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venerdì 9 luglio 2021

Billy Gibbons - Hardware

Mentre gli ZZ Top sono di fatto fermi dall'ormai lontano 2012, quindi uscì il loro più recente album La Futura, il frontman Billy Gibbons ha sfornato tre album nel giro di sei anni, a partire da Perfectamundo del 2015, passando per The Big Bad Blues del 2018, fino al nuovo Hardware uscito in questo 2021.

Mentre il primo album di Gibbons era orientato verso suoni caraibici e il secondo (come dice il titolo stesso) verso il blues del profondo sud, con Hardware il barbuto vocalist e chitarrista esplora invece le sonorità del deserto con un mix di stoner rock, southern rock, blues e tanto rock 'n roll.

L'album si assesta principalmente su ritmi veloci, con brani incalzanti ricchi di riff di chitarra e della voce di Gibbons che in questa composizione sembra più graffiante del solito per via delle atmosfere roventi che crea. Tra i brani migliori troviamo il pezzo di apertura My Lucky Card caratterizzato da un poderoso e quasi ossessionante riff di chitarra, il blues dalle atmosfere tarantiniane di West Coast Junkie e She's on Fire dalle atmosfere più leggere. Spiccano anche S-G-L-M-B-B-R che richiama le sonorità più tipiche degli ZZ Top, la cover di Hey Baby Que Paso dei Texas Tornados che Gibbons condisce con venature caraibiche già esplorate in Perfectamundo e Stackin' Bones che vede la presenza come ospiti del gruppo roots rock Larkin Poe le cui vocalist eseguono i cori.

L'album contiene anche due pezzi più lenti, quali la ballad Vagabond Man e il blues Spanish Fly. Chiude il disco il talking blues di Desert High che tiene proprio per la chiusura dell'album il pezzo che più di tutti gli altri richiama le origini del genere.

In questo disco praticamente tutto funziona benissimo, così come nei precedenti due, e Gibbons realizza l'ennesimo prodotto solido della propria lunga discografia. Non resta che sperare che gli ZZ Top non siano al capolinea per vedere il trio ancora in azione insieme, in ogni caso le produzioni soliste di Gibbons non fanno per nulla rimpiangere la band al completo.

mercoledì 20 gennaio 2021

John Fogerty - Fogerty's Factory

Durante il lockdown dovuto alla pandemia da COVID-19 l'ex frontman dei Creedence Clearwater Revival ha realizzato il proprio nuovo album intitolato Fogerty's Factory con l'aiuto del suoi figli Shane, Tyler e Kelsy in veste di musicisti. Nel disco, la cui copertina è un omaggio a quella dell'album Cosmo's Factory del 1970 dei CCR, la famiglia Fogerty reintepreta in chiave acustica e in presa diretta alcuni dei classici della discografia della band storica e di quella solista del frontman in un'atmosfera leggera e da festa in famiglia. Il disco contiene anche due cover, quella di Lean on Me di Bill Withers, dedicata al movimento BLM, e quella di City Of New Orleans di Steve Goodman.

I pezzi sono stati registrati nello studio casalingo di Fogerty, ad esclusione di Centerfield tratta dall'album omonimo del 1985, registrata al Dodgers Stadium (ovviamente senza pubblico) in occasione del settantacinquesimo compleanno di John. Il disco offre un po' di sano divertimento, con i brani che mostrano chiaramente il loro lato più rustico e ruspante, anche per il fatto di essere basato interamente su solo voce, chitarre e basso, senza batteria. Sicuramente lo si ascolta volentieri ed essendo tutti brani noti scorre senza intoppi e senza annoiare. Tuttavia non si tratta certo di un capolavoro, visto che si tratta di cover acustiche di pezzi famosi la cui melodia resta inalterata e quindi non aggiunge nulla a quanto già conoscevamo.

Viene comunque da chiedersi perché dal 2007 John Fogerty sforni solo cover. A Revival del 2007 sono infatti seguiti The Blue Ridge Rangers del 2009, che conteneva cover di altri musicisti, e Wrote a Song for Everyone del 2013, album di autocover che vedeva importanti ospiti della scena rock contemporanea. E per quanto quindi Fogerty's Factory sia piacevole da ascoltare, lascia un po' la sensazione dell'occasione sprecata. Non resta che sperare che questo sia un esperimento per provare la nuova band e che Fogerty e i suoi figli ci regalino un album di inediti nei prossimi anni.

mercoledì 23 dicembre 2020

George Thorogood & The Destroyers ‎– Rock And Roll Christmas

Nel momento più alto della sua carriera, dopo la pubblicazione del suo iconico album Bad to the Bone il rocker del Delaware George Thorogood ha inciso il suo primo e finora unico singolo di Natale dal titolo Rock And Roll Christmas. Pubblicato nel 1983, il brano è allegro, festaiolo e dal ritmo incalzante proprio come ci si aspetta da una canzone di George Thorogood, di cui contiene tutti gli stilemi con una forte impronta blues e rock and roll e con menzioni nel testo a Elvis Presley, Chuck Berry e Buddy Holly. Il pezzo si apre con uno snippet di Joy to the World suonato al sassofono da Hank "Hurricane" Carter (che ha fatto parte dei Destroyers dal 1980 al 2003) e il suono del sax è preponderante durante tutto il pezzo.

Il B-side di Rock And Roll Christmas è New Year's Eve Party, anch'essa ispirata al rock and roll degli anni 50, con ritmi meno forsennati del brano sul lato A, ma senza rinunciare alle atmosfere di festa a cui questo singolo è dedicato. Anche il questo caso Hank Carter ci regala uno snippet al sassofono: quello di Auld Lang Syne, noto in Italia come Valzer delle Candele.

Rock and Roll Christmas è in realtà uno dei pezzi meno noti di Thorogood, che non compare in nessuno dei suoi album e nemmeno nelle raccolte, ciò nonostante si tratta di un pezzo di ottima fattura, divertente e allegro, che realizza un'ottima commistione tra tradizione e modernità e che costituisce un'ottima aggiunta alla collezione di canti natalizi rock, per dare alle feste un tocco più moderno.

lunedì 10 giugno 2019

I b-side dei Doors

Durante la loro carriera discografica, che si estende tra il 1967 e il 1978, i Doors hanno pubblicato nove album in studio e oltre venti singoli, e tra i b-side che hanno accompagnato le loro hit più famose su vinile solo tre non sono mai stati pubblicate all'interno degli album.

Il primo di essi risale al 1969 e si intitola Who Scared You, b-side di Wishful Sinful tratto dal The Soft Parade. Il brano è stato scritto da Jim Morrison e Robby Krieger ed è un pezzo di rock psichedelico ricco di contaminazioni di jazz fusion, come nello stile di The Soft Parade di cui è coevo, nel brano non mancano infatti lunghe parte strumentali tra i ritornelli e le strofe.

Il secondo b-side mai pubblicato su un album risale invece al 1971 ed è la cover di (You Need Meat) Don't Look No Further di Willie Dixon incisa per la prima volta da Muddy Waters nel 1956 con il titolo Don't Go No Farther. La versione dei Doors è stata pubblicata come b-side di Love Her Madly dall'album L.A. Woman ed è l'unica registrazione in studio della band ad essere cantata da Ray Manzarek prima della morte di Jim Morrison, il quale in questo caso non ha avuto alcun ruolo nelle registrazioni.

L'esecuzione canora di Manzarek non ha comunque nulla da invidiare al suo più noto collega (come in futuro avrebbe ampiamente dimostrato negli album registrati dopo la morte di Morrison), rispetto all'esecuzione di Muddy Waters il pezzo mantiene le atmosfere blues, ma aggiunge le stesse connotazioni di blues rock che contraddistinguono L.A. Woman rendendolo in generale un po' più grintoso e ovviamente Manzarek canta su note più alte rispetto a quelle di Muddy Waters.

Il terzo e ultimo dei tre brani mai pubblicati in album è Treetrunk del 1972, pubblicato come b-side di Get Up and Dance tratto da Full Circle, secondo e ultimo album pubblicato dalla band con Manzarek e Krieger alla voce dopo la prematura scomparsa di Jim Morrison. Il pezzo è sorprendentemente pop e orecchiabile ed è stato escluso dal disco proprio per l'approccio diverso rispetto a quello di ogni altra registrazione del gruppo.

Who Scared You e (You Need Meat) Don't Look No Further comparvero per la prima volta in un 33 giri nel 1972, nella compilation Weird Scenes Inside the Gold Mine. In seguito Who Scared You fu inserita nel cofanetto quadruplo The Doors: Box Set del 1997 (anche se in una versione accorciata), mentre (You Need Meat) Don't Look No Further trovò la sua prima pubblicazione in CD nella raccolta Perception composta da 12 dodici dischi che raccolgono i primi sei album della band con l'aggiunta di outtakes e tracce extra.

Treetrunk fu invece pubblicata in un album solo nel 2010, nell'edizione in CD a doppio disco di Other Voices e Full Circle e da allora è stata inclusa solo in un altra compilation: il cofanetto The Singles Box destinato al mercato giapponese del 2013.

Questi tre sono sicuramente brani meno noti della ricca discografia dei Doors, tuttavia il fatto che si tratti di pezzi di gran livello conferma il fatto che anche i brani scartati da Doors sono capolavori di rock dallo stile inconfondibile così come le loro tracce più note.

mercoledì 31 ottobre 2018

Greta Van Fleet: salvatori del rock o tribute band?

Sono il fenomeno musicale degli ultimi anni. Molti critici musicali hanno scritto almeno un editoriale su di loro, non c'è un sito internet che tratti di hard rock che non abbia una loro recensione e la rotazione dei loro pezzi sulle radio di genere ha una frequenza impressionante.

Stiamo ovviamente parlando degli americani Greta Van Fleet, quartetto di giovanissimi che dopo aver dato alle stampe due EP nel 2017 ha quest'anno pubblicato il proprio primo LP dal titolo Anthem of the Peaceful Army. Li si ama o li si odia, i Greta Van Fleet non sembrano capaci di generare emozioni pacate e dividono il pubblico tra chi li considera i salvatori dell'hard rock e chi li reputa poco più di una tribute band dal successo immeritato.


Sulle loro capacità tecniche non ci sono dubbi. La loro musica è sicuramente piacevole, tutti i pezzi si lasciano ascoltare e ogni loro passaggio in radio è sempre gradito. I dubbi sono, semmai, sulla creatività e la loro capacità autorale.

La caratteristica peculiare del quartetto del Michigan è infatti che la loro musica assomiglia in modo smaccato ed esplicito a quella dei Led Zeppelin; tutto nel sound dei Greta Van Fleet ricorda la band di Jimmy Page e Robert Plant, dalle melodie, ai riff di chitarra al cantato di Joshua Kiszka che imita Plant in tutto e per tutto.

I critici più ottimisti sostengono che i Greta Van Fleet abbiano il merito di far avvicinare il pubblico più giovane al rock degli anni 70, che gli stessi Zeppelin hanno al loro tempo attinto a piene mani dal blues di Chicago e che altre band, come i Darkness o gli Struts, si ispirano ai modelli del passato senza attirarsi le critiche che ricevono i Greta Van Fleet.

E' sicuramente vero che Page e Plant hanno spesso copiato in modo disinvolto da Muddy Waters, Howlin' Wolf e molti altri, ma il suono dei Led Zeppelin è sempre stato molto diverso da quello dei bluesman americani; basti pensare che gli Zep hanno sostituito le chitarre acustiche con quelle elettriche e che il canto di Plant è diversissimo da quello dei modelli a cui si è ispirato. Nessuno in un ascolto in doppio cieco potrebbe confondere Muddy Waters con i Led Zeppelin; lo stesso non si può dire di un confronto tra gli Zeppelin e i Greta Van Fleet che sono quasi indistinguibili per chi non conosca a memoria le discografie. I Darkness attingono dall'AOR ottantiano, ma il loro sound non si confonde con quello di nessun'altra band e le somiglianze tra gli Struts e i Queen sono molto meno marcate di quelle tra i Led Zeppelin e i Greta Van Fleet.

Detto questo, per ora i Greta Van Fleet sono una buona band, forse una delle migliori in circolazione, ma il fatto di non avere un suono distintivo li relega nel gruppo delle "buone band". I fasti dei Led Zeppelin sono molto lontani e per ora non sembra proprio che i Greta Van Fleet possano rimanere nella memoria come una delle band più iconiche di questo decennio. Il rischio è che finiscano nel limbo dei gruppi che non esplodono mai, come i Bush o gli Screaming Trees il cui talento non è mai stato premiato del tutto.

Sicuramente i Greta Van Fleet hanno il tempo dalla loro parte, sono poco più che ventenni e avranno la possibilità di sviluppare un suono più personale. Glielo auguriamo di cuore, ma fino ad allora il loro impatto nella storia della musica rimarrà molto limitato.

mercoledì 26 settembre 2018

Billy Gibbons - The Big Bad Blues

Dopo l'esperimento di musica caraibica di Perfectamundo, il chitarrista e cantante degli ZZ Top Billy Gibbons torna su terreni più noti e battuti con il nuovo album solista intitolato The Big Bad Blues uscito nel settembre del 2018. Come suggerito dal titolo stesso le sonorità del nuovo album sono contraddistinte da un blues rock grezzo e diretto che attinge direttamente dalle origini di questo genere.

Rispetto agli album degli ZZ Top, The Big Bad Blues offre un suono generalmente più lento e più duro in cui hanno la parte principale la voce graffiante di Gibbons e la sua chitarra che scandisce le melodie. Inoltre, come nella migliore tradizione del blues di Chicago, trovano ampio spazio le tastiere e l'armonica ed è proprio quest'ultima che spesso duetta con la chitarra.

Il fatto che Gibbons abbia attinto ampiamente dai modelli delle origini è confermato dalla presenza di ben quattro cover, quali Standing Around Crying e Rollin’ and Tumblin di Muddy Waters, e Bring It to Jerome e Crackin’ Up di Bo Diddley. Queste due in particolare sono tra i migliori pezzi dell'album, con Bring It to Jerome che si distingue per i suoni duri e aggressivi, mentre Crackin’ Up è sicuramente il brano più leggero dell'intero album (e lo stacco si sente nettamente durante l'ascolto) grazie alle sue atmosfere rock and roll e al coro di voci femminili che si affiancano a Gibbons sul controcanto del ritornello.

Tra i sette brani inediti spiccano la traccia di apertura Missin’ Yo’ Kissin’ che è quella che si avvicina più allo stile degli ZZ Top e in cui l'armonica ha il ruolo più importante, e le grintose Let The Left Hand Know e la già citata Rollin' and Tumblin'. Tra i pezzi migliori troviamo anche Mo' Slower Blues, che come dice il titolo stesso rallenta notevolmente il ritmo senza rinunciare alla durezza dell'impatto sonoro, e l'allegra Hollywood 151 che offre un po' di freschezza rinunciando alle venature hard rock di cui il resto del disco è pervaso.

Con questo nuovo album solista Billy Gibbons confeziona l'ennesimo ottimo disco della sua lunghissima carriera. In The Big Bad Blues infatti non c'è nemmeno un pezzo noioso o che si sarebbe potuto evitare e l'album è ricco solo di tanta buona musica blues che, data la notorietà dell'interprete, può servire a far conoscere a un pubblico più ampio questo genere musicale, troppo spesso messo da parte in favore delle mode del momento e di musica di più facile consumo.

martedì 18 settembre 2018

Billy Gibbons - Perfectamundo

Nel 2015, a sessantasei anni di età e a quarantacinque dalla prima uscita discografica, il cantante e chitarrista degli ZZ Top Billy Gibbons ha realizzato il proprio primo album solista con il titolo di Perfectamundo. In questo disco Gibbons si lancia in una sperimentazione di musica latina e lontana da tutto ciò a cui ci ha abituato nelle ultime quattro decadi. Come riporta il retro di copertina, infatti, la musica di Perfectamundo contiene una mescolanza di Tejano, Mexicano, Carribeano e Afro-Cubano, il tutto arricchito abbondantemente del blues rock del sud di cui gli ZZ Top sono tra i migliori interpreti del pianeta.

Come specificato dallo stesso Gibbons in un Behind the Scenes, per raggiungere l'obiettivo ha dovuto utilizzare una strumentazione ben diversa da quella usata con la band di Frank Beard e Dusty Hill e ha al contrario impiegato strumenti quali congas, bonghi, timbales e maracas; e in questo disco oltre a cantare in inglese si cimenta a più riprese con lo spagnolo e anche con un divertente spanglish.

Il risultato di questa sperimentazione è un album fresco e divertente dalle musiche allegre e dai testi spensierati. Le atmosfere caraibiche si respirano in ogni pezzo dell'album che è composto da undici brani, di cui nove inediti e le cover di Treat Her Right di Roy Head e Baby, Please Don't Go di Joe Williams, in cui Gibbons dimostra grande capacità di trasformare in caraibico due pezzi nati come soul e blues rispettivamente.

I pezzi più interessanti dell'album sono sicuramente quelli cantanti in spagnolo tra cui Sal y Pimiento, Piedras Negras e Hombre Sin Nombre, proprio perché il canto in una lingua diversa aggiunge un tocco esotico che rende queste incisioni ancora più particolari.

Con Perfectamundo Billy Gibbons confeziona un album che centra in pieno l'obiettivo e che intrattiene senza sosta per tutta la sua durata, senza riempitivi ma solo con tanta buona musica. L'esperimento del chitarrista e cantante è perfettamente riuscito, con un album che non contiene momenti deboli e che sopratutto mostra l'incredibile ecletticità di questo musicista, che è tra i più dotati al mondo.

giovedì 12 luglio 2018

Buddy Guy - The Blues is Alive and Well

Tre anni dopo il precedente Born to Play Guitar torna il leggendario bluesman Buddy Guy con un nuovo album intitolato profeticamente The Blues is Alive and Well. E stando alla qualità della musica contenuta nel disco sembra proprio che quanto dice il titolo sia decisamente corretto, perché gli anni passano e George Guy (vero nome di Buddy Guy) ha passato gli ottant'anni ma la sua musica non sembra risentirne.

Il nuovo album è composto da quindici tracce per una durata complessiva di 64 minuti e già questo è un risultato ragguardevole visto che molti artisti che hanno meno della metà degli anni di Buddy Guy si fermano ben prima di una durata del genere. Il disco è composto da un blues genuino che riporta alle atmosfere del profondo sud degli Stati Uniti e tutte le quindici tracce sono contraddistinte dall'onnipresente suono della chitarra di Buddy Guy unito alla sua voce tonante che a dispetto degli anni non ha ancora perso nulla della sua potenza iniziale.

Il disco vede anche una notevole presenza di ospiti illustri. Jeff Beck e Keith Richards affiancano Buddy Guy nell'evocativa Cognac che è il pezzo dalle atmosfere più classiche dell'album, Jeff Bay porta un tocco di soul in Blue No More unendosi a Buddy Guy non solo con la chitarra ma anche alla voce, ma l'ospite più illustre è senza dubbio Mick Jagger che suona l'armonica nella lenta You Did The Crime.

Tra i pezzi migliori troviamo sicuramente la potente Guilty as Charged che sconfina nel blues rock, genere in cui Buddy Guy si cimenta in varie tracce di questo disco, e la title track contraddistinta dalla presenza poderosa di numerosi strumenti a fiato. Atmosfere da blues rock si trovano anche in Ooh Daddy che propone una bella mescolanza tra blues e rock and roll ispirato agli anni 50. Nella track list spiccano anche Whiskey for Sale, impreziosita dal coro di voci femminili nel ritornello, e Nine Below Zero grazie al suono del piano che duetta con la chitarra.

The Blues is Alive and Well è il diciottesimo album solista di Buddy Guy, senza contare le innumerevoli collaborazioni e i duetti di cui la sua discografia è costellata, ed è l'ennesimo capolavoro della sua lunga carriera in cui non ha mai commesso un passo falso. Questo nuovo disco, che rasenta la perfezione, è sicuramente uno degli album di blues migliori degli ultimi anni e dimostra come Buddy Guy resti uno dei migliori interpreti del genere: del passato e di ogni tempo.

martedì 29 agosto 2017

George Thorogood - Party Of One

A 67 anni e a quattro decadi dall'esordio, George Thorogood ha realizzato il suo primo album solista, senza i Destroyers che lo accompagnano dal 1977. Chi si aspetta un album nello stille dei Destroyers suonato da musicisti diversi rimarrà piacevolmente sorpreso: il disco è infatti completamente diverso dalle aspettative, con la strumentazione ridotta all'osso e il solo Thorogood che suona. I pezzi sono tutti realizzati con voce e chitarra e solo in uno è presente anche l'armonica, anch'essa suonata da Thorogood.

Come nella sua migliore tradizione il blues rocker del Delaware decide di realizzare un disco di cover attingendo da repertorio di alcuni mostri sacri del blues, del country e del rock and roll come Robert Johnson, John Lee Hooker, Willie Dixon, Johnny Cash, Rolling Stones e molti altri.

Grazie alla strumentazione essenziale Throgood rimane fedele ai modelli originali e registra un album che omaggia le origini degli stili musicali che lo hanno reso celebre e che lui ha contribuito a diffondere. Uno dei pregi di questo album è infatti proprio quello che i pezzi sembrano vecchi anche all'ascolto; questo non suona come un album di cover realizzato nel 2017, ma come un disco preso di peso dai primi decenni del secolo scorso e teletrasportato ai giorni nostri.

Nonostante lo stile minimalista, Thorogood riesce a esprimersi in stili canori e musicali molto diversi. Si passa da pezzi più aggressivi come I'm a Steady Rollin' Man di Robert Johnson e Boogie Chillen di John Lee Hooker a brani più melodici come Soft Spot di Gary Nicholson e Allen Shamblin e No Expectations dei Rolling Stones fino a pezzi tipicamente country come Bad News di Johnny Cash e Pictures From Life's Other Side di Hank Williams. Tra i pezzi degni di nota troviamo anche The Sky is Crying di Elmore James che Thorogood aveva già inciso con la band nell'album Move It Over del 1978.

In chiusura dell'album troviamo una registrazione live di One Bourbon, One Scotch, One Beer di John Lee Hooker registrata da Thorogood con i Destroyers nel 1999 e (solo nella versione in CD) Dynaflow Blues di Robert Johnson che pure aveva inciso con il gruppo nell'album The Hard Stuff del 2006.

Con Party Of One George Thorogood si conferma uno degli artisti più meritevoli della nostra epoca, capace di realizzare un disco di cover e di omaggi al passato armato solo di chitarra e armonica. Oltre ad essere un grandissimo musicista si dimostra anche per l'ennesima volta un grande conoscitore della storia della musica moderna e della sua evoluzione, dal blues del delta del Mississippi fino al rock contemporaneo. In ogni disco di George Thorogood possiamo trovare il perfetto connubio tra la musica e la sua storia ed è un vero peccato che nel nostro paese Thorogood sia conosciuto solo per Bad To The Bone; resta almeno la speranza che Party Of One allarghi il pubblico degli ascoltatori di questo straordinario musicista e che partendo da qui venga riscoperta anche la lunga discografia dei Destroyers.

giovedì 15 giugno 2017

Barrio Viejo - Liberación

Capita saltuariamente che dei campioni dello sport passino al mondo della musica e alcune volte il cambio di carriera ha riscontrato un buon successo; i casi più celebri sono senza dubbio quelli del cestista Shaquille O'Neal e quello del wrestler John Cena, ma oltre a questi ce ne sono innumerevoli altri meno noti come il compianto Wayman Tisdale, un altro cestista, o Deion Sanders che nella sua carriera sportiva ha giocato professionalmente sia a baseball sia a football. In questo universo prevalentemente nordamericano, stupisce un po' che l'ultimo sportivo ad aver fatto questo passo sia un calciatore italoargentino che ha lasciato il mondo del pallone per approdare a quello del blues rock. Dopo l'ultima stagione giocata con il Boca Juniors in Argentina, l'ex centravanti Pablo Daniel Osvaldo (che in Italia ha militato in Fiorentina, Roma, Juventus e Inter oltre che in nazionale) ha infatti interrotto la propria carriera agonistica per diventare la voce e il frontman dei Barrio Viejo, band fondata in Spagna con sede a Barcellona.

Il primo album dei Barrio Viejo è stato pubblicato il 2 giugno di quest'anno e si intitola Liberación e offre un blues rock fresco e divertente, impreziosito dal canto in spagnolo piuttosto atipico per questo genere. Già dal primo ascolto il disco stupisce la scelta musicale di mischiare il blues rock alla musica latinoamericana e per la quantità e varietà di strumenti usati che non si fermano a chitarra, basso e batteria, ma si estendono a percussioni latinoamericane di vario tipo, fiati e tastiere.

Il disco presenta una predominanza di pezzi veloci e allegri, come la traccia di apertura Insatisfacción sorretta da una buona combinazione di chitarre e tastiera. Tra i prezzi allegri troviamo anche la grintosa Infumable in cui il suono delle chitarre incontra quello dell'armonica, La Callejiera che è l'unico a vedere anche la presenza di chitarre elettriche, la saltellante Pájaro Azul, e la cover di Walking the Dog di Rufus Thomas. Tra i pezzi veloci il migliore resta comunque la trascinante Desorden, di cui è stato anche realizzato in video, che presenta una bella mescolanza strumentale a cui partecipano anche tastiera e fiati.

Nell'album si trovano anche pezzi più melodici come il lento blues Flores Muertas, e la seguente Viejo Aburrido che tende verso il jazz grazie al suono delle tastiere. Le venature jazz di questo disco non si fermano qui, troviamo anche la bellissima Croissant Perdedor che tende molto al latin jazz per via delle chitarre che ricordano quelle delle leggende di questo genere come i Santana. Tra i pezzi lenti troviamo anche il blues tradizionale La 13/14 e la ballad Viejo Querido che chiude il disco.

In Liberación troviamo anche due midtempo: Flores, blues rock piuttosto tradizionale, e Nada Special che dopo un inizio molto lento sfocia in un midtempo leggero e divertente.

In tutti i tredici brani del disco la voce di Osvaldo crea un bel mix con la base musicale risultando sufficientemente profonda e altrettanto dinamica per adattarsi a tutti gli stili richiesti dalla ricca varietà musicale del gruppo.

Dall'ascolto dell'intero album emerge come questa band sia molto promettente e capace di scrivere dell'ottima musica, mai banale e spesso divertente. In attesa di vedere i Barrio Viejo dal vivo e nella speranza che questo non sia l'unico album della loro carriera, non possiamo che constatare che il grande talento di Pablo Osvaldo non si è certo esaurito nel calcio e che in questo caso la bravura da calciatore è pari a quella da musicista.

venerdì 16 settembre 2016

Gli album dei Doors successivi alla morte di Jim Morrison

Contrariamente a quanto comunemente si crede L.A. Woman non è l'ultimo album in studio dei Doors e la morte di Jim Morrison non ha terminato la carriera della band. Dopo la scomparsa del loro storico leader infatti la band ha registrato altri due album in cui alla voce si alternano Ray Manzarek e Robby Krieger.

Il primo dei due album intitolato Other Voices uscì il 18 ottobre del 1971 (incredibilmente, solo due giorni dopo la pubblicazione del 45 giri di Riders on the Storm) ed è composto da otto brani di cui cinque cantati da Manzarek, due da Krieger e uno da entrambi. Il disco prosegue sulla strada del rock psichedelico ma cambiando radicalmente approccio e avvicinandosi più al periodo psichedelico dei Beatles piuttosto che alle produzioni precedenti dei Doors, del resto la voce di Manzarek se da una parte tenta di ricalcare lo stile di Morrison è anche molto simile a quella di Paul McCartney. In questi due dischi inoltre il trio non rinuncia al rock blues e esplora anche suoni nuovi e latineggianti.

L'album parte con In the Eye of the Sun, pezzo dal sapore blues cantanto da Manzarek che rimanda alle sonorità di Morrison Hotel. Il secondo pezzo, in cui troviamo Krieger al microfono, è la leggera è allegra Variety Is The Spice Of Life che proprio per la sua freschezza offre suoni nuovi e distintivi che non trovano simili nelle produzioni passate dei Doors. Anche il terzo brano intitolato Ships w/ Sails, cantato da Manzarek, propone sonorità decisamente nuove, ma questa volta la band si lascia influenzare dai suoni latini tipici di band come i Santana grazie alle percussioni suonate dal cubano Francisco Aguabella che vanta collaborazioni con alcuni tra i migliori musicisti di ogni tempo. Con la successiva Tightrope Ride, cantata ancora da Manzarek, il ritmo sale ed è forse il brano più veloce dell'intero album in cui l'influenza dei Beatles di Revolver si sente molto forte.

La quinta traccia è Down On The Farm, l'unica in cui i due cantanti duettano, ed è un altro brano allegro e divertente di chiara ispirazione country grazie all'armonica suonata dallo stesso Krieger e che al contempo non rinuncia alle influenza latine vista la presenza di una marimba suonata da Emil Richards. I'm Horny, I'm Stoned è l'ultimo pezzo cantato da Krieger e torna alle sonorità blues che avevano aperto il disco, sebbene con un approccio più leggero. Gli ultimi due brani sono entrambi cantanti da Manzarek. Wandering Musician è un pezzo guidato dal pianoforte suonato dallo stesso Manzarek che forse narra proprio di tre musicisti che vagano non potendo più contare sulla propria guida, anche in questo brano l'influenza dei Beatles si sente con forza. L'ultimo pezzo intitolato Hang on to Your Life vede ancora la presenza di Aguabella alle percussioni ed è forse il pezzo più latino dell'intero disco, ma questa volta le influenze non si fermano al rock latino ma virano anche verso il latin jazz anche grazie alla lunga jam session finale.

Non passò nemmeno un anno prima che i tre rimanenti Doors dessero vita ad un altro album nel luglio del 1972. Questo nuovo lavoro si intitola Full Circle e ripropone la mescolanza di suoni latini e psichedelia che aveva contraddistinto il disco precedente. Il primo brano si intitola Get Up and Dance e come suggerisce il titolo stesso è molto vivace e vibrante ed è sostenuto da un poderoso coro di voci femminili sul ritornello che si sommano al canto di Manzarek. Segue l'allegra 4 Billion Souls in cui alla voce torna Krieger e questa volta è proprio il chitarrista che sembra voler imitare lo stile canoro dei Beatles. La terza traccia è intitolata Verdilac e le sonorità tornano fortemente psichedeliche arricchite da forti influenze funk, il pezzo sembra ispirato a qualche sottofondo per la meditazione ed è impreziosito dal sax tenore suonato da Charles Lloyd che gli conferisce anche delle forti venature jazz. Con il brano successivo Hardwood Floor le atmosfere tornano festanti e spensierate e sostanzialmente si torna alla formula del brano di apertura con il coro di voci femminili che sostiene Manzarek sul ritornello. Il quinto pezzo è quello più smaccatamente blues e rock dell'intero album ed è una cover della celeberrima Good Rocking Tonight (qui intitolata Good Rockin') di Roy Brown interpretata in modo energico e vibrante a conferma che la band non rinuncia a nessun tassello della sua carriera precedente. Il brano seguente è quello che forse ha raggiunto il maggior successo nell'epoca dei Doors senza il loro leader storico: The Mosquito un pezzo latin jazz ispirato ai mariachi messicani e dal testo molto vacuo e scherzoso. La traccia successiva The Piano Bird è il secondo e ultimo in cui troviamo Krieger alla voce, il brano è fortemente jazz e di nuovo ispirato a ritmi latini, inoltre vede di nuovo dalla presenza di Charles Lloyd che questa volta suona il flauto. Con It Slipped My Mind le sonorità del gruppo tornano verso il blues rock ma questa volta con atmosfere più leggere. A chiudere l'album troviamo The Peking King and the New York Queen, altro brano piuttosto allegro con atmosfere che richiamano di nuovo la traccia di apertura, ma che vira anche verso il funk grazie alle chitarre in sottofondo.

Oltre a questi dischi, nel periodo successivo alla morte di Morrison la band pubblicò il brano Treetrunk come B-side di Get Up and Dance. Il pezzo non fu inserito nell'album perché ritenuto troppo commerciale ed effettivamente è molto pop e orecchiabile, ma comunque di ottimo livello soprattutto per il fatto di riproporre un duetto tra Krieger e Manzarek.

Dopo Full Circle la band pubblicò un ultimo disco nel 1978 intitolato An American Prayer, ma in questo caso tornò alla voce Jim Morrison. L'album è infatti una raccolta di poesie lette dal cantante defunto su cui è stata incisa una base musicale suonata dagli altri tre membri. Come è facile aspettarsi, Morrison non canta ma legge e l'intero disco suona molto forzato.

E' un vero peccato che Other Voices e Full Circle non godano della fama che meritano perché sono ottimi dischi dal suono sperimentale che mostrano che la band ha saputo lavorare bene anche senza il proprio leader e che forse Densmore, Manzarek e Krieger sono tre geni della musica troppo spesso adombrati dal loro ingombrante vocalist.

venerdì 29 luglio 2016

I veri luoghi di Morrison Hotel

Morrison Hotel è uno degli album più noti e rappresentativi della carriera dei Doors, non solo per la presenza di alcuni dei brani storici come Roadhouse Blues e Peace Frog, ma anche perché segnò l'inizio del cambio di rotta dal rock psichedelico al blues rock verso cui la band avrebbero virato con più decisione nell'album successivo L.A. Woman.

Oltre alla musica ciò che dall'uscita del disco attira l'attenzione di fan e critici sono le foto di copertina che ritraggono due luoghi di Los Angeles che da allora sono diventati storici.

L'album è diviso in due metà: il primo lato del vinile è intitolato Hard Rock Cafe, mentre il secondo porta il nome dell'album intero, Morrison Hotel. A ciascuno dei due lati corrisponde una delle immagini di copertina: la foto frontale ritrae infatti la band al Morrison Hotel, mentre il retro mostra l'ingresso del locale chiamato Hard Rock Cafe.

Il Morrison Hotel si trovava al numero 1246 di South Hope Street, a Los Angeles, a poca distanza dallo Staples Center. L'hotel è oggi chiuso e in stato di abbandono. Confrontando le immagini disponibili su Google Street View con scatti risalenti al periodo in cui l'hotel era ancora attivo (ad esempio quelle pubblicate da FeelNumb o da PopSpots) si riconosce anche il portone a destra dell'hotel. Non ci è dato di sapere quando l'esercizio abbia chiuso, sappiamo però che nel 2004 era ancora aperto (come risulta da questo articolo del Los Angeles Time) e che nel 2008 era già chiuso, come si può verificare dalla più vecchia immagine disponibile su Google Street View, pertanto l'attività si è interrotta in quel periodo.

L'Hard Rock Cafe si trovava invece al 300 East 5th Street, a Los Angeles. dove oggi c'è un negozio di alimentari chiamato Green Apple Market. Secondo il fotografo Henry Diltz, autore di entrambe le foto, l'Hard Rock Cafe dei Doors avrebbe ispirato il nome dell'omonima catena di ristoranti, alberghi e casinò; in realtà la sua è solo una congettura perché nella storia ufficiale della catena nata a Londra nel 1971 non c'è alcuna menzione al disco dei Doors.

martedì 12 luglio 2016

I presunti misteri di Stairway to Heaven

La carriera dei Led Zeppelin è costellata di grandi successi dagli inizi fino alle pubblicazioni dei soli Page e Plant successive allo scioglimento del gruppo. Tra i loro innumerevoli brani di successo Stairway to Heaven occupa sicuramente un posto privilegiato perché per via della sua armonia e del suo testo onirico è al centro di numerose leggende metropolitane riguardo a presunti significati misteriosi che il pezzo nasconderebbe. Tra l'altro a dispetto del suo successo Stairway to Heaven non è mai stata stampata in singolo per la vendita ma solo in 45 giri promozionale.

Secondo una popolare leggenda infatti il brano conterrebbe strani messaggi se riprodotto al contrario. In particolare il verso If there's a bustle in your hedgerow, don't be alarmed now it's just a spring clean for the May Queen. Yes, there are two paths you can go by, but in the long run there still time to change the road you're on nasconderebbe significati satanici e se riprodotto al contrario direbbe Oh here's my sweet Satan, the one little path won't make me sad, whose power is saint... he'll give growth giving you six-six-six... a little tool shed he'll make us suffer sadly. Su alcuni siti web si trovano testi leggermente diversi e qualcuno arriva a ipotizzare che l'intera canzone possa essere ascoltata al contrario perché tutta conterrebbe un testo satanico.

In realtà nessun teorico di queste strane teorie ha mai spiegato come avrebbero potuto i Led Zeppelin registrare i versi incriminati prevedendo quale suono avrebbero avuto se riprodotti al contrario né per quale motivo avrebbe dovuto farlo quand'anche fossero aderenti a religioni oscure. Si tratta solo infatti di un caso di pareidolia acustica grazie a cui è possibile attribuire significati sinistri a qualunque brano sentendolo al contrario. Ovviamente la band ha smentito in più occasioni di aver inserito intenzionalmente messaggi misteriosi all'interno del pezzo; nella biografia non ufficiale Hammer of the Gods del giornalista Stephen Davis (disponibile anche in italiano con il titolo Il Martello degli Dei) viene riportato il parere del tecnico del suono Eddie Kramer che definisce queste teorie totally and utterly ridiculous [totalmente e completamente ridicole]. E aggiunge:

Why would they want to spend so much studio time doing something so dumb? [Perché avrebbero voluto spendere così tanto tempo in studio per fare una cosa così stupida?]

Lo stesso Page in un'intervista rilasciata nel 1983 alla rivista Musician smentì queste leggende senza nascondere un po' di rabbia; disse infatti Page:

to me it's very sad, because 'Stairway to Heaven' was written with every best intention, and as far as reversing tapes and putting messages on the end, that's not my idea of making music. [per me è molto triste, perché 'Stairway to Heavern' è stata scritta con le migliori intenzioni, e riguardo all'invertire il nastro e mettere messaggi alla fine, non è la mia idea di fare musica].

Accantonate le ridicole accuse di satanismo, i veri misteri riguardo a Stairway to Heaven sono altri: la band è stata infatti accusata di aver plagiato il brano Spirit dei Taurus nell'arpeggio di chitarra iniziale. Spirit è stata pubblicata nel 1968, tre anni prima di Stairway To Heaven, ed effettivamente l'arpeggio sembra proprio simile. In realtà non sarebbe neanche inaspettato che i Led Zeppelin prendano spunto in modo disinvolto e non autorizzato da pezzi di altri, ma in questo caso il tribunale ha stabilito invece che la somiglianza tra i due brani non è sufficiente perché si tratti di plagio e la band di Page e Plant è stata quindi prosciolta.

L'unico vero mistero su Stairway to Heaven è stato quinti risolto in tribunale, mentre per l'accusa di satanismo non c'è e non c'è mai stato alcun mistero da dipanare.

giovedì 19 maggio 2016

Come si intitola il quarto album dei Led Zeppelin?

E' difficile individuare nella discografia dei Led Zeppelin album più importanti di altri perché tutti i lavori in studio della band di Robert Plant e Jimmy Page sono pietre miliari del rock, ma tra essi ce n'è uno che stimola più degli altri la curiosità degli appassionati da oltre quattro decenni. Il quarto album della band, pubblicato l'8 novembre del 1971, infatti non ha un titolo stampato in copertina ed è comunemente noto come Led Zeppelin IV solo per continuità, perché i precedenti si chiamano appunto Led Zeppelin, Led Zeppelin II e Led Zeppelin III, ma da nessuna parte nel disco appare questo titolo.

La copertina frontale mostra infatti un quadro rurale ad olio in cui si vede un contadino piegato dal peso del fascio di legna che sta trasportando; secondo quanto riportato nel libro Led Zeppelin FAQ di George Case il quadro fu comprato da Page in un negozio di antichità a Reading, nel Berkshire, mentre si trovava in giro alla ricerca di oggetti d'epoca con Plant. La cornice è appesa a un muro su cui la carta da parati si stacca vistosamente, ma unendo il retro di copertina all'immagine frontale si vede che in realtà il muro in questione è parzialmente demolito e si vede in lontananza un paesaggio periferico urbano che mostra la Salsbury Tower del distretto Ladywood di Birmingham. Sull'esterno del disco, comunque, non è riportato alcun titolo.


All'interno della copertina è stampata un'illustrazione del pittore Barrington Colby che ritrae un eremita e che è chiaramente ispirata all'omonima carta dei tarocchi. L'originale fu venduto ad un'asta nel 1981 e secondo alcune teorie un po' strampalate l'immagine vista allo specchio rivelerebbe il disegno della testa di un cane nero, ma si tratta di un ovvio caso di pareidolia suggerita anche dal fatto che il primo brano del disco è proprio Black Dog.

La busta che avvolge il vinile riporta sopra ai titoli dei brani quattro simboli, ognuno dei quali rappresenta un membro della band. Page scelse come simbolo un disegno che ricorda più o meno vagamente la scritta ZoSo e come riportato nel libro Led Zeppelin: The UK Complete Vinyl Discography di Neil Priddey, il chitarista sostenne per anni di averlo disegnato da solo ma il realtà lo si trova già in un grimorio medievale intitolato Le Dragon Rouge. Plant scelse una piuma in un circolo che rappresentava lo scriba o, nel suo caso, lo scrittore di canzoni; il simbolo può essere al contempo ispirato alla piuma della dea egizia Maat che rappresenta la verità e la giustizia. Bonham e Jones scelsero i proprio simboli dal libro The Book of Signs di Rudolf Koch edito nel 1955 che raccoglie simboli vari dalla preistoria al medioevo. Jones scelse una triquetra con un cerchio al centro e Bonham scelse un simbolo a caso con tre cerchi che si intersecano. Sulla facciata opposta della busta è riportato il testo di Stairway to Heaven scritto in caratteri antichi e in basso a sinistra vi è il disegno di un uomo che legge un libro con dei caratteri misteriosi incisi alle sue spalle. Ma a parte tutto ciò neanche sulla busta è riportato alcun titolo per l'album.

Neanche l'etichetta sul vinile chiarisce il dubbio perché riporta di nuovo solo i quattro simboli e i titoli dei brani. Da nessuna parte, quindi, né in copertina né altrove viene dato un titolo a questo album.

Oltre a Led Zeppelin IV il disco è noto anche come Four Symbols, The Fourth Album, Untitled, Runes (per via dei quattro simboli runici), The Hermit (per via dell'illustrazione all'interno della copertina), and ZoSo (per via dei caratteri disegnati nel simbolo di Page).

In realtà come spiegato dallo stesso Page e come pure riportato nel libro di Priddey l'intera questione è molto semplice: l'album intenzionalmente non ha un titolo. Led Zeppelin III ricevette critiche non sempre positive che spesso accusarono la band di aver aggiungo chitarre acustiche per imitare il supergruppo Crosby, Stills, Nash & Young, ma Page ribatté di aver usato chitarre acustiche anche nei primi album e che quindi la critica non aveva capito il disco. Decise quindi che il nuovo album sarebbe uscito senza un titolo, perché nomi e titoli non vogliono dire nulla. In origine Page avrebbe voluto che ci fosse solo un simbolo stampato nel packaging del disco, poi cambiò idea e decise per i quattro simboli, a rappresentare i quattro membri ma anche il quarto disco.

La casa discografica osteggiò la scelta del gruppo sostenendo che pubblicare un album senza titolo sarebbe stato un suicidio professionale. Ma la band rimase sulle proprie posizioni e a distanza di oltre quarant'anni è sotto gli occhi di tutti che grazie a brani leggendari come la già citata Black Dog oltre che Rock and Roll e Stairway to Heaven questo disco resta un capolavoro senza tempo della storia del rock, a dimostrazione del fatto che la band fece le scelte giuste e che la casa discografica si sbagliò clamorosamente.

giovedì 13 agosto 2015

Buddy Guy - Born to Play Guitar

Alla veneranda età di 79 anni il leggendario bluesman Buddy Guy sforna ancora ottimi album con una regolarità e una frequenza impressionanti e la sua grandezza non sta solo nella costanza ma anche nella capacità di non restare fermo ai modelli del passato e di sapersi sempre rinnovare.

La sua ultima fatica intitolata Born to Play Guitar è stata pubblicata il 31 luglio dei 2015 a soli due anni dal precedente e ottimo Rhythm & Blues. L'album è composto da 14 brani nei quali spazia dal blues di Chicago di stampo più classico a un blues rock decisamente più moderno e in tutti i brani il ruolo del protagonista è affidato alla chitarra elettrica e alla sua voce.

Il disco parte con un ottimo brano che porta lo stesso titolo dell'intero album e che con il suo ritmo lento e scandito dalla chitarra e dalla tastiera riporta subito alle atmosfere più classiche dell'epoca d'oro del blues. Il secondo brano intitolato Wear You Out vede la presenza di Billy Gibbons degli ZZ Top come ospite e grazie al suono potente delle chitarre e al suo incedere energico è il miglior brano di tutto il disco. Anche Kim Wilson dei Fabulous Thunderbirds è presente in due brani, Too Late e Kiss Me Quick, solo in verste di armonicista ma con il suo strumento crea splendidi duetti con la chitarra di Buddy Guy. Tra gli ospiti troviamo anche Joss Stone che si lancia in un divertente duetto nel brano (Baby) You Got What it Takes e Van Morrison in una lenta ballata intitolata Flesh & Bone dedicata alla memoria del compianto B.B. King.

Tra i brani degli di nota troviamo anche le allegre e veloci Thick Like Mississippi Mud e Whiskey, Beer & Wine, ma in generale è difficile distinguere brani migliori all'interno di questo meraviglioso capolavoro: Buddy Guy non sbaglia un solo colpo per l'intero disco e tutte le 14 tracce sono davvero ottime ed è più che ovvio che le sue doti di chitarrista e di cantante non sono minimamente scalfite dall'età.

E' veramente un piacere vedere che nonostante sia prossimo agli ottanta Buddy Guy abbia ancora la salute, la voglia e la capacità di produrre ottima musica che può far impallidire chitarristi con meno della metà dei suoi anni. Ci auguriamo che possa continuare su questa strada per ancora tanti e tanti anni.