lunedì 29 gennaio 2018

Depeche Mode Global Spirit Tour - Assago, 27/1/2018

Questo articolo è stato scritto dal nostro guest blogger Tino che ringraziamo per il prezioso contributo.

Wikipedia li etichetta come synth pop, genere del quale i Depeche Mode sono stati gli iniziatori; partendo dal sud dell'Inghilterra negli anni 80 e conquistando letteralmente il mondo con numeri da capogiro. 100 milioni di dischi venduti, carriera quasi quarantennale, hanno influenzato moltissimo la scena musicale, innumerevoli cover, e sopratutto palazzetti e stadi stracolmi ogni volta che mettono il becco fuori casa.

Il Global Spirit Tour, che accompagna l'omonimo studio album nel 2017, prevedeva due date a Milano i cui biglietti sono letteralmente volati via. Un Mediolanum Forum così pieno non l'ho mai visto, tutti pronti ad ammirare, inizialmente, la strepitosa scenografia fatta da uno schermo gigante usato durante il concerto per proiettare veri e propri cortometraggi ad accompagnamento dei 20 pezzi di una scaletta piena di pietre miliari della carriera della band inglese.

Revolution dei Beatles mandata on air prepara il pubblico all'ingresso di Dave, Martin e Andrew che attaccano con Going Backwards, tratta dall'ultimo album. Seguono It's No Good e Barrel of a Gun, primi pezzi tratti dall'album Ultra del 1997, dal quale verranno tratti molti pezzi di questo concerto. Prima bomba della serata è Precious, tratta da Playing the Angel del 2005, seguono pezzi tratti da altri album come Violator (World in my Eyes) e Songs of Faith and Devotion (In Your Room) prima di tornare su Where's The Revolution tratta sempre dal recente Spirit.

Everything Counts e Stripped preparano la folla al cambio di marcia del concerto con l'immortale Enjoy the Silence. "All I ever wanted all I ever needed is here in my arms", questo ritornello lo conoscono anche i muri e la folla milanese l'ha cantata a squarciagola; vanta innumerevoli reinterpretazioni come ad esempio quella dei Lacuna Coil, ma l'originale è immensamente meglio. Never Let Me Down Again precede la piccola pausa e, subito dopo Martin prende il microfono e canta una bellissima versione acustica di Strangelove.

Altra pietra miliare Walking In My Shoes, insieme alla più movimentata A Question of Time precedono il grandissimo finale con Personal Jesus, altro pezzo eterno che vanta un numero elevatissimo di reinterpretazioni, inclusa quella di Marilyn Manson.

Le due ore di concerto sono state visivamente spettacolari, il pubblico numerosissimo e partecipe, la scaletta è stata eccezionale, la band inceppibile e la voce di Dave semplicemente perfetta.

Per chi si fosse incuriosito i Depeche Mode suoneranno ancora in Italia tra non molto, a luglio a Barolo (CN)

Piccola riflessione personale, era da un po' che ci pensavo e ora vorrei condividerla. Tempo fa un amico mi disse, scherzando, 'ma ti capita di andare anche a vedere band di gente che ha meno di 50 anni?' La mia risposta è ovviamente sì, ma quello che mi chiedevo è perché queste band di 'vecchietti', dopo così tanto tempo riempiono ancora gli stadi, i palazzetti, le piazze?

Forse perchè oggi, tra social, YouTube e talent show vari basta un motivetto orecchiabile, un Despacito o un Andiamo a Comandare qualsiasi può facilmente rubare la scena musicale (commerciale, ovvio); ma tanto veloce la ruba, tanto veloce la scena viene rubata dal tormentone successivo.

Non sto dicendo che i dischi che escono ora fanno schifo, anzi; però forse 20 o 30 anni fa senza tutti questi mezzi di comunicazione, solamente quelli bravi, ma davvero bravi, riuscivano a emergere. E solo quelli ancora migliori riuscivano a sopravvivere con le vendite dei dischi visto che prima Spotify non c'era. Rimango dell'idea che i Depeche Mode, insieme a molte altre band del passato, continueranno a occupare le nostre playlist, sicuramente per molti anni a venire.

Nel caso vi avessi annoiato con questa divagazione scusate, ma se non l'avessi scritta ora l'avreste letta nella recensione del concerto dei Metallica tra due settimane.

lunedì 22 gennaio 2018

Northern Kings: il supergruppo dei re finlandesi

Nel 2007 quattro tra le migliori voci maschili del panorama symphonic metal finlandese hanno formato un supergruppo vocale per reinterpretare alcuni classici dei decenni passati. Il quartetto porta il nome di Northern Kings ed è composto da Jarkko Ahola (cantante tra gli altri dei Teräsbetoni e degli Ahola), Marco Hietala (Nightwish), Tony Kakko (Sonata Arctica) e Juha-Pekka Leppäluoto (Charon e Harmaja).

Il primo album dei Northern Kings si intitola Reborn ed è composto da cover di pezzi rock anni 80 (con la sola aggiunta di Creep dei Radiohead che appartiene al decennio successivo) reinterpretati in chiave symphonic metal; lo scopo principale di queste revisioni è mettere in luce le notevoli capacità canore dei quattro interpreti, con Leppäluoto, unico basso della formazione, ad eseguire le voci più basse mentre i tre tenori eseguono quelle più alte ognuno nel proprio stile distintivo. Ogni pezzo è cantato principalmente da uno dei quattro, con gli altri tre che eseguono i cori. In questo primo album fa eccezione solo la cover di We Don't Need Another Hero di Tina Turner che è invece cantata da tutti e quattro; il brano è aperto con le sonorità basse di Leppäluoto a cui si aggiungono gli altri tre, di particolare effetto è il duetto tra lo stesso Leppäluoto e Kakko nella seconda strofa con il secondo a fare la voce alta e il primo quella inferiore.

I pezzi vengono spesso reinterpretati cambiandone la melodia o la natura stessa. La linea vocale del ritornello della già citata We Don't Need Another Hero è infatti diversa da quella originale. Rebel Yell di Billy Idol, qui cantata da Leppäluoto, diventa una lunga ballata gotica di quasi otto minuti; I Just Died in Your Arms dei Cuttin Crew qui interpretata da Jarkko Ahola è trasformata invece in una power ballad. In The Air Tonight di Phil Collins, eseguita dalla ruggente voce di Hietala, rispecchia la struttura della versione originale con la prima metà più lenta della seconda, ma in questa occasione l'ultimo ritornello è molto più graffiante di come interpretato dall'ex batterista dei Genesis.

Anche Hello di Lionel Ritchie, in origine un melodico brano soul, diventa qui veloce e aggressivo guidato dalla forte voce di Ahola con un bellissimo coro degli altri vocalist in sottofondo. Fallen on Hard Times dei Jethro Tull, interpretata da Hietala, trasforma un folk progressivo un pezzo di potente metal, il rock elettronico di Don't Bring Me Down degli Electric Light Orchestra qui cantato da Ahola viene riletto in una versione particolarmente veloce che rasenta lo speed metal; mentre altri brani come Sledgehammer di Peter Gabriel (affidata alla voce di Tony Kakko) e Don't Stop Believing dei Journey (cantata da Hietala) si mantengono più simili alle melodie originali.

Inoltre la Special Edition di Reborn include anche la versione orchestrale di We Don't Need Another Hero, in cui le voci dei quattro spiccano ancora di più, e un remix più cupo di Creep.

L'anno seguente i Northern Kings hanno realizzato il loro secondo, e fino a ora ultimo, album intitolato Rethroned. L'album ripropone la formula del precedente, con una serie di brani presi principalmente dagli anni 80 reinterpretati in stile symphonic metal, ma a differenza del primo album in Retrhoned sono cinque i pezzi cantanti dai quattro vocalist insieme. Tra questi troviamo Kiss From a Rose di Seal che qui diventa un pezzo veloce e grintoso, A View to Kill dei Duran Duran, Take On Me degli A-Ha e Killer di Adamski che da sommesso brano trip hop diventa molto energico, con i quattro cantanti che tirano fuori una potenza vocale nel ritornello che sarebbe inaspettata conoscendo il pezzo originale.

Tra i brani migliori di questo secondo disco troviamo Nothing Compares 2 U cantata da Jarkko Ahola che rielabora il pezzo di Prince (anche se qui siamo sicuramente più vicini alla versione di Sinead O'Connor) in una power ballad in cui di nuovo sfodera la sua potenza vocale modificando anche la linea vocale in modo da adeguarla alle sue caratteristiche. Lo stesso Ahola interpreta anche My Way in uno stile magistrale dando di nuovo sfoggio delle sue straordinarie doti vocali e trasformando il pezzo in uno ruvido e graffiante ricco di riff di chitarra.

Il quartetto chiude l'edizione standard del disco con Róisín Dubh (Black Rose): A Rock Legend dei Thin Lizzy, ovvero un medley di quattro brani folk americani e britannici realizzando così il pezzo più melodico e raccolto dell'album dalla notevole durata di oltre sette minuti.

L'edizione giapponese dell'album contiene anche la cover di They Don't Care About Us di Micheal Jackson cantato dall'intero quartetto, lo stesso pezzo è disponibile in versione orchestrale solo sull'edizione dell'album venduta su iTunes.

Oltre ai due album, i Northern Kings realizzarono un solo singolo nel 2010 con una cover di Lapponia di Monica Aspelund, brano con cui la Finlandia partecipò all'Eurovision Song Contest del 1977. Il pezzo è ovviamente cantato da tutti e quattro e mantenendo fede al brano originale ha un approccio molto più allegro e leggero di quanto registrato dai quattro nei loro due album.

Purtroppo la sperimentazione dei Northern Kings è durata molto poco ed è difficile che dopo otto anni di inattività il gruppo si possa riunire. Queste incisioni di facile ascolto, trattandosi di cover, possono però aiutare anche i non appassionati a conoscere questi quattro straordinari vocalist e le loro band che producono dell'ottimo metal sinfonico che pone molta cura alla qualità delle parti vocali.

lunedì 15 gennaio 2018

La discografia di Otis Redding (prima parte 1964 - 1965)

La carriera musicale di Otis Redding fu molto breve poiché il leggendario cantante incontrò la morte a soli 26 anni, tuttavia le sue pubblicazioni realizzate durante la sua vita e quelle postume lo posizionano a pieno titolo tra i musicisti più influenti della musica soul, e non solo, di ogni tempo.

Il primo album di Redding uscì nel 1964 con il titolo Pain in My Heart e com'era abbastanza consueto al tempo è una raccolta di singoli più che un vero LP registrato in apposite sessioni. Il disco è composto da quattro pezzi scritti dallo stesso Redding e da otto cover di brani soul contemporanei. Le dodici incisioni danno da subito prova delle notevoli dote canore di Otis che mostra una grande versatilità nell'uso della voce e nelle capacità di aumentare e diminuire il volume nello stesso verso cantato, le basi musicali ovviamente offrono molto spazio ai fiati con un'ampia sezione fatta di trombe e sassofoni. I brani spaziano dai lenti più classici a pezzi più veloci ed incalzanti. Tra i brani melodici spiccano la title track, la cover di Stand By Me di Ben King e quella di You Send Me di Sam Cooke. Tra i migliori pezzi veloci troviamo la cover di Louie Louie di Richard Berry e quella di Lucille di Little Richard con cui Otis Redding fa una potente incursione nel rock and roll.

Rispetto ai 45 giri incisi da Redding, restarono fuori dal primo album i rapidi rock and roll Getting Hip e Shout Bamalama, cioè proprio i primi due singoli incisi rispettivamente nel 1960 e nel 1961. Sempre nel 1964 Otis Redding registrò un altro singolo che non finì incluso in nessun album, il pezzo di intitola Things Go Better With Coke e come dice il titolo stesso fu realizzato per una pubblicità della Coca Cola.

Il secondo album di Redding è stato pubblicato nel marzo del 1965 con il titolo The Great Otis Redding Sings Soul Ballads. Anche in questo caso il disco è una raccolta di singoli, di cui quattro di Redding e otto cover, e come suggerisce il titolo stesso presenta una prevalenza di brani lenti. Tra i dodici brani ne troviamo infatti solo due veloci, la cover di Home in Your Heart originariamente incisa da Solomon Burke, e Mr Pitiful scritta dallo steso Redding. Per il resto il disco si assesta sulle stesse sonorità dell'album precedente, proponendo un soul di grande atmosfera con la voce di Redding a coprire il ruolo principale accompagnata dalle basi che questa volta lasciano più spazio al pianoforte. Tra le ballad migliori troviamo la cover di Nothing Can Change This Love di Sam Cooke e For Your Precious Love di Jerry Butler and The Impressions, ma in realtà come nel caso del primo album il disco è stupendo nella sua interezza essendo fatto solo di classici del soul interpretati da uno dei suoi maggiori esponenti.

Il terzo album di Otis Redding uscì nel settembre dello stesso anno del secondo con il titolo Otis Blue/Otis Redding Sings Soul. Questo terzo LP riesce nella difficile impresa di assestarsi qualitativamente sopra ai due precedenti. A dispetto del titolo, le undici tracce spaziano oltre il soul toccando generi diversi. Otis Redding sconfina di nuovo nel rock and roll con la cover di Satisfaction dei Rolling Stones, in cui il riff iniziale è eseguito dalla tromba e non dalla chitarra; curiosamente in seguito Keith Richards dichiarò che nelle sue intenzioni il pezzo avrebbe proprio dovuto aprirsi con una tromba e che la versione di Redding è più aderente al progetto iniziale. Nell'album Redding sconfina anche nel blues con Rock Me Baby di B.B. King. In questo disco troviamo anche due pezzi scritti da Redding che negli anni vanteranno numerose cover diventando di fatto degli standard soul, come Respect (la cui più celebre interpretazione sarà quella di Aretha Franklin) e I've Been Loving You Too Long. Anche in questo disco troviamo due cover di Sam Cooke, la celeberrima Wonderful World e l'allegra Shake. Tra i brani migliori spicca anche My Girl dei Temptations (scritta per loro da Smokey Robinson).

Oltre a questi tre, Otis Redding pubblicò in vita altri tre album di cui uno in coppia con la regina del soul Carla Thomas. Purtroppo la sua carriera terminò troppo presto, ma nonostante ciò la musica odierna di ogni genere non sarebbe la stessa senza di lui.

martedì 9 gennaio 2018

Strane somiglianze: Ivan Graziani vs Phil Collins

Intorno alla fine degli anni 80 si diffuse nel nostro paese la leggenda metropolitana secondo cui il brano A Groovy Kind of Love di Phil Collins, tratto dalla colonna sonora del film Buster del 1988 interpretato dallo stesso Collins, fosse un plagio di Agnese di Ivan Graziani tratta dall'album Agnese Dolce Agnese del 1979. La melodia dei due brani è effettivamente molto simile e ovviamente avrebbe fatto molto scalpore che il leggendario ex batterista dei Genesis avesse copiato un cantautore italiano che per quanto bravo era ed è praticamente sconosciuto al di fuori dei confini nazionali.

Tuttavia sarebbe bastata una minima ricerca (anche se, lo ammettiamo, nel 1988 era un po' più difficile) per verificare che il pezzo di Phil Collins è una cover. L'originale è fu scritta da Toni Wine e da Carole Bayer Sager e fu incisa per la prima volta nel 1965 dal duo Diane & Annita e nello stesso anno anche dai Mindbenders, uno dei gruppi più influenti della british invasion, per il loro album eponimo. Tra l'altro nel 1967 fu realizzata anche una cover italiana di A Groovy Kind of Love dai Camaleonti che la intitolarono Non c'è Più Nessuno e la inserirono nell'album Portami Tante Rose. Basta questa considerazione a rovesciare il quesito iniziale: perché alla luce di questo fatto potremmo arrivare alla conclusione che fu Graziani ad aver copiato la versione originale di A Groovy Kind of Love.

In realtà nessuno dei due ha copiato l'altro: più banalmente entrambi gli autori si sono ispirati a un brano classico. La melodia di entrambi i pezzi è infatti basata sul Rondò della Sonatina in Sol Maggiore, op. 36 no. 5 di Muzio Clementi, musicista italiano vissuto tra il 1752 e il 1832. Ovviamente i diritti d'autore sul brano di Clementi erano già scaduti al tempo di A Groovy Kind of Love e quindi nessun plagio, ma solo un uso proprio di un brano di pubblico dominio.

Collins non ha plagiato Graziani quindi, e nemmeno Graziani ha plagiato nessuno. Nonostante le smentite che negli anni non sono mancate, purtroppo questa leggenda è ancora ben radicata nella cultura popolare italiana, come confermato dal giornale La Spezia Oggi che nel 2015 scriveva ancora parlando di Graziani [...] fa uscire un altro lavoro notevole, “Agnese Dolce Agnese” dove troviamo appunto il brano “Agnese”, saccheggiato da Phil Collins con un plagio clamoroso nella versione “A groovy kind of love”.

Purtroppo certe leggende sono dure a morire, ma prima di infangare qualcuno sarebbe meglio fare una minima ricerca.