mercoledì 11 dicembre 2019

Rob Halford with Family & Friends - Celestial

A dieci anni da Winter Songs, il cantante dei Judas Priest Rob Halford torna a incidere un disco di canti natalizi con il nuovo album intitolato Celestial pubblicato nell'ottobre di quest'anno. Il disco è composto da dodici tracce che riprendono la formula di Winter Songs con un connubio di canti tradizionali riarrangiati in chiave heavy metal e di pezzi inediti dello stesso Halford.

L'album è realizzato come Rob Halford with Family & Friends e il motivo è presto chiarito: Celestial vede infatti tra gli altri musicisti la presenza del fratello di Rob, Nigel Halford, alla batteria, del nipote Alex Hill, figlio del bassista dei Judas Priest Ian Hill, al basso, e della sorella Sue Halford alle campanelle.

Contrariamente alle attese il disco non è composto solo di pezzi veloci e grintosi, ma offre una buona varietà di suoni. Infatti, mentre alcuni dei pezzi classici come God Rest Ye Merry Gentlemen e Hark! The Herald Angels Sing vengono notevolmente accelerati e arricchiti di suoni aggressivi, altri come Away In a Manger, O Little Town Of Bethlehem e Good King Wenceslas si assestano su atmosfere più raccolte e vicine alle versioni tradizionali. La migliore reinterpretazione dei brani classici resta comunque quella di The First Noel eseguita con solo voce e organo e con il coro che canta il ritornello a più voci.

I pezzi inediti scritti da Rob Halford sono quattro. Oltre alla title track strumentale introduttiva troviamo l'energica Donner and Blitzen (tradizionalmente due dei nomi delle renne di Babbo Natale) che riporta a sonorità più vicine a quelle dei Judas Priest, la gioiosa Morning Star e la traccia di chiusura Protected By The Light, realizzata con solo voce e piano, che per le sue atmosfere classiche si candida a diventare un canto tradizionale del nuovo millennio.

In sintesi Celestial è un disco che convince sotto ogni aspetto. Le riletture dei classici funzionano benissimo, sia quelle fedeli alle versioni originali sia quelle che vengono stravolte nella reinterpretazione. Così come i pezzi nuovi mostrano diverse facce delle capacità compositive di Rob Halford, che riesce a comporre tra canti natalizi in altrettanti stili completamente diversi. Celestial è quindi l'ennesimo colpo riuscito della discografia di uno dei cantanti migliori della storia, che con questo nuovo disco dimostra nuovamente di sapersi muovere con grande maestria anche in terreni apparentemente lontani da quelli che gli sono più consueti.

mercoledì 4 dicembre 2019

Trans-Siberian Orchestra - The Christmas Attic

Due anni dopo il disco di esordio Christmas Eve and Other Stories lo straordinario supergruppo dei Trans-Siberian Orchestra ha pubblicato il proprio secondo album a tema natalizio intitolato The Christmas Attic.

Così come il primo, anche questo è un concept album e la storia narrata in questa occasione è quella del ritorno sulla terra dell'angelo che era stato protagonista dell'album precedente. Questa volta la missione dell'angelo sarà quella di convincere una bambina disillusa, che la notte di Natale si è rintanata nell'attico di casa per poter vedere la propria città dall'alto, che lo spirito del Natale è reale e non è solo una trovata consumistica.

Musicalmente il disco ripropone la formula utilizzata in Christmas Eve and Other Stories, con una mescolanza di pezzi inediti scritti da Paul O'Neill, Robert Kinkel e Jon Oliva (produttore, tastierista e batterista dei Savatage), e di reinterpretazioni e mash-up di brani classici della tradizione natalizia. L'album parte con la bellissima e inedita The Ghosts of Christmas Eve cantata da Daryl Pediford e subito dopo troviamo la rielaborazione strumentale in chiave rock di Deck The Halls intitolata Boughs of Holly. Alla terza traccia troviamo il pezzo migliore dell'intero disco intitolato The World That She Sees la cui solennità è affidata alla potente voce di Jody Ashworth che con una prova vocale maestosa crea un vero classico natalizio dell'epoca moderna. Lo stesso Ashworth presta la voce anche a Christmas In the Air dalle atmosfere simili.

Rispetto al rock sinfonico del primo album, The Christmas Attic vede anche l'aggiunta di sonorità gospel con The Three Kings and I cantata da Daryl Pediford e Marlene Danielle, in cui il coro esegue alcuni snippet dell'Halleluja di Handel. Atmosfere da musica nera si trovano anche nei due pezzi di chiusura: An Angel's Share, in cui troviamo anche un coro di voci femminili che si affianca all'interpretazione di Marlene Danielle, e Music Box Blues che a dispetto del titolo offre del gospel tradizionale con il coro che si unisce in questo caso a Daryl Pediford.

Tra le reinterpretazioni di pezzi classici spicca Christmas Canon, rivisitazione corale del celebre Canone di Pachelbel affidata a un coro di bambini che cantano un testo natalizio sulla melodia originale. Tra i pezzi strumentali troviamo anche Appalachian Snowfall il cui rimando a First Snow dell'album precedente è piuttosto chiaro.

L'album è stato ristampato nel 2002 con l'aggiunta di una versione più breve di The World That She Sees intitolata The World That He Sees e con una traccia aggiuntiva a chiudere il disco costituita da un medley strumentale registrato dal vivo e intitolato Christmas Jam.

The Christmas Attic è in conclusione un disco che ripete il successo musicale dell'album precedente, mantenendone la ricchezza compositiva ma rinunciando a qualche virtuosismo che poteva rendere difficile il primo approccio a Christmas Eve and Other Stories risultando così in un album di uguale valore ma di ascolto più facile e immediato e sicuramente più godibile e divertente come colonna sonora per le feste natalizie.

mercoledì 27 novembre 2019

La discografia degli Offspring tra il 1989 e il 1992

Gli Offspring sono ad oggi tra i più importanti esponenti del punk californiano; negli anni 80 le città di Los Angeles e San Francisco sfornarono band come i NOFX, i Rancid o i Pennywise, ma in quella moltitudine di gruppi che si ispiravano al punk britannico del decennio precedente, la band di Dexter Holland ha sempre occupato un posto di spicco. Il loro successo commerciale partì con Smash del 1994, ma la loro discografia iniziò ben prima con altri due album e un EP che non raggiunsero la notorietà degli album successivi ma che contengono comunque delle perle di punk.

Il primo album degli Offspring porta il nome stesso del gruppo ed è stato pubblicato nel 1989; nella versione originale in vinile conteneva undici tracce. Il disco offre un punk duro, grezzo, diretto e lontanissimo dai suoi sempre più raffinati dei dischi successivi. Le tracce dell'album hanno un suono tutte piuttosto simile, con brani veloci e senza rallentamenti dei ritmi. In realtà si può comunque individuare qualche traccia più convincente delle altre, come il pezzo di apertura Jennifer Lost the War e Tehran che contiene qualche sonorità arabeggiante e che è l'unica traccia che spezza almeno in parte il suono monolitico del disco.

A sinistra la copertina del vinile, a destra la copertina del CD.

Nel disco compare anche Behaeded, che il gruppo reincise nel 1999 per la colonna sonora del film Idle Hands, nel quale interpretano anche una cover di I Wanna Be Sedated dei Ramones. Nell'album The Offspring si trova anche la traccia Kill The President, che per i suoi contenuti ritenuti pericolosi non è stata reinserita nella versioni in CD e vinile del 2001 e 2018. Nella versione in cassetta dell'album è presente anche la cover di Hey Joe di Billy Roberts portata al successo nel 1967 da Jimi Hendrix.

Dopo il primo album e prima di inciderne un secondo, la band tornò in studio per realizzare l'EP Baghdad, pubblicato nel 1991, che contiene quattro pezzi. Il primo di essi è una versione di Get It Right che verrà reincisa nell'album successivo e che mostra una maturità superiore rispetto al primo disco, con melodie più ricche e con la voce di Holland notevolmente migliorata. Le altre tracce dell'EP sono una nuova versione di Tehran, rinominata Baghdad e che dà il titolo al disco, che dà più spazio alle sonorità arabe, la strumentale The Blurb, che getta le basi per Genocide e Change the World, e una nuova versione di Hey Joe.

Il secondo LP degli Offspring uscì nel 1992 con il titolo Ignition. Le dodici tracce che lo compongono mostrano suoni più puliti e ricchi rispetto all'album di esordio, con melodie più vicine a quelle di Smash e con i celebri cori della band che finalmente trovano spazio per la prima volta. Tra i pezzi migliori troviamo sicuramente i due di apertura Session e We Are One; spiccano anche Kick Him When He's Down e la nuova versione di Get It Right che danno un primo assaggio del sound ricco di controcanti che si troverà in Smash e negli album successivi.

In un periodo in cui il grunge dominava le classifiche non poteva mancare un pezzo tendente al Seattle sound come Dirty Magic il cui riff iniziale ricorda da vicino quello di Come As You Are. Durante le sessioni di Ignition fu registrato anche il pezzo Mission from God che non trovò spazio nella composizione finale dell'album ma che fu pubblicata per la prima volta solo nella compilation Punk-O-Rama volume 10 del 2005. Le sonorità del pezzo sono più aggressive di quelle di tutto il resto del disco, e se è vero che in realtà sarebbe stata la traccia migliore di Ignition se fosse stata inclusa è altrettanto vero che non si lega bene al resto del disco e avrebbe potuto forse trovare spazio in uno degli album successivi (cosa che comunque non avvenne).

Con Smash del 1994 gli Offspring abbatterono tutte le barriere e grazie a pezzi di facile presa come What Happened to You?, Self Esteem e Come Out and Play hanno raggiunto il successo planetario grazie anche ai numerosi passaggi radiofonici e su MTV. Da lì in avanti la discografia degli Offspring è andata in crescendo fino ad arrivare alle sonorità pop di Americana e degli album successivi. Ad oggi la band non realizza album da oltre sette anni e mentre aspettiamo un nuovo disco di Dexter, Noodles e soci possiamo riascoltare i primi due e meno noti album.

mercoledì 20 novembre 2019

Bo Diddley - The Black Gladiator

Dopo Muddy Waters e Howlin' Wolf, anche Bo Diddley provò nel 1970 la strada di mischiare il blues di Chicago con il rock psichedelico che in quegli anni riempiva le classifiche; ma rispetto agli altri due bluesman che lo hanno preceduto, Diddley decise di aggiungere all'esperimento anche un po' di funk realizzando così una commistione inedita di tre stili.

L'album risultante questo strano esperimento è The Black Gladiator ed è composto da dieci pezzi. Il brano di apertura Elephant Man offre un buon miscuglio di blues e funk psichedelico, dando da subito una forte direzione al resto del disco. Atmosfere simili si trovano infatti anche nell'autocelebrativa You, Bo Diddley (che si ispira ovviamente alla sua stessa celeberrima Bo Diddley del 1955), Black Soul e nella ballad Hot Buttered Blues. Bo Diddley non rinuncia comunque a sonorità più blues tradizionali come Power House e Shut Up, Woman i cui riff di chitarra ricordano in modo chiaro quello di I'm a Man dello stesso Diddley e in cui nel canto si ispira esplicitamente a Muddy Waters.

In molti brani, come le già citate Black Soul e Power House, Bo Diddley si avvale del controcanto e dei cori della bravissima vocalist Cookie Vee, esperimento che ripeterà in The London Sessions e in numerose esibizioni dal vivo. Cookie Vee compare anche con il suo vero nome, Cornelia Redmond, in tutti i pezzi come autrice.

La traccia di chiusura I Don't Like You si apre con il vocalizzo di Bo Diddley in stile operistico, per poi sfociare in una battaglia vocale tra lo stesso Bo e Cookie Vee e poi chiudersi di nuovo con un vocalizzo operistico; ingredienti che vanno tutti a creare un pezzo singolare che non ha eguali nella discografia del bluesman.

The Black Gladiator non è tra gli album più noti di Bo Diddley, ma sicuramente si può concludere che laddove Muddy Waters e Howlin' Wolf hanno prodotto dischi confusi e forzati, Bo Diddley è riuscito nell'intento di mischiare la propria musica con stili diversi. The Black Gladiator non sarà il disco migliore di Bo Diddley, ma è comunque un disco di ottima fattura che non sfigura nella sua discografia e merita un ascolto e di essere riscoperto.

mercoledì 13 novembre 2019

Tupac: il caso è aperto, tante piste e poche conclusioni

Nel 2018 è stato trasmesso per la prima volta in televisione il documentario in sei parti Who killed Tupac?, tradotto in italiano con il titolo di Tupac: il caso è aperto e trasmesso in Italia da Crime+Investigation. Nella serie, l'avvocato e attività per i diritti umano Benjamin Crump ha condotto un'indagine indipendente sulla morte di Tupac aiutato dai giornalisti Stephanie Frederic e P. Frank Williams e dalla scrittrice Lolita Files. Crump definisce esperti i suoi collaboratori, eppure si nota l'ovvia assenza di detective e di veri professionisti di indagini e scene del crimine.


La squadra di investigatori ha ricostruito i fatti e indagato cinque piste: che l'assassino sia il gangster Orlando Anderson con cui Tupac aveva avuto uno scontro poco prima di essere ucciso, che si sia trattato di una faida tra East Coast e West Coast, che il mandante fosse il produttore Suge Knight, che lo stesso Suge fosse il vero obiettivo della sparatoria (teoria che prevede anche il coinvolgimento della polizia di Las Vegas e dell'agenzia di sicurezza che lavorava per la Death Row) e che l'assassino sia stato il rapper Lil 1/2 Dead (pronuncia: Little Half Dead) in cerca di vendetta per un brano rubato. Il team di Crump per indagare ciascuna di queste teorie ha condotto una serie davvero notevole di interviste con testimoni, investigatori ed esperti, ha condotto anche test balistici e ricerche approfondite. Anzitutto va notato che alcune delle teorie proposte sono del tutto assurde. È infatti completamente incredibile che Suge fosse il mandante dell'omicidio, visto che al momento della sparatoria era seduto accanto a Tupac e se avesse voluto ucciderlo non lo avrebbe di certo fatto quando gli era così vicino. È altrettanto irrealistico che l'obiettivo della sparatoria fosse lo stesso Suge perché in quel caso gli omicidi avrebbero affiancato la BMW di Knight da sinistra (cioè dal lato del guidatore) e non da destra, dove avrebbero avuto più difficoltà a colpire il proprio obiettivo.

In realtà il team non riesce a dipanare il dubbio, perché ognuna delle piste seguite si scontra contro l'impossibilità di essere dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio. In ogni caso nell'ultima puntata i quattro fanno una scoperta davvero notevole. Pochi giorni dopo la morte di Orlando Anderson nel 1998 fu rivenuta nel giardino di casa della ragazza di un amico di Orlando una pistola che sarebbe compatibile con quella dell'omicidio di Tupac. Secondo Crump la polizia di Los Angeles ha nascosto per anni questa informazione ai colleghi di Las Vegas, ma ovviamente il tutto è ancora da dimostrare, in modo che non riaprissero un'indagine dei pericolosi contorni razziali, visto che l'argomento è particolarmente sentito nella città californiana che vide il caso di OJ Simpson, le rivolte del 1992 e il pestaggio di Rodney King.

Rispetto a quando noto precedentemente la serie aggiunge comunque un dettaglio importante. Secondo il racconto di Frank Alexander, la guardia del corpo di Tupac che viaggiava sull'auto dietro a quella di Suge Knight, la BMW di Knight fu affiancata a sinistra da un gruppo di ragazze su una Chrysler che attirò l'attenzione di Tupac pochi istanti prima che la Cadillac degli assassini lo affiancasse sulla destra. La stessa sequenza di eventi è narrata nel biopic All Eyez on Me del 2017. Al contrario secondo questa serie televisiva la Chrysler affiancò l'auto di Knight sulla destra, appena prima che sopraggiungesse la Cadillac bianca. Crump ha identificato tre delle quattro donne che viaggiavano sull'auto e anche loro hanno raccontato di aver affiancato la BMW sulla destra. Secondo la versione di Alexander le ragazze sulla Chrysler distrassero Tupac e il suo entourage, ovviamente involontariamente, per il tempo sufficiente che consentì alla Chrysler di avvicinarsi a loro. Se da un lato è molto difficile che le tre donne ricordino male dove si trovassero, è altrettanto improbabile che Frank Alexander si sia confuso su un dettaglio così importante. Purtroppo su questo dettaglio la serie TV ha gettato più confusione che chiarezza.

Secondo la serie TV, la Chrysler delle quattro donne è quella che abbiamo cerchiato in rosso.
In ogni altra ricostruzione precedente la Chrysler era sulla corsia di sinistra.

In conclusione questo documentario in sei parti non riesce a dipanare i misteriosi fatti di quella notte, dando uguale rilevanza a teorie realistiche e ad altre completamente fantasiose. E se questo è il livello delle indagini dopo oltre vent'anni dalla morte del rapper è molto improbable che si giunga mai a una conclusione di questa triste vicenda.

mercoledì 6 novembre 2019

Tarja - In The Raw

La discografia solista di Tarja Turunen si può facilmente dividere in tre fasi: una prima in cui ha continuato a far rivivere i fasti dei Nightwish delle origini, una seconda iniziata nel 2016 con una svolta verso il pop, e parallelamente alla prime due una terza in cui ha inciso dischi di musica classica e lirica. Il nuovo In The Raw si colloca sicuramente sulla strada pop iniziata con gli album The Brightest Void e The Shadow Self di tre anni fa; questo disco contiene infatti dieci tracce sempre più lontane dal symphonic metal degli esordi ma pur sempre di ottima fattura, ricche di spunti e di commistioni interessanti.

L'album si apre con Dead Promises che vede come ospite Björn Strid dei Soilwork, il pezzo era stato pubblicato prima dell'uscita dell'album accompagnato da un video e la scelta è incomprensibile, visto che si tratta dell'unica traccia dell'album che ci saremmo volentieri risparmiati. Fortunatamente il passo falso è presto dimenticato grazie alla bellissima e Goodbye Strangers che vede come ospite Cristina Scabbia dei Lacuna Coil che in questo brano mette il luce doti canore che non emergono praticamente mai nelle sue produzioni con il gruppo milanese, e ovviamente viene da chiedersi perché servisse Tarja per tirare fuori il meglio dalla nostra Cristina.

Il resto del disco propone una predominanza di brani leggeri e di facile ascolto, come Tears in Rain, Serene e Shadow Play. Tra i pezzi migliori del disco troviamo anche You and I e Railroads in cui Tarja regala qualche tocco di canto lirico nei ritornelli. Nell'album sono presenti anche due pezzi molto più lunghi degli altri. Il primo di essi è la bellissima ballad The Golden Chamber, una lunghissima ballad con influenze new age in cui per circa tre minuti Tarja esegue un maestoso vocalizzo, per la restante parte il pezzo ha solo due strofe di cui la seconda il finlandese. Il secondo pezzo che supera i sette minuti è Spirits of the Sea, anch'essa lentissima e ricca di suggestioni new age. Completa l'album Silent Masquerade che vede la presenza come ospite di Tommy Karevik, vocalist dei Kamelot e dei Seventh Wonder, che duetta con Tarja eseguendo le voci basse mentre la soprano fa quelle alte.

In sintesi, In The Raw è l'ennesimo capolavoro di questa straordinaria artista che in oltre due decadi non ha mai sbagliato un colpo. Con questo disco Tarja conferma la sua straordinaria ecletticità, non solo come interprete ma anche coma autrice perché fino ad ora non aveva mai sconfinato nel new age. mentre questa volta l'ha fatto e con ottimi risultati. In The Raw è sicuramente uno degli album migliori di questo 2019 ed è anche uno dei migliori lavori di una cantante che non smette mai di stupire.

giovedì 31 ottobre 2019

Il patto con il diavolo di Robert Johnson

Si ringrazia Bruce Conforth, coautore del libro "Up Jumped the Devil: The Real Life of Robert Johnson", per la consulenza fornita durante la stesura di questo articolo.

La leggenda più longeva e oscura nel mondo della musica moderna è quella secondo cui il bluesman Robert Johnson avrebbe venduto l'anima al diavolo in cambio della capacità di suonare la chitarra come nessun altro. Questa leggenda nasce da un racconto di un altro bluesman dell'epoca, Eddie "Son" House, secondo cui Johnson sarebbe stato un musicista particolarmente scarso fino all'età di sedici anni, quando sparì dalla zona del delta del Mississippi per un periodo compreso tra un anno e mezzo e due anni e al suo ritornò aveva capacità musicali che suscitavano l'invidia di tutti gli altri chitarristi.


Robert Johnson era nato a Hazlehurst, un paese rurale del Mississippi, nel 1911 e dall'età di otto anni visse con la madre vicino alla città di Tunica, nell'area del delta del Mississippi. La leggenda narra che a sedici anni Robert tornò al suo paese natale dove imparò a suonare la chitarra da un uomo misterioso, vestito di nero, con il quale si incontrava nel cimitero del paese a mezzanotte. Al quel tempo storie di musicisti che vendevano l'anima al diavolo non erano rare. Pochi anni prima, infatti, un altro chitarrista chiamato Tommy Johnson (non parente di Robert, nonostante l'omonimia) raccontò al fratello di aver venduto l'anima al diavolo in cambio della capacità di suonare la chitarra e nel 1925 la cantante Clara Smith del South Carolina scrisse e incise il pezzo Done Sold My Soul To The Devil.

A parte la leggenda, che Robert Johnson abbia compiuto un viaggio a Hazlehurst che lo portò lontano dal delta per quasi due anni è effettivamente vero. Robert probabilmente stava cercando il suo vero padre, ma oltre a questi era in cerca di un famoso chitarrista noto per le sue capacità tecniche a cui voleva chiedere che gli insegnasse a suonare. Quest'uomo ha un nome e un cognome e la sua vita non è per niente avvolta nel mistero. Il suo nome era Isaac Zimmerman, detto Ike, il cui cognome è alle volte scritto come Zinneman, Zinnerman, Zinman o Zinemon, anche se lui lo scriveva con due "m" e la stessa grafia è riportata nei censimenti fin dal secolo precedente.

Ike Zimmerman era un operaio, e non un agricoltore o un mezzadro come alle volte riportato, e proprio grazie alla sua occupazione poteva comprarsi chitarre che altri suoi contemporanei non potevano permettersi. Zimmerman viveva con la moglie Ruth e i loro sette figli, un maschio e sei femmine, in una shotgun house vicino al cimitero del paese. Come riportato dalla figlia di Ike Zimmerman, Loretha Zimmerman, al biografo Bruce Conforth, il padre accolse Robert in casa propria ed era solito dargli lezioni di chitarra di notte al cimitero. Secondo la figlia la scelta del luogo e dell'orario notturno non aveva significati oscuri, ma la scelta del padre fu dettata dalla volontà di trovare un posto silenzioso e dove non ci fosse nessuno oltre a lui e Johnson in modo da non essere disturbati.

Secondo la leggenda Zimmerman e Johnson si sarebbero incontrati ad un incrocio per siglare il proprio patto, ma Loretha ha chiarito che tra la casa dove abitava con i suoi genitori e il cimitero non c'era nessun incrocio e quindi l'aggiunta di questo dettaglio alla leggenda deve essere di carattere allegorico; con l'incrocio come simbolo di scelta della strada da seguire.

Chi crede alla leggenda aggiunge che nel brano Up Jumped the Devil Robert Johnson parlerebbe del suo rapporto con il diavolo. In realtà il titolo del brano, pubblicato postumo nel 1939, è Preachin' Blues (Up Jumped The Devil) e quindi il riferimento al demonio è presente solo nel sottotitolo; il testo del brano inoltre non parla assolutamente del diavolo, ma parla della musica blues. Inoltre Up Jumped the Devil era un titolo già utilizzato per una melodia di violino incisa negli anni 20 da almeno orchestre jazz.

Il presunto patto con il diavolo di Robert Johnson non ha quindi nulla di misterioso, per il semplice fatto che non ci fu mai nessun evento del genere. Purtroppo ad oggi Robert Johnson è ricordato più per le leggende sulla sua vita che non per la sua musica e sarebbe opportuno finalmente che si tornasse a studiare e conoscere la sua breve ma fondamentale discografia lasciando da parte fantasiosi patti demoniaci.



Fonti:

  • Up Jumped the Devil: The Real Life of Robert Johnson di Bruce Conforth e Gayle Dean Wardlow (2019)
  • Escaping the Delta: Robert Johnson and the Invention of the Blues di Elijah Wald (2012)
  • Ike Zimmerman: The X in Robert Johnson’s Crossroads di Bruce Conforth (2008)