martedì 25 gennaio 2022

Chi è la vocalist di Man in the Rain di Mike Oldfield?


Nel 1998 il compositore britannico Mike Oldfield pubblicò il terzo volume della serie Tubular Bells che conteneva tra le altre tracce il brano Man in the Rain, basato in modo molto evidente su Moonlight Shadow di cui è quasi un'autocover. Purtroppo su chi sia la vocalist che dà la voce al brano permane da allora molta confusione, i nomi che vengono proposti sono due: Cara Dillon e Pepsi DeMacque, ma le due vengono spesso scambiate.

Come si può facilmente riscontrare dal booklet dell'album, la vocalist che ha inciso la traccia in studio è l'irlandese Cara Dillon il cui nome compare come Cara from Polar Star in quanto al tempo la cantante faceva parte del duo Polar Star insieme a Sam Lakeman. Tuttavia la cantante non fu disponibile per le esibizioni dal vivo e venne sostituita da Helen "Pepsi" DeMacque, al tempo nota per aver fatto parte del duo Pepsi & Shirlie e per essere stata una corista degli Wham. Pepsi interpretò Man in the Rain al concerto di presentazione dell'album al Horse Guards Parade di Londra il 4 settembre del 98, nella tournée Then & Now svoltasi tra giungo e luglio del 1999 e al concerto The Art in Heaven Concert che si è tenuto nella notte tra il 31 dicembre 1999 e l'1 gennaio 2000 a Berlino.

In questo periodo, compreso tra la fine del 1998 e il 2000, Oldfield fu invitato dalla televisione tedesca al Golden Europe Award del 1999, dove fu insignito del premio Lifetime Award International, a interpretare Man in the Rain con Pepsi DeMacque, ma l'esibizione fu in playback e Pepsi fece quindi lip-sync sul cantato di Cara Dillon registrato in studio. Essendo questo il video più celebre del brano, di cui non esiste un videoclip ufficiale, ed essendo la canzone esattamente uguale a come suona dal disco, molti sono stati negli anni portati a pensare che la voce registrata in studio sia quella di Pepsi DeMacque. In ogni caso basta ascoltare una delle esibizioni dal vivo di Pepsi, che nel sopracitato concerto di Londra cantò anche Moonlight Shadow, per verificare che le due vocalist hanno voci completamente diverse: acuta e cristallina quella di Cara, potente e profonda quella di Pepsi.

Ad aumentare la confusione su chi sia l'interprete di Man in the Rain, talvolta viene riportato un terzo nome: quello di Heather Burnett. Anche in questo caso però il booklet chiarisce quale fu il ruolo di Heather perché il suo nome compare come additional vocals, cioè fece da corista a Cara Dillon.


Nel periodo della collaborazione tra Pepsi DeMacque e Mike Oldfield, la cantante partecipò anche alla realizzazione dell'album The Millennium Bell prestando la voce a tre tracce.

L'equivoco è stato quindi causato da una registrazione in playback, oggi molti ancora riportano il nome di Pepsi DeMacque come quello della voce solista di Man in the Rain, ma si tratta di un evidente errore: l'unica ad averla registrata in studio fu Cara Dillon.

martedì 18 gennaio 2022

James Taylor Quartet - Wait a Minute



Il James Taylor Quartet è una delle realtà di spicco dell'acid jazz degli anni 90; il gruppo esordì nel 1987 con Mission Impossible (album composto di cover di colonne sonore tra cui il celebre motivo omonimo di Lalo Schifrin) a cui seguì The Money Spyder nello stesso anno. Il terzo album del gruppo resta ad oggi la loro più celebre incisione ed uscì nel 1988 con il titolo Wait a Minute. Il disco è composto da dodici tracce, che salgono a tredici nell'edizione in CD, e che fanno esattamente ciò che ci si aspetta da una composizione del genere con un acid jazz ricco di innesti funk jazz guidato dall'organo Hammond suonato dal leader del quartetto James Taylor.

Tutte le tracce del disco suonano divertenti e di rapida presa, regalando così all'ascoltatore un disco di jazz di facile ascolto. Tra le dodici tracce ci sono otto composizioni inedite, tra cui la title track che è l'unica a contenere una linea vocale, e quattro cover quali una rivisitazione del tema di Starsky & Hutch, Jungle Strut di Gene Ammons (resa celebre anche da una cover dei Santana), il tema di Lulu di Johnny Harris e The Natural Thing di Jack McDuff. Nella versione in CD troviamo anche la cover di I Say a Little Prayer di Burt Bacharach interpretata negli anni da dive quali Dionne Warwick, Aretha Franklin e Diana King. Tra i brani più divertenti del disco troviamo, oltre alla già citata title track, anche gli echi caraibici di Indian Summer (da non confondere con l'omonima canzone dei Doors) e le suggestioni sudamericane di Baion-Ara.

Il James Taylor Quartet proseguì dopo Wait a Minute con il jazz strumentale per un solo disco, per poi cambiare radicalmente strada negli anni 90 passando a una mescolanza di soul e funk cantato e da allora l'attività della band non si è mai arrestata e oggi ha all'attivo più di trenta album, di cui alcuni firmati con lo pseudonimo di New Jersey Kings, l'ultimo dei quali intitolato Baker's Walk è uscito nel 2021. La discografia del combo guidato da James Taylor, originario di Rochester nel Kent, è costellata di successi e collaborazioni sia in studio sia dal vivo tra le quali Wait a Minute occupa un posto di rilievo e può essere un buon punto di partenza per scoprire questo straordinario gruppo e anche un facile primo ascolto per chi vuole entrare nel magico mondo della musica jazz.

lunedì 10 gennaio 2022

Rap: Una storia, due Americhe di Cesare Alemanni

Nel 2019 lo scrittore Cesare Alemanni ha pubblicato il volume Rap: Una storia, due Americhe che, come dice il titolo stesso, narra la storia della musica rap ponendo in parallelo ad essa le contraddizioni sociali degli Statu Uniti, in cui uno dei movimenti culturali più importanti del ventesimo secolo è nato in un contesto di povertà e criminalità lontanissimo dagli sfavillanti ambienti della finanza e del capitalismo che hanno fatto grande l'America. Il libro di Alemanni parte della nascita del rap nei ghetti di uptown New York negli anni 70 ed arriva fino ai giorni nostri con i più recenti casi di Drake o del movimento del sud degli Stati Uniti che ha trovato il proprio epicentro ad Atlanta, ed è particolarmente efficace per almeno due motivi.

Anzitutto l'autore spende gran parte del suo scritto nello spiegare il contesto sociale in cui le varie fasi del rap si sono sviluppate, passando quindi dai movimenti del black power alle rivolte di Los Angeles fino all'impoverimento di Detroit a causa dello spostamento della manodopera dell'industria automobilistica. Più avanti nel volume troviamo anche l'impatto che eventi più recenti, come l'11 settembre e le presidenze Obama e Trump abbiano avuto sulla musica hip hop.

In secondo luogo Alemanni non edulcora mai la propria narrazione mettendo in evidenza le contraddizioni e la superficialità di certe frange del rap che si ispirano a modelli comportamentali violenti, al contempo non si lascia andare a facili giudizi spiegando sempre quale sia il background di tali scelte. L'analisi dell'autore è molto lucida e distaccata anche nell'analizzare le azioni degli ultimi due presidenti, sottolineando l'incauto ottimismo di Obama, che invitava i genitori afroamericani a dare il buon esempio ai figli quando molti degli adolescenti afroamericani non avevano uno o entrambi i genitori, o l'inadeguatezza di Trump che Alemanni non esita a definire parafasciscta.

Trovare difetti a questo libro è veramente difficile perché funziona sotto praticamente tutti i punti di vista, dando un buon quadro di insieme su un tema sfaccettato e complesso come quello della musica rap e costituisce proprio per questo un ottimo prodotto come in italiano se ne vedono pochi.