giovedì 27 dicembre 2018

Blackmore's Night - Winter Carols

Nel 2006 i Blackmore's Night, duo di rock rinascimentale composto dal chitarrista dei Deep Purple Ritchie Blackmore e dalla moglie Candice Night, hanno inciso il proprio primo, e fin qui unico, album di canti natalizi. Il disco si intitola Winter Carols e conserva tutte le caratteristiche distintive della musica dei Blackmore's Night basata, fin dal loro esordio discografico con Shadow of the Moon del 1997, sull'unione tra la strumentazione folk, fatta soprattutto di fiati e di strumenti a corda, e la voce angelica di Candice Night.

Per sottolineare la continuità tra questo lavoro e i precedenti, la copertina ritrae la stessa strada della città della Baviera Rothenburg ob der Tauber che compare anche sulla copertina di Shadow of the Moon e in questa seconda occasione il paesaggio è imbiancato dalla neve.

Il disco è composto da dodici tracce, prevalentemente pezzi tradizionali reinterpretati dai due nel loro stile. Ad essi si aggiungono due brani inediti, quali la strumentale Winter e la gioiosa Christmas Eve, e la cover di Wish You Were Here dei Rednex tratta dall'album di esordio dei Blackmore's Night e che è l'unica traccia che non ha nulla di natalizio.

Tra i pezzi migliori di questo album troviamo sicuramente Ma'oz Tzur, la cui prima strofa è cantata in ebraico e la seconda è presa invece dalla traduzione inglese intitolata Rock of Ages, e Ding Dong Merrily on High che è quello in cui Candice dà la miglior prova della sua vocalità grazie al celebre ritornello Gloria, Hosanna in Excelsis. Spicca anche la reinterpretazione di Good King Wencelsas in cui il canto di Candice Night è accompagnato da una ricca sezione di strumenti a corda a cui si aggiungono i fiati dalla seconda strofa.

Nell'album sono anche presenti due medley: quello tra Hark! The Herald Angels Sing e Come All Ye Faithful che apre il disco e quello tra l'inno calvinista Simple Gifts e Lord of the Dance del poeta inglese Sydney Carter, scritta proprio sulla melodia di Simple Gifts.

L'album è stato ristampato nel 2013 con un secondo disco che contiene cinque incisioni live e una nuova versione di Christmas Eve. Nel 2017 Winter Carol è stato ristampato per la seconda volta con l'aggiunta, rispetto alla versione del 2013, di altri tre classici natalizi: Deck the Halls, God Rest Ye Merry Gentlemen e Oh Christmas Tree

Winter Carols resta una delle migliori e più interessanti rivisitazioni dei canti natalizi in chiave rock, proprio per l'approccio singolare di questi due musicisti che sanno trasformare ogni brano su cui mettono le mani in qualcosa di magico e unico. Questo album di discosta, e di molto, da ogni altra registrazione rock o heavy metal dei canti natalizi, perché lo stile dei Blackmore's Night è unico e lontanissimo da quello di chiunque altro, e questa straordinaria coppia è riuscita anche in questo caso a dare un incredibile tocco di originalità e freschezza a brani vecchi di secoli.

domenica 23 dicembre 2018

Bohemian Rhapsody: il biopic sulla vita di Freddie Mercury

E’ proiettato nelle sale cinematografiche italiane in questi giorni il film Bohemian Rhapsody, il biopic che racconta la vita e la carriera musicale di Freddie Mercury dal suo ingresso nel Queen nel 1970 fino al Live Aid di Wembley nel 1985.

Il film racconta diversi aspetti della vita del cantante, dalla sua eccentricità, alla sua creatività musicale, fino alla sua controversa sessualità e al suo rapporto con Mary Austin. Bohemian Rhapsody è sicuramente godibile dal punto di vista cinematografico e le oltre due ore passate al cinema volano via come se il film durasse il tempo di un videoclip. Tuttavia purtroppo il film soffre di un evidente limite: è impossibile raccontare quindici anni in due ore. E proprio per questo la narrazione è molto superficiale, quasi irritante, per almeno tre quarti del film. Non viene approfondito nessuno dei temi proposti; ad esempio l’ingresso di Freddie nei Queen viene raccontato in modo incredibilmente frettoloso, viene completamente ignorato il fatto che la prima incisione di Mercury con May e Taylor non è il primo album dei Queen ma il singolo pubblicato con lo pseudonimo di Larry Lurex, non si capisce quasi nulla della composizione della traccia che dà il titolo al film, viene appena accennato e poi abbandonato il fatto che i Queen abbiano realizzato con Hot Space un disco volto alla disco music.

Inoltre il film contiene una serie di errori davvero notevoli di cui Rolling Stone ha fatto una lista molto ricca. Tra questi spicca il fatto che i Queen non si sono mai sciolti e non è quindi vero che il Live Aid fu una reunion. Inoltre, il disco solista di Freddie Mercury non portò alcun nervosismo nella band, né un'interruzione dell’attività della stessa e Freddie non fu il primo dei quattro a realizzare un disco in autonomia perché Roger Taylor ne registrò due tra il 1981 e il 1984 e anche Brian May realizzò un album senza il resto della band nel 1983.

Un anacronismo è scappato anche all'attenta analisi di Rolling Stone. Durante una festa a casa di Freddie ambientata poco prima che il band scrivesse We Will Rock You, si sente Super Freak di Rick James. Ma We Will Rock You è uscita nel 1977 e Super Freak nel 1981.

La parte finale del film è dedicata alla malattia di Freddie ed è questo l’unico aspetto che viene approfondito. Ma anche in questo caso è quasi tutto inventato, infatti Freddie Mercury non era a conoscenza della propria malattia prima del Live Aid e un esame svolto nel 1985 diede risultato negativo. Inoltre non è vero che i Queen furono aggiunti per ultimi alla scaletta del Live Aid, perché il loro nome compare nel primo elenco letto alla stampa da Bob Geldof.

L’unico merito di questo film è quello di aver recuperato incisioni inedite della band, tra pezzi registrati all'inizio della carriera e mai pubblicati, versioni live o arrangiamenti diversi di pezzi famosi. Tra questi spicca sicuramente l'estratto (cinque pezzi su otto) del medley di 21 minuti che il quartetto eseguì proprio al Live Aid.

In conclusione, consigliamo la visione del film? Sicuramente no, consigliamo piuttosto di ascoltarne la colonna sonora che è l'unica cosa che merita. Per il resto non resta che augurarsi che se un seguito del film verrà mai realizzato, come già ipotizzato da Brian May allo scopo di raccontare la vita del cantante dal 1985 al 1991, sia più fedele alla realtà e più rispettoso della vera vita di Freddie Mercury.

sabato 22 dicembre 2018

Trans-Siberian Orchestra - Christmas Eve and Other Stories

Nel 1996 Paul O'Neill, Robert Kinkel e Jon Oliva (rispettivamente produttore, tastierista e batterista dei Savatage) fondarono il supergruppo dei Trans-Siberian Orchestra allo scopo di reinterpretare i classici natalizi in stile hard rock. Il primo album dei Trans-Siberian Orchestra (o TSO, come sono anche noti) si intitola Christmas Eve and Other Stories ed è composto da quindici brani (più due tracce bonus); per le sue incisioni in studio il gruppo si avvale della presenza di un’orchestra e di un coro che si sommano alla band ed è proprio grazie alla numerosità dei suoi elementi che la musica proposta mostra un perfetto connubio tra stili musicali molto diversi.

Gli album dei TSO sono dei veri e propri concept album. Nel caso di Christmas Eve and Other Stories la vicenda narrata è quella di un uomo che entra in un bar la notte di Natale e incontra un anziano misterioso che gli racconta la storia di un angelo sceso dal cielo per vedere cosa viene fatto sulla Terra nel nome del Natale e del suo viaggio intorno al mondo per scoprirlo.

In Christmas Eve and Other Stories si trova di tutto: dal canto solista alle parti corali, pezzi classici e brani nuovi, medley, fraseggi metal e lunghe parti sinfoniche. Il disco si apre con l’inedito An Angel Came Down cantato da John Margolis e che presenta inserti della melodia di Stille Nacht di Franz Gruber. Segue un medley strumentale tra O Come All Ye Faithful e O Holy Night, e giunti a questo punto dell’ascolto si capisce di essere stati coinvolti in un viaggio musicale meraviglioso che porterà l’ascoltatore in terre inesplorate della musica natalizia e del metal.

Il terzo pezzo conferma quanto scoperto fin qui. Con A Star To Follow, che contiene degli inserti di God Rest Ye Merry Gentlemen si sommano diversi cori di voci maschili e di voci bianche a creare una polifonia vocale di grande impatto.

Tra momenti migliori di questo concept album troviamo la gioiosa e inedita First Snow e The Prince of Peace basata sulla melodia di Hark! The Herald Angels Sing di Felix Mendelssohn e cantata da Marlene Danielle. Tra i medley migliori spicca sicuramente quello tra Joy To The World e Good King Wenceslas intitolato Good King Joy.

Il disco contiene anche una versione strumentale di The First Noel ed è chiuso, come anticipato, da due bonus track: le versioni strumentali di O Holy Night e God Rest Ye Merry Gentlemen.

Christmas Eve and Other Stories è il primo volume della trilogia natalizia dei Trans-Siberian Orchestra proseguita nel 1998 e nel 2004 con gli album The Christmas Attic e The Lost Christmas Eve, e costituisce un disco dall'incredibile ricchezza sonora e compositiva. L’unica pecca di questa incisione è che per via delle rielaborazioni dei pezzi classici potrebbe essere inizialmente di difficile ascolto, ma questa difficoltà viene superata dopo pochi ascolti e le melodie dei TSO entrano in testa facilmente.

Christmas Eve and Other Stories è quindi un ottimo album di rock sinfonico ed è l’archetipo delle incisioni natalizie di stampo rock e metal: tutte le successive incisioni hard rock dei canti di Natale sono debitrici ai Trans-Siberian Orchestra e ai loro fondatori, che nel 1996 hanno realizzato questo storico disco.

martedì 18 dicembre 2018

Intervista a Giacomo Voli

Se fino a qualche anno fa veniva considerato il miglior cantante mai uscito da un talent show, oggi a Giacomo Voli questa etichetta inizia ad andare stretta, molto stretta. Il cantante di Coreggio ha infatti al suo attivo due dischi solisti e un album come vocalist dei TeodasiA, ha prestato la voce all'ultimo lavoro in studio di Edward De Rosa ed è attualmente il frontman e cantante dei Rhapsody of Fire.

Per parlare di tutti i suoi progetti e per raccontarci qualcosa di sé, Giacomo Voli ha accettato la nostra proposta di concederci una nuova intervista, dopo quella di qualche anno fa.

Ringraziamo Giacomo per la sua cortesia e disponibilità


125esima Strada: Ciao Giacomo e bentornato su questo blog! Parliamo anzitutto del tuo pezzo più recente Senza l'Autotiùn, ironico e tagliente. Come è nato questo pezzo? Che storia c'è dietro?

Giacomo Voli: Ciao a tutti! Il pezzo Senza l'Autotiùn è nato da una bozza di Filippo Martelli... della quale bozza non è rimasto nulla! Ahahaha... Scherzi a parte, ad inizio 2018 ho lavorato insieme ad un team per selezionare alcuni singoli in mezzo ad una decina di miei pezzi, e ho anche lavorato ad idee di Mr. Martelli per avere più spunti possibili. Musicalmente si trattava di un funky un po' 80, basato sulla chitarra acustica, il risultato dovrebbe lasciar capire come l'ho trasformato!

Dal punto di vista testuale ho lasciato libera la mente, è nato una sorta di "manifesto" di un rocker come tanti. Quelli come me che ascoltano e cantano generi anche più pesanti del pop italiano generalmente hanno apprezzato questo schiaffo simbolico alle abitudini della radio e della tv.

Ci sono molti riferimenti e potrei anche parlarne ma... preferisco lasciare a chiunque la libertà di riconoscere una propria battaglia o un proprio pensiero all'interno del testo!


125esima Strada: Recentissimamente hai partecipato alle selezioni per Sanremo Giovani, ma purtroppo non sei arrivato alla fase finale. Cosa ti resta di questa esperienza? Hai imparato qualcosa che ti porti a casa nel tuo bagaglio di esperienza?

Giacomo Voli: San Remo Giovani è stata una scelta difficile. Sicuramente ha creato non poche discussioni... D'altra parte, come credo tutti possano capire, queste occasioni sono quelle importanti per presentare la propria musica in ambiti molto conosciuti, che conservano una grande visibilità.

Ogni discussione legata alla qualità dell'ambiente, del "genere" che viene accettato lì... la lascio al tempo che trova. La musica che viene trasmessa e ascoltata è lo specchio di ciò che siamo, come la televisione. Mi sono detto che per rompere qualche muro qualcuno doveva pur cominciare!


125esima Strada: Da cosa pensi che sia dipesa la tua esclusione (non certamente dalla mancanza di talento!)? Forse il tuo stile non è abbastanza sanremese?

Giacomo Voli: Eh... ce ne sarebbe da dire. Ovviamente con precisione non lo saprò mai... Sicuramente il brano era "di rottura", così come è stato definito molte volte, e poteva essere un'arma a doppio taglio.

Io mi sono presentato con un'etichetta indipendente, Massarelli Production, e non avevamo nessuna possibilità di prevalere sulle grandi major e sui favoriti (Sony, Universal, Warner, Sugar ecc) perciò tutto dipendeva dai posti "vacanti" una volta che i favoriti fossero stati scelti. Spero di non dire cose scandalose...

Io sono sicuro di ciò che ho visto: Baglioni e la commissione si sono divertiti molto, tanto mi basta.


125esima Strada: Parliamo del futuro. Cosa ci puoi anticipare sull'EP di prossima uscita?

Giacomo Voli: Per adesso non ho una data precisa della pubblicazione... posso dire che raccoglierà sicuramente Senza l'autotiùn e l'altro singolo che era stato registrato (per iscriversi sono necessari due brani).

L'EP avrà un valore importante per me, perché racconterà la mia nuova maturità, nella scrittura, nella musica e nell'arrangiamento. In questi giorni sto lavorando assieme al management e al produttore per scegliere adeguatamente i prossimi passi da fare. Spero di potere dare presto notizie!


125esima Strada: Da due anni sei anche il vocalist dei Rhapsody of Fire, raccogliendo un'eredità pesante di cui sei sicuramente all'altezza. Quali spunti nuovi ti dà questa esperienza nel più importante gruppo metal del nostro paese?

Giacomo Voli: Sicuramente la vicinanza con un grande compositore come Alex Staropoli mi ha fatto crescere in modo esponenziale. Il mio compito, oltre che vocale, è stato quello di scrivere la nuova saga e i testi del primo disco con questa formazione, assieme a Roberto de Micheli (chitarrista). Tutti e tre abbiamo creato il nuovo cuore pulsante della band, con l'aiuto di una sezione ritmica paurosa (Alessandro Sala al basso e Manu Lotter alla batteria).

Ciò che ho imparato grazie a questa esperienza (appena cominciata) è sicuramente di aver approfondito ancora di più la capacità compositiva, le qualità delle diverse lingue (ho cantato una stessa canzone in quattro lingue, e uno dei singoli anche in una lingua orientale) e la loro musicalità. Queste cose hanno un valore inestimabile per me.


125esima Strada: La tua carriera solista è molto diversa da ciò che interpreti nei Rhapsody of Fire. Quali lati diversi della tua personalità metti in campo in queste attività così lontane tra loro?

Giacomo Voli: Come solista combatto una battaglia culturale, contro la musica italiana come la conosciamo. Credo fortemente che la bella musica non abbia genere, quando un brano è costruito bene (testo e musica) all'interno del proprio genere, non ha paragoni che reggano.

Il mio intento è di abituare anche me stesso all'idea che le sonorità rock che amo non devono essere così distanti dalla nostra cultura e dalla nostra bellissima lingua. Perché? Perché io parlo, sogno, desidero in italiano :D

Con i Rhapsody of Fire (nonostante il genere sia molto differente per ambientazione e potenza) ho potuto ritrovare il lato "lirico" e "cavalleresco" che come solista non esprimo, perciò sono due aspetti di me che sento complementari e coesistenti dentro di me, sono contento di avere più sfumature e lati da osservare... altrimenti sai che noia?


125esima Strada: Ci puoi anticipare qualcosa anche sul nuovo album dei Rhapsody of Fire di prossima uscita?

Giacomo Voli: La prima pietra di un bel viaggio! Credo che sarà ottimo "pane" per i denti dei fan di lunga data.
Abbiamo voluto conservare molti dei "cliché" tipici della storia della band, la saga, i termini epici e fieri, le battaglie, la magia... senza rinunciare alla freschezza della line up. Siamo molto fieri del nostro lavoro!


125esima Strada: Recentemente hai anche intrapreso una nuova attività in cui esegui delle cover dei Queen. Ci racconti qualcosa di questo nuovo progetto e anche di come è nata la tua passione per i Queen?

Giacomo Voli: Il primo amore non si scorda mai... giusto? Fin da quando avevo pochissimi anni ricordo i dischi A Kind of Magic e Innuendo come colonna sonora delle mie giornate. Questo piccolo "tributo" è stato frutto di una passione irrefrenabile che, in questa chiave, aveva senso di essere espressa. Esistono centinaia di tributi ai Queen, ma questa formula rende la nostra proposta differente dal solito. Francesca Mercury è un'enciclopedia ambulante del rock (oltre che una persona speciale) e racconta aneddoti e curiosità su Freddie e i Queen, Nik Messori è un chitarrista straordinario (suonava con Grignani e molti altri) e anche un ottimo corista. Io mi sono preso il compito di suonare anche il pianoforte, oltre che a cantare le parti del grande frontman. Mi emoziono ogni volta!

Vi aspetto anche lì.


125esima Strada: Grazie ancora del tempo che ci hai dedicato e buon lavoro!

Giacomo Voli: Grazie a voi per il sostegno! Alla prossima!

venerdì 14 dicembre 2018

A.A. V.V. - Metal Christmas

Nel 1994 è stata pubblicata la compilation Metal Christmas che come suggerisce il titolo stesso è una raccolta di classici natalizi reinterpretati da alcuni dei migliori esponenti dell'hard rock e dell'heavy metal di quel periodo. Tra gli interpreti troviamo il cantante degli FM Steve Overland, John Sloman (frontman dei Lone Star e degli Uriah Heep), Kim McAuliffe delle Girlschool, il chitarrista Ray Callcut, Denny Laine dei Wings, il chitarrista spagnolo Carlos Creator e Paul Di'Anno che di certo non ha bisogno di presentazioni.

Questi straordinari musicisti si cimentano con i brani della tradizione natalizia, spesso adattandoli al proprio gusto personale, non solo nelle basi musicali ma anche nelle linee vocali che sono talvolta diverse da quelle che tutti conosciamo. Il disco è comunque un lavoro di squadra, infatti come si evince dai crediti i vocalist non impegnati nella parte principale eseguono cori e seconde voci negli altri brani

I quattro pezzi cantanti da Paul Di'Anno con il suo consueto timbro graffiante valgono da soli l'intero disco; l'ex cantante degli Iron Maiden interpreta Silent Night, White Christmas, Santa Claus is Coming to Town e Another Rock'N'Roll Christmas personalizzandole e dotandole di basi metal che si adattano perfettamente ai pezzi classici. Silent Night è forse la traccia meglio riuscita per il bellissimo connubio tra forza e tradizione e per come Paul Di'Anno personalizza la melodia vocale.

Anche Steve Overland esegue un compito magistrale reinterpretando Winter Wonderland e trasformandola in un pezzo AOR grazie alla base patinata e al suo cantato in stile ottantiano. Overland interpreta anche This Christmas, l'unico pezzo inedito del disco, una power ballad in stile natalizio. L'unica voce femminile del disco è quella di Kim McAuliffe che canta Merry Xmas Everybody degli Slade, tra l'altro Kim si cimenterà in futuro in un altro classico natalizio incidendo Auld Lang Syne (il Valzer delle Candele) per la compilation We Wish You a Metal Xmas and a Headbanging New Year.

Chiude il disco l'unico brano strumentale, Little Drummer Boy interpretata da Carlos Creator che per l'occasione suona tutti gli strumenti (tranne la batteria, affidata a Jaime Wright).

La compilation è stata ristampata nel 1996 con una copertina diversa e nel 1997 con il titolo di Rockin' Good Christmas. Purtroppo e inspiegabilmente non è tra le più note compilation natalizie in chiave heavy metal, ma resta comunque una delle migliori di questo ristretto insieme ed è sicuramente un'ottima alternativa alle incisioni più tradizionali e metterà d'accordo sia gli amanti della tradizione che quelli del metal, per un pranzo di Natale un po' più rockeggiante del solito.

mercoledì 5 dicembre 2018

Nightwish Decades: World Tour - Assago, 4/12/2018

Avevo comprato il biglietto il 28 dicembre 2017, un anno prima. E vista l'attesa era ovvio che le aspettative fossero alte. Ma è bastato l'inizio con la melodia di Swanheart suonata da Troy Donockley alle uilleann pipes, prima ancora che il resto della band uscisse dai camerini, per capire che sarebbe stato un concerto memorabile, uno di quelli in cui sei dei migliori musicisti del mondo mettono al lavoro le loro capacità combinandole e creando insieme qualcosa di unico.

Credit: Francesco Prandoni
Il sestetto è salito sul palco poco prima delle 21 e il concerto è partito subito fortissimo con Dark Chest of Wonders seguita a ruota da Wish I Had An Angel e 10th Man Down. L'inizio del concerto è condito da lanci di fiamme sparate dall'apposita strumentazione posta appena davanti al palco e ad ogni uscita di fuoco il calore si sente forte anche sugli spalti, come se non bastasse il caldo infernale del Forum che contrasta non poco con la fredda serata di fine autunno che si vive all'esterno. Fin dalle prime note Floor domina la scena, ben consapevole delle sue doti canore e della sua fisicità che comunque l'aiuta parecchio, del resto nonostante il tacco non troppo alto sovrasta in altezza tutti i suoi cinque colleghi. Il Decades: World Tour serve a celebrare i vent'anni di attività del gruppo e la setlist viene adeguata di conseguenza, con pezzi presi da ogni album della discografia del gruppo. I più rappresentati sono Once, con quattro pezzi, e ovviamente Oceanborn e Wishmaster con tre pezzi ciascuno. Holopainen ci regala anche un piccolo mash-up tra due pezzi di Oceanborn quando inserisce uno snippet di Stargazers in Sacrament of Wilderness.

Credit: Francesco Prandoni
I pezzi suonati dal vivo sono generalmente più energici delle registrazioni in studio, spostando un po' l'equilibrio dei suoni verso quelli più duri; comunque non viene meno il connubio tra sonorità pesanti e melodia che è il segno distintivo dei Nightwish che restano in ogni caso gli inventori del metal sinfonico. Un tocco di musica nordica viene aggiunto in alcuni pezzi da Donockley che oltre alla chitarra suona le uilleann pipes e il tin whistle creando così la mescolanza musicale che da sempre contraddistingue questo gruppo.

Floor dialoga con il pubblico come solo lei sa fare, invitando la folla a cantare e a tenere il tempo con urla sincronizzate. Il pubblico la ripaga come merita seguendola in ogni mossa e sostituendosi a lei nel cantare i ritornelli di Élan e di Nemo. La frontwoman non perde un attimo nel dimostrare le proprie incredibili doti vocali, sia per estensione che per potenza che per la naturalezza con cui cambia stile adattandolo ad ogni pezzo, e proprio questo dimostra che Floor è la più completa tra le tre cantanti che si sono avvicendate in questo ruolo, sapendo interpretare perfettamente sia i pezzi scritti per Tarja che quelli scritti per Anette Olzon.

Nei duetti con Marco Hietala i due si amalgamano con grande maestria, con Marco che esegue le seconde voci nella maggior parte dei pezzi, ma i due si scambiano di ruolo ogni volta che Hietala interpreta le voci principali.

Il lato canoro non è comunque l'unico in cui Floor (in una serata semplicemente perfetta) si muove alla grande, la sua capacità di tenere la scena è straordinaria mentre si muove sul palco con una grazia incantevole quando non canta ed esibendosi spesso in lunghi head banging in cui fa roteare la sua voluminosa chioma.

Credit: Francesco Prandoni
Quando Tuomas Holopainen inizia a suonare The Greatest Show on Earth appare chiaro che il concerto sta volgendo al termine e guardando l'orologio ci si accorge che sono passate quasi due ore anche se si ha l'impressione che siano passati pochi minuti, tanto l'esibizione dei Nightwish è stata bella e coinvolgente. La lunga composizione che chiude il più recente album viene inframezzata da Ghost Love Score appena prima dei saluti finali in cui la band ringrazia il pubblico per l'affetto e il pubblico ricambia e ringrazia per l'ottimo show.

Uscendo dal Forum e prima di rituffarsi nella fredda serata della periferia milanese resta un solo rimpianto, cioè la consapevolezza che il concerto avrebbe potuto essere prolungato all'infinito perché ogni pezzo della discografia di questo straordinario gruppo meritava di entrare nella setlist di un tour commemorativo. E mentre si torna a casa, appena superato il casello di Assago nell'autoradio non può che girare Decades, l'ultima compilation del gruppo, e riascoltando o i pezzi appena ascoltati anche live non resta che sperare che il prossimo disco con Floor alla voce non si faccia attendere troppo e che il prossimo tour riporti presto i Nightwish a Milano.

lunedì 26 novembre 2018

La discografia dei Run-D.M.C. dal 1990 al 2001

Nei primi anni 80 il terzetto composto da Joseph Simmons (in arte Run), Darryl McDaniels (DMC) e Jason Mizell (Jam Master Jay), noto con la oggi celeberrima sigla Run-D.M.C., dimostrò al pubblico che l'hip hop non era confinato ai 45 giri, ma che avrebbe potuto reggere la durata di un intero LP, e lo fece creando mescolanze di suoni che gettarono le basi per quello che negli anni a seguire sarebbe stato conosciuto come rap metal o crossover.

Purtroppo con l'ascesa del gangsta rap, la musica festaiola dei Run-D.M.C. fece fatica a farsi spazio nelle classifiche di vendita e dopo i primi quattro album pubblicati tra il 1984 e il 1988 il trio realizzò altri tre LP che non ottennero lo stesso successo dei precedenti e sono per questo spesso ignorati da chi non segue il gruppo assiduamente.

Il primo lavoro in studio successivo a Tougher Than Leather uscì nel 1990 con il titolo di Back From Hell. Per questo album il gruppo riprese la grafia del proprio nome Run-D.M.C. che era stata usata per l'album di esordio del 1984 e per King Of Rock del 1985 (nei successivi due LP il nome era scritto RUN DMC).

Back From Hell è composto da sedici tracce che ripropongono il suono tipico del trio, caratterizzato da basi dure e massicce e dall'alternanza vocale di Run e di DMC.

Per questo album il trio rinuncia quasi del tutto alle mescolanze con il rock di cui furono pionieri nella prima metà degli anni 80, l'unico accenno di rock di trova nelle chitarre campionate della title track.

Nonostante la scarsa notorietà, anche Back From Hell contiene alcune tra le tracce più famose del trio, come The Ave e Pause, quest'ultima è stata anche pubblicata in singolo insieme alla versione dei Run-D.M.C. di Ghostbusters di Ray Parker Jr realizzata per il film Ghostbusters II.

Dopo Back From Hell, i Run-D.M.C. tornarono in studio nel 1993 per realizzare Down With The King. In questo sesto album il trio abbandonò Adidas e fedora, in favore di un look più stradaiolo. Per la prima volta l'album vede anche un notevole numero di ospiti presi dalla scena hip hop dell'epoca come Q-Tipo gli EPMD. Il suono del gruppo in questo nuovo album si fa più duro e ossessivo e più simile al gangsta rap e a quello di altri gruppi dell'epoca come gli N.W.A o i Public Enemy, non a caso Three Little Indians contiene un campionamento di Public Enemy No.1 del gruppo di Chuck D. Tra i momenti migliori dell'album troviamo sicuramente i due pezzi più potenti, quali Ooh, Whatcha Gonna Do e la title track che apre il disco e che vede come ospiti il duo Pete Rock & CL Smooth.

Down With The King vede anche un parziale ritorno al crossover con Big Willie in cui si aggiunge come ospite il chitarrista dei Rage Against The Machine Tom Morello; inoltre la band si lancia anche in un nuovo esperimento di reggae, dopo Roots, Rap, Reggae contenuto in King Of Rock, con What's Next in cui i due rapper del Queens si alternano con il cantante giamaicano Mad Cobra.

Dopo Down With The King i Run-D.M.C. rimasero lontani dagli studi per ben otto anni fino a quando nel 2001 pubblicarono il loro settimo ed ultimo album dal titolo Crown Royal, per il quale recuperarono la grafia RUN DMC. Quest'ultimo album vede la presenza di ben dodici ospiti che si alternano di fatto con il solo Run, perché DMC compare in solo tre pezzi a causa di problemi di salute e divergenze artistiche con gli altri due.

Crown Royal spazia tra l'hip hop della west coast e il crossover, ma l'impressione è che siano gli ospiti a dare una direzione alla musica; come se i Run-D.M.C. fossero ospiti in dischi di altri musicisti. Ciò nonostante l'insieme è decisamente godibile e il disco suona molto moderno probabilmente proprio per via dei tanti contributi esterni. I pezzi migliori sono sicuramente The School of Old in cui Run duetta con Kid Rock, Rock Show che vede come ospite Stephan Jenkins e la cover di Take Money and Run della Steve Miller Band a cui al microfono si aggiunge Everlast. Tra i pezzi più fedeli all'hip hop newyorkese spicca sicuramente la cupa Queens Day a cui partecipano Nas e Prodigy dei Mobb Depp.

Purtroppo dopo Crown Royal l'attività discografica dei Run-D.M.C subì un violento arresto quando il DJ e polistrumentista Jam Master Jay fu ucciso da due colpi di pistola nel suo studio di registrazione nel Queens.

Non sapremo mai quale strada avrebbe preso la musica di questo leggendario combo se avesse potuto incidere altri dischi; ma sappiamo che tutti i sette album che hanno realizzato sono di altissima qualità. Anche gli ultimi tre, per quanto poco noti.

giovedì 15 novembre 2018

Northward - Northward

L'inedito duo dei Northward è il nuovo progetto di una coppia d'eccezione del rock nordico, formata dal chitarrista dei Pagan's Mind Jørn Viggo e dalla straordinaria cantante Floor Jansen che ad oggi è la frontwoman dei Nightwish e che in passato è stata anche vocalist dei ReVamp e degli After Forever.

Il primo album di questo nuovo combo, che si avvale della collaborazione di quattro musicisti turnisti, porta il nome stesso del gruppo e propone un hard rock lontanissimo dalle atmosfere metal tra il symphonic, il power e il prog in cui i due si muovono di solito. Il risultato è un album di rock massiccio e duro in cui ha ampio spazio la chitarra di Viggo e che trae la propria forza dalla voce di Floor che è una delle migliori voci femminili al mondo. Chi credeva che il più recente album dei Nightwish non valorizzasse al meglio la voce della cantante olandese sarà sicuramente soddisfatto dall'album dei Northward in cui la vocalist riesce a tirare fuori il meglio dello stile moderno del suo canto (lasciando ovviamente da parte quello lirico, per cui esistono altri progetti musicali come i gruppi in cui ha militato in passato e le esibizioni dal vivo dei pezzi più vecchi dei Nightwish).

Il disco parte fortissimo con le grintose While Love Died e Get What You Give che danno subito un ottimo assaggio di ciò che verrà a seguire, con due tracce ricche di riff di chitarra poderosi e della potenza vocale di Floor. L'album contiene stili di rock molto diversi attingendo anche dall'AOR degli anni 80 con pezzi come Let Me Out e la graffiante I Need. Tra i brani più energici spicca anche la poderosa Big Boy che inizia con duri e grezzi riff di chitarra dalle venature nu metal prima che Floor attacchi la prima strofa.

Floor mostra anche il lato più dolce e meno aggressivo della sua voce nelle ballad come Drifting Islands, che vede come ospite la cantante Irene Jansen che duetta con la sorella, o la bellissima e acustica Bridle Passion realizzata con solo voce e chitarra. Tra i momenti più melodici spicca anche Timebomb che alterna strofe da midtempo a un ritornello più energico. Chiude il disco la title track, brano di oltre sette minuti la cui prima metà suona come una ballad dal sapore pop per poi assestarsi su ritmi più veloci nella seconda parte.

Il primo album di questo duo mostra l'incredibile ecletticità di questo duo, che dimostra di saper realizzare dell'ottima musica anche in terreni lontani da quelli abituali. In realtà i due hanno scritto i pezzi nel lontano 2008 ma sono riusciti a realizzare l'album solo nel 2018 per via degli impegni di entrambi con le rispettive band. Questo LP è una delle migliori e più ricche creazioni hard rock di questo 2018 e in realtà questo non stupisce più di tanto, perché se si può contare su un talento naturale e versatile come Floor Jansen tutto diventa molto più facile. Non resta che sperare che Floor e Jørn Viggo non vogliano lasciare isolato questo esperimento e che non servano altri dieci anni prima che riescano a realizzare un altro grande album come questo.

venerdì 9 novembre 2018

Medina Azahara - Trece Rosas

Nonostante siano passate quattro decadi dal loro disco di esordio, gli andalusi Medina Azahara continuano a sfornare album a una frequenza davvero notevole, e a solo due anni dal precedente Paraiso Prohibido la band guidata da Manuel Martinez ha pubblicato il nuovo album intitolato Trece Rosas. Come suggerito dal titolo stesso il disco è dedicato alle 13 rose, un gruppo di donne condannate a morte nel 1939 dopo essere state ingiustamente accusate di aver cospirato per uccidere il dittatore Francisco Franco. Il disco è composto proprio da tredici tracce in cui i Medina Azahara si spostano dai suoni potenti e poderosi del passato verso un easy listening convincente e di facile presa anche per i neofiti.

Rispetto al passato il gruppo rinuncia quasi del tutto alla influenze arabe e mediorientali per approdare a un suono più ricco di spunti mediterranei, e in parte riconducibili proprio alla musica del nostro paese; anche il canto di Martinez attinge meno alla tradizione araba per esprimersi in uno stile più tradizionale. Le uniche tracce di musica arabeggiante si trovano in No Mires Atrás, per il resto il disco è caratterizzato da una buona alternanza di pezzi energici e di power ballad, che sono sempre state uno dei marchi di fabbrica del quintetto di Cordoba, e che in questo album sono ben cinque.

Tra i pezzi più veloci troviamo Libres Sin Nada e La Lucha che sono le uniche tracce del disco che presentano suoni più pesanti e più prossimi al metal; in Trece Rosas si trova anche qualche influenza di AOR ottantiano con Donde Sopla El Viento e Solo Son Cobardes che coniugano sapientemente melodia e suoni potenti, in particolare la seconda vede la presenza preponderante delle tastiere che donano sonorità patinate di grande effetto.

Le cinque ballad sono tutte di ottima fattura ed è difficile scegliere quali siano le migliori; se proprio dovessimo sceglierne alcune la scelta ricadrebbe su Mi Pequeño Corazon grazie al bellissimo arpeggio di chitarra che regge l'intero pezzo, su Ana y Raquel e sull'ottantiana Tu.

Ovviamente sono lontanissimi i fasti di Tanger o Tierra De Libertad, ma è altrettanto ovvio che Trece Rosas è l'ennesimo capolavoro di questo gruppo straordinario. La musica di questo album è sicuramente più tradizionale e meno sperimentale, ma questo non toglie che questo album convinca sotto ogni aspetto, regalando tredici tracce di alto livello e senza riempitivi. Purtroppo la barriera linguistica rende i Medina Azahara praticamente sconosciuti al di fuori dei paesi di lingua spagnola, tuttavia per qualità e creatività meriterebbero di far parte dell'empireo delle band più famose al mondo.

Mentre ci godiamo l'ascolto di Trece Rosas non resta quindi che aspettare che la band di Manuel Martinez produca il proprio prossimo lavoro in studio, che vista la produttività del gruppo siamo sicuri non si farà aspettare troppo a lungo.

mercoledì 31 ottobre 2018

Greta Van Fleet: salvatori del rock o tribute band?

Sono il fenomeno musicale degli ultimi anni. Molti critici musicali hanno scritto almeno un editoriale su di loro, non c'è un sito internet che tratti di hard rock che non abbia una loro recensione e la rotazione dei loro pezzi sulle radio di genere ha una frequenza impressionante.

Stiamo ovviamente parlando degli americani Greta Van Fleet, quartetto di giovanissimi che dopo aver dato alle stampe due EP nel 2017 ha quest'anno pubblicato il proprio primo LP dal titolo Anthem of the Peaceful Army. Li si ama o li si odia, i Greta Van Fleet non sembrano capaci di generare emozioni pacate e dividono il pubblico tra chi li considera i salvatori dell'hard rock e chi li reputa poco più di una tribute band dal successo immeritato.


Sulle loro capacità tecniche non ci sono dubbi. La loro musica è sicuramente piacevole, tutti i pezzi si lasciano ascoltare e ogni loro passaggio in radio è sempre gradito. I dubbi sono, semmai, sulla creatività e la loro capacità autorale.

La caratteristica peculiare del quartetto del Michigan è infatti che la loro musica assomiglia in modo smaccato ed esplicito a quella dei Led Zeppelin; tutto nel sound dei Greta Van Fleet ricorda la band di Jimmy Page e Robert Plant, dalle melodie, ai riff di chitarra al cantato di Joshua Kiszka che imita Plant in tutto e per tutto.

I critici più ottimisti sostengono che i Greta Van Fleet abbiano il merito di far avvicinare il pubblico più giovane al rock degli anni 70, che gli stessi Zeppelin hanno al loro tempo attinto a piene mani dal blues di Chicago e che altre band, come i Darkness o gli Struts, si ispirano ai modelli del passato senza attirarsi le critiche che ricevono i Greta Van Fleet.

E' sicuramente vero che Page e Plant hanno spesso copiato in modo disinvolto da Muddy Waters, Howlin' Wolf e molti altri, ma il suono dei Led Zeppelin è sempre stato molto diverso da quello dei bluesman americani; basti pensare che gli Zep hanno sostituito le chitarre acustiche con quelle elettriche e che il canto di Plant è diversissimo da quello dei modelli a cui si è ispirato. Nessuno in un ascolto in doppio cieco potrebbe confondere Muddy Waters con i Led Zeppelin; lo stesso non si può dire di un confronto tra gli Zeppelin e i Greta Van Fleet che sono quasi indistinguibili per chi non conosca a memoria le discografie. I Darkness attingono dall'AOR ottantiano, ma il loro sound non si confonde con quello di nessun'altra band e le somiglianze tra gli Struts e i Queen sono molto meno marcate di quelle tra i Led Zeppelin e i Greta Van Fleet.

Detto questo, per ora i Greta Van Fleet sono una buona band, forse una delle migliori in circolazione, ma il fatto di non avere un suono distintivo li relega nel gruppo delle "buone band". I fasti dei Led Zeppelin sono molto lontani e per ora non sembra proprio che i Greta Van Fleet possano rimanere nella memoria come una delle band più iconiche di questo decennio. Il rischio è che finiscano nel limbo dei gruppi che non esplodono mai, come i Bush o gli Screaming Trees il cui talento non è mai stato premiato del tutto.

Sicuramente i Greta Van Fleet hanno il tempo dalla loro parte, sono poco più che ventenni e avranno la possibilità di sviluppare un suono più personale. Glielo auguriamo di cuore, ma fino ad allora il loro impatto nella storia della musica rimarrà molto limitato.

mercoledì 24 ottobre 2018

Ace Frehley - Spaceman

Ace Frehley è noto soprattutto per essere il chitarrista storico dei Kiss avendo fatto parte della formazione iniziale della band newyorkese dall'esordio nel 1973 fino all'82 e poi ancora dalla reunion del 1996 al 2002. Ma oltre alla militanza nella band di Paul Stanley e Gene Simmons, Ace Frehley può vantare una ricchissima carriera parallela come solista e come frontman dei Frehley's Comet da lui stesso fondati.

Con il nuovo Spaceman è giunto al suo ottavo album solista e il titolo stesso del disco chiarisce in quale direzione Frehley voglia andare: spaceman era infatti la maschera che indossava nei Kiss e che componeva il quartetto con Starchild (Paul Stanely), Demon (Gene Simmons) e Catman (Peter Criss). Le nove tracce del nuovo album offrono quasi un'ora di puro hard rock che attinge dalle origini musicali dei Kiss che mischia nelle giuste dosi i suoni duri degli anni 70 con quelli patinati e divertenti dell'AOR ottantiano.

Spaceman centra perfettamente il proprio obiettivo regalando nove tracce divertenti, che prendono subito al primo ascolto e che spingono ad alzare il volume per tutta la durata del disco. Come è ovvio e normale aspettarsi tutte le nove tracce sono basate sul suono grintoso della chitarra e sulla voce tonante di Ace. L'album è piuttosto breve, ed è forse questo il suo unico limite, ma proprio per questo non contiene riempitivi, ma solo pezzi di altissimo livello. Se proprio dovessimo scegliere tracce migliori di altre la scelta cadrebbe sulla ruggente traccia di apertura Without You I’m Nothing che vede ospite Gene Simmons in veste di autore e bassista e su Your Wish Is My Command, scritta anch'essa insieme a The Demon.

Il disco contiene anche la cover di I Wanna Go Back dei Billy Satellite che trasforma una melodica ballad in un pezzo potente midtempo che rallenta il ritmo rispetto al resto del disco. L'unico altro pezzo che presenta ritmi più lenti è l'ultimo e strumentale Quantum Flux che sconfina nel soft rock.

Giunti alla fine dell'ascolto di questo portentoso album, che purtroppo ad ogni ascolto sembra finire troppo in fretta, resta solo da constatare che i musicisti della generazione di Ace Frehley sono tra i migliori che il nostro pianeta abbia mai ospitato e che tra i chitarristi più giovani non se ne trova uno che possa competere con questo quasi settantenne. Questo disco convince sotto ogni aspetto, compositivo, musicale e vocale, risultando una delle incisioni migliori di questo 2018 che va a porre un altro memorabile tassello nell'incredibile e immensa galassia musicale nata intorno al quartetto dalle facce dipinte nato a New York nei primi anni 70.

martedì 16 ottobre 2018

Sandro Di Pisa - Tutto (Da) Solo

A quasi vent'anni dall'esordio discografico con A Night in viale Tunisia e dopo innumerevoli prove discografiche da solita, in trio o quartetto, il musicista e divulgatore Sandro Di Pisa tenta un nuovo esperimento musicale con un album di canzoni in cui mischia il jazz, di cui è uno dei maggiori esponenti del nostro paese, con la tradizione cantautorale italiana. Il nuovo album si intitola Tutto (Da) Solo ed è composto da tredici tracce divertenti e ricche di sonorità diverse.

L'album si apre con Daunizzeuèi composto da un testo nonsense su una base musicale soft rock che sembra nata da un incontro tra gli Eagles e i Velvet Underground. Il resto dell'album si assesta su un cool jazz nello stile collaudato di Sandro Di Pisa, con testi ironici e scherzosi che fanno riflettere su alcune situazioni della vita quotidiana di cui l'assuefazione non ci fa cogliere gli aspetti più bizzarri. Tra questi troviamo Ab ITA Colo che racconta cosa avviene nell'abitacolo di un auto e Obsoleto che ironizza sulla rapida obsolescenza degli apparati elettronici di cui la nostra vita è sempre più pervasa, Di Pisa sottolinea come lo stesso trattamento venga riservato anche alla musica, con brani di successo di facile presa che vengono dimenticati nel giro di breve.

L'autore tratta anche il tema dell'inquinamento dilagante nel brano Le Polveri Sottili e quello dei rifiuti urbani che rischiano di sommergerci nella scherzosa Zachepù (il cui titolo ripetuto più volte assume tutt'altro significato). Tra i brani migliori troviamo anche Sveglia, caffè, uno swing ottantiano dal sapore vagamente caraibico, e A Me Non La Si Fa le cui sonorità sembrano prese di peso dal cool jazz della West Coast degli anni 50. Quest'ultimo pezzo è presente anche in una versione eseguita solo con archi denominata string version.

In Tante Cose Da Spiegare Di Pisa racconta anche quanto sia difficile insegnare musica nel mondo attuale e come nella sua migliore tradizione arricchisce il pezzo con inserti di altri brani famosi quali il tema di Mission: Impossible di Lalo Schifrin, Albachiara di Vasco Rossi e il tema di James Bond di Monty Norman.

Questo nuovo album di Sandro Di Pisa regala un'ora di ottimo jazz divertente e godibile che intrattiene e si ascolta facilmente senza rinunciare ai suoni complessi e di alto livello. Nella speranza che questo disco possa servire a far conoscere il jazz agli ascoltatori meno avvezzi, appare evidente come la creatività compositiva di Sandro Di Pisa non conosca limiti. Questo disco di canzoni convince sotto ogni aspetto e l'esperimento di Sandro Di Pisa di reinventarsi cantautore è riuscito alla grande; alla luce di questo grande successo non resta che aspettare di vedere quali altre frontiere della musica valicherà in futuro questo straordinario artista.

martedì 9 ottobre 2018

La discografia dei Crickets successiva alla morte di Buddy Holly (seconda parte 1964 - 1965)

La carriera discografica dei Crickets subì una dura battuta d'arresto nel 1959 per via della morte del leader storico Buddy Holly che perse la vita in un incidente aereo insieme a Ritchie Valens e The Big Popper. Tuttavia la band non arrestò la propria produzione e riuscì a riprendere l'attività rimaneggiando la formazione. Dopo i primi tre album pubblicati tra il 1960 e il 1962 il gruppo proseguì senza sosta e nel 1964 uscì il quarto album successivo alla morte di Buddy Holly.

Nonostante il disco sia noto come She Loves You / California Sun in realtà non ha un titolo; sulla copertina è riportato l'elenco dei pezzi in esso contenuti e i primi due sono proprio She Loves You e California Sun ed è per questo motivo che il disco è noto con questo titolo. Come riportato anche sul retro di copertina, l'LP vuole sfruttare il successo della british invasion e della beatlemania, infatti contiene cinque cover dei Beatles quali I Want To Hold Your Hand, She Loves You, I Saw Her Standing There, Please, Please Me e From Me To You oltre a Money (That's What I Want) di Barrett Strong di cui i fab four avevano realizzato una cover per l'album With The Beatles del 1963.

Oltre a queste l'album contiene Slippin' and Slidin' di Little Richard, California Sun di Joe Jones, A Fool Never Learns di Andy Williams, Lonely Avenue di Ray Charles (che viene notevolmente accelerata e trasformata da un blues in un rapido rock and roll) e Come On di Tommy Roe. Completa il disco You Can't Be In-Between, l'unico pezzo inedito contenuto sull'LP, un melodico midtempo che rallenta il ritmo rispetto al resto del disco.

La caratteristica principale di questo album di ottimo rock and roll è che nella riproposizione dei pezzi dei Beatles mostra come l'interpretazione dei Crickets, a dispetto della diversità di notorietà, sia in tutto superiore a quella del quartetto di Liverpool. I Crickets infatti non solo suonano meglio, ma eseguono meglio anche le polifonie vocali. Inoltre il cantante Jerry Neylor ha un'estensione e capacità di modulare la voce ben superiore a quella di Paul McCartney, come confermato anche dall'inedito You Can't Be In-Between.

L'anno seguente i Crickets pubblicarono A Collection che come dice il titolo stesso è una raccolta di singoli pubblicati tra il 1962 e il 1965. Non essendo strettamente legato all'esecuzione di cover, questo album consentì ai Crickets di esprimersi prevalentemente in pezzi propri dal suono più vario e maturo in cui il cantante mostra di nuovo le sue notevoli doti e in cui anche le melodie diventano più ricche e complesse.

L'album contiene una versione in inglese di La Bamba realizzata per il film The Girls on the Beach (che oltre ai Crickets include pezzi dei Beach Boys) del 1965 e le cover di Lonely Avenue (già proposta nell'album precedente) e Playboy di David Gates. Oltre a queste il disco contiene undici tracce inedite tra cui You Can't Be In-Between, anch'essa inclusa nel disco precedence. Tra le tracce migliori troviamo My Little Girl e Teardrops Fall Like Rain tratte dal film Just For Fun del 1963. Quest'ultima in particolare, la cui melodia ricorda vagamente Everyday incisa ai tempi di Buddy Holly, mostra nuovamente le incredibili capacità della band non solo come musicisti, ma anche nel canto polifonico. Degna di nota è anche All Over You, brano smaccatamente blues arricchito dalla presenza dell'armonica in cui il canto di Naylor si fa più basso e aspro.

Dopo A Collection la produzione discografica dei Crickets subì un nuovo lungo stop a causa dell'abbandono della band da parte di Naylor. Tuttavia neanche questo nuovo cambio fermò l'attività del gruppo che ripartì nel 1970 con il chitarrista Sonny Curtis alla voce e tuttora la band realizza album nuovi in cui fanno rivivere l'atmosfera degli anni d'oro del rock and roll. Questa straordinaria formazione resta quindi a tutt'oggi una delle band più influenti della storia del rock, anche se la loro scarsa notorietà (almeno in Italia) non rende giustizia alla loro creatività e alle loro capacità tecniche.

martedì 2 ottobre 2018

Cayne: gothic metal da Milano

Il panorama del gothic metal italiano è particolarmente ricco, anche se molte delle formazioni del nostro paese che suonano questo tipo di musica non godono del seguito di pubblico che meriterebbero. Gruppi come gli Opera IX, i Dakrua e i Macbeth sfornano album di altissimo livello da oltre vent'anni, ma in questa pletora di formazioni esiste un gruppo di Milano che si colloca al di sopra di tutti gli altri per notorietà e qualità della musica: i Cayne.

I Cayne nascono nel 1999 a Milano per opera dei due chitarristi Raffaele Zagaria e Claudio Leo in seguito alla loro uscita dai Lacuna Coil. Al momento della loro fondazione completavano la formazione il vocalist Mario Piazza, il bassista Daniele Rossetti e il batterista Filippo Ferrari.

La band così formata produsse il proprio primo album in studio nel 2002 con il titolo Old Faded Pictures. Il disco è composto da otto tracce che spaziano tra il gothic rock e l'alternative rock, risultando in un album di facile ascolto che colpisce già al primo giro nello stereo. Tra i pezzi spiccando sicuramente la morbida In My Eyes Return contraddistinta da qualche contaminazione new wave, la grezza e graffiante title track e Una Favola, unico pezzo in italiano del disco che è anche quello che tende più verso il rock alternativo che al tempo aveva buon seguito di pubblico in tutta Europa. Il disco contiene anche una cover di Small Town Boy dei Bronski Beat che trasforma il notissimo pezzo in un grintoso hard rock.

Dopo la pubblicazione del primo album l'attività in studio dei Cayne ha vissuto una lunga pausa, fino a quando Claudio Leo, insieme al chitarrista Marco Barusso, ha rinnovato la formazione con Guido Carli alla batteria, Antonello Pudva al basso, Giovanni Lanfranchi al violino e alle tastiere e con il nuovo vocalist Giordano Adornato. Prima di tornare a registrare, la formazione della band vide un nuovo cambiamento con l'ingresso del bassista Andrea Bacchio che andò a sostituire Pudva.

La band tornò in sala di incisione nel 2011 per realizzare l'EP denominato Addicted. Visti i numerosi cambi di formazione, anche il suono si adattò ai nuovi gusti e questa nuova incisione vira decisamente verso il gothic metal.

Il disco è composto di sole quattro tracce, che mischiano sapientemente sonorità dure con altre più melodiche riuscendo a creare una buona commistione di sonorità gotiche e venature AOR. Inoltre la musica dei Cayne si arricchisce, come anticipato, della presenza del violino che dona alle tracce un tocco di classicità che crea un contrasto di grande effetto con il suono duro di chitarre, basso e batteria.

Il risultato di questa ottima mescolanza è sintetizzato in pezzi quali My Damnation e Together as One. Completano il disco una versione live di In My Eyes Return e la title track che è sicuramente il pezzo più forte dell'EP come confermato dal suono duro della strumentazione e dal canto di Adornato che si rende qui più aspro che nelle altre tracce.

Il 2013 si aprì per i Cayne con la tragica scomparsa di Claudio Leo a seguito di una lunga malattia. Tuttavia la band decise di continuare la propria attività, proprio per rispettare i desideri del chitarrista e riuscì a concludere la realizzazione di un nuovo album grazie all'ingresso in formazione di Diego Minach, che sostituì il compianto Leo.

Nello stesso anno uscì quindi il secondo LP intitolato semplicemente Cayne, prodotto dal chitarrista Marco Barusso, che ripropone le stesse sonorità dell'EP precedente con un gothic metal melodico ricco di contaminazioni di stili diversi e con la presenza sempre maggiore del violino a impreziosire la musica. Il disco parte con un intro dalle sonorità orientali che risente dell'influenza dell'oriental metal e che si apre con un bellissimo vocalizzo di Giordano Adornato. L'album contiene alcuni pezzi già pubblicati nell'EP quali My Damnation, Together as One e Addicted e vede anche la presenza di ospiti d'eccezione come Paul Quinn dei Saxon nella ruggente e veloce Black Liberation, Jeff Waters degli Annihilator in King of Nothing, e Andrea Ferro dei Lacuna Coil che duetta con Adornato in Through the Ashes. Il ritmo sostenuto del disco è intervallato da tre ballad quali Little Witch, dalle sonorità leggermente grunge, Deep Down and Under e Like The Stars.

L'anno seguente la band pubblicò un altro EP intitolato Little Witch che propone il pezzo già pubblicato sull'album in due versioni (quella originale e una seconda leggermente più corta) oltre alla versione acustica di Together as One e una ballad inedita intitolata Adore.

All'inizio del 2015 Barusso e Carli lasciarono la band, con il batterista che venne sostituito da Giovanni Tani. Con la nuova formazione, la band tornò in studio per realizzare il terzo LP intitolato Beyond The Scars che ha visto la luce nell'estate del 2018 grazie alla produzione di Diego Minach.

In questo nuovo disco il gruppo perfeziona la formula riproponendo un gothic metal melodico ricco di tastiere e violino, di sfumature AOR e di qualche spruzzata di grunge, come testimonia la melodica traccia di apertura No Answers From The Sky il cui giro di chitarra introduttivo ricorda da vicino il suono di Seattle.

Il disco offre un ottimo equilibrio tra pezzi lenti e pezzi energici. Tra quelli più forti si distinguono Torn Apart, Celebration of the Wicked e Free at Last che è forse il brano in cui il violino ha il ruolo maggiore.

Tra le ballad spiccano le bellissime e coinvolgenti The Asylum of Broken Hope e One More Chance che mostrano come il gruppo sappia muoversi bene anche in terreni più lenti, senza rinunciare ai propri suoni distintivi che rendono la musica dei Cayne unica e immediatamente riconoscibile.

I Cayne hanno quindi oggi all'attivo tre album e due EP di altissimo livello che rendono a pieno titolo questa band una delle realtà più interessanti del panorama metal del nostro paese e non solo; infatti nonostante non godano del blasone che meriterebbero i Cayne reggono benissimo il confronto con le band di gothic metal di ogni angolo del mondo.

In quasi due decenni di carriera il gruppo non ha mai sbagliato un colpo regalando sempre brani suggestivi e di ottimo impatto; non resta che aspettare la loro prossima fatica in studio con la sicurezza che si tratterà di un altro album stellare, come i tutti i precedenti.

mercoledì 26 settembre 2018

Billy Gibbons - The Big Bad Blues

Dopo l'esperimento di musica caraibica di Perfectamundo, il chitarrista e cantante degli ZZ Top Billy Gibbons torna su terreni più noti e battuti con il nuovo album solista intitolato The Big Bad Blues uscito nel settembre del 2018. Come suggerito dal titolo stesso le sonorità del nuovo album sono contraddistinte da un blues rock grezzo e diretto che attinge direttamente dalle origini di questo genere.

Rispetto agli album degli ZZ Top, The Big Bad Blues offre un suono generalmente più lento e più duro in cui hanno la parte principale la voce graffiante di Gibbons e la sua chitarra che scandisce le melodie. Inoltre, come nella migliore tradizione del blues di Chicago, trovano ampio spazio le tastiere e l'armonica ed è proprio quest'ultima che spesso duetta con la chitarra.

Il fatto che Gibbons abbia attinto ampiamente dai modelli delle origini è confermato dalla presenza di ben quattro cover, quali Standing Around Crying e Rollin’ and Tumblin di Muddy Waters, e Bring It to Jerome e Crackin’ Up di Bo Diddley. Queste due in particolare sono tra i migliori pezzi dell'album, con Bring It to Jerome che si distingue per i suoni duri e aggressivi, mentre Crackin’ Up è sicuramente il brano più leggero dell'intero album (e lo stacco si sente nettamente durante l'ascolto) grazie alle sue atmosfere rock and roll e al coro di voci femminili che si affiancano a Gibbons sul controcanto del ritornello.

Tra i sette brani inediti spiccano la traccia di apertura Missin’ Yo’ Kissin’ che è quella che si avvicina più allo stile degli ZZ Top e in cui l'armonica ha il ruolo più importante, e le grintose Let The Left Hand Know e la già citata Rollin' and Tumblin'. Tra i pezzi migliori troviamo anche Mo' Slower Blues, che come dice il titolo stesso rallenta notevolmente il ritmo senza rinunciare alla durezza dell'impatto sonoro, e l'allegra Hollywood 151 che offre un po' di freschezza rinunciando alle venature hard rock di cui il resto del disco è pervaso.

Con questo nuovo album solista Billy Gibbons confeziona l'ennesimo ottimo disco della sua lunghissima carriera. In The Big Bad Blues infatti non c'è nemmeno un pezzo noioso o che si sarebbe potuto evitare e l'album è ricco solo di tanta buona musica blues che, data la notorietà dell'interprete, può servire a far conoscere a un pubblico più ampio questo genere musicale, troppo spesso messo da parte in favore delle mode del momento e di musica di più facile consumo.

martedì 18 settembre 2018

Billy Gibbons - Perfectamundo

Nel 2015, a sessantasei anni di età e a quarantacinque dalla prima uscita discografica, il cantante e chitarrista degli ZZ Top Billy Gibbons ha realizzato il proprio primo album solista con il titolo di Perfectamundo. In questo disco Gibbons si lancia in una sperimentazione di musica latina e lontana da tutto ciò a cui ci ha abituato nelle ultime quattro decadi. Come riporta il retro di copertina, infatti, la musica di Perfectamundo contiene una mescolanza di Tejano, Mexicano, Carribeano e Afro-Cubano, il tutto arricchito abbondantemente del blues rock del sud di cui gli ZZ Top sono tra i migliori interpreti del pianeta.

Come specificato dallo stesso Gibbons in un Behind the Scenes, per raggiungere l'obiettivo ha dovuto utilizzare una strumentazione ben diversa da quella usata con la band di Frank Beard e Dusty Hill e ha al contrario impiegato strumenti quali congas, bonghi, timbales e maracas; e in questo disco oltre a cantare in inglese si cimenta a più riprese con lo spagnolo e anche con un divertente spanglish.

Il risultato di questa sperimentazione è un album fresco e divertente dalle musiche allegre e dai testi spensierati. Le atmosfere caraibiche si respirano in ogni pezzo dell'album che è composto da undici brani, di cui nove inediti e le cover di Treat Her Right di Roy Head e Baby, Please Don't Go di Joe Williams, in cui Gibbons dimostra grande capacità di trasformare in caraibico due pezzi nati come soul e blues rispettivamente.

I pezzi più interessanti dell'album sono sicuramente quelli cantanti in spagnolo tra cui Sal y Pimiento, Piedras Negras e Hombre Sin Nombre, proprio perché il canto in una lingua diversa aggiunge un tocco esotico che rende queste incisioni ancora più particolari.

Con Perfectamundo Billy Gibbons confeziona un album che centra in pieno l'obiettivo e che intrattiene senza sosta per tutta la sua durata, senza riempitivi ma solo con tanta buona musica. L'esperimento del chitarrista e cantante è perfettamente riuscito, con un album che non contiene momenti deboli e che sopratutto mostra l'incredibile ecletticità di questo musicista, che è tra i più dotati al mondo.

mercoledì 12 settembre 2018

L'omicidio di Scott La Rock

Prima di Tupac Shakur, Notorious B.I.G. e Jam Master Jay, un altro rapper famoso ha incontrato la morte prematuramente durante una sparatoria stradale. Il primato temporale di questi assurdi decessi va infatti al DJ dei Boogie Down Productions Scott La Rock la cui vita finì tragicamente a venticinque anni tra le strade del Bronx nell'agosto del 1987.

Il primo album del gruppo, che in origine era formato dai soli Scott La Rock e KRS-One, intitolato Criminal Minded era stato pubblicato nel marzo dell'87 e godeva di un buon successo commerciale grazie ai suoni duri di cui era stato un precursore e alla mescolanza inedita tra hip-hop e sonorità reggae originarie della Jamaica. La carriera discografica di Scott La Rock era quindi iniziata nel migliore dei modi e negli ultimi giorni di agosto dell'87 il duo avrebbe dovuto esibirsi al Madison Square Garden di New York, purtroppo quel concerto non avvenne mai perché la vita di Scott finì prima.

Uno dei rapper che collaboravano con i Boogie Down Productions, D-Nice, ebbe una lite con alcuni ragazzi nel Bronx per via di una telefonata che aveva fatto a una ragazza del quartiere che era stata interpretata dal ragazzo di lei come delle avances. Pochi giorni dopo la fatidica telefonata D-Nice venne infatti minacciato con una pistola da alcune persone, tra cui una donna, mentre passeggiava tra gli housing projects del quartiere di Highbridge nel Bronx e uno di loro lo colpì al viso con una pistola lasciandolo sanguinante. D-Nice allora chiamò Scott in cerca di aiuto e il DJ gli promise che sarebbe andato nel Bronx per aiutarlo a risolvere la situazione riappacificandosi con quel gruppetto che lo aveva minacciato. Scott a quel punto chiamò Ced Gee (un altro rapper della zona) per riferirgli della situazione e questi gli consigliò di abbandonare il proprio intento e di dire a D-Nice non reagire. Tuttavia Scott non raccolse il consiglio perché sperava di poter risolvere la situazione in modo che D-Nice non avesse problemi a muoversi a Highbridge senza sentirsi minacciato.

La sera del 26 agosto Scott si recò nella zona insieme a D-Nice, al proprio manager Scott Morris (detto Manager Moe), alla guardia del corpo Darrell e a un altro dei collaboratori dei Boogie Down Productions chiamato DJ McBooo su una Jeep Wrangler CJ-7. Il quintetto arrivò nella strada dove D-Nice era stato aggredito, cioè nel segmento di University Avenue (noto anche come Martin Luther King Jr. Boulevard) compreso tra la 166esima e la 167esima strada (evidenziato in rosso nell'immagine sotto). Lo stesso D-Nice ricordò in un'intervista rilasciata a The Combat Jack Show il 20 maggio del 2014 che la strada era a senso unico in direzione nord (come facilmente riscontrabile anche da Google Maps); i cinque parcheggiarono la Jeep sul lato destro, mentre il palazzo davanti a cui era avvenuto l'alterco era sul lato sinistro.


Davanti all'housing project non c'erano gli aggressori di D-Nice, ma altre persone. D-Nice, Scott e i loro amici scesero dall'auto; Darrell si avvicinò al palazzo per primo e nonostante le intenzioni pacifiche di Scott adottò un approccio da subito aggressivo. Chiese se avessero visto chi quella mattina aveva minacciato D-Nice; uno di loro gli rispose male e Darrell, alto un metro e novantacinque, lo sollevò in aria e lo rilanciò a terra. Un istante dopo qualcuno nascosto dietro a dei cespugli iniziò a sparare contro D-Nice e i suoi amici, seguito da altri nascosti sul tetto del palazzo. Secondo i primi riscontri della polizia, inoltre, qualcuno sparò anche dalle finestre di un palazzo dall'altro lato della strada.

KRS-One e Scott La Rock
I cinque corsero sull'auto in cerca di protezione e Darrell mise in moto per allontanarsi dalla sparatoria più in fretta possibile. Appena furono lontani dal pericolo, Darrell fermò l'auto; l'unico rimasto ferito dai proiettili fu proprio Scott La Rock che era stato colpito da due colpi al collo. Darrell corse con la Jeep fino al Lincoln Hospital dove Scott arrivò poco dopo mezzanotte in stato di coma. Dopo meno di un'ora fu dichiarato morto.

Le indagini non portarono a nulla per molti mesi, perché la sparatoria avvenne nel buio e in totale assenza di testimoni oculari. La polizia fece due arresti solo otto mesi dopo, quando fermò due uomini residenti a Highbridge: Cory Bayne e Kendall Newland di 17 e 18 anni rispettivamente. Bayne era già stato arrestato in precedenza per aver rubato dei gettoni della metropolitana e fu segnalato alla polizia per la sparatoria in cui rimase ucciso Scott La Rock da altre due persone sospettate per il furto dei gettoni. Tuttavia nessuno testimoniò contro di loro e i due furono rilasciati.

La madre di Scott ritiene ancora oggi che i Bayne e Newland siano tra i responsabili della morte del figlio, eppure l'omicidio di Scott La Rock rimane tuttora insoluto ed è la prima di una lunghissima lista di assurde morti nel mondo dell'hip hop che dal 1987 dura ancora oggi.


Fonti aggiuntive rispetto a quelle citate nell'articolo:

domenica 2 settembre 2018

Giacomo Voli - Castelvetro Piacentino, 1/9/2018

Il tempo non è stato clemente e una pioggia pomeridiana ha costretto gli organizzatori della Sagra dello Scalogno di Castelvetro Piacentino a spostare il concerto acustico di Giacomo Voli dal palco di Via Roma al tendone utilizzato per la cena. Lo spazio dedicato ai musicisti era un angolo del padiglione, vicino a dove venivano servite le pietanze e dove il pubblico poteva vedere meglio gli artisti all'opera.

Il nostro Giacomo ha imbracciato la chitarra poco dopo le 21 dando via a una serata di musica basata sulla sua straordinaria voce valorizzata dalla chitarra suonata da lui stesso. Il repertorio della serata è stato tratto dal meglio del rock degli anni 70 e 80 spaziando dagli AC/DC ai Deep Purple con qualche tocco di rock nostrano grazie a Impressioni di Settembre della PFM. In questa serata così strana e atipica Voli ha dato molto spazio alle cover dei Queen attingendo da ogni fase della loro carriera, da Crazy Little Thing Called Love a Who Wants To Live Forever, la scelta non appare casuale essendo Giacomo Voli uno dei pochissimi cantanti al mondo che possono avvicinarsi al compianto Freddie.

Tutti i pezzi della serata sono stati riarrangiati per chitarra e voce trasformando ogni brano, anche i più scatenati come Hush o Whole Lotta Love, in un leggero midtempo dal sapore inedito, a riprova che i grandi musicisti riescono sempre a dare risvolti nuovi ai classici. Giacomo coinvolge anche il pubblico invitandolo a fare dei cori sui pezzi più noti, e la folla di Castelvetro Piacentino risponde con il calore che il nostro cantante merita. Nella setlist c'è spazio anche per un pezzo dall'album solista di Voli Prigionieri Liberi, la power ballad Il Libro Dell'Assenza, proposta qui in una chiave ancora più melodica e d'atmosfera.

La serata si chiude con I Don't Want To Miss a Thing degli Aerosmith e con l'immancabile Rock And Roll dei Led Zeppelin, e non serve nemmeno ricordare perché questo pezzo sia così importante nella carriera di Voli, tanto che quasi viene naturale considerarla ormai una canzone di Giacomo come capita in quelle rare volte in cui la cover è migliore dell'originale.

Finita l'esibizione Giacomo si siede nel pubblico e si ferma a chiacchierare come in un'abituale serata tra amici, come se fosse una normale fiera di paese e non l'esibizione live solista del cantante dei Rhapsody of Fire, una delle più blasonate band del nostro paese. E scambiando impressioni sulla serata c'è anche l'occasione di conoscere gente nuova unita da una passione per la buona musica che questa sera l'ha condotta fino al tendone di Castelvetro Picentino.

Alla fine della serata mentre lo staff della festa si siede a mangiare dopo aver servito tutti gli avventori ci si ferma a riflettere e si giunge alla conclusione che, contrariamente alla apparenze, il tempo è stato propizio perché ha trasformato un concerto (che sarebbe stato bellissimo in ogni caso) in un evento intimo e raccolto che ci ha consentito di vivere una cena in amicizia ascoltando dell'ottima musica. Ma per trarre il meglio da una serata piovosa e farne una di musica memorabile servono musicisti di altissimo livello, proprio come Giacomo Voli.

domenica 26 agosto 2018

Kenny Chesney - Songs For The Saints

Meno di due anni dopo il precedente Cosmic Hallelujah torna Kenny Chesney con un nuovo album intitolato Songs For The Saints composto da undici pezzi che ripropongono lo stile tradizionale del cantante del Tennessee con una buona commistione di rock e country. E nonostante i testi del disco siano ispirati all'uragano Irma (che ha colpito i Caraibi e la costa atlantica degli USA nel 2017) le musiche non rinunciano alle atmosfere allegre e positive tipiche dei suoi album precedenti.

Come è ovvio tutti gli undici pezzi sono basati sul suono della chitarra acustica suonata dallo stesso Chesney e dalla sua voce profonda e potente. L'album offre un buon equilibrio tra pezzi melodici e quelli più energici inoltre, grazie anche alla presenza di ospiti di gran livello, spazia tra vari generi musicali non fermandosi al country ma allargandosi anche alla musica caraibica, come nella ballad Island Rain e in Love for Love City che tende fortemente verso il reggae grazie alla presenza di Ziggy Marley che in questo pezzo, molto più che in altre occasioni, imita il padre anche nel canto.

Chesney duetta anche con Jimmy Buffet in uno dei pezzi più emblematici del disco intitolato Trying to Reason With Hurricane Season e con la cantante newyorkese Mandy Smith nella ballad di chiusura Better Boat. Tra i pezzi migliori dell'album troviamo anche la title track che si apre con ritmi sommessi da midtempo per poi guadagnare forza ed energia sul secondo ritornello, e anche la bellissima Get Along, il pezzo più gioioso di tutto il disco grazie al potente coro che si affianca a Chesney sul ritornello. Spicca anche l'onirica Ends of the World che tende verso sonorità new age, anche qui troviamo un coro che si unisce al canto di Chesney sul ritornello, ma in questo caso vista la diversa natura del pezzo è molto meditativo e sommesso.

Con Songs For The Saints Kenny Chensey è al suo diciottesimo album a ventiquattro anni di distanza dal suo esordio discografico e in oltre due decadi il cantante di Knoxville non ha mai sbagliato un disco producendo sempre musica di altissimo livello. Questo nuovo LP si posiziona senza dubbio tra le migliori opere di Kenny Chesney ed è veramente inspiegabile come questo cantante sia pressoché sconosciuto in Italia, considerando che altri musicisti dal genere simile, come ad esempio Kid Rock, godono di buona notorietà. Possiamo solo sperare che Songs For The Saints serva a far conoscere questo straordinario cantante anche dalle nostre parti, visto che la qualità è tanta e meriterebbe un posto in classifica anche da noi.

martedì 7 agosto 2018

La discografia di Grandmaster Flash & the Furious Five

Grandmaster Flash & the Furious Five sono uno dei gruppi più importanti tra i pionieri dell'hip hop e oltre a essere stati tra i precursori di questo genere musicale la loro notorietà è tale da renderli una delle formazioni fondamentali della storia della musica nera di ogni stile.

Nonostante la loro indiscutibile importanza storica, la discografia del sestetto è molto contorta perché nella sua carriera il gruppo ha visto varie divisioni, progetti paralleli, collaborazioni e sottoinsiemi che hanno usato negli anni nomi diversi ma simili tra loro.

La formazione originale era composta da Grandmaster Flash (DJ barbadiano trapiantato a New York) e dai cinque rapper Melle Mel, The Kidd Creole, Keef Cowboy, Scorpio e Rahiem. Il gruppo iniziò la propria attività discografica nel 1979 con tre singoli; il primo di essi fu We Rap More Mellow, inciso con il nome di The Younger Generation, il secondo fu un'incisione dal vivo di Flash to the Beat in cui il nome del gruppo diventò Flash and The Five, mentre con il terzo singolo Superrappin' il nome del combo divenne finalmente Grandmaster Flash and the Furious Five.

Nel 1982 il gruppo realizzò il proprio primo e più rappresentativo album intitolato The Message, il disco è composto da sette tracce (più una bonus track presente solo nell'edizione europea del vinile) tra cui la celeberrima title track che oltre a essere uno dei pezzi hip hop più famosi di ogni epoca è anche il primo a trattare argomenti di carattere sociale, come la povertà e la durezza della vita nel ghetto. Tutte le tracce del disco sono caratterizzate dal suono tipico del sestetto con un tessuto sonoro fatto di campionamenti e basi elettroniche a cui si somma la voce dei cinque vocalist, con Melle Mel che predomina sugli altri eseguendo la maggior parte delle voci principali. Nell'album troviamo altri pezzi storici del gruppo come She's Fresh, It's Nasty e Dreamin' che sorprendentemente è un vero e proprio brano soul cantato nello stile della Motown e lontanissimo dal rap.

In realtà nella registrazione dell'album Grandmaster Flash ebbe un ruolo minimo e oltre a dare il nome al gruppo il suo unico contributo è limitato alla base musicale della bonus track The Adventures of Grandmaster Flash on the Wheels of Steel, costituita dai campionamenti di numerosi pezzi tra cui Another One Bites The Dust dei Queen e Rapture dei Blondie; per il resto gli unici ad aver contribuito alla realizzazione dell'album sono i Furious Five e in particolar modo Melle Mel. La title track infatti è interpretata solo da quest'ultimo e dal turnista della casa discografica Duke Bootee, anche se nel video la parte di Bootee è eseguita da Rahiem in playback.

L'anno dopo la pubblicazione del primo album il gruppo andò incontro a dissapori di carattere legale ed economico e si divise in due formazioni distinte. Il primo dei due gruppi era formato dal DJ con The Kidd Creole e Rahiem (a cui si aggiunsero altri tre rapper) e continuarono la loro attività discografica con il nome di Grandmaster Flash; il secondo gruppo era formato da Melle Mel con Keef Cowboy e Scorpio (a cui pure si unirono altri rapper) che assunsero il nome di Grandmaster Melle Mel and the Furious Five. Il primo singolo pubblicato dopo lo scioglimento fu White Lines (Don't Do It), brano di denuncia contro l'uso dilagante della cocaina, che venne pubblicato con il nome di Grandmaster and Melle Mel, ma a dispetto del nome il DJ non prese parte al progetto.

Durante il periodo della divisione furono pubblicate due compilation a nome Grandmaster Flash & the Furious Five. La prima di esse si intitola proprio Grandmaster Flash & the Furious Five e fu pubblicata nel 1983, la seconda si intitola Greatest Messages e uscì nel 1984. Entrambe le compilation (che contengono numerosi brani in comune) sono raccolte di pezzi editi (sia in singolo, sia sull'unico album fino ad allora pubblicato) e pezzi nuovi, tra cui New York New York, un altro dei brani più famosi della discografia del sestetto, che compare in entrambe le compilation.

Ad aumentare la confusione sull'intricata discografia di questo storico gruppo, entrambe queste compilation contengono anche brani incisi da Melle Mel in alcuni dei suoi progetti paralleli seguiti allo scioglimento della band. La prima compilation contiene infatti proprio White Lines (Don't Do It), mentre la seconda contiene Message II (Survival) realizzata da Melle Mel con Duke Bootee come Melle Mel & Duke Bootee.

La formazione originale tornò finalmente insieme nel 1987 e l'esito della reunion fu l'album On The Strength del 1988 che, nonostante non abbia ottenuto il risultato commerciale del primo, contiene comunque musica hip hop di alta qualità dallo stile molto simile a quello degli esordi. Il disco è composto da undici pezzi che spaziano tra influenze musicali diverse. Troviamo infatti brani old school come la traccia di apertura intitolata Gold e quella di chiusura dall'eloquente titolo Back in the Old Days of Hip-Hop, ma include anche momenti più melodici e di nuovo vicini al soul come The King (dedicata a Martin Luther King) e la lenta Fly Girl. Il disco contiene anche un bellissimo esperimento di commistione tra rock e rap (che al tempo era molto popolare grazie ad altri gruppi di New York come i Run DMC e i Beastie Boys) come Magic Carpet Ride, cover dello storico pezzo degli Steppenwolf che vede proprio il gruppo di Los Angeles come ospite. John Kay canta le strofe come nella versione originale, mentre una strofa aggiuntiva è rappata da Melle Mel.

Dopo On The Strength il gruppo si sciolse definitivamente e da allora ha pubblicato solo compilation e remix, purtroppo la discografia di questo gruppo e dei progetti dei singoli membri che hanno avuto vita tra l'83 e l'87 è talmente confusa che spesso le attribuzioni nelle compilation sono sbagliate. Uno dei casi più significativi è ad esempio il triplo CD Adventures on the Wheels of Steel del 1999, in cui come spiegato su Wikipedia gli errori sono moltissimi e notevoli.

Tuttavia nonostante le vicissitudini Grandmaster Flash & the Furious Five restano tra gli artisti che più hanno contribuito a forgiare l'hip hop e a influenzare altri generi musicali, basti pensare che The Message è ad oggi uno dei brani più riconoscibili dei primi anni 80 e che White Lines vanta anche una cover dei Duran Duran. La discografia di questo gruppo merita comunque di essere riscoperta, perché è ricca di pezzi di valori che riportano alle vere atmosfere dei ghetti in cui è nata e perché ricordarli solo per The Message è sicuramente troppo riduttivo.