington Boulevard, nella città di Seattle, per installare un nuovo sistema di luci di sicurezza. Il proprietario della villa non era un cliente comune, ma il famoso cantante rock e leader dei Nirvana Kurt Cobain.

Intorno alle 8:40 Gary Smith, uno degli elettricisti, si avvicinò alle finestre della serra e vide a terra ciò che sulle prime gli sembrò un manichino. Ma guardando meglio si accorse di un rivolo di sangue che usciva dall'orecchio destro, una bionda chioma fluente, un orologio da polso e un fucile appoggiato sul petto. Chiamò il 911, quindi chiamò la sede della ditta per cui lavorava dove gli rispose il collega Bruce Williams a cui chiese che aspetto avesse Kurt Cobain per assicurarsi che l'uomo morto fosse proprio il padrone di casa; Williams non lo sapeva e chiese a sua volta a una collega poco lontano. La donna disse che Cobain aveva lunghi capelli biondi e carnagione chiara e questi pochi dettagli bastarono a Smith a capire che l'uomo morto era proprio il cantante dei Nirvana e da quanto poteva vedere sembrava che si fosse sparato.

Il 911 inviò una squadra del Seattle Police Department e una del Seattle Fire Department e come abitualmente accade i pompieri arrivarono prima. Trovarono le porte della serra chiuse dall'interno e una di esse addirittura bloccata con uno sgabello, quindi ruppero i vetri per accedere alla serra. Poco dopo arrivò anche il primo agente di Polizia, l'ufficiale Von Levandowsky, che scrisse in seguito nel suo rapporto di aver trovato il cadavere steso a terra così come aveva riferito Smith con accanto una scatola di sigari che conteneva una siringa, un cucchiaino e altri strumenti utili a iniettarsi droga in vena. Poco lontano dal cadavere su un tavolo trovò anche un messaggio di addio manoscritto infilzato con una biro in modo che non volasse via. Lewandosky omise di scrivere che la biro con il foglio era infilzata in un vaso di terriccio posto sul tavolo. Il testo della lettera diceva in sintesi che a Kurt non piaceva più la vita che faceva, non gli piaceva più scrivere musica né esibirsi davanti al pubblico e che sarebbe stato di cattivo esempio per la figlia. Prima dei saluti concluse con una frase che nel giro di poco sarebbe diventata tristemente celebre: I don’t have the passion anymore and so remember, it’s better to burn out than to fade away.

Il quadro di quanto avvenuto fu da subito piuttosto ovvio. Cobain si era sparato in bocca e nonostante avesse il viso sfigurato dall'esplosione il coroner della Contea di King, in cui si trova Seattle, poté verificarne l'identità sulla base delle impronte digitali e stimò che il decesso era avvenuto tre giorni prima, il 5 aprile. Nel pomeriggio il medico legale emise il comunicato ufficiale confermando ciò che tutti già sapevano: Kurt Cobain era morto per ferita da arma da fuoco autoinflitta.

Nonostante tutto sembrasse fin troppo chiaro, fin dalla prima settimana dopo il ritrovamento del cadavere hanno iniziato a diffondersi le prime teorie del complotto secondo cui Kurt Cobain sarebbe invece stato ucciso. I principali e più famosi esponenti di queste teorie sono il giornalista Richard Lee e l'investigatore privato Tom Grant che fu incaricato dalla cantante Courtney Love (vedova di Cobain) di far luce sull'accaduto.

La prima motivazione addotta da chi non crede al suicidio è che la lettera di Kurt trovata infilzata nel vaso non sarebbe attendibile in quanto le ultime righe sembrano scritte con una grafia notevolmente diversa dal resto del testo. Anzitutto non è chiaro cosa questa teoria vorrebbe dimostrare, quand'anche fosse vero che le ultime righe sono state scritte da un'altra mano non si capisce per quale motivo questo indicherebbe che Kurt è stato ucciso. A meno che non si voglia credere che i cospiratori siano stati talmente pasticcioni da prendere una vera lettera di Cobain, aggiungerne del pezzi scritti in modo notevolmente diverso, non accorgersi di ciò e poi avere usato il foglio come fasulla lettera di addio: francamente il tutto è oltre i limiti dell'assurdo.

Se questa considerazione non bastasse, la ricostruzione del biografo Charles Cross proposta nella volume Heavier than Heaven risolve comunque l'apparente mistero. Cobain scrisse la parte principale del testo mentre era steso a letto e con il foglio ancora attaccato al blocco, mentre le ultime righe furono aggiunte sul pavimento di linoleum della serra appoggiando il singolo foglio sul pavimento. Per via della superficie irregolare che cede sotto la pressione della penna Cobain fu costretto a tracciare lettere più ampie. In ultimo, è sufficiente verificare nella raccolta di testi manoscritti di Cobain intitolata Journals (Diari, nella traduzione italiana) pubblicata nel 2002 che Kurt abitualmente aggiungeva dopo una prima stesura frasi addizionali scritte malamente in caratteri più grandi. La lettera, così come gli altri oggetti rivenuti sulla scena, sono chiaramente visibili nella raccolta di oltre 30 foto della scena pubblicate dal Seattle Police Department nel 2014.

Un'altra argomentazione che viene spesso presentata da chi non crede al suicidio è che la dose di eroina presente nel sangue di Kurt fosse troppo alta perché se la fosse iniettato da solo. Un articolo pubblicato dal Seattle Post Intelligencer il 14 aprile del 1994 riportò che il livello di morfina fosse di 1,52 milligrammi per litro, secondo Tom Grant questo comporta che la quantità di eroina iniettata nel corpo di Cobain fosse di oltre 200mg, mentre la dose letale è intorno ai 100mg per un uomo di corporatura media. Ma a tal proposito va notato che i tossicodipendenti sviluppano livelli di tolleranza più alti, come confermato da alcuni medici interpellati sull'argomento da Dateline NBC; inoltre dopo l'iniezione lo stordimento non si verifica istantaneamente ma lascia un po' di tempo a disposizione e di poco tempo aveva bisogno Cobain per prendere il fucile e spararsi in bocca.

La tesi di Tom Grant è che l'eroina sia stata iniettata a Cobain forzatamente per poterlo uccidere ed inscenare il suicidio, ma come sempre le teorie del complotto presentano più lacune di quelle che credono di colmare. Infatti se così fosse Kurt avrebbe dovuto presentare segni di colluttazione su tutto il corpo, ma nessun rapporto ufficiale menziona la presenza di alcun segno di lotta sul cadavere.

Un'ulteriore argomentazione proposta da chi non crede al suicidio è che i rapporti della polizia riportano che sul fucile sono state trovate impronte digitali latenti e non utilizzabili. Sempre secondo la biografia di Charles Cross il coroner Nikolas Hartshorne ha spiegato che il motivo per cui le impronte non erano leggibili è che per via del rigor mortis Cobain stringeva il fucile tra le mani ed esso gli è stato strappato dalla presa. Le dita di Kurt pertanto si sono mosse sul fucile rendendo le impronte illeggibili.

Purtroppo anche in questo caso la morte prematura di una persona famosa è diventata occasione per ricercatori senza scrupoli o poco accorti di vendere libri e DVD. Ma finché le argomentazioni portate sono di questo spessore non vi è alcun motivo ragionevole per dubitare del fatto che Kurt Cobain si sia sparato. Anche la nuova indagine condotta nel 2014 dopo che il Seattle Police Department esaminò quattro filmati registrati su pellicola da 35mm sulla scena del decesso (di cui non è noto il motivo per cui non sono stati esaminati già nel 94) non ha portato ad alcuna novità ma solo alla conferma di quanto era ovvio sin dall'inizio.

Oltre a quelle citate all'interno dell'articolo, le fonti che abbiamo utilizzato per la nostra ricerca sono gli articoli Nirvana: The 1994 Cover Story on Kurt Cobain’s Death, ‘Into the Black’ di Gina Arnold pubblicato da SPIN, Kurt Cobain's death was indeed a suicide, police say di CBS News, Lawsuit to release graphic Kurt Cobain death photos thrown out di CBS News, il documentario The Last 48 Hours of Kurt Cobain e la ricchissima documentazione messa a disposizione dai siti Justice for Kurt e The Smoking Gun.