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lunedì 14 marzo 2022

La discografia degli Alice in Chains successiva alla reunion del 2008


Negli anni 90 gli Alice in Chains sono stati tra i gruppi più influenti della scena grunge, insieme ad altri quali i Pearl Jam (che sono gli unici che sfornano dischi nuovi con continuità ancora adesso) e i ben più iconici Nirvana. Dopo tre album e due EP pubblicati tra il 90 e il 95, la carriera degli Alice in Chains si interruppe e sembrò andare incontro a una fine definitiva dopo la morte del cantante e chitarrista Layne Staley per overdose di speedball il 5 aprile del 2002, esattamente nell'ottavo anniversario della morte di Kurt Cobain.

Anni dopo i membri rimanenti, Jerry Cantrell, Mike Inez e Sean Kinney riunirono la band con l'aggiunta di William DuVall, cantante e chitarrista dei Comes With the Fall, in sostituzione di Staley e con la nuova formazione tornarono anche in studio per la registrazione di nuovi album. Il primo di essi si intitola Black Gives Way to Blue ed è stato pubblicato nel 2009. L'album non si distacca minimamente dal modello originale della musica degli Alice in Chains e regala un capolavoro di grunge grezzo e diretto che sembra preso di peso dagli anni 90.

Il disco è composto da undici tracce, più una bonus track nella versione digitale venduta da iTunes, in cui DuVall sostituisce Staley principalmente alla chitarra, mentre le voci principali sono eseguite da Jerry Cantrell. La maggior parte dei pezzi sono graffianti ed energici, ma non mancano momenti più melodici come le ballad When The Sun Rose Again, Acid Bubble e Private Hell. DuVall esegue la voce principale solo in Last of My Kind. Chiude il disco la struggente ballad che dà il titolo all'LP dedicata al vocalist scomparso e che vede Elton John come ospite al pianoforte.

Il secondo album con la rinnovata formazione uscì nel 2013 con il titolo di The Devil Put Dinosaurs Here. L'atipica copertina mostra due teste di triceratopo incrociate, di cui una verde e una rossa; ma essendo il case del CD rosso, quando il libretto viene infilato nel case la testa rossa scompare e si vede solo quella verde. Nel disco la musica degli Alice in Chains inizia ad allontanarsi dal grunge per approdare a una commistione di alternative metal e di doom metal, con atmosfere molto più cupe che nei dischi precedenti.

Il sound è generalmente più oscuro, come in tracce come Pretty Done o Phantom Limb, in cui i due vocalist si alternano alla voce, a la ruggente Hollow dalle forti venature stoner rock che apre il disco. Anche in questo caso non mancano pezzi più leggeri come Voices o più intimistici come Breath On A Window. Dopo The Devil Put Dinosaurs Here la band rimase ferma tre anni fino a quando pubblicò la cover di Tears dei Rush per la riedizione del loro album 2112 che conteneva un disco extra con i pezzi dell'album originale interpretati da altri.

La band tornò in studio per un nuovo album nel 2018 quando pubblicò Rainier Fog che resta ad oggi la loro produzione più recente. Il disco, composto da dieci tracce, è un concept album che funge da colonna sonora del film di fantascienza Black Antenna uscito lo stesso album. Il film, diretto da Adam Mason, narra di due extraterrestri, padre e figlia interpretati da Paul Sloan e Viktoriya Dov, che arrivano in California e che devono, con mezzi poco leciti, costruire un'antenna per stabilire una comunicazione con il loro pianeta di provenienza; al contempo dovranno combattere contro degli avversari che vogliono ucciderli. Dal film è stata estratta anche una web series con gli episodi che fanno da videoclip delle canzoni del disco.

Dal punto di vista musicale l'album prosegue sulla atmosfere cupe da doom metal del disco precedente. Il disco vede una prevalenza di brani aggressivi, tra cui spiccano i quattro singoli The One You Know, So Far Under, Never Fade e la title track. Nel disco sono presenti solo due pezzi più leggeri, quali la ballad Fly e All I Am che chiude l'album e che chiude anche Black Antenna.

Dal 2018 la band non pubblica materiale nuovo, solo un album solista di Jerry Cantrell intitolato Brighten uscito nel 2021 ha interrotto il digiuno. I tre album usciti dopo la reunion dimostrano che gli Alice in Chains sono uno dei pochi gruppi che non risentono degli anni che passano, riuscendo a modernizzare la propria proposta musicale e a sopravvivere al decesso del proprio cantante. Al momento il gruppo di Seattle ha all'attivo sei album di altissimo livello nessuno dei quali sfigura nella discografia di questa straordinaria band; non resta quindi che aspettare che tornino in studio a registrare musica nuova nella speranza che Rainier Fog non sia il loro disco di commiato.

martedì 2 novembre 2021

Annalisa Parisi Quartet - Blue Skies


Nel 2018 la cantautrice jazz Annalisa Parisi ha pubblicato il proprio tributo al compositore Irving Berlin con l'album Blue Skies, che trae il proprio titolo da un brano di Berlin scritto per il musical Betsy del 1926. Il disco è composto da tredici standard che attingono dal repertorio dell'autore compreso nel periodo che va dal 1912 al 1938 ed è stato realizzato da un quartetto che vede oltre ad Annalisa Parisi alla voce anche Niccolò Cattaneo al piano, Alex Orciari al contrabbasso e Roberto Paglieri alla batteria.

I tredici brani sono riarrangiati in stile cool jazz, con un chiaro rimando ai quartetti della West Coast degli anni 50. La forza di queste composizioni risiede sicuramente nella voce rovente di Annalisa che trasforma in oro tutto ciò che tocca e che si muove con incredibile maestria sul tessuto sonoro creato dai tre strumentisti. Molti dei brani, come Isn't This a Lovely Day? o Cheek to Cheek o la title track, trovano le loro interpretazioni più famose in quelle di Ella Fitzgerald con cui Annalisa regge benissimo il confronto aggiungendo un'ottima dose di sensualità che mancava alle incisioni precedenti.

Oltre alle capacità interpretative, il quartetto guidato da Annalisa Parisi dà anche grande prova di creatività nel saper reinterpretare i classici dando loro risvolti nuovi; infatti se alcuni dei pezzi sono molto fedeli alle versioni originali, altri ne escono profondamente reinventati come Puttin' on the Ritz o Top Hat, White Tie and Tails che vengono qui presentati in una versione cool lontana da come erano nati.

Blue Skies è in sintesi un album che funziona sotto tutti i punti di vista grazie alle atmosfere rétro che riesce a creare, al punto che basta chiudere gli occhi per ritrovarsi in uno dei locali della New York di un secolo fa. Il disco si presta particolarmente all'ascolto durante un aperitivo come cocktail jazz, ma in realtà è adatto anche a qualunque altro contesto, perché la voce della first lady of songs del jazz italiano sa dare un tocco di magia in ogni occasione in cui la si ascolti.

martedì 23 giugno 2020

Imperial Age - The Legacy of Atlantis

The Legacy of Atlantis
del 2018 è il secondo album dei moscoviti Imperial Age, uscito sei anni dopo il precedente Turn the Sun Off! e a due anni di distanza dall’EP Warrior Race. L’album è composto da nove tracce che costituiscono una vera e propria metal opera che narra, attraverso il racconto di vari personaggi, di un mago proveniente dall’antica e avanzatissima società di Atlantide che rinasce nell’Europa medievale.

Anche in questo disco, come nei precedenti, la musica degli Imperial Age è contraddistinta da sonorità maestose e magniloquenti e la forza di questo gruppo sono le voci dei tre vocalist, tutti con impostazione operistica: il tenore Alexander “Aor” Osipov, il soprano Anna “Kiara” Moiseeva e il mezzo-soprano Jane “Corn” Odintsova (che nei dischi precedenti suonava anche le tastiere). Nel disco il gruppo si avvale anche del coro del Conservatorio Statale di Mosca Pëtr Il'ič Čajkovskij che conferisce uno stile operistico all’album. Il risultato di questa commistione sonora è un symphonic metal di ottimo impatto sonoro, che colpisce già al primo ascolto e che non ha bisogno di molti passaggi prima di essere apprezzato.

Trattandosi di una metal opera è difficile individuare pezzi migliori di altri, perché il suono del disco è monolitico e non si presta a essere diviso. In ogni caso la title track spicca sicuramente sia dal punto di vista musicale sia da quello canoro, con i tre vocalist e il coro che regalano la loro prova migliore. Degni di nota sono anche Domini Canes, che in un ponte contiene un estratto del Credo di Nicea, e The Escape, che presenta sonorità un po’ diverse, più leggere ed elettroniche.

The Legacy of Atlantis è in sintesi un capolavoro del symphonic metal, che mette in campo tre voci straordinarie in una mescolanza di musica classica, lirica e metal che creano una sintesi perfetta di cose apparentemente diverse. Il disco in sé è ottimo dall'inizio alla fine ed è un'ottima scoperta per chi non conosce questo singolare sestetto, e conferma anche che giunti alla loro terza prova in studio gli Imperial Age sono una delle migliori e più interessanti realtà del panorama del symphonic metal mondiale.

venerdì 1 marzo 2019

Alexandra Burke - The Truth Is

Dopo due album in stile dance e dopo una lunga militanza nel mondo dei musical con The Bodyguard, Sister Act, Chicago e Chess, Alexandra Burke è tornata nel 2018 con un nuovo album di puro R&B e soul, genere che le si addice sicuramente più del dance-pop degli esordi, dal titolo The Truth Is. Questo nuovo LP vede anche il passaggio di Alexandra Burke dalla Syco Music alla storica etichetta Decca che dal 1929 produce alcuni dei migliori musicisti di ogni tempo.

L'album è composto di undici tracce contraddistinte, come è abbastanza ovvio, da sonorità eleganti e patinate che mettono in luce al meglio le straordinarie doti vocali della cantante. I pezzi che compongono il disco vedono una predominanza di brani melodici, tra cui troviamo il singolo Shadow di cui è stato realizzato un video. Il disco offre anche una notevole varietà di suoni come nell'ottima Say We'll Meet Again che vede la presenza come ospite di Ronan Keating e in cui la strumentazione abituale è sostituita da piano e archi. Sonorità più allegre e spensierate si trovano invece nell'allegra Summer e in Maybe It's Love che vira decisamente verso il reggae grazie anche alla strumentazione caraibica. Alexandra si concede anche uno sconfinamento nel gospel con You’re Worth Holding On To impreziosita da un battito di mani sulla strofa e dalla presenza del coro sul ritornello.

Tra le ballad più tradizionali troviamo anche la title track in cui Alexandra dà particolarmente sfoggio della propria estensione e del proprio vibrato, oltre a Believe e al brano di chiusura Without You che è sicuramente il pezzo del disco che più mette in luce la potenza canora di questa straordinaria vocalist. Nell'album non mancano un paio di momenti pop più veloci con la melodica traccia di apertura All The Things You Are e con l'allegra In The Rain.

Completa il disco l'onirica cover di All I Need degli Air, che Alexandra trasforma dal chillout elettronico dell'originale in un pezzo R&B nel sul stile distintivo dando ovviamente maggiore spazio alla linea vocale.

Con The Truth Is Alexandra Burke compie un notevole passo in avanti e il passaggio a un'etichetta come la Decca non può che aver giovato alla cantante britannica. Grazie a questo terzo album Alexandra riesce sicuramente ad affrancarsi dall'etichetta di "vocalist uscita da X-Factor" e dimostra di avere grandi doti compositive oltre a quelle interpretative, ed essendosi finalmente liberata di una definizione che le andava stretta da tempo si assesta senza dubbio tra le migliori voci dell'R&B contemporaneo.

venerdì 4 gennaio 2019

Filippo Margheri - Indipendenza

Il 2018 ha visto il ritorno discografico del cantante fiorentino Filippo Margheri, che in passato ha ricoperto il ruolo di vocalist del gruppo underground dei MiiR e anche quello di voce e frontman dei Litfiba, il più glorioso gruppo rock del nostro paese, dopo Piero Pelù e Gianluigi Cavallo e prima del ritorno del primo.

Il nuovo album di Margheri, che tutt'ora alterna la propria attività di musicista a quella di ingegnere meccanico, si intitola Indipendenza ed è composto da undici tracce di puro rock duro, ruvido, graffiante e dai contorni gotici. Come è ovvio che sia tutte le tracce si basano sul connubio tra le basi dirette ed energiche e la straordinaria voce di Margheri che si conferma per potenza, estensione ed espressività una delle migliori realtà del rock nostrano e non solo; perché basta un ascolto di questo disco per capire che in realtà questo è uno dei migliori cantanti rock al mondo.

Il disco contiene una buona mescolanza di pezzi forti e altri più lenti e d'atmosfera. L'album parte alla grande con l'ottima Ora che si apre con un'intro di piano e voce, prima che si uniscano gli altri strumenti e che aumenti la velocità. Tra i pezzi migliori troviamo troviamo anche la ruggente Sedato, il pezzo più vicino all'hard&heavy dell'intero album, che fa riflettere su come la società moderna tenda ad appiattire i pensieri in modo da rendere i cittadini meno pericolosi e Cronico che è uno dei pezzi in cui Margheri dà miglior sfoggio delle sue capacità vocali grazie anche all'urlo che chiude le strofe.

Tra i pezzi più raccolti troviamo l'amara ballad Lei è, il midtempo Sacro e Profano e Grande che parte come una ballad per assestarsi su ritmi veloci e aggressivi nella seconda metà. Ritmi più lenti si trovano anche in Cattiva Bambina, primo singolo estratto dall'album, la cui seconda metà è impreziosita da Margheri che doppia parlando la propria voce cantata. Indipendeza contiene anche la nuova versione di Scusa Signore, sorta di preghiera salmodica la cui versione originale è stata pubblicata nel 2014.

Nel disco si trovano anche le nuove versioni di due dei pezzi migliori risalenti all'epoca in cui Filippo era il cantante dei Liftiba, quali Sepolto Vivo e La Rabbia in Testa. La melodia di entrambi resta immutata, ma l'arrangiamento viene reso più moderno, pulito e aggressivo, riuscendo così nell'incredibile compito di migliorare due pezzi che erano grandiosi già nel 2009.

Chiude il disco la cover di La Femmina di Piombino di Magnino Magni, scomparso prematuramente nel 1986 a 38 anni.

Giunti al termine dell'ascolto di Indipendenza sembra che il tempo sia trascorso troppo in fretta, perché questo disco è composto da undici tracce di altissimo livello, senza riempitivi e senza un attimo di noia. Margheri ci regala del sano rock sanguigno e diretto che colpisce dal primo all'ultimo minuto che convince sotto ogni aspetto: da quello autorale, agli arrangiamenti, fino alla realizzazione.

Indipendenza è sicuramente uno dei migliori album di rock italiano di ogni tempo ed è uno dei pochi che regge benissimo il confronto con i rocker americani o inglesi. Mentre diamo il "Bentornato" a Filippo Margheri non resta che da sperare che questo disco non resti un esperimento isolato e che questo straordinario musicista ci regali altre perle di questo valore

domenica 23 dicembre 2018

Bohemian Rhapsody: il biopic sulla vita di Freddie Mercury

E’ proiettato nelle sale cinematografiche italiane in questi giorni il film Bohemian Rhapsody, il biopic che racconta la vita e la carriera musicale di Freddie Mercury dal suo ingresso nel Queen nel 1970 fino al Live Aid di Wembley nel 1985.

Il film racconta diversi aspetti della vita del cantante, dalla sua eccentricità, alla sua creatività musicale, fino alla sua controversa sessualità e al suo rapporto con Mary Austin. Bohemian Rhapsody è sicuramente godibile dal punto di vista cinematografico e le oltre due ore passate al cinema volano via come se il film durasse il tempo di un videoclip. Tuttavia purtroppo il film soffre di un evidente limite: è impossibile raccontare quindici anni in due ore. E proprio per questo la narrazione è molto superficiale, quasi irritante, per almeno tre quarti del film. Non viene approfondito nessuno dei temi proposti; ad esempio l’ingresso di Freddie nei Queen viene raccontato in modo incredibilmente frettoloso, viene completamente ignorato il fatto che la prima incisione di Mercury con May e Taylor non è il primo album dei Queen ma il singolo pubblicato con lo pseudonimo di Larry Lurex, non si capisce quasi nulla della composizione della traccia che dà il titolo al film, viene appena accennato e poi abbandonato il fatto che i Queen abbiano realizzato con Hot Space un disco volto alla disco music.

Inoltre il film contiene una serie di errori davvero notevoli di cui Rolling Stone ha fatto una lista molto ricca. Tra questi spicca il fatto che i Queen non si sono mai sciolti e non è quindi vero che il Live Aid fu una reunion. Inoltre, il disco solista di Freddie Mercury non portò alcun nervosismo nella band, né un'interruzione dell’attività della stessa e Freddie non fu il primo dei quattro a realizzare un disco in autonomia perché Roger Taylor ne registrò due tra il 1981 e il 1984 e anche Brian May realizzò un album senza il resto della band nel 1983.

Un anacronismo è scappato anche all'attenta analisi di Rolling Stone. Durante una festa a casa di Freddie ambientata poco prima che il band scrivesse We Will Rock You, si sente Super Freak di Rick James. Ma We Will Rock You è uscita nel 1977 e Super Freak nel 1981.

La parte finale del film è dedicata alla malattia di Freddie ed è questo l’unico aspetto che viene approfondito. Ma anche in questo caso è quasi tutto inventato, infatti Freddie Mercury non era a conoscenza della propria malattia prima del Live Aid e un esame svolto nel 1985 diede risultato negativo. Inoltre non è vero che i Queen furono aggiunti per ultimi alla scaletta del Live Aid, perché il loro nome compare nel primo elenco letto alla stampa da Bob Geldof.

L’unico merito di questo film è quello di aver recuperato incisioni inedite della band, tra pezzi registrati all'inizio della carriera e mai pubblicati, versioni live o arrangiamenti diversi di pezzi famosi. Tra questi spicca sicuramente l'estratto (cinque pezzi su otto) del medley di 21 minuti che il quartetto eseguì proprio al Live Aid.

In conclusione, consigliamo la visione del film? Sicuramente no, consigliamo piuttosto di ascoltarne la colonna sonora che è l'unica cosa che merita. Per il resto non resta che augurarsi che se un seguito del film verrà mai realizzato, come già ipotizzato da Brian May allo scopo di raccontare la vita del cantante dal 1985 al 1991, sia più fedele alla realtà e più rispettoso della vera vita di Freddie Mercury.

mercoledì 5 dicembre 2018

Nightwish Decades: World Tour - Assago, 4/12/2018

Avevo comprato il biglietto il 28 dicembre 2017, un anno prima. E vista l'attesa era ovvio che le aspettative fossero alte. Ma è bastato l'inizio con la melodia di Swanheart suonata da Troy Donockley alle uilleann pipes, prima ancora che il resto della band uscisse dai camerini, per capire che sarebbe stato un concerto memorabile, uno di quelli in cui sei dei migliori musicisti del mondo mettono al lavoro le loro capacità combinandole e creando insieme qualcosa di unico.

Credit: Francesco Prandoni
Il sestetto è salito sul palco poco prima delle 21 e il concerto è partito subito fortissimo con Dark Chest of Wonders seguita a ruota da Wish I Had An Angel e 10th Man Down. L'inizio del concerto è condito da lanci di fiamme sparate dall'apposita strumentazione posta appena davanti al palco e ad ogni uscita di fuoco il calore si sente forte anche sugli spalti, come se non bastasse il caldo infernale del Forum che contrasta non poco con la fredda serata di fine autunno che si vive all'esterno. Fin dalle prime note Floor domina la scena, ben consapevole delle sue doti canore e della sua fisicità che comunque l'aiuta parecchio, del resto nonostante il tacco non troppo alto sovrasta in altezza tutti i suoi cinque colleghi. Il Decades: World Tour serve a celebrare i vent'anni di attività del gruppo e la setlist viene adeguata di conseguenza, con pezzi presi da ogni album della discografia del gruppo. I più rappresentati sono Once, con quattro pezzi, e ovviamente Oceanborn e Wishmaster con tre pezzi ciascuno. Holopainen ci regala anche un piccolo mash-up tra due pezzi di Oceanborn quando inserisce uno snippet di Stargazers in Sacrament of Wilderness.

Credit: Francesco Prandoni
I pezzi suonati dal vivo sono generalmente più energici delle registrazioni in studio, spostando un po' l'equilibrio dei suoni verso quelli più duri; comunque non viene meno il connubio tra sonorità pesanti e melodia che è il segno distintivo dei Nightwish che restano in ogni caso gli inventori del metal sinfonico. Un tocco di musica nordica viene aggiunto in alcuni pezzi da Donockley che oltre alla chitarra suona le uilleann pipes e il tin whistle creando così la mescolanza musicale che da sempre contraddistingue questo gruppo.

Floor dialoga con il pubblico come solo lei sa fare, invitando la folla a cantare e a tenere il tempo con urla sincronizzate. Il pubblico la ripaga come merita seguendola in ogni mossa e sostituendosi a lei nel cantare i ritornelli di Élan e di Nemo. La frontwoman non perde un attimo nel dimostrare le proprie incredibili doti vocali, sia per estensione che per potenza che per la naturalezza con cui cambia stile adattandolo ad ogni pezzo, e proprio questo dimostra che Floor è la più completa tra le tre cantanti che si sono avvicendate in questo ruolo, sapendo interpretare perfettamente sia i pezzi scritti per Tarja che quelli scritti per Anette Olzon.

Nei duetti con Marco Hietala i due si amalgamano con grande maestria, con Marco che esegue le seconde voci nella maggior parte dei pezzi, ma i due si scambiano di ruolo ogni volta che Hietala interpreta le voci principali.

Il lato canoro non è comunque l'unico in cui Floor (in una serata semplicemente perfetta) si muove alla grande, la sua capacità di tenere la scena è straordinaria mentre si muove sul palco con una grazia incantevole quando non canta ed esibendosi spesso in lunghi head banging in cui fa roteare la sua voluminosa chioma.

Credit: Francesco Prandoni
Quando Tuomas Holopainen inizia a suonare The Greatest Show on Earth appare chiaro che il concerto sta volgendo al termine e guardando l'orologio ci si accorge che sono passate quasi due ore anche se si ha l'impressione che siano passati pochi minuti, tanto l'esibizione dei Nightwish è stata bella e coinvolgente. La lunga composizione che chiude il più recente album viene inframezzata da Ghost Love Score appena prima dei saluti finali in cui la band ringrazia il pubblico per l'affetto e il pubblico ricambia e ringrazia per l'ottimo show.

Uscendo dal Forum e prima di rituffarsi nella fredda serata della periferia milanese resta un solo rimpianto, cioè la consapevolezza che il concerto avrebbe potuto essere prolungato all'infinito perché ogni pezzo della discografia di questo straordinario gruppo meritava di entrare nella setlist di un tour commemorativo. E mentre si torna a casa, appena superato il casello di Assago nell'autoradio non può che girare Decades, l'ultima compilation del gruppo, e riascoltando o i pezzi appena ascoltati anche live non resta che sperare che il prossimo disco con Floor alla voce non si faccia attendere troppo e che il prossimo tour riporti presto i Nightwish a Milano.

giovedì 15 novembre 2018

Northward - Northward

L'inedito duo dei Northward è il nuovo progetto di una coppia d'eccezione del rock nordico, formata dal chitarrista dei Pagan's Mind Jørn Viggo e dalla straordinaria cantante Floor Jansen che ad oggi è la frontwoman dei Nightwish e che in passato è stata anche vocalist dei ReVamp e degli After Forever.

Il primo album di questo nuovo combo, che si avvale della collaborazione di quattro musicisti turnisti, porta il nome stesso del gruppo e propone un hard rock lontanissimo dalle atmosfere metal tra il symphonic, il power e il prog in cui i due si muovono di solito. Il risultato è un album di rock massiccio e duro in cui ha ampio spazio la chitarra di Viggo e che trae la propria forza dalla voce di Floor che è una delle migliori voci femminili al mondo. Chi credeva che il più recente album dei Nightwish non valorizzasse al meglio la voce della cantante olandese sarà sicuramente soddisfatto dall'album dei Northward in cui la vocalist riesce a tirare fuori il meglio dello stile moderno del suo canto (lasciando ovviamente da parte quello lirico, per cui esistono altri progetti musicali come i gruppi in cui ha militato in passato e le esibizioni dal vivo dei pezzi più vecchi dei Nightwish).

Il disco parte fortissimo con le grintose While Love Died e Get What You Give che danno subito un ottimo assaggio di ciò che verrà a seguire, con due tracce ricche di riff di chitarra poderosi e della potenza vocale di Floor. L'album contiene stili di rock molto diversi attingendo anche dall'AOR degli anni 80 con pezzi come Let Me Out e la graffiante I Need. Tra i brani più energici spicca anche la poderosa Big Boy che inizia con duri e grezzi riff di chitarra dalle venature nu metal prima che Floor attacchi la prima strofa.

Floor mostra anche il lato più dolce e meno aggressivo della sua voce nelle ballad come Drifting Islands, che vede come ospite la cantante Irene Jansen che duetta con la sorella, o la bellissima e acustica Bridle Passion realizzata con solo voce e chitarra. Tra i momenti più melodici spicca anche Timebomb che alterna strofe da midtempo a un ritornello più energico. Chiude il disco la title track, brano di oltre sette minuti la cui prima metà suona come una ballad dal sapore pop per poi assestarsi su ritmi più veloci nella seconda parte.

Il primo album di questo duo mostra l'incredibile ecletticità di questo duo, che dimostra di saper realizzare dell'ottima musica anche in terreni lontani da quelli abituali. In realtà i due hanno scritto i pezzi nel lontano 2008 ma sono riusciti a realizzare l'album solo nel 2018 per via degli impegni di entrambi con le rispettive band. Questo LP è una delle migliori e più ricche creazioni hard rock di questo 2018 e in realtà questo non stupisce più di tanto, perché se si può contare su un talento naturale e versatile come Floor Jansen tutto diventa molto più facile. Non resta che sperare che Floor e Jørn Viggo non vogliano lasciare isolato questo esperimento e che non servano altri dieci anni prima che riescano a realizzare un altro grande album come questo.

venerdì 9 novembre 2018

Medina Azahara - Trece Rosas

Nonostante siano passate quattro decadi dal loro disco di esordio, gli andalusi Medina Azahara continuano a sfornare album a una frequenza davvero notevole, e a solo due anni dal precedente Paraiso Prohibido la band guidata da Manuel Martinez ha pubblicato il nuovo album intitolato Trece Rosas. Come suggerito dal titolo stesso il disco è dedicato alle 13 rose, un gruppo di donne condannate a morte nel 1939 dopo essere state ingiustamente accusate di aver cospirato per uccidere il dittatore Francisco Franco. Il disco è composto proprio da tredici tracce in cui i Medina Azahara si spostano dai suoni potenti e poderosi del passato verso un easy listening convincente e di facile presa anche per i neofiti.

Rispetto al passato il gruppo rinuncia quasi del tutto alla influenze arabe e mediorientali per approdare a un suono più ricco di spunti mediterranei, e in parte riconducibili proprio alla musica del nostro paese; anche il canto di Martinez attinge meno alla tradizione araba per esprimersi in uno stile più tradizionale. Le uniche tracce di musica arabeggiante si trovano in No Mires Atrás, per il resto il disco è caratterizzato da una buona alternanza di pezzi energici e di power ballad, che sono sempre state uno dei marchi di fabbrica del quintetto di Cordoba, e che in questo album sono ben cinque.

Tra i pezzi più veloci troviamo Libres Sin Nada e La Lucha che sono le uniche tracce del disco che presentano suoni più pesanti e più prossimi al metal; in Trece Rosas si trova anche qualche influenza di AOR ottantiano con Donde Sopla El Viento e Solo Son Cobardes che coniugano sapientemente melodia e suoni potenti, in particolare la seconda vede la presenza preponderante delle tastiere che donano sonorità patinate di grande effetto.

Le cinque ballad sono tutte di ottima fattura ed è difficile scegliere quali siano le migliori; se proprio dovessimo sceglierne alcune la scelta ricadrebbe su Mi Pequeño Corazon grazie al bellissimo arpeggio di chitarra che regge l'intero pezzo, su Ana y Raquel e sull'ottantiana Tu.

Ovviamente sono lontanissimi i fasti di Tanger o Tierra De Libertad, ma è altrettanto ovvio che Trece Rosas è l'ennesimo capolavoro di questo gruppo straordinario. La musica di questo album è sicuramente più tradizionale e meno sperimentale, ma questo non toglie che questo album convinca sotto ogni aspetto, regalando tredici tracce di alto livello e senza riempitivi. Purtroppo la barriera linguistica rende i Medina Azahara praticamente sconosciuti al di fuori dei paesi di lingua spagnola, tuttavia per qualità e creatività meriterebbero di far parte dell'empireo delle band più famose al mondo.

Mentre ci godiamo l'ascolto di Trece Rosas non resta quindi che aspettare che la band di Manuel Martinez produca il proprio prossimo lavoro in studio, che vista la produttività del gruppo siamo sicuri non si farà aspettare troppo a lungo.

mercoledì 24 ottobre 2018

Ace Frehley - Spaceman

Ace Frehley è noto soprattutto per essere il chitarrista storico dei Kiss avendo fatto parte della formazione iniziale della band newyorkese dall'esordio nel 1973 fino all'82 e poi ancora dalla reunion del 1996 al 2002. Ma oltre alla militanza nella band di Paul Stanley e Gene Simmons, Ace Frehley può vantare una ricchissima carriera parallela come solista e come frontman dei Frehley's Comet da lui stesso fondati.

Con il nuovo Spaceman è giunto al suo ottavo album solista e il titolo stesso del disco chiarisce in quale direzione Frehley voglia andare: spaceman era infatti la maschera che indossava nei Kiss e che componeva il quartetto con Starchild (Paul Stanely), Demon (Gene Simmons) e Catman (Peter Criss). Le nove tracce del nuovo album offrono quasi un'ora di puro hard rock che attinge dalle origini musicali dei Kiss che mischia nelle giuste dosi i suoni duri degli anni 70 con quelli patinati e divertenti dell'AOR ottantiano.

Spaceman centra perfettamente il proprio obiettivo regalando nove tracce divertenti, che prendono subito al primo ascolto e che spingono ad alzare il volume per tutta la durata del disco. Come è ovvio e normale aspettarsi tutte le nove tracce sono basate sul suono grintoso della chitarra e sulla voce tonante di Ace. L'album è piuttosto breve, ed è forse questo il suo unico limite, ma proprio per questo non contiene riempitivi, ma solo pezzi di altissimo livello. Se proprio dovessimo scegliere tracce migliori di altre la scelta cadrebbe sulla ruggente traccia di apertura Without You I’m Nothing che vede ospite Gene Simmons in veste di autore e bassista e su Your Wish Is My Command, scritta anch'essa insieme a The Demon.

Il disco contiene anche la cover di I Wanna Go Back dei Billy Satellite che trasforma una melodica ballad in un pezzo potente midtempo che rallenta il ritmo rispetto al resto del disco. L'unico altro pezzo che presenta ritmi più lenti è l'ultimo e strumentale Quantum Flux che sconfina nel soft rock.

Giunti alla fine dell'ascolto di questo portentoso album, che purtroppo ad ogni ascolto sembra finire troppo in fretta, resta solo da constatare che i musicisti della generazione di Ace Frehley sono tra i migliori che il nostro pianeta abbia mai ospitato e che tra i chitarristi più giovani non se ne trova uno che possa competere con questo quasi settantenne. Questo disco convince sotto ogni aspetto, compositivo, musicale e vocale, risultando una delle incisioni migliori di questo 2018 che va a porre un altro memorabile tassello nell'incredibile e immensa galassia musicale nata intorno al quartetto dalle facce dipinte nato a New York nei primi anni 70.

martedì 16 ottobre 2018

Sandro Di Pisa - Tutto (Da) Solo

A quasi vent'anni dall'esordio discografico con A Night in viale Tunisia e dopo innumerevoli prove discografiche da solita, in trio o quartetto, il musicista e divulgatore Sandro Di Pisa tenta un nuovo esperimento musicale con un album di canzoni in cui mischia il jazz, di cui è uno dei maggiori esponenti del nostro paese, con la tradizione cantautorale italiana. Il nuovo album si intitola Tutto (Da) Solo ed è composto da tredici tracce divertenti e ricche di sonorità diverse.

L'album si apre con Daunizzeuèi composto da un testo nonsense su una base musicale soft rock che sembra nata da un incontro tra gli Eagles e i Velvet Underground. Il resto dell'album si assesta su un cool jazz nello stile collaudato di Sandro Di Pisa, con testi ironici e scherzosi che fanno riflettere su alcune situazioni della vita quotidiana di cui l'assuefazione non ci fa cogliere gli aspetti più bizzarri. Tra questi troviamo Ab ITA Colo che racconta cosa avviene nell'abitacolo di un auto e Obsoleto che ironizza sulla rapida obsolescenza degli apparati elettronici di cui la nostra vita è sempre più pervasa, Di Pisa sottolinea come lo stesso trattamento venga riservato anche alla musica, con brani di successo di facile presa che vengono dimenticati nel giro di breve.

L'autore tratta anche il tema dell'inquinamento dilagante nel brano Le Polveri Sottili e quello dei rifiuti urbani che rischiano di sommergerci nella scherzosa Zachepù (il cui titolo ripetuto più volte assume tutt'altro significato). Tra i brani migliori troviamo anche Sveglia, caffè, uno swing ottantiano dal sapore vagamente caraibico, e A Me Non La Si Fa le cui sonorità sembrano prese di peso dal cool jazz della West Coast degli anni 50. Quest'ultimo pezzo è presente anche in una versione eseguita solo con archi denominata string version.

In Tante Cose Da Spiegare Di Pisa racconta anche quanto sia difficile insegnare musica nel mondo attuale e come nella sua migliore tradizione arricchisce il pezzo con inserti di altri brani famosi quali il tema di Mission: Impossible di Lalo Schifrin, Albachiara di Vasco Rossi e il tema di James Bond di Monty Norman.

Questo nuovo album di Sandro Di Pisa regala un'ora di ottimo jazz divertente e godibile che intrattiene e si ascolta facilmente senza rinunciare ai suoni complessi e di alto livello. Nella speranza che questo disco possa servire a far conoscere il jazz agli ascoltatori meno avvezzi, appare evidente come la creatività compositiva di Sandro Di Pisa non conosca limiti. Questo disco di canzoni convince sotto ogni aspetto e l'esperimento di Sandro Di Pisa di reinventarsi cantautore è riuscito alla grande; alla luce di questo grande successo non resta che aspettare di vedere quali altre frontiere della musica valicherà in futuro questo straordinario artista.

martedì 2 ottobre 2018

Cayne: gothic metal da Milano

Il panorama del gothic metal italiano è particolarmente ricco, anche se molte delle formazioni del nostro paese che suonano questo tipo di musica non godono del seguito di pubblico che meriterebbero. Gruppi come gli Opera IX, i Dakrua e i Macbeth sfornano album di altissimo livello da oltre vent'anni, ma in questa pletora di formazioni esiste un gruppo di Milano che si colloca al di sopra di tutti gli altri per notorietà e qualità della musica: i Cayne.

I Cayne nascono nel 1999 a Milano per opera dei due chitarristi Raffaele Zagaria e Claudio Leo in seguito alla loro uscita dai Lacuna Coil. Al momento della loro fondazione completavano la formazione il vocalist Mario Piazza, il bassista Daniele Rossetti e il batterista Filippo Ferrari.

La band così formata produsse il proprio primo album in studio nel 2002 con il titolo Old Faded Pictures. Il disco è composto da otto tracce che spaziano tra il gothic rock e l'alternative rock, risultando in un album di facile ascolto che colpisce già al primo giro nello stereo. Tra i pezzi spiccando sicuramente la morbida In My Eyes Return contraddistinta da qualche contaminazione new wave, la grezza e graffiante title track e Una Favola, unico pezzo in italiano del disco che è anche quello che tende più verso il rock alternativo che al tempo aveva buon seguito di pubblico in tutta Europa. Il disco contiene anche una cover di Small Town Boy dei Bronski Beat che trasforma il notissimo pezzo in un grintoso hard rock.

Dopo la pubblicazione del primo album l'attività in studio dei Cayne ha vissuto una lunga pausa, fino a quando Claudio Leo, insieme al chitarrista Marco Barusso, ha rinnovato la formazione con Guido Carli alla batteria, Antonello Pudva al basso, Giovanni Lanfranchi al violino e alle tastiere e con il nuovo vocalist Giordano Adornato. Prima di tornare a registrare, la formazione della band vide un nuovo cambiamento con l'ingresso del bassista Andrea Bacchio che andò a sostituire Pudva.

La band tornò in sala di incisione nel 2011 per realizzare l'EP denominato Addicted. Visti i numerosi cambi di formazione, anche il suono si adattò ai nuovi gusti e questa nuova incisione vira decisamente verso il gothic metal.

Il disco è composto di sole quattro tracce, che mischiano sapientemente sonorità dure con altre più melodiche riuscendo a creare una buona commistione di sonorità gotiche e venature AOR. Inoltre la musica dei Cayne si arricchisce, come anticipato, della presenza del violino che dona alle tracce un tocco di classicità che crea un contrasto di grande effetto con il suono duro di chitarre, basso e batteria.

Il risultato di questa ottima mescolanza è sintetizzato in pezzi quali My Damnation e Together as One. Completano il disco una versione live di In My Eyes Return e la title track che è sicuramente il pezzo più forte dell'EP come confermato dal suono duro della strumentazione e dal canto di Adornato che si rende qui più aspro che nelle altre tracce.

Il 2013 si aprì per i Cayne con la tragica scomparsa di Claudio Leo a seguito di una lunga malattia. Tuttavia la band decise di continuare la propria attività, proprio per rispettare i desideri del chitarrista e riuscì a concludere la realizzazione di un nuovo album grazie all'ingresso in formazione di Diego Minach, che sostituì il compianto Leo.

Nello stesso anno uscì quindi il secondo LP intitolato semplicemente Cayne, prodotto dal chitarrista Marco Barusso, che ripropone le stesse sonorità dell'EP precedente con un gothic metal melodico ricco di contaminazioni di stili diversi e con la presenza sempre maggiore del violino a impreziosire la musica. Il disco parte con un intro dalle sonorità orientali che risente dell'influenza dell'oriental metal e che si apre con un bellissimo vocalizzo di Giordano Adornato. L'album contiene alcuni pezzi già pubblicati nell'EP quali My Damnation, Together as One e Addicted e vede anche la presenza di ospiti d'eccezione come Paul Quinn dei Saxon nella ruggente e veloce Black Liberation, Jeff Waters degli Annihilator in King of Nothing, e Andrea Ferro dei Lacuna Coil che duetta con Adornato in Through the Ashes. Il ritmo sostenuto del disco è intervallato da tre ballad quali Little Witch, dalle sonorità leggermente grunge, Deep Down and Under e Like The Stars.

L'anno seguente la band pubblicò un altro EP intitolato Little Witch che propone il pezzo già pubblicato sull'album in due versioni (quella originale e una seconda leggermente più corta) oltre alla versione acustica di Together as One e una ballad inedita intitolata Adore.

All'inizio del 2015 Barusso e Carli lasciarono la band, con il batterista che venne sostituito da Giovanni Tani. Con la nuova formazione, la band tornò in studio per realizzare il terzo LP intitolato Beyond The Scars che ha visto la luce nell'estate del 2018 grazie alla produzione di Diego Minach.

In questo nuovo disco il gruppo perfeziona la formula riproponendo un gothic metal melodico ricco di tastiere e violino, di sfumature AOR e di qualche spruzzata di grunge, come testimonia la melodica traccia di apertura No Answers From The Sky il cui giro di chitarra introduttivo ricorda da vicino il suono di Seattle.

Il disco offre un ottimo equilibrio tra pezzi lenti e pezzi energici. Tra quelli più forti si distinguono Torn Apart, Celebration of the Wicked e Free at Last che è forse il brano in cui il violino ha il ruolo maggiore.

Tra le ballad spiccano le bellissime e coinvolgenti The Asylum of Broken Hope e One More Chance che mostrano come il gruppo sappia muoversi bene anche in terreni più lenti, senza rinunciare ai propri suoni distintivi che rendono la musica dei Cayne unica e immediatamente riconoscibile.

I Cayne hanno quindi oggi all'attivo tre album e due EP di altissimo livello che rendono a pieno titolo questa band una delle realtà più interessanti del panorama metal del nostro paese e non solo; infatti nonostante non godano del blasone che meriterebbero i Cayne reggono benissimo il confronto con le band di gothic metal di ogni angolo del mondo.

In quasi due decenni di carriera il gruppo non ha mai sbagliato un colpo regalando sempre brani suggestivi e di ottimo impatto; non resta che aspettare la loro prossima fatica in studio con la sicurezza che si tratterà di un altro album stellare, come i tutti i precedenti.

mercoledì 26 settembre 2018

Billy Gibbons - The Big Bad Blues

Dopo l'esperimento di musica caraibica di Perfectamundo, il chitarrista e cantante degli ZZ Top Billy Gibbons torna su terreni più noti e battuti con il nuovo album solista intitolato The Big Bad Blues uscito nel settembre del 2018. Come suggerito dal titolo stesso le sonorità del nuovo album sono contraddistinte da un blues rock grezzo e diretto che attinge direttamente dalle origini di questo genere.

Rispetto agli album degli ZZ Top, The Big Bad Blues offre un suono generalmente più lento e più duro in cui hanno la parte principale la voce graffiante di Gibbons e la sua chitarra che scandisce le melodie. Inoltre, come nella migliore tradizione del blues di Chicago, trovano ampio spazio le tastiere e l'armonica ed è proprio quest'ultima che spesso duetta con la chitarra.

Il fatto che Gibbons abbia attinto ampiamente dai modelli delle origini è confermato dalla presenza di ben quattro cover, quali Standing Around Crying e Rollin’ and Tumblin di Muddy Waters, e Bring It to Jerome e Crackin’ Up di Bo Diddley. Queste due in particolare sono tra i migliori pezzi dell'album, con Bring It to Jerome che si distingue per i suoni duri e aggressivi, mentre Crackin’ Up è sicuramente il brano più leggero dell'intero album (e lo stacco si sente nettamente durante l'ascolto) grazie alle sue atmosfere rock and roll e al coro di voci femminili che si affiancano a Gibbons sul controcanto del ritornello.

Tra i sette brani inediti spiccano la traccia di apertura Missin’ Yo’ Kissin’ che è quella che si avvicina più allo stile degli ZZ Top e in cui l'armonica ha il ruolo più importante, e le grintose Let The Left Hand Know e la già citata Rollin' and Tumblin'. Tra i pezzi migliori troviamo anche Mo' Slower Blues, che come dice il titolo stesso rallenta notevolmente il ritmo senza rinunciare alla durezza dell'impatto sonoro, e l'allegra Hollywood 151 che offre un po' di freschezza rinunciando alle venature hard rock di cui il resto del disco è pervaso.

Con questo nuovo album solista Billy Gibbons confeziona l'ennesimo ottimo disco della sua lunghissima carriera. In The Big Bad Blues infatti non c'è nemmeno un pezzo noioso o che si sarebbe potuto evitare e l'album è ricco solo di tanta buona musica blues che, data la notorietà dell'interprete, può servire a far conoscere a un pubblico più ampio questo genere musicale, troppo spesso messo da parte in favore delle mode del momento e di musica di più facile consumo.

domenica 2 settembre 2018

Giacomo Voli - Castelvetro Piacentino, 1/9/2018

Il tempo non è stato clemente e una pioggia pomeridiana ha costretto gli organizzatori della Sagra dello Scalogno di Castelvetro Piacentino a spostare il concerto acustico di Giacomo Voli dal palco di Via Roma al tendone utilizzato per la cena. Lo spazio dedicato ai musicisti era un angolo del padiglione, vicino a dove venivano servite le pietanze e dove il pubblico poteva vedere meglio gli artisti all'opera.

Il nostro Giacomo ha imbracciato la chitarra poco dopo le 21 dando via a una serata di musica basata sulla sua straordinaria voce valorizzata dalla chitarra suonata da lui stesso. Il repertorio della serata è stato tratto dal meglio del rock degli anni 70 e 80 spaziando dagli AC/DC ai Deep Purple con qualche tocco di rock nostrano grazie a Impressioni di Settembre della PFM. In questa serata così strana e atipica Voli ha dato molto spazio alle cover dei Queen attingendo da ogni fase della loro carriera, da Crazy Little Thing Called Love a Who Wants To Live Forever, la scelta non appare casuale essendo Giacomo Voli uno dei pochissimi cantanti al mondo che possono avvicinarsi al compianto Freddie.

Tutti i pezzi della serata sono stati riarrangiati per chitarra e voce trasformando ogni brano, anche i più scatenati come Hush o Whole Lotta Love, in un leggero midtempo dal sapore inedito, a riprova che i grandi musicisti riescono sempre a dare risvolti nuovi ai classici. Giacomo coinvolge anche il pubblico invitandolo a fare dei cori sui pezzi più noti, e la folla di Castelvetro Piacentino risponde con il calore che il nostro cantante merita. Nella setlist c'è spazio anche per un pezzo dall'album solista di Voli Prigionieri Liberi, la power ballad Il Libro Dell'Assenza, proposta qui in una chiave ancora più melodica e d'atmosfera.

La serata si chiude con I Don't Want To Miss a Thing degli Aerosmith e con l'immancabile Rock And Roll dei Led Zeppelin, e non serve nemmeno ricordare perché questo pezzo sia così importante nella carriera di Voli, tanto che quasi viene naturale considerarla ormai una canzone di Giacomo come capita in quelle rare volte in cui la cover è migliore dell'originale.

Finita l'esibizione Giacomo si siede nel pubblico e si ferma a chiacchierare come in un'abituale serata tra amici, come se fosse una normale fiera di paese e non l'esibizione live solista del cantante dei Rhapsody of Fire, una delle più blasonate band del nostro paese. E scambiando impressioni sulla serata c'è anche l'occasione di conoscere gente nuova unita da una passione per la buona musica che questa sera l'ha condotta fino al tendone di Castelvetro Picentino.

Alla fine della serata mentre lo staff della festa si siede a mangiare dopo aver servito tutti gli avventori ci si ferma a riflettere e si giunge alla conclusione che, contrariamente alla apparenze, il tempo è stato propizio perché ha trasformato un concerto (che sarebbe stato bellissimo in ogni caso) in un evento intimo e raccolto che ci ha consentito di vivere una cena in amicizia ascoltando dell'ottima musica. Ma per trarre il meglio da una serata piovosa e farne una di musica memorabile servono musicisti di altissimo livello, proprio come Giacomo Voli.

domenica 26 agosto 2018

Kenny Chesney - Songs For The Saints

Meno di due anni dopo il precedente Cosmic Hallelujah torna Kenny Chesney con un nuovo album intitolato Songs For The Saints composto da undici pezzi che ripropongono lo stile tradizionale del cantante del Tennessee con una buona commistione di rock e country. E nonostante i testi del disco siano ispirati all'uragano Irma (che ha colpito i Caraibi e la costa atlantica degli USA nel 2017) le musiche non rinunciano alle atmosfere allegre e positive tipiche dei suoi album precedenti.

Come è ovvio tutti gli undici pezzi sono basati sul suono della chitarra acustica suonata dallo stesso Chesney e dalla sua voce profonda e potente. L'album offre un buon equilibrio tra pezzi melodici e quelli più energici inoltre, grazie anche alla presenza di ospiti di gran livello, spazia tra vari generi musicali non fermandosi al country ma allargandosi anche alla musica caraibica, come nella ballad Island Rain e in Love for Love City che tende fortemente verso il reggae grazie alla presenza di Ziggy Marley che in questo pezzo, molto più che in altre occasioni, imita il padre anche nel canto.

Chesney duetta anche con Jimmy Buffet in uno dei pezzi più emblematici del disco intitolato Trying to Reason With Hurricane Season e con la cantante newyorkese Mandy Smith nella ballad di chiusura Better Boat. Tra i pezzi migliori dell'album troviamo anche la title track che si apre con ritmi sommessi da midtempo per poi guadagnare forza ed energia sul secondo ritornello, e anche la bellissima Get Along, il pezzo più gioioso di tutto il disco grazie al potente coro che si affianca a Chesney sul ritornello. Spicca anche l'onirica Ends of the World che tende verso sonorità new age, anche qui troviamo un coro che si unisce al canto di Chesney sul ritornello, ma in questo caso vista la diversa natura del pezzo è molto meditativo e sommesso.

Con Songs For The Saints Kenny Chensey è al suo diciottesimo album a ventiquattro anni di distanza dal suo esordio discografico e in oltre due decadi il cantante di Knoxville non ha mai sbagliato un disco producendo sempre musica di altissimo livello. Questo nuovo LP si posiziona senza dubbio tra le migliori opere di Kenny Chesney ed è veramente inspiegabile come questo cantante sia pressoché sconosciuto in Italia, considerando che altri musicisti dal genere simile, come ad esempio Kid Rock, godono di buona notorietà. Possiamo solo sperare che Songs For The Saints serva a far conoscere questo straordinario cantante anche dalle nostre parti, visto che la qualità è tanta e meriterebbe un posto in classifica anche da noi.

giovedì 12 luglio 2018

Buddy Guy - The Blues is Alive and Well

Tre anni dopo il precedente Born to Play Guitar torna il leggendario bluesman Buddy Guy con un nuovo album intitolato profeticamente The Blues is Alive and Well. E stando alla qualità della musica contenuta nel disco sembra proprio che quanto dice il titolo sia decisamente corretto, perché gli anni passano e George Guy (vero nome di Buddy Guy) ha passato gli ottant'anni ma la sua musica non sembra risentirne.

Il nuovo album è composto da quindici tracce per una durata complessiva di 64 minuti e già questo è un risultato ragguardevole visto che molti artisti che hanno meno della metà degli anni di Buddy Guy si fermano ben prima di una durata del genere. Il disco è composto da un blues genuino che riporta alle atmosfere del profondo sud degli Stati Uniti e tutte le quindici tracce sono contraddistinte dall'onnipresente suono della chitarra di Buddy Guy unito alla sua voce tonante che a dispetto degli anni non ha ancora perso nulla della sua potenza iniziale.

Il disco vede anche una notevole presenza di ospiti illustri. Jeff Beck e Keith Richards affiancano Buddy Guy nell'evocativa Cognac che è il pezzo dalle atmosfere più classiche dell'album, Jeff Bay porta un tocco di soul in Blue No More unendosi a Buddy Guy non solo con la chitarra ma anche alla voce, ma l'ospite più illustre è senza dubbio Mick Jagger che suona l'armonica nella lenta You Did The Crime.

Tra i pezzi migliori troviamo sicuramente la potente Guilty as Charged che sconfina nel blues rock, genere in cui Buddy Guy si cimenta in varie tracce di questo disco, e la title track contraddistinta dalla presenza poderosa di numerosi strumenti a fiato. Atmosfere da blues rock si trovano anche in Ooh Daddy che propone una bella mescolanza tra blues e rock and roll ispirato agli anni 50. Nella track list spiccano anche Whiskey for Sale, impreziosita dal coro di voci femminili nel ritornello, e Nine Below Zero grazie al suono del piano che duetta con la chitarra.

The Blues is Alive and Well è il diciottesimo album solista di Buddy Guy, senza contare le innumerevoli collaborazioni e i duetti di cui la sua discografia è costellata, ed è l'ennesimo capolavoro della sua lunga carriera in cui non ha mai commesso un passo falso. Questo nuovo disco, che rasenta la perfezione, è sicuramente uno degli album di blues migliori degli ultimi anni e dimostra come Buddy Guy resti uno dei migliori interpreti del genere: del passato e di ogni tempo.

mercoledì 4 luglio 2018

Lacuna Coil Rugby Sound Festival - Legnano, 3/7/2018

Il Rugby Sound di Legnano è da diciotto anni uno degli eventi più importanti dell'estate lombarda e sul suo palco, all'interno della corte del Castello di Legnano, si sono avvicendate molte delle band più importanti del pianeta. Anche quest'anno il calendario è stato ricco di eventi, alcuni dei quali decisamente imperdibili tra i quali quello del 3 luglio che vedeva come headliner i Lacuna Coil. Lo straordinario quintetto milanese non ha bisogno di presentazioni in nessuna parte del mondo, dove sono considerati tra le metal band più importanti degli ultimi due decenni, tranne che nella loro patria e per motivi francamente inspiegabili, visto che il metal alle nostre latitudini gode di ottimo seguito, ma forse il pubblico italico è troppo esterofilo e preferisce seguire gruppi stranieri piuttosto che valorizzare i tanti (buoni e ottimi) prodotti italiani.

Credit: Elena Di Vincenzo

Non avevo mai visto i Lacuna Coil dal vivo e il fatto che l'evento fosse vicino a casa e ufficio rendeva l'occasione particolarmente ghiotta. L'Isola del Castello Visconteo di Legnano ospita questa magnifica manifestazione tra stand che vendono panini e birra in un'atmosfera da grigliata estiva tra amici. Fortunatamente il clima è stato clemente, con un gradevole venticello che ha tenuto lontano zanzare e caldo (che nel pomeriggio si era fatto sentire con forza, in quella che fin qui era stata la giornata più calda dell'anno) regalandoci la serata perfetta per un evento di musica altrettanto perfetta.

Il concerto è stato aperto dal gothic metal dei milanesi Cayne, che hanno iniziato a scaldare il pubblico con un po' di sano metal duro e d'atmosfera con i pezzi tratti dai loro album. La musica dei Cayne, anche se purtroppo poco nota, non è mai banale considerando anche che nei loro strumenti si trovano tastiere e violini, scelta poco comune nel panorama del gothic metal. Un ottimo avvio per un evento che prometteva benissimo da ancora prima di iniziare.

Intorno alle 21 solo saliti sul palco i Rezophonic, supergruppo nella cui formazione si alternano musicisti delle band più disparate, che hanno regalato un'ora di musica di ogni genere, spaziando dal metal, al crossover, al reggae, al beatbox. Per l'occasione la formazione dei Rezophonic è stata arricchita dalla presenza di Marco Priotti e Andrea Butturini, concorrenti dell'ultima edizione di The Voice of Italy nella squadra di Cristina Scabbia.

I tanto attesi Lacuna Coil sono salito sul palco poco dopo le 22 iniziando con Our Truth introdotto dal celestiale vocalizzo di Cristina che ha scatenato la magia che ha regnato per le quasi due ore successive. Il concerto è iniziato come un fiume di energia in piena che ha pervaso il pubblico in ogni angolo dell'Isola del Castello grazie al gruppo che ha eseguito i pezzi migliori del proprio repertorio prendendoli da ogni fase della loro carriera e da ognuno dei loro album (ad eccezione del primo In a Reverie), privilegiando comunque gli ultimi tre: Dark Adrenaline, Broken Crown Halo e Delirium, ed è proprio nella title track di quest'ultimo che Cristina tira fuori più che mai i due aspetti più taglienti della sua voce con un'ottima commistione di forza e dolcezza.

I tre musicisti interpretano ogni pezzo alla perfezione, tanto che le basi suonano esattamente allo stesso modo di come fanno nei dischi, e due vocalist si amalgamo, si alternano e duettano con un'intesa e una maestria che solo le band più navigate possono vantare. Il contrasto tra la voce limpida e cristallina di Cristina e quella aspra a ruggente di Andrea è sempre molto efficace e crea un'atmosfera che nessun altro gruppo al mondo sa creare.

Verso la fine dell'esibizione la band invita sul palco il giovane disabile Christian, a cui decidano The House of Shame. Subito dopo i Lacuna Coil fingono di aver finito il concerto, ma ovviamente non ci crede nessuno e tra il pubblico non c'è una persona che si allontani. Poco dopo i cinque tornano sul palco per chiudere con gli ultimi quattro pezzi, iniziando con I Forgive (But I Won't Forget Your Name) e finendo con Nothings Stands in Our Way.

Credit: Elena Di Vincenzo

Poco prima dell'encore inizia piovere: e chissenefrega! Ci bagniamo sotto la pioggia battente, consapevoli che comunque il concerto volge al termine, che tra poco il climatizzatore della macchina offrirà un buono strumento per asciugarsi, ma anche che comunque per sentire i Lacuna Coil avremmo sopportato anche neve e grandine. La pioggia crea anche un divertente siparietto all'interno della band, con il bassista Marco Coti Zelati che dice a Cristina di non avvicinarsi troppo al bordo del palco per evitare di bagnarsi, ma l'anima rock di Cristina non ha certo paura di un temporale estivo e quindi ringrazia per il suggerimento ma lo ignora disinvoltamente.

Purtroppo il concerto si avvia alla conclusione, e mentre Cristina canta, nella cover di Enjoy The Silence dei Depeche Mode, All I ever wanted, all I ever needed is here in my arms mi viene da pensare che mi abbia letto nella testa perché al termine di un'infuocata giornata estiva, tutto ciò di cui abbiamo bisogno è proprio un concerto di una band leggendaria che questa sera si è fermata a pochi chilometri da casa.

lunedì 2 luglio 2018

Reborn In March - Habits

Il quintetto milanese dei Reborn In March ha pubblicato a maggio del 2018 il proprio primo album in studio intitolato Habits, il disco offre un'ora di alternative rock che attinge dalla tradizione del Regno Unito degli anni 80 e 90 e che sembra nato da una collisione a tre tra Muse, Coldplay e Sister Of Mercy, senza rinunciare a qualche contaminazione d'oltreoceano. Le sonorità della band sono caratterizzate dalle atmosfere cupe e gotiche delle basi musicali a cui si unisce la voce graffiante del vocalist Marco Scaravilli il cui canto è una sorta di inedito incrocio tra Chris Martin e Matthew Bellamy, prendendo il meglio dei due e arricchendolo con un po' di gusto personale. Completano la formazione i chitarristi Diego Del Sarto (fondatore del gruppo insieme al cantante) e Davide Pucillo, il bassista Dario Di Falco e il batterista Tommaso Bortoli.

Il disco è composto da nove tracce energiche che si assestano tutte su ritmi piuttosto alti e che coniugano sapientemente sonorità dure ai confini con il metal con ricche melodie facili da memorizzare, tanto che il disco entra in testa come un earworm già al primo ascolto. Il quintetto è molto efficace nel creare una mescolanza sonora che unisce modelli del passato a un tocco di modernità, creando contrasti musicali di grande effetto.

E' difficile trovare pezzi migliori di altri in questo ottimo disco di esordio perché tutte le nove tracce sono di altissimo livello e l'album non conosce riempitivi o momenti di noia. Se proprio dovessimo selezionare dei pezzi migliori di altri la scelta cadrebbe sicuramente su Tom's Habits, brano di chiaro stampo ottantiano in cui Scaravilli dà anche prova della propria estensione e potenza, che parla della monotonia della routine che la maggior parte delle persone vive. Tra la nove tracce spicca anche la penetrante Swim contraddistinta da atmosfere grunge, con il canto del vocalist ispirato a quello di Kurt Cobain dei tempi di In Utero. Suggestioni grunge si trovano anche nella potente e ruggente traccia di chiusura Smiling Like A God.

Tra i pezzi migliori troviamo anche cupa Lady Envy, dedicata a una persona la cui vita è rovinata dai sentimenti negativi, e Runaway, che il pezzo più veloce dell'intero album, il cui testo narra l'attrazione per una donna angelicata, tanto desiderata quanto irraggiungibile.

Quello dei Reborn In March è, in sintesi, uno dei più interessanti esordi discografici di questo 2018, con un album fresco, che intrattiene senza sosta e che, staccandosi da ogni modello musicale del nostro paese, porta una bella ventata di novità in um mercato discografico troppo spesso uguale a sé stesso. Con il loro primo album la band milanese si conferma subito come la migliore realtà del rock alternativo italiano, che regge benissimo il confronto con le band d'oltremanica e che sicuramente regalerà altre perle di rock come questa per molti, molti anni.

martedì 5 giugno 2018

Amanda Somerville's Trillium - Tectonic

Il 2018 vede il ritorno dei Trillium, il gruppo metal capitanato dalla straordinaria Amanda Somerville, con un nuovo album intitolato Tectonic che esce a sette anni di distanza dal precedente Alloy. In questi sette anni la cantante ha pubblicato una quantità impressionante di album tra collaborazioni ed innumerevoli progetti paralleli tra i quali ci limitiamo a citare Kiske/Somerville, con l'ex cantante degli Helloween con Michael Kiske, le Exit Eden, quartetto di quattro delle migliori voci del symphonic metal, gli HDK, band guidata dal marito di Amanda e chitarrista Sander Gommans e gli Avantasia che di certo non hanno bisogno di presentazioni.

Tectonic è composto di dieci tracce basate, come è ovvio e naturale, sulla portentosa voce di Amanda che al mondo non ha eguali e pochissime che le si possono avvicinare, e le basi strumentali ricche di suoni potenti e di distorsioni sembrano scritte apposta per valorizzarla.

L'album presenta una preponderanza di pezzi energici e aggressivi in cui Amanda dà piena prova della propria potenza vocale e della propria estensione. Il brano di apertura Time To Shine mostra subito gli ingredienti distintivi di Tectonic, con un suono energico e sostenuto ma anche ricco di melodia e di valori positivi. Atmosfere simili si trovano nella seguente Stand Up, nella potente Hit Me e nella graffiante Full Speed Ahead. E basta un ascolto, anche singolo, a uno dei ritornelli delle ultime due per capire come in questo disco Amanda sia nella forma migliore che ha mai incontrato nella sua pur straordinaria carriera.

Tectonic offre un ventaglio musicale che attinge anche dall'AOR ottantiano con la quinta traccia Fighting Fate e anche da sonorità più teatrali con la straordinaria Cliché Freak Show che presenta contrasti di grande effetto tra le strofe recitate i ritornelli cantanti con la consueta maestria. La musica dei Trillium sconfina anche nel gothic con Nocturna, che rallenta notevolmente i ritmi rispetto al resto del disco per assestarsi su atmosfere più crepuscolari. Completano il disco la veloce e incalzante Shards, la straziante Fatal Mistake dedicata all'ex tastierista dei Trillium Simon Oberender morto suicida e la bellissima traccia di chiusura Eternal Spring, power ballad che mostra come Amanda Somerville sappia coniugare potenza e dolcezza come nessun'altra.

Tectonic è in sintesi un album ottimo, che convince sotto ogni punto di vista ed è forse il miglior album della ricchissima discografia di Amanda Somerville e quello che mette in luce maggiormente le straordinarie caratteristiche della sua voce che nonostante sia già a livelli stellari sembra migliorare da ogni disco al successivo. Questo nuovo lavoro dei Trillium è sicuramente uno degli album migliori di quest'anno e siamo sicuri che non passerà molto tempo prima che Amanda sfoderi un altro disco in cui supererà anche questa vetta.

martedì 29 maggio 2018

Horus Black - Simply

Horus Black è un giovanissimo cantante esordiente il cui primo album intitolato Simply ha da poco visto la luce. Il disco è composto da dieci tracce caratterizzate fortemente dalla singolare voce del cantante che è ispirata in modo molto evidente al re del rock and roll, Elvis Presley, nel periodo degli ultimi anni sessanta e di album quali From Elvis in Memphis e From Memphis to Vegas/From Vegas to Memphis, quando il cantante di Tupelo abbandonò la carriera cinematografica per tornare a tempo pieno alla musica.

Il primo singolo estratto dall'album si intitola The March of Hope e da subito mostra come la musica di Horus Black prenda spunto dai suoni di quel periodo per portarli ai giorni nostri, e così come Elvis aveva spaziato in vari generi musicali contaminando il proprio sound con spunti presi da ogni angolo degli Stati Uniti (e non solo) anche Horus Black attinge da vari stili e generi dando anche molti tocchi di modernità all'impostazione classica dei modelli a cui si ispira.

L'album parte con due tracce di puro rock and roll, con la title track e con la potente We Are Alone Tonight, ma giunti già al terzo brano appare evidente come i produttori di Horus Black si siano divertiti a spaziare tra suggestioni diverse. Il brano intitolato Lonely Melody è infatti una bellissima commistione tra il canto nello stile del blue eyed soul che spopolava nel Regno Unito negli anni 70 con una base musicale che unisce jazz, tex-mex e rock psichedelico. Il pezzo sembra nato da un incontro tra Tom Jones e i Calexico ed è sicuramente uno dei migliori momenti di questo straordinario album. Le ispirazioni psichedeliche non finiscono qui, il pezzo di chiusura intitolato We Can't Go On This Way propone infatti altre atmosfere di quel genere, unite a qualche spruzzata di stoner rock che lo rendono il brano più sostenuto dell'intero album.

Tra i brani migliori troviamo anche I Know That You Want che sembra presa di peso dai già citati album di The King e trasportata ai giorni nostri, con un ritornello particolarmente energico che consente a Horus Black di dare sfoggio non solo del proprio timbro singolare, ma anche della sua notevole potenza vocale. Tra le sperimentazioni musicali di Horus Black si trova anche la vibrante Sophie che mischia uno stile canoro più simile ai primi album di Elvis con una base musicale che presenta qualche influenza caraibica e che in parte rimanda al mambo di Perez Prado. Tra i pezzi più allegri troviamo anche il rockabilly di Cock A Doodle Doo ispirata ai brani più noti di Bill Haley & His Comets che diedero vita a questo genere musicale negli anni 50.

Completano il disco due tracce più lente con le ballad In My Bed influenzata da sonorità country, genere al quale Elvis dedicò un album nei primi anni 70, e Miss Candy che riporta invece alle atmosfere di Blue Hawaii.

Quello di Horus Black è uno dei dischi di esordio più interessanti di quest'anno, che mette in mostra un interprete dalla voce assolutamente atipica sfruttata al meglio dai suoi autori che hanno saputo costruire un tessuto musicale nato dall'unione di tradizione e modernità. L'esperimento è riuscito in pieno e Simply è un album divertente e che si ascolta con piacere, perché offre un tuffo nel passato con così tanti stili diversi che sembra incredibile sia stato realizzato dallo stesso gruppo di persone. Questo album è sicuramente frutto del lavoro di musicisti tra i migliori del pianeta e porta una bella ventata di aria fresca nel panorama musicale del nostro paese, un po' troppo simile a sé stesso da almeno vent'anni.