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lunedì 24 aprile 2023

Rhapsody of Fire - Glory For Salvation Tour, Milano 23/4/2023


La data era segnata in calendario da tempo, perché se il Glory For Salvation Tour dei Rhapsody of Fire passa da vicino a casa è ovvio che si tratta di un'occasione imperdibile. Arrivo al Legend in tempo per sentire l'ultimo pezzo dell'esibizione dei Symphonity, ultimo di tre gruppi di apertura, e appena la band ceca lascia il palco mi rendo conto di quanto sia alta l'attesa e la voglia tra la gente venuta a sentire questo concerto di vedere la band fondata da Alex Staropoli e Roberto De Micheli in azione. Molti si raccontano tra di loro delle volte precedenti che hanno visto i Rhapsody live, mentre per me l'attesa ha anche un altro sapore: Giacomo Voli è il musicista che ho visto dal vivo più volte, ma l'ho sempre visto da solo o con la sua band personale e mai a guidare quello che da oltre venticinque anni è il gruppo metal più famoso d'Italia. "Vediamo come se la cava in questa veste", pensavo tra me e me.

I Rhapsody salgono sul palco intorno alle 22:30 e il Legend è strapieno: ma non per modo di dire, è talmente pieno che non si riesce ad avanzare di un passo nella folla che inneggia alla band, fortunatamente durante il concerto qualcuno va a prendere da bere e riusciamo ad avvicinarci di qualche metro. Il concerto parte fortissimo con I'll Be Your Hero e Chains of Destiny dall'ultimo album Glory for Salvation e subito ci troviamo immersi in sonorità medievali che fanno venire voglia di aprire le porte per vedere se fuori c'è ancora la metropoli di Milano o se ci troviamo tra castelli, maghi e cavalieri. Per essere fine aprile la serata fuori è fresca, ma dentro fa un caldo infernale, almeno fino a quando i gestori del locale non accendono i ventilatori a soffitto che danno un po' di refrigerio. La setlist del concerto spazia per tutta la discografia della band, attingendo dagli album da Symphony of Enchanted Lands del 1998 in avanti, ma ovviamente metà della scaletta è dedicata agli ultimi due album, The Eighth Mountain e Glory for Salvation, quelli che vedono Giacomo alla voce.

La risposta alla mia domanda iniziale arriva presto: Giacomo come frontman di una band blasonata si muove alla grande, non solo come cantante e interprete di un mondo narrativo nato tre decenni fa, ma anche nel ruolo di trascinatore che il pubblico segue sempre con entusiasmo nel fare i cori o nell'inscenare scherzose battaglie con spade di plastica portate da un appassionato follower tedesco.

Poco dopo la metà del concerto sale sul palco anche il cantante spagnolo Huecco che interpreta con la band Fuego Valyrio, nata dalla collaborazione tra queste due anime musicali all'apparenza così lontane e che coniuga sonorità latine e power metal. Lo stacco è notevole, dona una ventata di divertimento in uno stile un po' diverso e mostra come il mondo della musica sia molto più interconnesso di quanto pensiamo. Dopo questa digressione i Rhapsody ci regalano qualche pezzo più di atmosfera che culmina in Un'Ode Per l'Eroe, resa ancora più maestosa dal canto in italiano che Giacomo ci racconta fare molta presa anche sul pubblico estero. Segue la magniloquente Dawn of Victory che vede in chiusura anche i membri delle band che hanno preceduto i Rhapsody salire sul palco per il coro finale Gloria, gloria pertetua, in this dawn of victory.


L'encore inizia con Reign of Terror in cui Giacomo si cimenta anche in un growl che fa venire il dubbio se ci sia qualcosa che questo straordinario vocalist non sappia fare con la propria voce, a cui seguono Wisdom of the Kings ed Emerald Sword al termine della quale Giacomo promette che ci si vede "tra cinque minuti al merchandise". In realtà di minuti ne passano forse due e la band si mischia con il suo pubblico per foto e autografi, a dimostrazione del fatto che nonostante tutti questi anni di successi il gruppo è sempre vicino al proprio pubblico e si rende disponibile per due chiacchiere in amicizia.

Una leggera pioggia ci accompagna mentre ci allontaniamo dal Legend e alla fine fa piacere, visto il caldo patito all'interno. Il blocco dei concerti dovuto alla pandemia è oggi un ricordo brutto e lontano, la musica è ripartita e per ripartire servono serate come questa che vedono un ottimo connubio tra una band tra le migliori al mondo e un locale di meritata fama, in cui tutto è sempre semplice e ordinato, che li ospita.

Grazie Rhapsody of Fire e grazie Legend, alla prossima! Per entrambi!

venerdì 14 ottobre 2022

Xandria + Visions of Atlantis - Milano, 13/10/2022

Questo concerto era inizialmente previsto per settembre del 2020 e anche allora avevo deciso che ci sarei andato, perché dopo aver visto i Visions of Atlantis al Dadga di Retorbido sapevo che non avrei potuto perdermi altre loro date live nelle vicinanze. Purtroppo la pandemia ha costretto la band a posticipare di due anni, ma almeno il ritardo ha consentito di arricchire il piatto perché nel frattempo gli Xandria si sono rimessi al lavoro con una cantante nuova e le due band hanno unito le forze partendo per questo tour insieme.


La nuova data è il 13 ottobre 2022, la location è la stessa della pianificazione originale: il Legend di Milano che è uno di quei locali in cui funziona praticamente tutto, essendo in periferia quanto basta da non dover attraversare il traffico metropolitano, con un parcheggio poco distante e il bar appena fuori. Purtroppo mi perdo l'apertura dei Ye Banished Privateers perché essendo una giornata di lavoro non riesco ad arrivare in tempo, ma arrivo con anticipo per gli Xandria che con Ambre Vourvahis dimostrano subito di avere ancora intatta la propria potenza di fuoco. La band esegue i tre brani scritti e realizzati con la cantante nuova, uno dei quali intitolato Ghosts è ancora inedito, e completa la propria esibizione con pezzi tratti da tutta la loro discografia da Ravenheart fino a Death to The Holy dall'ultimo album Theater of Dimensions. Ambre, che si muove sul palco con la sicurezza di una diva di lunga esperienza, si confronta quindi con le tre vocalist che l'hanno preceduta e ne esce a testa altissima mostrando carisma e una notevole capacità di passare dal growl, al canto tradizionale alla lirica con una disinvoltura incredibile.


Poco dopo la band tedesca, salgono sul palco i Visions of Atlantis e se possibile l'asticella si alza ancora. La band apre la propria performance con Master the Hurricane e i due vocalist, Clémentine Delauney e Michele Guaitoli, dimostrano subito che la loro intesa è sempre più solida mentre si alternano e duettano mostrando un'amalgama perfetta. La scaletta prevede otto pezzi dall'ultimo album Pirates e il tema piratesco e del viaggio che combina speranza e incertezza contraddistingue ogni cosa: dall'abbigliamento della band, all'ambientazione, all'introduzione dei pezzi con cui i due vocalist raccontano le storie dietro a ciascuna delle loro canzoni. Questa volta però si nota qualcosa di diverso, mentre Michele in forma straripante dialoga con il pubblico in italiano non traspare solo la passione per la musica ma anche la gioia di poter tornare alla normalità dopo due anni terribili. La positività che la band vuole esprimere sprizza da ogni gesto; il sorriso non manca mai, Clémentine scherza lanciando tra il pubblico il cappello da pirata di Michele e lo stesso Michele dice chiaro che questo non è un concerto ma una festa quando invita il pubblico a saltare durante l'esecuzione di Melancholy Angel. Ovviamente tutti seguiamo l'invito e mentre salto e canto con loro mi viene un dubbio: ma come fa Clémentine a passare al registro lirico mentre salta?


Quando Clem annuncia che siamo giunti all'ultima canzone guardo l'orologio perché non ci credo, mi sembra che dall'inizio siano passati dieci minuti e invece devo riconoscere che la band suona da un'ora e mezza. Sarà che ho divorato Pirates e lo so a memoria, ma questo concerto è davvero volato. Lo show si chiude con Pirates Will Return e Legion of the Seas, ma anche quando si spengono le luci non c'è una gran fretta di andare a casa e la scelta è vincente perché la band di ferma a bere qualcosa di fresco con il pubblico e Michele e il chitarrista Christian Douscha sono anche ben disponibili per chi vuole fare una foto con loro.

La serata a questo punto volge al termine davvero, ma quello che resta mentre riprendiamo l'autostrada con Pirates nell'autoradio è una sensazione di positività che dopo un concerto non si respirava da tempo, perché la gioia che la band ha voluto trasmetterci ci ha coinvolto in pieno e ce la portiamo a casa. Ed è quello che serve per riprendere il mondo come lo conoscevamo. E alla fine non resta che ringraziare chi ha reso possibile tutto questo.

Grazie Xandria, grazie Visions of Atlantis e grazie Legend. Grazie a tutti.

domenica 1 agosto 2021

Giacomo Voli - Cremona, 31/7/2021

Una delle cose che mi mancavano di più durante il periodo peggiore della pandemia è stata la possibilità di assistere a concerti dal vivo; è più di un anno che non ne vedo uno, e quindi quest'occasione di vedere un'acustico di Giacomo Voli a Cremona arriva proprio come se fosse un piccolo tassello di normalità dopo questo periodo così strano.


La location è insolita, la trattoria Antico Borgo di Cremona, ma è anche incredibilmente funzionale, con un ampio giardino all'aperto coperto da una tettoia e la serata parte benissimo perché anche il cibo è ottimo e questo proprio non guasta. Giacomo, che alterna sapientemente la propria attività solista con quella di lead singer dei Rhapsody Of Fire, apre il concerto intorno alle 21:30 accompagnandosi con chitarra e tastiera, con la quale sopperisce anche all'assenza degli altri strumenti. Chiudendo gli occhi si può infatti quasi credere di non essere di fronte all'esibizione solista ma a quella di una band al completo, perché la definizione di acustico va decisamente stretta alla straripante performance che è appena iniziata.

Si vede subito che le emozioni di un'esibizione dal vivo mancavano anche al nostro vocalist, perché l'energia che mette in campo è travolgente. Giacomo mischia le carte, e di molto: oltre al rock degli anni 70 e 80 con pezzi di Aerosmith, Queen e Led Zeppelin, aggiunge tanto altro con divagazioni nel pop di Every Breath You Take dei Police e nel funk di I Wish di Stevie Wonder oltre a tanta, tanta musica italiana che viaggia da Zucchero a Ligabue ai Matia Bazar, a conferma che i dardi nella faretra di Giacomo sono tanti e forse inesauribili.

Che al nostro Jack piacciano i Queen non è una novità, quello che forse è invece inaspettato è che durante Another One Bites The Dust il locale si trasformi in una sala da ballo. Gli avventori spostano alcuni tavoli e molti dei clienti del ristorante si scatenano improvvisando balli nella sala che proseguiranno per il tutto il resto del concerto. Non so quanti del pubblico siano venuti apposta a sentire Giacomo e quanti si siano invece trovati coinvolti in questa magia per caso: i primi probabilmente erano consapevoli, i secondi possono sicuramente considerarsi incredibilmente fortunati.

Dopo due ore, che sono letteralmente volate via, Giacomo annuncia che il concerto volge al termine, ma il pubblico ovviamente vuole un encore e il nostro vocalist concede ben più di un pezzo tra cui Radio Gaga, chiesto proprio dal pubblico, When I Was Your Man di Bruno Mars e Sally di Vasco che chiude lo spettacolo. Guardiamo l'orologio e ci chiediamo "Ma Giacomo non si stanca?", perché canta e suona da solo da due ore ma sembra fresco e carico come all'inizio della serata.

Con un giro di saluti finisce questa serata di cena e concerto e si riparte verso casa, consci che in questa nottata di fine luglio ha magicamente funzionato tutto alla grande e che è proprio così che aspettiamo che torni il mondo dopo la pandemia. E forse questo concerto è stato proprio uno degli anelli della lunga catena del ritorno al mondo che conoscevamo fino a un anno e mezzo fa.

domenica 5 luglio 2020

Giacomo Voli - Retorbido, 4/7/2020

È il 4 luglio, il lockdown è finito da due mesi e la vita torna lentamente a essere quella di prima. A breve probabilmente il virus sarà un brutto ricordo, ma tra le cose che ancora ci mancavano c'è il ritorno della musica dal vivo. Finalmente è tornata anche quella, e quale occasione migliore per il primo concerto post-lockdown di un live acustico di Giacomo Voli al Dagda di Retorbido? Uno dei migliori cantanti al mondo fa un concerto vicino a casa, non ci sono dubbi: l'evento è imperdibile.


Il Dagda ha messo in atto le necessarie misure di sicurezza: termoscanner all'ingresso, consumazioni servite all'aperto e sedie distanziate tra il pubblico. Non danno per nulla fastidio, anzi quasi sembra tutto normale e quindi la musica è godibile al 100%.

Giacomo sale sul palco verso le 21, ma si capisce presto che quello che sta per esibirsi è in realtà un terzetto. Oltre al nostro vocalist, che suona anche la tastiera, ci sono Gianluca Molinari (che affianca Voli anche nel progetto The Voice of Rock) nel ruolo di chitarrista e la ben nota Francesca Mercury (ideatrice del progetto La Mercury racconta i Queen che vede alla voce proprio Giacomo Voli) nel ruolo inedito di intervistatrice e conduttrice.


Il concerto parte con Impressioni di Settembre e I Can't Find My Way Home, che Giacomo ha inciso come cover nel suo EP di esordio Ancora nell'Ombra. La serata ha un approccio singolare, perché Francesca tra una canzone e l'altra intervista Giacomo chiedendogli della sua vita, della sua formazione e di come è nato il suo interesse per la musica. Giacomo ci racconta quindi che il suo amore per la musica è nato da bambino grazie al nonno materno cornista e di come poi abbia scoperto l'opera, il rock melodico e il metal e di come da sempre cerchi di coniugare questi aspetti mischiando sapientemente ingredienti di musica di stili diversi. Spesso, quando Giacomo nomina un pezzo, Gianluca ne esegue il riff in sottofondo, rendendo il racconto ancora più vivido e vibrante.

Forse la serata non era partita con i migliori auspici, perché Giacomo racconta anche di essere infortunato a causa di un incidente stradale, ma se non lo avesse detto non se ne sarebbe accorto nessuno (se non fosse per le bende alle braccia) perché suona e canta come se fosse in gran forma e la precisione al piano e la potenza della voce sono sicuramente al pieno delle loro capacità; segno che neanche gli imprevisti possono fermare i migliori artisti.

La setlist della serata spazia tra il rock degli anni 70, agli anni 80 fino ai 90 pescando da un repertorio vastissimo che tocca i Led Zeppelin e i Deep Purple, l'AOR di Eye on the Tiger dei Survivor per poi passare ai Queen e ai Pink Floyd. E tra un pezzo e l'altro Giacomo narra alcuni aspetti meno noti della sua carriera: come qualche scelta bizzarra degli autori di The Voice of Italy nella selezione dei pezzi o di come sia stato contattato da Alex Staropoli per un progetto parallelo di musica barocca, per poi approdare ai Rhapsody of Fire dopo l'abbandono di Fabio Lione. Dalla discografia dei Rhapsody ci regala una versione da brividi in italiano di The Wind, the Rain and the Moon, e dalla propria produzione solista Giacomo pesca anche uno snippet della traccia di chiusura del suo ultimo album intitolata Il Libro dell'Assenza


Il tempo nella sala letteralmente vola via, e quando Francesca annuncia che siamo giunti all'ultimo pezzo mi sembra incredibile, però effettivamente l'orologio dice che è mezzanotte. Nel caldo di questa serata che ha il sapore di una rinascita Giacomo si ferma a scambiare qualche parola con i fan mostrando una vicinanza al proprio pubblico che poche star del suo livello hanno.

La serata è giunta al termine, ma tornando verso casa non si sente la sensazione che qualcosa sia finito, ma che questa sia una ripartenza perché di serate come questa ne seguiranno decine e forse centinaia. E quello che ha reso unica questa serata non è stata solo la musica e la voce di Giacomo Voli, ma anche il fatto che un grande artista abbia raccontato il proprio lato umano. Perché per sapere cantare così bisogna essere grandi cantanti, ma per sapere raccontare cosa c'è dietro e dentro bisogna essere grandi e basta.

lunedì 17 febbraio 2020

Visions of Atlantis - Wanderers Tour, Retorbido 15/2/2020


Che i Visions of Atlantis passassero nel loro tour da così vicino a casa mi sembrava una cosa incredibile. E quindi appena vista nel calendario della band la data di Retorbido ho bloccato l'agenda segnandomi che quella sera ci sarebbe stato uno concerto imperdibile. Aggiungiamo pure che per vedere dal vivo Clémentine Delauney i trenta chilometri che mi separano dal Dagda li avrei fatti pure a piedi e la curiosità di sentire l'udinese Michele Guaitoli era davvero tanta.

Purtroppo mi sono perso le due band di apertura, che chi era presente ha poi raccontato essere di altissimo livello, ma arrivo appena in tempo per l'ingresso su palco del quintetto austro-franco-italiano con il batterista Thomas Caser (unico membro fisso del gruppo dal 2000 ad oggi) a scandire l'intro di Release My Symphony con cui i Visions of Atlantis aprono in concerto. Già dal primo pezzo si capisce che la serata ci regala una piacevole scoperta; perché se è pur vero che la star dell'evento è la regina del symphonic metal Clémentine, ci vuole ben poco a capire che Michele è assolutamente all'altezza della prova e dà subito sfoggio delle sue notevoli doti vocali che gli consentono di passare dalle tonalità basse agli acuti con grande facilità. E con il secondo pezzo New Dawn capiamo tutto: la regina resta la regina, ma qui davanti a noi abbiamo anche il nuovo re del metal sinfonico.

La setlist verte soprattutto sugli ultimi due album, quelli che vedono Clémentine alla voce, con solo tre innesti dal passato, quali la già citata New Dawn e Memento da Delta del 2011 e Passing Dead End da Trinity del 2007.

Clémentine è semplicemente meravigliosa mentre si muove sul palco con una grazia incantevole e mischia come solo lei sa fare potenza e dolcezza. Alla voce fantastica della soprano francese, che innesta spesso tocchi di lirica nel proprio canto, si unisce la potenza e le decisione vocale di Michele che dimostra di essere uno dei migliori al mondo nel suo ruolo. L'intesa tra i due vocalist è perfetta e sembra che cantino insieme da decenni, mentre in realtà hanno un solo album in coppia all'attivo; i due duettano, si amalgamo e si completano alla grande regalando al pubblico un impatto di sonoro di ottima presa.

A metà concerto Clémentine esegue da sola la title track dell'ultimo album e subito dopo questa breve pausa il resto della band risale sul palco per la seconda metà dell'esibizione costellata di pezzi tra i migliori della loro discografia recente come The Deep & The Dark e a A Journey to Remember. Dopo Passing Dead End la band saluta ed esce, ma ovviamente il pubblico raccolto ai piedi del palco chiede un encore che la band regala con In & Out of Love e Return To Lemuria che è forse il brano più noto dei dischi cantati da Clémentine.


Di solito i concerti finisco con l'ultima traccia e i saluti. Ma non questo. Sono solo le 23:30 quando l'esibizione finisce e non c'è fretta di andare via. In un corridoio che porta ai servizi incontro proprio Clémentine che gentilmente accetta di fare una foto e sono talmente shockato che mi rivolgo in inglese anche alla persona a cui chiedo di scattarla con il mio cellulare. Poco dopo anche Michele raggiunge il pubblico nel locale e si ferma a chiacchierare dimostrandosi molto vicino al suo pubblico come se non fosse il cantante di una delle band migliori del mondo ma un nuovo amico che incontri in un locale di musica dal vivo.

È molto difficile togliersi di dosso le emozioni di una serata così, che giorni dopo sono ancora vive e ben presenti. E mente torno a casa nell'autoradio girano ovviamente Wanderers e The Deep & The Dark, e mentre ascoltiamo questi capolavori non resta che sperare che Clémentine, Michele e il resto del gruppo tornino presto da queste parti.

Per ora, grazie ragazzi, un abbraccio!

venerdì 7 febbraio 2020

The Darkness - Easter is Canceled, Milano 6/2/2020


Nota: Questo articolo è stato scritto dal nostro guest blogger Tino che ringraziamo per il contributo.

"No, no, io voglio vedere com'è vestito stavolta" questa l'ultima frase che ho sentito prima che le luci di un Alcatraz di Milano stracolmo di gente si spegnessero per l'inizio del concerto dei Darkness, segno che la gente non è lì solo per l'energia della loro musica ma anche per le performance sul palco di Justin Hawkins, carismatico frontman della band famoso tanto per i suoi acuti che per le sgargianti tutine attillate.

Dopo lo spettacolare concerto del 2017 nella cornice del Rugby Sound Festival non ho avuto molti dubbi se partecipare o meno. La band però a questo giro ha provato una formula diversa, nella prima metà del concerto è stato suonato tutto il loro ultimo disco Easter is Canceled. Benché non ci sia stato il minimo dubbio sulle eccellenti performance musicali e visive non è una formula che apprezzo particolarmente, sopratutto da una band che tra alti e bassi è sulla scena dal 2000 e l'anno scorso ha sfornato il sesto lavoro in studio dal quale è tratto il nome del loro tour 2020. L'ultimo disco non è male come stile ma forse avrei dovuto ascoltarlo un po' di più per poterlo apprezzare meglio, alla fine solamente la prima traccia Rock and Roll Deserves to Die era conosciuta visto che su Virgin Radio veniva trasmesso con un po' di regolarità.

Luci giù, un po' di suspance e la mitica One Way Ticket dà il via alla seconda parte dello spettacolo con pezzi molto più conosciuti dalla platea milanese; solo due i pezzi da Pinewood Smile: Japanese Prisoner of Love e il singolo Solid Gold e poi tanto tanto dal loro album di esordio Permission to Land. Seguono Growing on Me e poi Get Your Hands Off My Woman dove l'acuto viene magistralmente tenuto per tutta la canzone. Love is only a Feeling, pezzo relativamente lento e classificato come rock ballad che arrivò al 5° posto nella classifica UK dei singoli più venduti, e il pezzo bandiera della band I Believe in a Thing Called Love chiudono un concerto a dir poco spettacolare.

I Darkness sono una garanzia, non solo come musica, ma come scenografia (gli abiti estremi di Justin avrebbero fatto invidia alle presentatrici che stavano conducendo Sanremo nella stessa serata) e come capacità di coinvolgimento del pubblico. Alla prossima, raga!

sabato 25 gennaio 2020

Giacomo Voli The Voice of Rock - Milano, 24/1/2020

Non avevo ancora visto The Voice of Rock, il nuovo spettacolo di Giacomo Voli dedicato ai classici del passato, ma questa volta la location scelta per l'evento, il Legend Club di Milano, è vicina a casa e quindi l'evento è imperdibile. E poi in scaletta ci sono due gruppi d'apertura tutti da scoprire: i Madhouse che nella bassa padana godono di buona notorietà e i comaschi Kreoles.


La serata inizia alle 21:30 come da programma con l'alt rock dei pavesi Madhouse guidati dalla grintosa frontwoman Federica Tringali la cui potente voce da contralto intrattiene il pubblico per più di mezz'ora. Segue l'hard rock di stampo ottantiano dei Kreoles che propongono pezzi tratti dal loro ultimo album dalle sonorità dure ma allo stesso tempo decisamente catchy, tanto che il pubblico riesce a cantare con il lead singer Ivan McSimon già al secondo ritornello.

Giacomo Voli sale sul palco poco dopo le 23 e con la sua band inizia la serata con Helter Skelter dei Beatles, forse più ispirata alla versione più energica degli U2, con cui dà subito sfoggio delle sue potenti doti canore che oggi sembrano proprio essere in grade spolvero, nonostante la stanchezza per un viaggio verso Milano pieno di imprevisti, come lo stesso Giacomo racconta al pubblico. Ma forse è proprio la voglia di dimostrare che gli imprevisti non fermano il nostro leggendario vocalist che spinge la band a tirare fuori il meglio di sé, infatti sul palco gira tutto benissimo e la serata scorre alla grande con un repertorio che spazia dagli anni 60 fino ai Muse.

Tra i primi pezzi Giacomo esegue Killing In The Name dei Rage Against the Machine e la scelta è tutt'altro che banale, perché Giacomo ci ha abituato da sempre ai propri virtuosismi vocali ma qui si trova a a dover rappare i versi di Zack de la Rocha. Comunque questo pezzo di ottimo crossover dimostra che Giacomo rappa alla grande e si muove benissimo in un terreno lontano da quelli consueti e a questo punto è lecito chiedersi quali siano i limiti di questo cantante fenomenale, ammesso che ne abbia.

La serata prosegue con quella che Giacomo definisce la sfida tra band, sfida nella quale non perde nessuno ma vincono sempre tutti; ovvero dei medley di pezzi di due band che hanno interpretato il rock e il metal con stili molto diversi tra loro. E se alcuni accostamenti, come quelli tra Metallica e Iron Maiden, possono sembrare naturali, altri come quello tra Queen e Muse sono davvero sorprendenti. E sorprende anche ascoltare come Madness cantata da Voli sia molto più emozionante e profonda della versione di Matt Bellamy, ma in realtà lo sapevamo almeno da The Voice of Italy di sei anni fa.


Il pubblico canta tutti i pezzi da sotto al palco per tutta la serata e Giacomo invita spesso a sostituire i versi originali con frasi buffe in italiano dal suono simile, e qualche volta si fa fatica a cantare perché le trovate del nostro Jack sono così divertenti che non riusciamo a cantare per via delle risa. La serata si chiude con la sfida tra i Deep Purple e Led Zeppelin, scelta quasi obbligata in una serata come questa, che dà modo al Giacomo di mostrare ancora una volta il meglio della propria vocalità; ma appena prima la band ci vuole proporre del metal in italiano e siccome ne esiste poco ne ha inventato un po' per l'occasione con un mash-up tra Franco Battiato e i Rammstein, più altri due pezzi di Battiato riarrangiati da Giacomo.

Alla fine della serata viene da chiedersi come sia possibile che Voli faccia così tante cose diverse, spaziando dagli acustici, alle cover dei Queen, ai Rhapsody of Fire fino a The Voice of Rock e forse la risposta ce l'ha data stasera: la creatività di questo straordinario artista non può incanalarsi su una strada sola e ha bisogno di tutta questa varietà per esprimersi.

Stasera ci hai regalato della bellissima musica e ci hai anche fatto ridere e divertire, e in questi tempi di follia è proprio ciò di cui abbiamo bisogno per rinsavire. Grazie Giacomo, a presto!

sabato 17 agosto 2019

Giacomo Voli - Cremona, 16/8/2019

È una notte di mezza estate, una di quelle rese celebri dal famoso sogno di Shakespeare, e questa volta la location per il concerto di Giacomo Voli è decisamente insolita, perché il CRAL di una grande azienda come la Tamoil non è il posto dove ci si aspetta che si possa fermare per una sera un cantante blasonato come il nostro Giacomo. Fa caldo, ma non troppo, e quindi il viaggetto verso Cremona si affronta volentieri.


Il concerto è anticipato da una cena a base di gnocchi tricolori, e come sempre la cena è anche un momento di convivialità, per conoscere gente nuova accomunata dalla passione per la buona musica e per la voce di Giacomo. E dopo aver fatto qualche nuova amicizia, inizia il concerto con Giacomo che imbraccia la chitarra poco dopo le 21:30 e già dal primo pezzo si capisce che la serata non avrà nulla di scontato, perché la scelta dei pezzi è singolare, visto che si parte con What's Up? dei 4 Non Blondes. La voce di Linda Perry è unica, ma Giacomo riesce alla grande a interpretare il pezzo, e io che pensavo che un brano del genere fosse impossibile da rendere in acustico evidentemente mi sbagliavo.

Nella prima parte della scaletta trovano ampio spazio gli Aerosmith, e nemmeno gli acuti di Steven Tyler non sono un problema per Giacomo che regge il confronto alla grande e anche in questo caso la scelta dei pezzi non è banale perché oltre ai superclassici come Dream On e I Don't Want to Miss a Thing troviamo anche Pink che potrebbe non essere tra i pezzi più conosciuti per chi non segue il gruppo. Giacomo si accompagna alternando la chitarra e la tastiera e sopperisce con quest'ultima all'assenza della batteria e il risultato è che il suono è molto più ricco e completo di quanto ci si aspetterebbe da un acustico, così che più che a un acustico sembra di assistere al concerto di una one man band.

Nel prosieguo del concerto Giacomo esegue un buon numero di pezzi dei Queen, con il pubblico che canta i ritornelli insieme al vocalist che attinge dal repertorio degli anni 70 con Bohemian Rhapsody, Killer Queen e Somebody to Love, fino agli anni 80 di Radio Ga Ga e I Want to Break Free. Ovviamente non può mancare un omaggio ai mostri sacri del rock anni 70, come i Led Zeppelin di Whole Lotta Love e i Deep Purple con Soldier of Fortune, Hush e Smoke on the Water.

Giacomo sorprende tutti quando dice che sta per fare qualche pezzo italiano prima di chiudere il concerto. Ma come, è già tempo di salutarci? Non è iniziato da un quarto d'ora al massimo? Guardo l'orologio e, no, sono passate quasi due ore. Ma è stato tutto così divertente che il tempo è volato. Godiamoci allora gli ultimi pezzi, con Ti Sento dei Matia Bazar e Impressioni di Settembre della PFM (entrambe già incise da Voli nei suoi album solisti). E prima di chiudere non possono mancare ancora due brani dei Queen come We Are The Champions e Crazy Little Thing Called Love che Giacomo regala perché il pubblico non vuole lasciarlo andare senza un encore.

Purtroppo il concerto finisce, anche se il tempo sembra essere passato in un attimo. Sceso dal palco, Giacomo si ferma a fare qualche foto con i fans e a scambiare qualche parola con il pubblico che si complimenta per la voce e per l'esecuzione. Durante il viaggio verso casa nell'autoradio scelgo l'ultimo album dei Rhapsody of Fire, perché stasera Giacomo ci ha dato prova di uno dei lati della sua vocalità e l'occasione è buona per ripassare anche quella più metal ed epica. E mentre ripensiamo al concerto che abbiamo appena visto, resta la consapevolezza che alla fine è andato tutto bene, che abbiamo assistito a una grande prova di un polistrumentista e cantante straordinario, e che è proprio così che una notte di mezza estate dovrebbe essere per essere perfetta.

giovedì 20 giugno 2019

Def Leppard + Whitesnake - Assago, 19/6/2019

Tra i miei gruppi preferiti che non avevo mai visto dal vivo ce n'era uno che occupava un posto particolare, perché il desiderio di vedere un live del leopardo sordo guidato da Joe Elliot era veramente molto alto. E quindi appena uscito il calendario dei concerti del 2019 è partito l'assalto alla pagina web di TicketOne per assicurarsi un posto nel parterre, quello dove fa caldo e non c'è neanche un centimetro per respirare, ma da dove il concerto si vive appieno vicino al palco. La locandina riportava che ci sarebbero stati anche i Whitesnake come very special guest perché ovviamente non si tratta di un gruppo di apertura e quindi il concerto in realtà ha un doppio headliner.

Causa un incidente in tangenziale il percorso che ci conduce al Forum è particolarmente impervio tra la periferia milanese più degradata, ma poco male: arriviamo in anticipo e senza fretta. Appena entriamo ci troviamo immersi nella folla che quando alle otto precise vede i Whitesnake aprire lo spettacolo è già accalcata per accogliere i propri idoli. La band di Coverdale parte fortissimo con Bad Boys dal loro album più famoso e prosegue subito dopo con Slide It In, per poi procedere attingendo principalmente dai loro album della fase hair metal.

Coverdale esegue quasi tutta la sua performance sulla parte di palco che si estende in mezzo al pubblico, stando quindi vicino ai fan e lontano dal resto della band. Nonostante gli anni che passano il vocalist tiene la scena alla grande, e la sua voce trova riposo solo dopo mezz'ora quando i due chitarristi Reb Beach e Joel Hoekstra si cimentano in un guitar duel e quando poco dopo Tommy Aldridge regala un assolo di batteria, dapprima con le bacchette e poi a mani nude. La band esegue solo due pezzi dall'ultimo album Flesh & Blood, quali Shut Up & Kiss Me e Hey You, e tiene sapientemente le ballad come Is This Love e Here I Go Again per la chiusura dello show.

Quando Coverdale presenta la band il pubblico esulta per il nostrano Michele Luppi alle tastiere, e anche quando il sestetto saluta il pubblico prima di lasciare il palco ai Def Leppard la folla scandisce ancora il nome di Michele a rimarcare che l'eccellenza italiana va apprezzata e sostenuta.

Dopo un'ora sembra di aver appena assistito a un concerto fantastico, ma forse non sappiamo che ciò che sta per arrivare sarà ancora meglio. Perché se i Whitesnake sono grandiosi, i Def Leppard sono di un altro pianeta.

Il gruppo di Elliot parte subito con due grandi classici come Rocket e Animal e il tuffo nel passato prosegue con Let It Go e When Love and Hate Collide. Anche i Def Leppard si concentrano principalmente sulla fase AOR della loro carriera eseguendo ben sei pezzi da Hysteria e tre da High 'n' Dry.

La performance della band è stellare dall'inizio alla fine, con i quattro musicisti che non sbagliano un colpo nelle musiche e nei cori, e con le inquadrature sui maxischermi che indugiano spesso sull'eroico batterista Rick Allen che viene accolto da applausi ogni volta che appare sui video.

Joe Elliot coinvolge il pubblico tantissimo, invitandolo a cantare con lui e a eseguire i cori, tanto che non sembra di essere il pubblico che assiste a uno spettacolo, ma parte dello spettacolo stesso. La band è semplicemente perfetta per tutte le quasi due ore del concerto in cui il meglio del proprio repertorio più la cover di Rock On di David Essex e uno snippet di "Heroes" di David Bowie all'interno di Hysteria (e qualcuno accanto a noi commenta che il pezzo del Duca Bianco è talmente inflazionato che una cover di "Heroes" l'ha fatta anche mia nonna).

L'energia della musica si ferma solo per Two Steps Behind eseguita in acustico, per la quale anche Elliot imbraccia la chitarra. Il concerto termina con Pour Some Sugar on Me, Rock of Ages e Photograph e al termine dell'encore il pubblico applaude unanime la band che saluta Milano dopo un concerto strepitoso.

Mentre usciamo dal Forum e ci infiliamo nel trafficatissimo parcheggio riflettiamo sul fatto che i Def Leppard sono stati davvero fenomenali: suono pulito e potente e coinvolgenti come nessun altro. Magari qualche pezzo dal primo album On Through the Night (quello dal suono un po' più metallico degli altri) ci sarebbe stato bene, ma va bene anche così! Perché in realtà questa sera è andato bene tutto e ora on through the night ci tuffiamo davvero consapevoli che quella che abbiamo appena visto è una delle migliori band al mondo e che dal vivo sono una vera forza della natura.

sabato 18 maggio 2019

Giacomo Voli - Cremona, 17/5/2019

Data fissata in calendario già da più di un mese, appena dopo aver letto tra gli eventi di Giacomo Voli che il 18 maggio si sarebbe fermato a Cremona. Non sapevo dove fosse il Nelson Pub, per me è un po' fuori dal giro, ma imposto il navigatore e si parte tra il freddo e la pioggia di questo strano mese di presunta primavera.

Il locale è piccolo è raccolto, con un bellissimo soffitto a volta con mattoni a vista che trasuda il rock and roll delle cantine americane tanto che viene voglia di voltarsi per vedere se appoggiati al bancone a bere una birra non ci siano anche Jim Morrison e Ray Manzarek.

Prima che inizi il live Giacomo gira tra il pubblico che si fa sempre più numeroso, come se non fosse il vocalist della band metal più blasonata del nostro paese ma un amico che ha organizzato una festa e invitato un po' di altri amici. Il live inizia verso le 22:30; si parte con Don't Stop Me Now  dei Queen, si procede con Hold the Line dei Toto e Eye of the Tiger dei Survivor che lascia un po' sorpresi, non essendo uno di quei pezzi che di norma si ascoltano agli acustici, ma il Re Mida della musica che abbiamo davanti riesce alla grande ad trasformare in questo stile uno dei brani di AOR più iconici di sempre. Tra un pezzo e l'altro Giacomo condisce la musica con qualche racconto personale, spiegando perché è legato ai pezzi che esegue e proprio per Eye of the Tiger narra come il giro di chitarra così aggressivo lo abbia colpito fin da bambino.

Il nostro vocalist alterna tastiera e chitarra mentre esegue pezzi presi dal repertorio rock di ogni genere dagli anni 60 ad oggi, passando con disinvoltura dai Beatles agli U2 e dai Deep Purple a Gethsemane di Jesus Christ Superstar per la quale racconta di essere più legato alla versione di Ian Gillian che a quella più celebre di Ted Neeley

Vorrei un caffè e mi volto per vedere se riesco a chiamare il cameriere, ma il pubblico dietro di me è molto più nutrito di quanto avessi capito e forma una barriera umana. Ottimo! Questo grande talento che si sta esibendo merita un pubblico numeroso, e pazienza se il caffè dovrà aspettare. Anzi, il locale è talmente gremito che un ragazzo mi chiede se si può sedere in un posto vuoto al mio tavolo e ça va sans dire che la risposta sia positiva, perché il rock unisce, aggrega e un gesto di amicizia non si nega a nessuno.

Intanto sul palco Giacomo non sbaglia un colpo, l'esecuzione è perfetta sia musicalmente che vocalmente e ogni pezzo è condito con un po' di gusto personale del nostro Voli che adatta i brani all'acustico con grande maestria. Gli assoli vengono spesso sostituiti da vocalizzi, ed essendo Giacomo uno dei migliori vocalist del pianeta il risultato è sorprendente quanto interessante e viene da chiedersi se forse i pezzi non siano più belli così di come erano in origine.

Tra i pezzi in scaletta ne troviamo anche I Don't Want To Miss a Thing e Dream On degli Aerosmith e Black Hole Sun dei Soundgarden e Giacomo non può trattenere un ringraziamento a Steven Tyler e Chris Cornell per il loro contributo alla storia della musica e per le loro composizioni.

Circa mezzora dopo la mezzanotte il mixerista fa segno che c'è tempo solo per altri due pezzi. Peccato, dobbiamo rinunciare a Rock And Roll, il brano di Giacomo Voli di cui anche i Led Zeppelin hanno fatto una cover (...okay, forse non è proprio così, ma fa niente... o forse non era così fino a qualche anno fa e adesso sì).

Finito il concerto il pubblico ancora gremito non accenna ad allontanarsi ed attornia Giacomo per scambiare due parole o magari sentire qualche aneddoto da questo ragazzo che nonostante la giovane età ha esperienza da vendere.

Risaliamo in macchina, maltempo e freddo non se ne sono andati, ma ripartiamo con la consapevolezza che valeva la pena sfidare ogni goccia di pioggia per assistere al concerto di un grande artista, in una bellissima location e con un pubblico caldissimo che in questa serata non poteva mancare.

domenica 3 marzo 2019

Vintage Rock Experience - Boretto, 2/3/2019

Un concerto rock in un teatro è sicuramente un evento insolito. Non sapevo proprio cosa aspettarmi, mentre guardavo i volti delle persone in coda per il biglietto. Sarà semplice concerto o ci saranno parti narrate? Da quali gruppi attingeranno per la scaletta? Psichedelico? Hard rock? Prog? In realtà un mini assaggio l'avevo già avuto mentre parcheggiavo accanto al teatro nel pomeriggio e ho sentito qualche frammento di Pink Floyd. Gli indizi sono buoni, vedremo!

Il quintetto è salito sul palco poco dopo le 21 e già da Hush, nella versione dei Deep Purple, si è capito che la qualità della musica sarebbe stata altissima e che la serata sarebbe stata una di quelle in cui il grande rock degli anni d'oro si ferma in un teatro di provincia. Il gruppo è capitanato dal chitarrista Riccardo Bacchi, ottimo chitarrista emiliano e titolare del progetto RavenBlack Project, affiancato da Svi al basso, da Francesco Savazza alle tastiere, da Alessandro Mori alla batteria e dall'eccezionale vocalist Gianbattista Manenti. Gianba, come lui stesso ricorda lo chiama sua mamma quando si arrabbia, domina la scena muovendosi sul palco con l'esperienza dei cantanti più navigati e con una presenza scenica gigantesca. E siamo solo alla prima canzone, wow!

Basta guardarsi dietro per vedere che il teatro è strapieno, sia in platea che in galleria. L'attesa è tanta, ma ci vorrà poco per scoprire che verrà ripagata alla grande. La serata è dedicata al decennio dal 1968 al 1978, che non a caso è proprio l'anno di nascita di Bacchi, di cui stasera festeggiamo il compleanno con qualche giorno di ritardo. Ogni anno della decade è introdotto da un breve filmato che ricorda gli eventi più importanti avvenuti in quello stesso anno, e tra la guerra del Vietnam, il primo sbarco sulla Luna, la morte di Martin Luther King e il rapimento di Aldo Moro, di fatti da narrare che hanno cambiato gli equilibri mondiali ce ne sono molti. I brevi inserti filmati danno molto spazio agli avvenimenti storici avvenuti proprio nel nostro paese che in quegli anni rincorreva il resto del mondo e dell'Europa, come l'ingresso in commercio della FIAT 126, i primi film di Fantozzi e l'avvento della televisione a colori. E ovviamente non possono mancare in questi piccoli racconti gli eventi più importanti della musica rock e dell'hard rock che in quegli anni muoveva i primi passi grazie a gruppi come i Black Sabbath, i Deep Purple e i Led Zeppelin.

Il gruppo si muove sul palco alla perfezione, ogni pezzo lascia il segno ed è incredibile come i cinque sappiano passare dai Beatles ad Emerson, Lake & Palmer e dagli Who alla PFM con una disinvoltura e una naturalezza da veri maestri, e poco dopo l'inizio inizia a serpeggiare la consapevolezza che non siamo davanti solo a cinque ottimi musicisti ma a un vero dream team del rock italico. Ed è ancora più incredibile come Gianba sembra non avere ostacoli vocali confrontandosi con i mostri sacri come Ozzy e Robert Plant. Ed è proprio su Whole Lotta Love, in cui Gianba regala una delle sue performance migliori, che sale sul palco anche il pittore Davide Pini che durante l'esibizione della band completa due tele di arte moderna ispirato dalla musica che sente attorno a sé. Del resto, come dice anche Gianba, l'arte non ha confini e questa sera dalla musica ci spostiamo anche sulla pittura.

La seconda metà dello spettacolo vede una predominanza di pezzi dei Pink Floyd che consentono alla band di sfruttare una strumentazione diversa, con i vari strumenti che usava proprio la band di David Gilmour in pezzi come Comfortably Numb o Shine On You Crazy Diamond. Per questa seconda parte il gruppo diventa un sestetto con l'ingresso della bravissima Irene Ettori in veste di corista e di voce femminile che da sola interpreta il vocalizzo di The Great Gig in the Sky che sarebbe proibitivo per la maggior parti delle cantanti del mondo, ma che lei esegue con una spontaneità indescrivibile.

Il pubblico si scalda particolarmente quando partono le prime note di Bohemian Rhapsody. Riccardo dice che è un esperimento, ma a giudicare dal risultato sembra uno di quelli rodati. Gianba interpreta la parte di Freddie nel migliore dei modi e il pubblico risponde con entusiasmo ogni volta che il nostro vocalist lo invita a fare i cori che abbondano negli oltre sei minuti del pezzo.

Poco prima di mezzanotte Gianba annuncia dal palco che purtroppo lo spettacolo volge al termine. Ed è un concerto in un teatro, dicevamo. Ma la location insolita non impedisce al pubblico di raccogliersi ai piedi del palco per il gran finale in cui anche Gianba imbraccia la chitarra.


In teatro fa un caldo infernale e questa notte di fine inverno offre ben poco refrigerio anche all'aperto. E mentre si viaggia verso casa è d'obbligo cercare un po' di rock anni 70 nell'autoradio perché il concerto è volato e perché questo straordinario combo ha omaggiato i giganti del rock in un modo unico, in un modo a cui forse nemmeno gli autori originali avevano pensato.

domenica 20 gennaio 2019

La Mercury racconta i Queen - Milano, 19/1/2019

Se La Mercury racconta i Queen si ferma per una serata a Milano, l'evento è di quelli imperdibili. Lo dice il titolo stesso, la serata vedrà i classici di un quartetto leggendario del passato reinterpretati da un gruppo di musicisti leggendari di oggi. E allora vale proprio la pena di addentrarsi nel cuore del capoluogo, tra il freddo e il traffico, e sfidare il dedalo di strade tra cui la ricerca di un parcheggio sembra dover durare through the eons and on and on.


Il piano interrato del The Boss, il locale che ospita l'evento, ha una grande sala per concerti che questa sera è sold out al punto che tanta gente è costretta a seguire il concerto in piedi o seduta sui tavoli in fondo alla sala. Il trio apre lo spettacolo intorno alle 22:30, con l'ideatrice Francesca Mercury (il cui cognome d'arte rende omaggio proprio al vocalist dei Queen) nel ruolo di narratrice e corista, accompagnata da Giacomo Voli, vocalist dei Rhapsody of Fire, alle voci principali, alla tastiera e alla chitarra acustica, e Nik Messori, ex chitarrista di Gianluca Grignani, alla chitarra elettrica e alle seconde voci.

A partire dalle prime note si è capito che lo spettacolo che stava per iniziare era qualcosa di straordinario e mai visto prima, con Francesca che racconta piccoli stralci della vita dei Queen e curiosi aneddoti su Freddie Mercury e la sua band, e la narrazione di queste pillole di storia è alternata alle canzoni della band interpretate in quest'occasione in acustico. Può sembrare impossibile replicare in acustico gli arrangiamenti dei Queen così ricchi di orchestrazioni e sonorità teatrali, eppure questo terzetto ci riesce alla grande, quasi con facilità, come una macchina rodata che si muove alla perfezione, con Giacomo Voli in una serata perfetta che regala la sua ennesima interpretazione stellare. Del resto Giacomo è tra i pochissimi cantanti al mondo degni di raccogliere l'eredità del compianto Freddie e lo dimostra in tutti i pezzi, dai più semplici (ammesso che ne esistano) fino ai più difficili come Somebody to Love o Who Wants to Live Forever.

Questo inedito trio spazia attingendo i brani dalle due decadi di attività dei Queen, dal primo album che prende il nome stesso della band fino a Innuendo del 1991. Il pubblico risponde con il calore che questa iniziativa merita, cantando tutti i pezzi insieme al vocalist, scandendo il ritmo con il battito delle mani e con lo schiocco delle dita nella chiusura di Under Pressure. Tra un pezzo e l'altro Francesca racconta la genesi delle canzoni e spiega molte curiosità sulla produzione musicale del gruppo, come il fatto che It's a Hard Life contenga snippet di vari pezzi d'opera o per quale motivo One Vision si chiuda con il verso fried chicken. Nella setlist non può mancare Bohemian Rhapsody, che il terzetto la esegue in un medley con Killer Queen e The March of The Black Queen, riproponendo l'esperimento inventato proprio dai Queen a partire dal live in Hyde Park del 1976. A riprova delle incredibili capacità vocali di Giacomo Voli, il trio esegue Bohemian Rhapsody includendo anche l'intro a cappella, che nemmeno Freddie cantava dal vivo.


Purtroppo, come dice anche Francesca la cui passione per il racconto è tangibile, è impossibile eseguire tutta la discografia dei Queen in una sera, o saremmo rimasti lì fino alla mattina dopo, e quindi il concerto deve volgere al termine dopo aver ascoltato i pezzi più famosi della lunga discografia della band. In chiusura Francesca, Giacomo e Nik eseguono We Will Rock You, con il pubblico che scandisce il ritmo battendo i piedi e le mani, seguita da We Are The Champions, quasi come fossero un pezzo unico, così come si trovano anche nell'album News of the World da cui sono tratte.

E mentre usciamo di nuovo tra le strade di Milano in mezzo al viavai del capoluogo lombardo viene da chiedersi se le persone che percorrono le vie del centro hanno idea dello spettacolo a cui noi abbiamo assistito al piano interrato del The Boss. Probabilmente no, ma noi che siamo appena usciti da lì sappiamo che la musica dei Queen non smette di stupire e di unire; se poi è interpretata da alcuni tra i migliori musicisti di questa epoca che aggiungono la propria creatività a quella di Freddie e dei suoi tre soci è ancora meglio.

mercoledì 5 dicembre 2018

Nightwish Decades: World Tour - Assago, 4/12/2018

Avevo comprato il biglietto il 28 dicembre 2017, un anno prima. E vista l'attesa era ovvio che le aspettative fossero alte. Ma è bastato l'inizio con la melodia di Swanheart suonata da Troy Donockley alle uilleann pipes, prima ancora che il resto della band uscisse dai camerini, per capire che sarebbe stato un concerto memorabile, uno di quelli in cui sei dei migliori musicisti del mondo mettono al lavoro le loro capacità combinandole e creando insieme qualcosa di unico.

Credit: Francesco Prandoni
Il sestetto è salito sul palco poco prima delle 21 e il concerto è partito subito fortissimo con Dark Chest of Wonders seguita a ruota da Wish I Had An Angel e 10th Man Down. L'inizio del concerto è condito da lanci di fiamme sparate dall'apposita strumentazione posta appena davanti al palco e ad ogni uscita di fuoco il calore si sente forte anche sugli spalti, come se non bastasse il caldo infernale del Forum che contrasta non poco con la fredda serata di fine autunno che si vive all'esterno. Fin dalle prime note Floor domina la scena, ben consapevole delle sue doti canore e della sua fisicità che comunque l'aiuta parecchio, del resto nonostante il tacco non troppo alto sovrasta in altezza tutti i suoi cinque colleghi. Il Decades: World Tour serve a celebrare i vent'anni di attività del gruppo e la setlist viene adeguata di conseguenza, con pezzi presi da ogni album della discografia del gruppo. I più rappresentati sono Once, con quattro pezzi, e ovviamente Oceanborn e Wishmaster con tre pezzi ciascuno. Holopainen ci regala anche un piccolo mash-up tra due pezzi di Oceanborn quando inserisce uno snippet di Stargazers in Sacrament of Wilderness.

Credit: Francesco Prandoni
I pezzi suonati dal vivo sono generalmente più energici delle registrazioni in studio, spostando un po' l'equilibrio dei suoni verso quelli più duri; comunque non viene meno il connubio tra sonorità pesanti e melodia che è il segno distintivo dei Nightwish che restano in ogni caso gli inventori del metal sinfonico. Un tocco di musica nordica viene aggiunto in alcuni pezzi da Donockley che oltre alla chitarra suona le uilleann pipes e il tin whistle creando così la mescolanza musicale che da sempre contraddistingue questo gruppo.

Floor dialoga con il pubblico come solo lei sa fare, invitando la folla a cantare e a tenere il tempo con urla sincronizzate. Il pubblico la ripaga come merita seguendola in ogni mossa e sostituendosi a lei nel cantare i ritornelli di Élan e di Nemo. La frontwoman non perde un attimo nel dimostrare le proprie incredibili doti vocali, sia per estensione che per potenza che per la naturalezza con cui cambia stile adattandolo ad ogni pezzo, e proprio questo dimostra che Floor è la più completa tra le tre cantanti che si sono avvicendate in questo ruolo, sapendo interpretare perfettamente sia i pezzi scritti per Tarja che quelli scritti per Anette Olzon.

Nei duetti con Marco Hietala i due si amalgamano con grande maestria, con Marco che esegue le seconde voci nella maggior parte dei pezzi, ma i due si scambiano di ruolo ogni volta che Hietala interpreta le voci principali.

Il lato canoro non è comunque l'unico in cui Floor (in una serata semplicemente perfetta) si muove alla grande, la sua capacità di tenere la scena è straordinaria mentre si muove sul palco con una grazia incantevole quando non canta ed esibendosi spesso in lunghi head banging in cui fa roteare la sua voluminosa chioma.

Credit: Francesco Prandoni
Quando Tuomas Holopainen inizia a suonare The Greatest Show on Earth appare chiaro che il concerto sta volgendo al termine e guardando l'orologio ci si accorge che sono passate quasi due ore anche se si ha l'impressione che siano passati pochi minuti, tanto l'esibizione dei Nightwish è stata bella e coinvolgente. La lunga composizione che chiude il più recente album viene inframezzata da Ghost Love Score appena prima dei saluti finali in cui la band ringrazia il pubblico per l'affetto e il pubblico ricambia e ringrazia per l'ottimo show.

Uscendo dal Forum e prima di rituffarsi nella fredda serata della periferia milanese resta un solo rimpianto, cioè la consapevolezza che il concerto avrebbe potuto essere prolungato all'infinito perché ogni pezzo della discografia di questo straordinario gruppo meritava di entrare nella setlist di un tour commemorativo. E mentre si torna a casa, appena superato il casello di Assago nell'autoradio non può che girare Decades, l'ultima compilation del gruppo, e riascoltando o i pezzi appena ascoltati anche live non resta che sperare che il prossimo disco con Floor alla voce non si faccia attendere troppo e che il prossimo tour riporti presto i Nightwish a Milano.

domenica 2 settembre 2018

Giacomo Voli - Castelvetro Piacentino, 1/9/2018

Il tempo non è stato clemente e una pioggia pomeridiana ha costretto gli organizzatori della Sagra dello Scalogno di Castelvetro Piacentino a spostare il concerto acustico di Giacomo Voli dal palco di Via Roma al tendone utilizzato per la cena. Lo spazio dedicato ai musicisti era un angolo del padiglione, vicino a dove venivano servite le pietanze e dove il pubblico poteva vedere meglio gli artisti all'opera.

Il nostro Giacomo ha imbracciato la chitarra poco dopo le 21 dando via a una serata di musica basata sulla sua straordinaria voce valorizzata dalla chitarra suonata da lui stesso. Il repertorio della serata è stato tratto dal meglio del rock degli anni 70 e 80 spaziando dagli AC/DC ai Deep Purple con qualche tocco di rock nostrano grazie a Impressioni di Settembre della PFM. In questa serata così strana e atipica Voli ha dato molto spazio alle cover dei Queen attingendo da ogni fase della loro carriera, da Crazy Little Thing Called Love a Who Wants To Live Forever, la scelta non appare casuale essendo Giacomo Voli uno dei pochissimi cantanti al mondo che possono avvicinarsi al compianto Freddie.

Tutti i pezzi della serata sono stati riarrangiati per chitarra e voce trasformando ogni brano, anche i più scatenati come Hush o Whole Lotta Love, in un leggero midtempo dal sapore inedito, a riprova che i grandi musicisti riescono sempre a dare risvolti nuovi ai classici. Giacomo coinvolge anche il pubblico invitandolo a fare dei cori sui pezzi più noti, e la folla di Castelvetro Piacentino risponde con il calore che il nostro cantante merita. Nella setlist c'è spazio anche per un pezzo dall'album solista di Voli Prigionieri Liberi, la power ballad Il Libro Dell'Assenza, proposta qui in una chiave ancora più melodica e d'atmosfera.

La serata si chiude con I Don't Want To Miss a Thing degli Aerosmith e con l'immancabile Rock And Roll dei Led Zeppelin, e non serve nemmeno ricordare perché questo pezzo sia così importante nella carriera di Voli, tanto che quasi viene naturale considerarla ormai una canzone di Giacomo come capita in quelle rare volte in cui la cover è migliore dell'originale.

Finita l'esibizione Giacomo si siede nel pubblico e si ferma a chiacchierare come in un'abituale serata tra amici, come se fosse una normale fiera di paese e non l'esibizione live solista del cantante dei Rhapsody of Fire, una delle più blasonate band del nostro paese. E scambiando impressioni sulla serata c'è anche l'occasione di conoscere gente nuova unita da una passione per la buona musica che questa sera l'ha condotta fino al tendone di Castelvetro Picentino.

Alla fine della serata mentre lo staff della festa si siede a mangiare dopo aver servito tutti gli avventori ci si ferma a riflettere e si giunge alla conclusione che, contrariamente alla apparenze, il tempo è stato propizio perché ha trasformato un concerto (che sarebbe stato bellissimo in ogni caso) in un evento intimo e raccolto che ci ha consentito di vivere una cena in amicizia ascoltando dell'ottima musica. Ma per trarre il meglio da una serata piovosa e farne una di musica memorabile servono musicisti di altissimo livello, proprio come Giacomo Voli.

mercoledì 4 luglio 2018

Lacuna Coil Rugby Sound Festival - Legnano, 3/7/2018

Il Rugby Sound di Legnano è da diciotto anni uno degli eventi più importanti dell'estate lombarda e sul suo palco, all'interno della corte del Castello di Legnano, si sono avvicendate molte delle band più importanti del pianeta. Anche quest'anno il calendario è stato ricco di eventi, alcuni dei quali decisamente imperdibili tra i quali quello del 3 luglio che vedeva come headliner i Lacuna Coil. Lo straordinario quintetto milanese non ha bisogno di presentazioni in nessuna parte del mondo, dove sono considerati tra le metal band più importanti degli ultimi due decenni, tranne che nella loro patria e per motivi francamente inspiegabili, visto che il metal alle nostre latitudini gode di ottimo seguito, ma forse il pubblico italico è troppo esterofilo e preferisce seguire gruppi stranieri piuttosto che valorizzare i tanti (buoni e ottimi) prodotti italiani.

Credit: Elena Di Vincenzo

Non avevo mai visto i Lacuna Coil dal vivo e il fatto che l'evento fosse vicino a casa e ufficio rendeva l'occasione particolarmente ghiotta. L'Isola del Castello Visconteo di Legnano ospita questa magnifica manifestazione tra stand che vendono panini e birra in un'atmosfera da grigliata estiva tra amici. Fortunatamente il clima è stato clemente, con un gradevole venticello che ha tenuto lontano zanzare e caldo (che nel pomeriggio si era fatto sentire con forza, in quella che fin qui era stata la giornata più calda dell'anno) regalandoci la serata perfetta per un evento di musica altrettanto perfetta.

Il concerto è stato aperto dal gothic metal dei milanesi Cayne, che hanno iniziato a scaldare il pubblico con un po' di sano metal duro e d'atmosfera con i pezzi tratti dai loro album. La musica dei Cayne, anche se purtroppo poco nota, non è mai banale considerando anche che nei loro strumenti si trovano tastiere e violini, scelta poco comune nel panorama del gothic metal. Un ottimo avvio per un evento che prometteva benissimo da ancora prima di iniziare.

Intorno alle 21 solo saliti sul palco i Rezophonic, supergruppo nella cui formazione si alternano musicisti delle band più disparate, che hanno regalato un'ora di musica di ogni genere, spaziando dal metal, al crossover, al reggae, al beatbox. Per l'occasione la formazione dei Rezophonic è stata arricchita dalla presenza di Marco Priotti e Andrea Butturini, concorrenti dell'ultima edizione di The Voice of Italy nella squadra di Cristina Scabbia.

I tanto attesi Lacuna Coil sono salito sul palco poco dopo le 22 iniziando con Our Truth introdotto dal celestiale vocalizzo di Cristina che ha scatenato la magia che ha regnato per le quasi due ore successive. Il concerto è iniziato come un fiume di energia in piena che ha pervaso il pubblico in ogni angolo dell'Isola del Castello grazie al gruppo che ha eseguito i pezzi migliori del proprio repertorio prendendoli da ogni fase della loro carriera e da ognuno dei loro album (ad eccezione del primo In a Reverie), privilegiando comunque gli ultimi tre: Dark Adrenaline, Broken Crown Halo e Delirium, ed è proprio nella title track di quest'ultimo che Cristina tira fuori più che mai i due aspetti più taglienti della sua voce con un'ottima commistione di forza e dolcezza.

I tre musicisti interpretano ogni pezzo alla perfezione, tanto che le basi suonano esattamente allo stesso modo di come fanno nei dischi, e due vocalist si amalgamo, si alternano e duettano con un'intesa e una maestria che solo le band più navigate possono vantare. Il contrasto tra la voce limpida e cristallina di Cristina e quella aspra a ruggente di Andrea è sempre molto efficace e crea un'atmosfera che nessun altro gruppo al mondo sa creare.

Verso la fine dell'esibizione la band invita sul palco il giovane disabile Christian, a cui decidano The House of Shame. Subito dopo i Lacuna Coil fingono di aver finito il concerto, ma ovviamente non ci crede nessuno e tra il pubblico non c'è una persona che si allontani. Poco dopo i cinque tornano sul palco per chiudere con gli ultimi quattro pezzi, iniziando con I Forgive (But I Won't Forget Your Name) e finendo con Nothings Stands in Our Way.

Credit: Elena Di Vincenzo

Poco prima dell'encore inizia piovere: e chissenefrega! Ci bagniamo sotto la pioggia battente, consapevoli che comunque il concerto volge al termine, che tra poco il climatizzatore della macchina offrirà un buono strumento per asciugarsi, ma anche che comunque per sentire i Lacuna Coil avremmo sopportato anche neve e grandine. La pioggia crea anche un divertente siparietto all'interno della band, con il bassista Marco Coti Zelati che dice a Cristina di non avvicinarsi troppo al bordo del palco per evitare di bagnarsi, ma l'anima rock di Cristina non ha certo paura di un temporale estivo e quindi ringrazia per il suggerimento ma lo ignora disinvoltamente.

Purtroppo il concerto si avvia alla conclusione, e mentre Cristina canta, nella cover di Enjoy The Silence dei Depeche Mode, All I ever wanted, all I ever needed is here in my arms mi viene da pensare che mi abbia letto nella testa perché al termine di un'infuocata giornata estiva, tutto ciò di cui abbiamo bisogno è proprio un concerto di una band leggendaria che questa sera si è fermata a pochi chilometri da casa.

sabato 19 maggio 2018

Giacomo Voli - Monticelli d'Ongina, 18/5/2018

Il cortile del palazzo Tredicini-Archieri di Monticelli d'Ongina è la location perfetta per un concerto in una fresca serata di primavera. Se poi l'artista che si esibisce è una delle migliori voci del panorama rock mondiale, il concerto diventa un evento imperdibile e la fortuna che sia vicino a casa fa sì che ci si metta in macchina volentieri per partecipare a quella che sarà una serata di grande musica.

Mentre per le strade del paese, che nonostante sia poco noto è di una bellezza mozzafiato, si svolge l'annuale Festa dei Fiori, il cortile ospita il live di Giacomo Voli con la sua band rinnovata che è solo alla seconda esibizione dal vivo con questo straordinario vocalist che alterna la sua attività solista a quella di frontman dei Rhapsody of Fire.

La serata è stata aperta dal Quartetto Bazzini che ha scaldato il pubblico interpretando alcuni classici del rock dei decenni scorsi, attingendo dalla discografia di gruppi come Metallica e Queen, con due violini, viola e violoncello, senza rinunciare a un tocco di classicità con il Canone di Pachelbel, prima di lasciare la scena al quintetto di Giacomo Voli.

La GV Band è salita sul palco poco prima delle 23 per regalare al pubblico un'altra serata di rock indimenticabile. La voce di Voli è semplicemente perfetta e inarrivabile per potenza ed estensione, e a Monticelli d'Ongina ha dato anche prova di incredibile versatilità spaziando tra generi e decenni diversi come pochissimi sanno fare. Anche la band si muove alla perfezione e nonostante sia alle prime esibizioni insieme sembra avere l'intesa delle band più navigate. Il gruppo ha interpretato i pezzi dei primi due dischi del cantante di Correggio, Ancora Nell'Ombra del 2015 e il nuovissimo Prigionieri Liberi, con l'aggiunta di alcune cover reinterpretate nel loro stile, qualche sperimentazione tra medley e mash-up e tanta simpatia da parte del cantante che alterna al canto un po' di umorismo che non guasta e rende il tutto più divertente.

Il concerto si apre con la travolgente Un Capitale e poco dopo l'inizio Voli propone la prima rielaborazione con un medley tra Segni di Tregua e Charlie Big Potato degli Skunk Anansie. Circa a metà dell'esibizione Giacomo mostra il lato più "dolce" (come lui stesso l'ha definito) della propria musica con un momento in acustico in cui si accompagna da solo alla chitarra per qualche pezzo più raccolto, come Il Libro dell'Assenza, Ridi Nel Tuo Caffè e The Magic of The Wizard's Dream dei Rhapsody of Fire.

Nella seconda parte de concerto il gruppo interpreta anche le cover di Ti Sento dei Matia Bazar e Impressioni di Settembre della PFM che Voli ha inciso anche nei propri dischi in studio. Poco prima della chiusura il quintetto omaggia la cantante Elisa con due sue cover. La prima è Luce che la GV Band trasforma in un pezzo hard rock mostrando lati inediti di un pezzo famosissimo e risvolti a cui neppure gli autori originali avevano pensato, l'esperimento è riuscito alla grande e il pubblico lo apprezza anche se Giacomo definisce scherzosamente la propria versione "un abominio". La seconda è Labyrinth che si apre con un bellissimo vocalizzo iniziale, che Voli impreziosisce con le sue doti canore, e che qui viene eseguita in un'inedita versione in un mash-up con Kashmir dei Led Zeppelin.

Giacomo chiude il live con tre pezzi proprio del quartetto capitanato da Robert Plant che esegue in rapida successione. Si parte con Black Dog per poi passare a Rock And Roll, che interpretata da Voli dà sempre un'emozione particolare perché rimanda la memoria alla Blind Audition di The Voice of Italy di quattro anni fa che cambiò la storia del rock del nostro paese, e si chiude con Whole Lotta Love.

Al termine del concerto Giacomo non si fa attendere e gira nel pubblico scambiando battute, strette di mano e concedendosi alle foto di chi le chiede, dimostrando il lato umano di un talento straordinario che nonostante il successo e le capacità ineguagliate mantiene un'umiltà davvero unica. Che una leggenda del rock venga a ridere e scherzare con il pubblico non succede tutti i giorni, ma Giacomo Voli è così.

Purtroppo il concerto è finito, e la notte è piuttosto fredda per essere metà maggio, per non lasciare le emozioni del cortile di Monticelli sulla strada verso casa girano ancora nell'autoradio Ancora Nell'Ombra e Prigionieri Liberi, perché la serata è stata memorabile e almeno facciamo finta che prosegua fino a casa.

Grazie Giacomo, grazie GV Band. Alla prossima!

venerdì 11 maggio 2018

The Dead Daisies Burn It Down Tour - Trezzo sull'Adda, 9/5/2018

Non ero mai stato al Live Club di Trezzo sull'Adda, nonostante sia uno dei locali più famosi del milanese tra quelli in cui passano le leggende del rock nei loro tour europei. Il 9 maggio del 2018 il programma prevedeva il live dei Dead Daisies, uno dei gruppi più interessanti del panorama hard rock mondiale e l'occasione era ghiotta per vedere questo leggendario posto e per vedere dal vivo questo quintetto straordinario.

Credit: Tino
In una giornata passata da un caldo africano alla pioggia battente nel giro di poche ore, lo show è stato introdotto da un gruppo di apertura di altissimo livello, con i tedeschi New Roses che hanno regalato alla folla un'ora di ottimo rock dal buon equilibrio tra sonorità dure, melodia e qualche sfumatura di southern.

Poco dopo le 21 è salito sul palco il gruppo guidato da John Corabi che ha aperto con Resurrected, dal nuovo album Burn It Down, per iniziare due ore di rock folle e forsennato, fatto da una sana combinazione di energia e allegria senza sosta. Il gruppo ha scelto sapientemente la scaletta attingendo dagli ultimi tre album (quelli che vedono Corabi alla voce) e prendendo solo i pezzi più energici, quelli che infiammano la folla come Make Some Noise, Can't Take It With You e Song and a Prayer. Mexico, proposta come sesta, è il pezzo che accende di più la folla e l'energia non si spegne mai, fino al finale introdotto da Long Way To Go.

Il gruppo sul palco si muove con una maestria che pochi hanno, la macchina musicale si muove alla perfezione e l'esecuzione è impeccabile in ogni momento dell'esibizione. Del resto questo quintetto è composto da musicisti di grandissima esperienza e successo, e se la definizione di supergruppo inizia ad andare stretta a un combo di musicisti che sforna (tra registrazioni in studio e live) un album all'anno possiamo dire con sicurezza che i Dead Daisies sono un vero dream team dell'hard rock.

Corabi domina la scena e caratterizza ogni pezzo con la sua potenza vocale e con gli stessi acuti dei tempi in cui militava nei Mötley Crüe. Marco Mendoza interpreta appieno il ruolo di vice frontman ed è consapevole di essere quello che raccoglie più attenzione insieme al cantante. Il bassista lancia decine di plettri tra la folla che fa a gara per raccoglierli, scende dal palco e passeggia in mezzo al pubblico mentre suona (tanto che io stesso gli ho toccato una spalla e una ragazza poco distante gli ha stampato un bacio su una guancia) e soprattutto ricopre il ruolo principale nelle seconde voci in cui di solito esegue la voce alta lasciando a Corabi quella bassa.

I Dead Daisies chiudono la serata con la cover di Highway Star dei Deep Purple che non hanno mai inciso in studio ma che eseguono spesso dal vivo a coronare una serata memorabile, con tanto rock di altissimo livello, fresco e divertente, eseguito come meglio non si potrebbe.

Nel frattempo fuori ha smesso di piovere, ma il caldo del pomeriggio ha lasciato il posto a una notte piuttosto fredda per la stagione, e mentre lasciamo il Live Club verso l'autostrada resta il ricordo di un concerto superlativo e la consapevolezza di avere appena visto in azione cinque tra i migliori musicisti di ogni epoca.

Grazie Live Club, grazie New Roses e soprattutto grazie Dead Daisies. Alla prossima!

lunedì 12 febbraio 2018

Metallica WorldWired Tour - Torino, 10/2/2018

Nota: questo articolo è stato scritto dal nostro guest blogger Tino che ringraziamo per la collaborazione.

Una volta erano headliner a qualche festival costosissimo e avevo il sospetto suonassero poco tempo, vuoi che una volta erano lontani, una volta mi sono pure svegliato tardi e i biglietti erano andati, ma stavolta i Metallica non me li sono fatti scappare. Nella serata della finale del Festival di Sanremo, io e altre 14000 persone di tutte le età che il frontman ha definito 'The Metallica's family' abbiamo letteralmente riempito il Pala Alpitour per vedere Hetfield e altri 3 'old men' che da ben 37 anni picchiano duro con il loro metal grezzo, veloce e violento al punto giusto, thrash appunto.

Dopo l'apertura dei norvegesi Kvelertak, il palco sembrava una banale piattaforma quadrata in mezzo al campo centrale, ma sulle note di Ecstasy of Gold di Morricone, luci, proiettori cubici mobili e piccoli droni lucciole non hanno per nulla fatto sentire la mancanza degli oramai tradizionali megaschermi.

Il tour si chiama WorldWired e la band ha iniziato con i due singoli dell'ultimo disco (un ottimo disco, secondo me stanno ancora cercando di farsi perdonare St. Anger), le mitragliate di doppia cassa di Hardwired e Atlas, Rise! aprono le danze prima che James annunci che faranno sia nuove canzoni che vecchie. La band attacca quindi con il riff iniziale di Seek and Destroy, dal primo album del 1983, per molti il vero concerto inizia solo ora. Sulla via della nostalgia Leper Messiah e Welcome Home anticipano una tripletta pezzi recenti come Now We Are Dead, la più melodica HardWired, e Spit Out the Bone e Halo on Fire; in mezzo a questi For Whom the Bell Tolls, altro classicone direttamente da Ride The Lightning degli anni 80.

Sorpresona del concerto è stato un duetto Hammet-Trujillo che a sorpresa partono con C'è Chi Dice No, di Vasco Rossi come tributo alla nazione ospitante del concerto; ho apprezzato moltissimo il gesto, ma come molti altri ho pareri contrastanti.

Unici due pezzi tratti dagli album meno apprezzati dei Metallica sono stati la cover di Blitzkrieg, mi piace talmente tanto che non ho mai nemmeno cercato la versione originale, e The Memory Remains, dall'album Reload. Si prosegue poi con Moth Into Flame, Sad But True, la mitica One e la devastante Master Of Puppets, un vero pezzo di storia della musica heavy metal.

Pausa minima prima della strumentale Orion e finale più che epico con due pezzi tratti dall'album eponimo; oltre a vendere 16 milioni di copie solo negli Stati Uniti, lancia i Metallica nel circuito un po' più commerciale consacrandoli davvero come fenomeno planetario. L'arpeggio di Nothing Else Matters fa cantare tutti, un tempo ci sarebbero stati gli accendini al cielo, e la famosissima Enter Sandman chiude le oltre due ore di concerto.

Hanno passato i 50 e hanno i capelli bianchi, ma diamine se spaccano dal vivo...

lunedì 29 gennaio 2018

Depeche Mode Global Spirit Tour - Assago, 27/1/2018

Questo articolo è stato scritto dal nostro guest blogger Tino che ringraziamo per il prezioso contributo.

Wikipedia li etichetta come synth pop, genere del quale i Depeche Mode sono stati gli iniziatori; partendo dal sud dell'Inghilterra negli anni 80 e conquistando letteralmente il mondo con numeri da capogiro. 100 milioni di dischi venduti, carriera quasi quarantennale, hanno influenzato moltissimo la scena musicale, innumerevoli cover, e sopratutto palazzetti e stadi stracolmi ogni volta che mettono il becco fuori casa.

Il Global Spirit Tour, che accompagna l'omonimo studio album nel 2017, prevedeva due date a Milano i cui biglietti sono letteralmente volati via. Un Mediolanum Forum così pieno non l'ho mai visto, tutti pronti ad ammirare, inizialmente, la strepitosa scenografia fatta da uno schermo gigante usato durante il concerto per proiettare veri e propri cortometraggi ad accompagnamento dei 20 pezzi di una scaletta piena di pietre miliari della carriera della band inglese.

Revolution dei Beatles mandata on air prepara il pubblico all'ingresso di Dave, Martin e Andrew che attaccano con Going Backwards, tratta dall'ultimo album. Seguono It's No Good e Barrel of a Gun, primi pezzi tratti dall'album Ultra del 1997, dal quale verranno tratti molti pezzi di questo concerto. Prima bomba della serata è Precious, tratta da Playing the Angel del 2005, seguono pezzi tratti da altri album come Violator (World in my Eyes) e Songs of Faith and Devotion (In Your Room) prima di tornare su Where's The Revolution tratta sempre dal recente Spirit.

Everything Counts e Stripped preparano la folla al cambio di marcia del concerto con l'immortale Enjoy the Silence. "All I ever wanted all I ever needed is here in my arms", questo ritornello lo conoscono anche i muri e la folla milanese l'ha cantata a squarciagola; vanta innumerevoli reinterpretazioni come ad esempio quella dei Lacuna Coil, ma l'originale è immensamente meglio. Never Let Me Down Again precede la piccola pausa e, subito dopo Martin prende il microfono e canta una bellissima versione acustica di Strangelove.

Altra pietra miliare Walking In My Shoes, insieme alla più movimentata A Question of Time precedono il grandissimo finale con Personal Jesus, altro pezzo eterno che vanta un numero elevatissimo di reinterpretazioni, inclusa quella di Marilyn Manson.

Le due ore di concerto sono state visivamente spettacolari, il pubblico numerosissimo e partecipe, la scaletta è stata eccezionale, la band inceppibile e la voce di Dave semplicemente perfetta.

Per chi si fosse incuriosito i Depeche Mode suoneranno ancora in Italia tra non molto, a luglio a Barolo (CN)

Piccola riflessione personale, era da un po' che ci pensavo e ora vorrei condividerla. Tempo fa un amico mi disse, scherzando, 'ma ti capita di andare anche a vedere band di gente che ha meno di 50 anni?' La mia risposta è ovviamente sì, ma quello che mi chiedevo è perché queste band di 'vecchietti', dopo così tanto tempo riempiono ancora gli stadi, i palazzetti, le piazze?

Forse perchè oggi, tra social, YouTube e talent show vari basta un motivetto orecchiabile, un Despacito o un Andiamo a Comandare qualsiasi può facilmente rubare la scena musicale (commerciale, ovvio); ma tanto veloce la ruba, tanto veloce la scena viene rubata dal tormentone successivo.

Non sto dicendo che i dischi che escono ora fanno schifo, anzi; però forse 20 o 30 anni fa senza tutti questi mezzi di comunicazione, solamente quelli bravi, ma davvero bravi, riuscivano a emergere. E solo quelli ancora migliori riuscivano a sopravvivere con le vendite dei dischi visto che prima Spotify non c'era. Rimango dell'idea che i Depeche Mode, insieme a molte altre band del passato, continueranno a occupare le nostre playlist, sicuramente per molti anni a venire.

Nel caso vi avessi annoiato con questa divagazione scusate, ma se non l'avessi scritta ora l'avreste letta nella recensione del concerto dei Metallica tra due settimane.