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lunedì 13 dicembre 2021

Storia di Happy Xmas (War Is Over) di John Lennon e Yoko Ono


Happy Xmas (War Is Over) è una delle canzoni più note e riconoscibili della tradizione natalizia degli ultimi decenni. Nonostante sia celebre, iconica ed entrata di diritto nei classici del Natale, si tratta di un pezzo piuttosto recente, scritto e inciso da John Lennon con la moglie Yoko Ono nel 1971.

Happy Xmas arrivò al culmine di due anni di attivismo pacifista della coppia rivolto in particolare alla guerra in Vietnam e iniziato nel primi mesi del 1969 con i bed-in per la pace di Amsterdam e Montreal e proseguito con l'acquisto di spazi pubblicitari in dodici città del mondo per l'esposizione del cartello che recava la scritta WAR IS OVER! If You Want It – Happy Christmas from John & Yoko, frase che verrà poi ripresa proprio in Happy Xmas. Prima di allora altre due celebri canzoni pacifiste avevano usato il verso the war is over: la canzone intitolata proprio The War is Over di Phil Ochs e The Unknown Soldier dei Doors, entrambe del 1968. Non è noto se Lennon abbia preso spunto da queste due incisioni precedenti alla sua, si tratta in ogni caso di una frase molto semplice e ovvia.

Pochi mesi prima nello stesso anno, Lennon aveva pubblicato Imagine e, intenzionato a replicarne il successo commerciale, decise di riproporne l'esperimento, realizzando un altro pezzo che condiva il proprio messaggio politico con una melodia accattivante e che desse un messaggio positivo anziché uno negativo, arricchendo il tutto con le atmosfere natalizie. Nelle prime settimane di ottobre del 1971 Lennon registrò due demo con solo chitarra e voce: la prima nella stanza del St. Regis Hotel dove alloggiava con Yoko Ono, e la seconda nell'appartamento di Greewich Village nel quale nel frattempo si erano trasferiti. La melodia del brano e la struttura melodica non erano creazioni inedite, ma erano tratte dalla ballata inglese Skeball del diciottesimo secolo nella recente interpretazione di Peter, Paul and Mary del 1963.

Lennon propose quindi il pezzo al produttore Phil Spector che aggiunse spunti presi da altri pezzi da lui prodotti: il verso iniziale So this is Christmas fu preso dall'intro di I Love How You Love Me delle Paris Sisters e i riff di chitarra da Try Some, Buy Some della moglie del produttore Ronnie Spector, alla cui produzione aveva partecipato anche George Harrison. Happy Xmas fu registrato nello studio Record Plant di New York a partire dal 28 ottobre del '71 e fu pronto in una sera, con la sola esclusione della parte corale dell'Harlem Community Choir, gruppo vocale di bambini tra i quattro e i dodici anni, che aggiunse i propri cori il 31 ottobre. Nelle stesse sessioni venne registrato anche il B-Side Listen, the Snow Is Falling, cantato dalla sola Yoko Ono.

Il 45 giri fu pubblicato l'1 dicembre del 1971, in ritardo per l'airplay natalizio e infatti si dovette aspettare la ristampa del 1972 affinché scalasse le classifiche e diventasse il singolo natalizio che oggi conosciamo e che vanta innumerevoli cover e reinterpretazioni.

Happy Xmas fu il primo, ma non l'unico, singolo natalizio pubblicato dai quattro ex Beatles; fu infatti seguito da Ding Dong, Ding Dong di George Harrison nel 1974, Wonderful Christmastime di Paul McCartney del 1979 e due decenni dopo, nel 1999, da I Wanna Be Santa Claus di Ringo Starr. Tuttavia nessuno di questi raggiunse la notorietà del pezzo di Lennon che a distanza di cinque decenni può essere considerato a pieno titolo un classico moderno del Natale.


Fonti:
  • 33 Revolutions per Minute: A History of Protest Songs, from Billie Holiday to Green Day, di Dorian Lynskey
  • Lennon Lives Forever, di Mikal Gilmore
  • Come together: John Lennon in his time, di Jon Wiener
  • The Beatles Diary Volume 2: After The Break-Up 1970-2001, di Keith Badman

mercoledì 27 gennaio 2021

The Undisputhed Truth - The Undisputed Truth

Nel 1970 il produttore dei Temptations Norman Whitfield assemblò un altro gruppo vocale con il quale sperimentare nuove commistioni e sonorità senza esporsi alla critica di pubblico e stampa che riteneva che il produttore stesse daneggiando il proprio gruppo principale distorcendone la natura a proprio piacimento. Il gruppo che prese vita da questa decisione furono gli Undispited Truth, composti da Joe "Pep" Harris, Billie Rae Calvin e Brenda Joyce Evans

L'album di esordio del gruppo porta lo stesso nome della band e fu pubblicato nel 1971. Il disco è composto da undici tracce che offrono quarantaquattro minuti di black music molto varia e di facile presa. Nel disco si trovano tutti gli stilemi delle sonorità della Motown: passando dall'R&B classico, al soul, al funk, alla psichedelia e anche qualche tocco di rock. L'unico brano inedito del disco è il divertente pezzo di apertura You Got The Love I Need, ai confini tra R&B e disco. Delle restanti tracce, quattro (Save My Love For A Rainy Day, Ball of Confusion, Smiling Faces Sometimes e Since I've Lost You) furono incise in quegli anni anche dai Temptations, sia nelle loro incisioni più vicine al Motown sound sia a quelle psichedeliche coeve di questo album. Tra le altre troviamo anche alcuni classici degli anni 60 come Aquarius, dal musical Hair, Ain't No Sun Since You've Been Gone, I Heard It Through the Grapevine, Like a Rolling Stone di Bob Dylan, California Soul, incisa in precedenza dai 5th Dimension e da Marvin Gaye e Tammi Terrell, e We've Got a Way Out Love degli Originals.

Lo schema base delle canzoni è che Harris esegue la voce principale, con gli altri due vocalist impegnati in controcanti e doppie voci (ci sono comunque un paio di eccezioni, ad esempio in Aquarius la voce principale è quella di Brenda). Alcune delle cover sono eseguite mantenendo la stessa atmosfera dei pezzi originali, mentre altre sono completamente riviste, come Like a Rolling Stone in cui la polifonia vocale trasforma il pezzo originale in uno completamente diverso. Lo stesso vale per Ball of Confusion il cui arrangiamento è completamente diverso da quello dei Temptations e per I Heard It Through the Grapevine, notevolmente accelerata e arricchita di cori e controcanti. Non mancano le ballad classiche, nello stile originale della Motown, come Ain't No Sun Since You've Been Gone e We've Got a Way Out Love.

Gli Undispited Truth danno quindi prova già da loro primo album di essere un prodotto solido, capace di reinterpretare pezzi noti in chiavi diverse. Purtroppo la vita del gruppo vide molte vicissitudini; dopo altri due album focalizzati principalmente sulla revisione di cover contemporanee, il gruppo si divise e Harris venne affiancato da nuovi vocalist. L'anno seguente gli Undisputed Truth lasciarono la Motown per la Whitfield e in breve tempo sparirono dalle scene. E' un vero peccato che la loro fama sia così limitata, perché anche se non godono del blasone dei gruppi più noti della Motown hanno comunque confezionato una buona quantità di dischi di alto livello, che meritano di essere conosciuti e ascoltati.

lunedì 3 giugno 2019

B.B. King - In London

Seguendo l'esempio della Chess Records, che nei primi anni 70 per quattro volte realizzò album unendo la musica del blues di Chigago a quella della swinging London, anche la ABC Records tentò la stessa strada registrando un album nel vecchio continente per il loro bluesman più importante, nonché uno dei più famosi al mondo quale il leggendario B.B. King.

L'album che nacque da questa sperimentazione si intitola In London ed è stato pubblicato nell'autunno del 1971. Il disco è composto da nove tracce a cui B.B. King presta la voce e la chitarra; oltre a B.B. la formazione dell'album vede nomi di spicco della scena inglese tra cui Ringo Starr (che lo stesso anno partecipò anche a The London Sessions di Howlin' Wolf), Alexis Korner, Steve Winwood e Greg Ridley, Steve Marriott e Jerry Shirley degli Humble Pie.

Il disco contiene cinque cover di brani classici tratti dal repertorio storico della black music americana reinterpretati nello stile del white blues di Londra oltre a quattro inediti scritti per l'occasione da alcuni dei musicisti coinvolti nelle sessioni di registrazione. La traccia di apertura è la cover di Caldonia di Louis Jordan, originariamente pubblicata nel 1945, di cui mantiene lo stile del jump blues condendolo con sonorità più moderne. Nel disco è presente una seconda cover di Louis Jordan dello stesso anno, ovvero la ballad We Can't Agree. Le seconda traccia dell'album è la cover di Blue Shadows di Lowell Fulson del 1950 che B.B. King accelera notevolmente e canta con uno stile più vicino al rock and roll allontanandosi dalla atmosfere jazz del pezzo originale. Nel disco è presente anche una cover di Part Time Lover di Clay Hammond del 1963 e anche in questo caso King stravolge il pezzo donando una grinta e una velocità del tutto assenti nella ballad soul originale. L'ultima cover è la traccia di chiusura Ain't Nobody Home di Howard Tate del 1966 di cui King mantiene le atmosfere R&B a cui aggiunge suoni più patinati e un tocco di gospel grazie al coro sul ritornello.

Il primo dei quattro inediti è la ballad Ghetto Woman, che come suggerisce il titolo stesso è il pezzo dell'intero disco che più attinge dal blues d'oltreoceano. Tra i pezzi nuovi troviamo anche la strumentale Alexis Boogie scritta dal chitarrista Alexis Korner che vede una massiccia presenza dell'armonica suonata da Steve Marriott, la veloce ed energica Power of Blues in cui B.B King dà sfoggio più che altrove della sua potenza vocale e la strumentale Wet Hayshark.

Nonostante In London non sia tra i dischi più celebri di B.B. King è sicuramente uno dei migliori della sua discografia grazie alla sua capacità di mischiare i classici a uno stile più moderno e di interpretare pezzi scritti appositamente per lui da alcuni dei migliori musicisti europei del tempo. In London merita sicuramente di essere riscoperto, perché tutte le tracce sono di altissimo livello, alternano stili musicali molto diversi tra loro e mostrano come un grande musicista come B.B. King si sia adattato a situazioni diverse con grande disinvoltura.

giovedì 19 luglio 2018

Il Metallian dei Judas Priest e il Tarkus di Emerson, Lake & Palmer

Gli album dei Judas Priest non sono noti solo per la qualità della musica che da quattro decadi fa di loro una delle band più influenti della storia del metal, ma anche per le copertine sfarzose e dai soggetti sempre notevoli. La più particolare delle copertine della band capitanata da Rob Halford è quella di Defenders of The Faith del 1984 che mostra uno strano essere con la testa da tigre, corna da ariete e con il corpo di un carro armato.

Il disegno è opera dell'artista grafico Doug Johnson (che aveva anche realizzato la copertina dell'album precedente Screaming for Vengeance del 1982) e il soggetto disegnato si chiama Metallian. Come riportato dal sito The X Quorum l'idea iniziale fu della band che ne chiese la realizzazione a Johnson visto l'ottimo esito della copertina precedente. Il Metallian vorrebbe rappresentare il difensore della fede, a cui si riferisce il titolo dell'album, in chiave heavy metal.

Il retro di copertina sottolinea il concetto, riportando la scritta:

Rising from darkness where Hell hath no mercy and the screams for vengeance echo on forever. Only those who keep the faith shall escape the wrath of the Metallian... Master of all metal

Curiosamente quella dei Judas Priest non è la prima copertina di un album a ritrarre un soggetto a metà tra un animale e una macchina da guerra. L'album Tarkus di Emerson, Lake & Palmer del 1971, infatti, mostra in copertina l'essere omonimo: un incrocio tra un armadillo gigante e un carro armato. L'autore dell'opera è William Neal (che realizzò anche la copertina dell'album seguente Pictures at an Exhibition dello stesso anno) che nel suo libro Watching Paint Dry del 2011 spiega che la scelta dell'armadillo è dovuta all'assonanza del nome dell'animale con la parola armour (armatura) e che il nome nasce dalla crasi di tartarus e carcass. Il termine tartaro (tartarus) è qui usato nel suo significato mitologico di luogo tenebroso e spaventoso, la parola fu tratta dal quarto versetto del secondo capitolo della Seconda Lettera di Pietro del Nuovo Testamento che in alcune traduzioni in inglese (come la Holman Christian Standard Bible) riporta proprio la parola tartarus (la traduzione della CEI traduce invece con abissi tenebrosi dell'inferno) Il Tarkus, il cui nome è scritto con le ossa di un animale il cui scheletro è appena dietro alla scritta, è quindi il simbolo dell'umanità sempre impegnata in guerre che ne causano l'autodistruzione.

L'interno della copertina di Tarkus narra la storia del mostro a partire dalla sua nascita da un uovo eruttato da un vulcano. Tarkus incontra quindi delle figure mostruose con cui combatte, fino all'ultimo scontro con una manticora che lo metterà in fuga.


I Judas Priest ed Emerson, Lake & Palmer hanno ovviamente ben poche somiglianze dal punto di vista musicale, ma stranamente questi due album appartenenti a generi e decenni diversi hanno in comune delle copertine nate da idee simili che sono delle vere opere d'arte tanto belle quanto la musica contenuta nei rispettivi dischi.

martedì 5 settembre 2017

Muddy Waters - The London Muddy Waters Sessions

Nei primi anni 70 molti artisti afroamericani si spostarono a Londra per registrare delle sessioni musicali che unissero il suono originario del blues d'oltreoceano con il rock e il blues "bianco" che il Regno Unito aveva iniziato a produrre. Uno di questi fu il leggendario bluesman Muddy Waters che nel 1971 realizzò l'album intitolato The London Muddy Waters Sessions presso gli storici IBC Studios di Portland Place.

L'album vede la presenza di alcuni musicisti britannici di rilievo, tra cui il chitarrista irlandese (ma che lavorava a Londra) Rory Gallagher, Steve Winwood, Ric Grech (bassista dei Blind Faith) e Mitch Mitchell (batterista di Jimi Hendrix). Oltre a questi la formazione è completata da alcuni musicisti della band che seguiva Muddy Waters abitualmente, quali il chitarrista Sammy Lawhorn e l'armonicista Carey Bell.

Il disco è composto di nove pezzi, di cui due inediti di Muddy Waters e sette cover di cui quattro di Willie Dixon, una di Lafayette Leake, una di Casey Bill Weldon e lo standard Key To The Highway, che nel libretto del disco viene accreditato a McKinely Morganfield (vero nome di Muddy Waters) ma di cui i veri autori sono probabilmente Charlie Segar e Big Bill Broonzy.

Il risultato di questa collaborazione è un buon mix tra rock e blues. Il ritmo di alcuni dei brani, come I'm Ready o I Don't Know Why (entrambe cover di Willie Dixon), è notevolmente più veloce di quello degli altri album del bluesman che qui dimostra di sapersi muovere alla grande anche a queste velocità più incalzanti. Oltre alla voce di Muddy Waters il punto di forza di questo album è composto dall'ottimo connubio della chitarra di Gallagher e dell'armonica di Bell. Va sottolineato che la tastiera di Winwood lascia un'impronta piuttosto leggera, ma nel complesso il disco ha un suono armonico di grande effetto e quindi non si può recriminare nulla ai musicisti.

Nella sua avventura nel vecchio continente Muddy Waters ha confermato ciò che già si sapeva sul suo conto: cioè che non gli è mai mancato il coraggio di tentare strade nuove. Ma se alcuni dei tentativi precedenti (come una breve deriva nella musica soul e una nella psichedelia con gli album Brass and the Blues ed Electric Mud) hanno convinto solo a metà, questa volta il tentativo è riuscito alla grande e ha creato con The London Muddy Waters Sessions uno degli album più divertenti del musicista del Mississippi.

martedì 12 luglio 2016

I presunti misteri di Stairway to Heaven

La carriera dei Led Zeppelin è costellata di grandi successi dagli inizi fino alle pubblicazioni dei soli Page e Plant successive allo scioglimento del gruppo. Tra i loro innumerevoli brani di successo Stairway to Heaven occupa sicuramente un posto privilegiato perché per via della sua armonia e del suo testo onirico è al centro di numerose leggende metropolitane riguardo a presunti significati misteriosi che il pezzo nasconderebbe. Tra l'altro a dispetto del suo successo Stairway to Heaven non è mai stata stampata in singolo per la vendita ma solo in 45 giri promozionale.

Secondo una popolare leggenda infatti il brano conterrebbe strani messaggi se riprodotto al contrario. In particolare il verso If there's a bustle in your hedgerow, don't be alarmed now it's just a spring clean for the May Queen. Yes, there are two paths you can go by, but in the long run there still time to change the road you're on nasconderebbe significati satanici e se riprodotto al contrario direbbe Oh here's my sweet Satan, the one little path won't make me sad, whose power is saint... he'll give growth giving you six-six-six... a little tool shed he'll make us suffer sadly. Su alcuni siti web si trovano testi leggermente diversi e qualcuno arriva a ipotizzare che l'intera canzone possa essere ascoltata al contrario perché tutta conterrebbe un testo satanico.

In realtà nessun teorico di queste strane teorie ha mai spiegato come avrebbero potuto i Led Zeppelin registrare i versi incriminati prevedendo quale suono avrebbero avuto se riprodotti al contrario né per quale motivo avrebbe dovuto farlo quand'anche fossero aderenti a religioni oscure. Si tratta solo infatti di un caso di pareidolia acustica grazie a cui è possibile attribuire significati sinistri a qualunque brano sentendolo al contrario. Ovviamente la band ha smentito in più occasioni di aver inserito intenzionalmente messaggi misteriosi all'interno del pezzo; nella biografia non ufficiale Hammer of the Gods del giornalista Stephen Davis (disponibile anche in italiano con il titolo Il Martello degli Dei) viene riportato il parere del tecnico del suono Eddie Kramer che definisce queste teorie totally and utterly ridiculous [totalmente e completamente ridicole]. E aggiunge:

Why would they want to spend so much studio time doing something so dumb? [Perché avrebbero voluto spendere così tanto tempo in studio per fare una cosa così stupida?]

Lo stesso Page in un'intervista rilasciata nel 1983 alla rivista Musician smentì queste leggende senza nascondere un po' di rabbia; disse infatti Page:

to me it's very sad, because 'Stairway to Heaven' was written with every best intention, and as far as reversing tapes and putting messages on the end, that's not my idea of making music. [per me è molto triste, perché 'Stairway to Heavern' è stata scritta con le migliori intenzioni, e riguardo all'invertire il nastro e mettere messaggi alla fine, non è la mia idea di fare musica].

Accantonate le ridicole accuse di satanismo, i veri misteri riguardo a Stairway to Heaven sono altri: la band è stata infatti accusata di aver plagiato il brano Spirit dei Taurus nell'arpeggio di chitarra iniziale. Spirit è stata pubblicata nel 1968, tre anni prima di Stairway To Heaven, ed effettivamente l'arpeggio sembra proprio simile. In realtà non sarebbe neanche inaspettato che i Led Zeppelin prendano spunto in modo disinvolto e non autorizzato da pezzi di altri, ma in questo caso il tribunale ha stabilito invece che la somiglianza tra i due brani non è sufficiente perché si tratti di plagio e la band di Page e Plant è stata quindi prosciolta.

L'unico vero mistero su Stairway to Heaven è stato quinti risolto in tribunale, mentre per l'accusa di satanismo non c'è e non c'è mai stato alcun mistero da dipanare.

giovedì 19 maggio 2016

Come si intitola il quarto album dei Led Zeppelin?

E' difficile individuare nella discografia dei Led Zeppelin album più importanti di altri perché tutti i lavori in studio della band di Robert Plant e Jimmy Page sono pietre miliari del rock, ma tra essi ce n'è uno che stimola più degli altri la curiosità degli appassionati da oltre quattro decenni. Il quarto album della band, pubblicato l'8 novembre del 1971, infatti non ha un titolo stampato in copertina ed è comunemente noto come Led Zeppelin IV solo per continuità, perché i precedenti si chiamano appunto Led Zeppelin, Led Zeppelin II e Led Zeppelin III, ma da nessuna parte nel disco appare questo titolo.

La copertina frontale mostra infatti un quadro rurale ad olio in cui si vede un contadino piegato dal peso del fascio di legna che sta trasportando; secondo quanto riportato nel libro Led Zeppelin FAQ di George Case il quadro fu comprato da Page in un negozio di antichità a Reading, nel Berkshire, mentre si trovava in giro alla ricerca di oggetti d'epoca con Plant. La cornice è appesa a un muro su cui la carta da parati si stacca vistosamente, ma unendo il retro di copertina all'immagine frontale si vede che in realtà il muro in questione è parzialmente demolito e si vede in lontananza un paesaggio periferico urbano che mostra la Salsbury Tower del distretto Ladywood di Birmingham. Sull'esterno del disco, comunque, non è riportato alcun titolo.


All'interno della copertina è stampata un'illustrazione del pittore Barrington Colby che ritrae un eremita e che è chiaramente ispirata all'omonima carta dei tarocchi. L'originale fu venduto ad un'asta nel 1981 e secondo alcune teorie un po' strampalate l'immagine vista allo specchio rivelerebbe il disegno della testa di un cane nero, ma si tratta di un ovvio caso di pareidolia suggerita anche dal fatto che il primo brano del disco è proprio Black Dog.

La busta che avvolge il vinile riporta sopra ai titoli dei brani quattro simboli, ognuno dei quali rappresenta un membro della band. Page scelse come simbolo un disegno che ricorda più o meno vagamente la scritta ZoSo e come riportato nel libro Led Zeppelin: The UK Complete Vinyl Discography di Neil Priddey, il chitarista sostenne per anni di averlo disegnato da solo ma il realtà lo si trova già in un grimorio medievale intitolato Le Dragon Rouge. Plant scelse una piuma in un circolo che rappresentava lo scriba o, nel suo caso, lo scrittore di canzoni; il simbolo può essere al contempo ispirato alla piuma della dea egizia Maat che rappresenta la verità e la giustizia. Bonham e Jones scelsero i proprio simboli dal libro The Book of Signs di Rudolf Koch edito nel 1955 che raccoglie simboli vari dalla preistoria al medioevo. Jones scelse una triquetra con un cerchio al centro e Bonham scelse un simbolo a caso con tre cerchi che si intersecano. Sulla facciata opposta della busta è riportato il testo di Stairway to Heaven scritto in caratteri antichi e in basso a sinistra vi è il disegno di un uomo che legge un libro con dei caratteri misteriosi incisi alle sue spalle. Ma a parte tutto ciò neanche sulla busta è riportato alcun titolo per l'album.

Neanche l'etichetta sul vinile chiarisce il dubbio perché riporta di nuovo solo i quattro simboli e i titoli dei brani. Da nessuna parte, quindi, né in copertina né altrove viene dato un titolo a questo album.

Oltre a Led Zeppelin IV il disco è noto anche come Four Symbols, The Fourth Album, Untitled, Runes (per via dei quattro simboli runici), The Hermit (per via dell'illustrazione all'interno della copertina), and ZoSo (per via dei caratteri disegnati nel simbolo di Page).

In realtà come spiegato dallo stesso Page e come pure riportato nel libro di Priddey l'intera questione è molto semplice: l'album intenzionalmente non ha un titolo. Led Zeppelin III ricevette critiche non sempre positive che spesso accusarono la band di aver aggiungo chitarre acustiche per imitare il supergruppo Crosby, Stills, Nash & Young, ma Page ribatté di aver usato chitarre acustiche anche nei primi album e che quindi la critica non aveva capito il disco. Decise quindi che il nuovo album sarebbe uscito senza un titolo, perché nomi e titoli non vogliono dire nulla. In origine Page avrebbe voluto che ci fosse solo un simbolo stampato nel packaging del disco, poi cambiò idea e decise per i quattro simboli, a rappresentare i quattro membri ma anche il quarto disco.

La casa discografica osteggiò la scelta del gruppo sostenendo che pubblicare un album senza titolo sarebbe stato un suicidio professionale. Ma la band rimase sulle proprie posizioni e a distanza di oltre quarant'anni è sotto gli occhi di tutti che grazie a brani leggendari come la già citata Black Dog oltre che Rock and Roll e Stairway to Heaven questo disco resta un capolavoro senza tempo della storia del rock, a dimostrazione del fatto che la band fece le scelte giuste e che la casa discografica si sbagliò clamorosamente.

martedì 7 aprile 2015

Howlin' Wolf - The London Howlin' Wolf Sessions

Nei primi anni '70 la carriera di Howlin' Wolf aveva già raggiunto l'apice e il suo successo non accennava a diminuire. Ma erano anche gli anni della British Invasion e della Swinging London e da lì a pochi anni i gruppi rock del Regno Unito avrebbero dominato le classifiche mondiali. In questo contesto storico un musicista geniale come Howlin' Wolf non si lasciò scappare l'occasione di unire due mondi così diversi, il blues di Chicago e il rock di Londra, e nel 1971 si spostò nella capitale britannica per registrare uno dei suoi album di maggiore successo: The London Howlin' Wolf Sessions.

Per garantire un tocco inglese al disco, il bluesman si avvalse della collaborazione di molti musicisti britannici di spicco tra cui Eric Clapton, Steve Winwood, Ringo Starr e tre membri dei Rolling Stones: Ian Stewart, Bill Wyman e Charlie Watts. Gli ospiti sono qui sono in veste di musicisti, mentre la voce è lasciata a Howlin' Wolf.

Il suono che ne risulta offre le caratteristiche principali del Chicago Blues unito dalla musicalità degli ospiti ed è nel complesso notevolmente diverso dagli altri album di Howlin' Wolf. Anzitutto il bluesman in questo disco si limita a cantare e non suona nessuno strumento; in secondo luogo, proprio per via della presenza massiva di ospiti di rilievo, la strumentazione ha un ruolo molto maggiore. Si sentono con forza le due chitarre (suonate nella maggior parte dei brani da Clapton e Winwood), il basso (suonato eccezionalmente da Ringo Starr) e tutta la sezione ritmica degli Stones.

Inutile sottolienare che nel disco non ci sono brani scadenti e che la qualità del disco resta ottima per tutta la sua durata, come è del resto in tutti gli album di Howlin' Wolf.

L'esperienza delle London Sessions fu un tale successo che altri tre grandi musicisti americani come Muddy Waters, Bo Diddley e B.B. King negli anni seguenti realizzarono esperimenti simili, mantenendo anche per i loro album il titolo The London Sessions.