Il 2018 vede il ritorno dei leggendari Judas Priest a quattro anni di distanza dal precedente album Redeemer of Souls; il nuovo disco porta il portentoso titolo di Firepower e la grinta espressa già in copertina trova, come vedremo di seguito, ampio riscontro nella musica. La band arriva a questa nuova prova in studio con la stessa formazione del disco precedente, anche se Glenn Tipton ha abbandonato l'attività per gravi motivi di salute appena dopo la registrazione del disco e prima dell'avvio del tour mondiale.
L'album è composto da quattordici pezzi e offre un metal poderoso e massiccio mostrando il gruppo in grande forma, sia compositiva sia interpretativa. Come sempre la musica dei Judas Priest coniuga sapientemente sonorità dure e pesanti con melodie di facile presa, restando quindi fedele agli stilemi classici del metal riuscendo anche a entrare nella testa dell'ascoltatore già al primo giro. A quarantaquattro anni dall'album di esordio, l'elemento più riconoscibile della musica della band di West Bromwich resta l'incredibile voce di Rob Halford, ineguagliato nel mondo metal quanto a potenza ed estensione, come dimostrano da oltre quattro decenni i suoi inimitabili acuti.
Firepower parte subito alla grande con due brani potentissimi come la title track e Lightning Strike che sembrano presi di peso dalle produzioni dei Judas dei primi anni 80, come lo storico album Screaming For Vengeance, e trasportate ai giorni nostri. Con i successivi due Evil Never Dies e Never the Heroes i ritmi scendono leggermente senza rinunciare alla durezza dei suoni, facendo di nuovo rivivere i fasti di incisioni storiche come British Steel.
Tra i pezzi più energici troviamo anche Flame Thrower, la graffiante Traitors Gate, Necromancer e No Surrender, quest'ultima in particolare offre qualche assaggio di power metal grazie anche ai cori sul ritornello che ammorbidiscono la sonorità del pezzo.
L'album contiene anche una buona quantità di pezzi più melodici. Tra questi si trovando Children of the Sun e il midtempo Rising From Ruins, introdotta dalla strumentale Guardians, in cui Halford dà grande prova anche delle sue doti melodiche oltre a quelle di potenza che trovano ampio sfoggio in tutto il disco. Sulle stesse tonalità più morbide troviamo anche Spectre che è il brano più ricco di assoli di chitarra che si alternano alla voce del cantante.
Chiudono il disco i due pezzi molto particolari e unici nella lunga discografia dei Judas Priest. Lone Wolf è un brano crepuscolare, cupo e d'atmosfera, che tende verso lo stoner rock risentendo in parte delle influenze di Master of Reality dei Black Sabbath. In ultima posizione troviamola power ballad Sea of Red che si apre con un bellissimo arpeggio di chitarra per poi sfociare in un pezzo melodico che richiama di nuovo il decennio ottantiano con l'attacco del ritornello in parte debitore a The Unforgiven dei Metallica.
Firepower è un album che convince sotto tutti i punti di vista e che non ha momenti bassi ma intrattiene con del metal puro e genuino per 58 minuti. Senza timore di essere smentiti possiamo dire che si tratta della migliore prova in studio della band da rientro di Rob Halford e l'ennesima dimostrazione che nonostante gli anni che avanzano e la carriera ultraqurantennale i Judas Priest hanno ancora molte frecce al proprio arco.
L'album è composto da quattordici pezzi e offre un metal poderoso e massiccio mostrando il gruppo in grande forma, sia compositiva sia interpretativa. Come sempre la musica dei Judas Priest coniuga sapientemente sonorità dure e pesanti con melodie di facile presa, restando quindi fedele agli stilemi classici del metal riuscendo anche a entrare nella testa dell'ascoltatore già al primo giro. A quarantaquattro anni dall'album di esordio, l'elemento più riconoscibile della musica della band di West Bromwich resta l'incredibile voce di Rob Halford, ineguagliato nel mondo metal quanto a potenza ed estensione, come dimostrano da oltre quattro decenni i suoi inimitabili acuti.
Firepower parte subito alla grande con due brani potentissimi come la title track e Lightning Strike che sembrano presi di peso dalle produzioni dei Judas dei primi anni 80, come lo storico album Screaming For Vengeance, e trasportate ai giorni nostri. Con i successivi due Evil Never Dies e Never the Heroes i ritmi scendono leggermente senza rinunciare alla durezza dei suoni, facendo di nuovo rivivere i fasti di incisioni storiche come British Steel.
Tra i pezzi più energici troviamo anche Flame Thrower, la graffiante Traitors Gate, Necromancer e No Surrender, quest'ultima in particolare offre qualche assaggio di power metal grazie anche ai cori sul ritornello che ammorbidiscono la sonorità del pezzo.
L'album contiene anche una buona quantità di pezzi più melodici. Tra questi si trovando Children of the Sun e il midtempo Rising From Ruins, introdotta dalla strumentale Guardians, in cui Halford dà grande prova anche delle sue doti melodiche oltre a quelle di potenza che trovano ampio sfoggio in tutto il disco. Sulle stesse tonalità più morbide troviamo anche Spectre che è il brano più ricco di assoli di chitarra che si alternano alla voce del cantante.
Chiudono il disco i due pezzi molto particolari e unici nella lunga discografia dei Judas Priest. Lone Wolf è un brano crepuscolare, cupo e d'atmosfera, che tende verso lo stoner rock risentendo in parte delle influenze di Master of Reality dei Black Sabbath. In ultima posizione troviamola power ballad Sea of Red che si apre con un bellissimo arpeggio di chitarra per poi sfociare in un pezzo melodico che richiama di nuovo il decennio ottantiano con l'attacco del ritornello in parte debitore a The Unforgiven dei Metallica.
Firepower è un album che convince sotto tutti i punti di vista e che non ha momenti bassi ma intrattiene con del metal puro e genuino per 58 minuti. Senza timore di essere smentiti possiamo dire che si tratta della migliore prova in studio della band da rientro di Rob Halford e l'ennesima dimostrazione che nonostante gli anni che avanzano e la carriera ultraqurantennale i Judas Priest hanno ancora molte frecce al proprio arco.