É uscito ad aprile del 2021 il documentario di Netflix Heroes: Silencio and Rock & Roll che narra la storia degli Héroes del Silencio, al più famosa rock band iberica di ogni tempo, e dei quattro album che il quartetto aragonese ha composto durante la sua attività tra il 1987 e il 1995.
Il racconto del documentario copre tutte le fasi della vita del gruppo, dalla nascita come band new wave nei locali di Saragozza, alla svolta rock con i primi due album per poi approdare a un suono più hard rock con gli ultimi due. Il documentario è ricco di testimonianze dirette dei protagonisti delle vicende narrate, dai produttori ai membri della band; scopriamo così dalle voci dei testimoni quanto fu difficile l'avvio della band che non veniva dalle scene vibranti di Madrid o Barcellona ma una città considerata di minore importanza, di quanto fosse inaspettato il successo quando arrivò e molti altri aspetti umani che hanno caratterizzato gli anni della loro attività tra i quali come nacquero le tensioni interne alla band che portarono allo scioglimento dopo la pubblicazione di Avalancha e del conseguente tour. L'ultima parte del video è dedicata alla reunion del 2007 dopo la quale la band si sciolse definitivamente.
Insieme al documentario è stato pubblicato anche un doppio CD che porta lo stesso titolo e che ne fa da colonna sonora, purtroppo la compilation non contiene materiale inedito ma recupera la tracce migliori dei quattro album in studio, dei live e di Rarezas, la raccolta di inediti e b-side pubblicata nel 1998. In ogni caso tutti i dischi realizzati dagli Héroes sono composti unicamente di tracce di altissimo livello e non vi si trova un solo filler, pertanto qualunque selezione sarebbe stata ottima per questo greatest hits.
Oltre a regalare un'ora e mezza di storia del rock questo video raggiunge l'importantissimo risultato di risvegliare l'interesse su quella che può a pieno titolo essere considerata la band "più sottovalutata della storia"; la musica degli Héroes del Silencio brilla infatti per qualità e creatività, con la loro mescolanza di sonorità latine e hard rock, e non ha nulla da invidiare ai mostri sacri del rock di ogni tempo, purtroppo però al di fuori della Spagna non godono del blasone che meriterebbero. Inoltre questo documentario dimostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, che operazioni come questa in cui vengono interpellati i veri protagonisti delle vicende raccontate sono molto più meritevoli dei biopic che tanto vanno di moda negli ultimi anni e che distorcono la realtà per renderla più appetibile al grande schermo.
Non resta quindi che sperare che l'interesse risvegliato dal documentario non si fermi qui e che a breve le case discografiche recuperino qualche registrazione inedita, se ne esistono. Ed è questo il meglio che si può sperare visto che una nuova reunion appare del tutto improbabile considerando che la carriera solista di Bunbury viaggia alla grande, anche se su terreni molti lontani rispetto a quelle di questo periodo leggendario, e che quindi difficilmente sente il bisogno di un ritorno al passato.
mercoledì 12 maggio 2021
venerdì 7 maggio 2021
Paul Stanley's Soul Station - Now and Then
Nel 2015 il co-frontman dei Kiss Paul Stanley ha lanciato la sua nuova band chiamata Soul Station che inizialmente si proponeva solo di reinterpretare dal vivo i classici del soul degli anni 70, attingendo soprattutto dal repertorio della Motown. Dopo anni di esibizioni dal vivo e di cover, i Soul Station sono diventati una vera e propria realtà discografica con l'uscita del loro primo album registrato in studio e intitolato Now and Then pubblicato nei primi mesi del 2021.
La band è composta da undici membri, tra cui il batterista dei Kiss Eric Singer e tre coriste che hanno ovviamente un ruolo di spicco in queste canzoni nelle quali i cori sono tanto importanti quanto la voce principale. Stanley nel booklet chiarisce che prima di scoprire i Led Zeppelin e gli Who, la sua musica preferita era quella di Otis Redding e di Solomon Burke e che con questo album intende omaggiare quegli interpreti e quel periodo.
Il disco è composto da quattordici pezzi, di cui nove cover dell'epoca d'oro del soul e cinque inediti scritti dallo stesso Paul Stanley che si ispirano passato aggiungendo una buona dose di modernità. I classici spaziano da pezzi più movimentati come Could It Be I'm Falling in Love? degli Spinners alle ballad come The Track of My Tears di Smokey Robinson and The Miracles e Baby I Need Your Loving dei Four Tops passando per gli immancabili Temptations con Just my Imagination. I pezzi nuovi sono più orientati a sonorità veloci con pezzi quali I Oh I, Whenever You're Ready (I'm Here), Lorelei e Save Me (From You), ispirata più alla scena black degli anni 80; tra gli inediti di trova una sola ballad intitolata I Do il cui rimando allo stile dei Temptations è molto marcato e in cui Stanley sembra imitare lo stile canoro di David Ruffin.
Se lo scopo di questo progetto musicale è quello di omaggiare il soul degli anni 70 non si può non concludere che ci riesca benissimo. I Soul Station danno una bella spolverata ai classici del passato e incidono pezzi nuovi che attualizzano il Motown sound come pochi altri hanno saputo fare. Non resta che sperare che, ora che i Kiss hanno annunciato la fine delle loro attività, questo nuovo progetto di Paul Stanley non resti un esperimento isolato e che questa ottima band ci regali altri dischi di questo livello.
La band è composta da undici membri, tra cui il batterista dei Kiss Eric Singer e tre coriste che hanno ovviamente un ruolo di spicco in queste canzoni nelle quali i cori sono tanto importanti quanto la voce principale. Stanley nel booklet chiarisce che prima di scoprire i Led Zeppelin e gli Who, la sua musica preferita era quella di Otis Redding e di Solomon Burke e che con questo album intende omaggiare quegli interpreti e quel periodo.
Il disco è composto da quattordici pezzi, di cui nove cover dell'epoca d'oro del soul e cinque inediti scritti dallo stesso Paul Stanley che si ispirano passato aggiungendo una buona dose di modernità. I classici spaziano da pezzi più movimentati come Could It Be I'm Falling in Love? degli Spinners alle ballad come The Track of My Tears di Smokey Robinson and The Miracles e Baby I Need Your Loving dei Four Tops passando per gli immancabili Temptations con Just my Imagination. I pezzi nuovi sono più orientati a sonorità veloci con pezzi quali I Oh I, Whenever You're Ready (I'm Here), Lorelei e Save Me (From You), ispirata più alla scena black degli anni 80; tra gli inediti di trova una sola ballad intitolata I Do il cui rimando allo stile dei Temptations è molto marcato e in cui Stanley sembra imitare lo stile canoro di David Ruffin.
Se lo scopo di questo progetto musicale è quello di omaggiare il soul degli anni 70 non si può non concludere che ci riesca benissimo. I Soul Station danno una bella spolverata ai classici del passato e incidono pezzi nuovi che attualizzano il Motown sound come pochi altri hanno saputo fare. Non resta che sperare che, ora che i Kiss hanno annunciato la fine delle loro attività, questo nuovo progetto di Paul Stanley non resti un esperimento isolato e che questa ottima band ci regali altri dischi di questo livello.
giovedì 29 aprile 2021
Alice Cooper - Detroit Stories
Nonostante gli oltre cinquant'anni di carriera alle spalle, Alice Cooper resta uno degli artisti più prolifici della scena rock contemporanea e in questo 2021 ci regala con Detroit Stories il terzo album in pochi anni che segue i recenti Rise degli Hollywood Vampires (terzetto di cui fanno parte anche Joe Perry e Johnny Depp) del 2017 e Paranormal del 2017.
Come dice il titolo stesso l'album vuole essere un omaggio alla città di Detroit, a partire dalla copertina che mostra il Guardian Building avvolto nella nebbia. Il disco è composto da quindici tracce di puro rock and roll, grezzo, diretto e divertente di cui quattro cover e undici pezzi inediti. Le cover, come è normale aspettarsi, sono principalmente di artisti di Detroit; troviamo infatti l'allegro rock di Our Love Will Change the World degli Outrageous Cherry, Sister Ann dei pionieri dell'hard rock MC5 e East Side Story di Bob Seger. Ad esse si somma Rock & Roll dei Velvet Underground, unica band omaggiata a non avere legami con la motor city.
Il resto dell'album spazia tra i vari generi musicali che hanno contraddistinto la musica della metropoli nell'ultimo secolo, con una buona dose di hard rock e con ricchi sconfinamenti in altri campi. Il disco ha il chiaro intento di divertire, i pezzi più energici sono infatti smaccatamente festaioli come Go Man Go e Shut Up And Rock. Come anticipato l'album contiene molte sfumature musicali diverse; $1000 High Heel Shoes è infatti un chiaro omaggio al soul della Motown che vede come ospiti le Sister Sledge come coriste. Gli esperimenti in chiave black non si fermano qua, nel disco troviamo anche due brani di forte impronta blues (genere di cui Detroit è stata una delle città fondatrici) quali Drunk and in Love e Wonderful World che contiene anche forti innesti di stoner rock. Tra i brani migliori del disco troviamo anche Independence Dave che costituisce una sorta di crossover tra i generi più caratteristici degli anni cinquanta e sessanta con un connubio di rock and roll, rockabilly e punk.
Nell'album trova spazio anche Hanging On by a Thread (Don't Give Up), nuova edizione di Don't Give Up del 2020 dedicata alla pandemia da COVID-19, in questa nuova versione il testo è stato cambiato nella seconda strofa in modo da renderlo più adattabile a ogni tipo di difficoltà umana. Il disco contiene una seconda reinterpretazione di un brano del passato, Detroit City dell'album The Eyes of Alice Cooper del 2003 è infatti stata reincisa e inserita con il titolo Detroit City 2021
Detroit Stories è quindi un album valido che nonostante gli stili diversi riesce a mantenere un'identità precisa e solida. Con questo LP Alice Cooper ha realizzato proprio ciò che serviva in questo momento storico così difficile, cioè un disco intriso di forza e voglia di andare avanti, che al contempo conferma quanto questo artista sia eclettico e come sappia dare sfumature diverse a ogni stile musicale in cui si cimenta.
giovedì 22 aprile 2021
Blackmore's Night - Nature's Light
Dopo soli tre mesi dall'EP natalizio Here We Come A-Caroling tornano i Blackmore's Night, duo composto dallo storico chitarrista dei Deep Purple Ritchie Blackmore e dalla moglie Candice Night, con un nuovo LP intitolato Nature's Light che come dice il titolo stesso vuole celebrare la bellezza e il costante miracolo della natura.
L'album ripropone la formula classica del gruppo che rimane molto simile a sé stessa fin dall' esordio discografico di Shadow of the Moon del 1997 con basi folk ispirate alla musica rinascimentale a cui si somma lo stupendo cantato della voce angelica di Candice Night. Sicuramente l'album di per sé funziona alla grande, con pezzi ottimi come le due tracce di apertura Once Upon December e Four Winds o la title track; il problema di questa composizione è semmai che il paradigma musicale dei Blackmore's Night difficilmente si può evolvere, perché è legato a spunti appartenenti al passato remoto. Per quanto godibile e di ottimo livello, il disco può quindi dare l'effetto déjà vu a chi conosce la band da tempo.
Non mancano in ogni caso spunti interessanti, come le due tracce strumentali Darker Shade of Black, il cui titolo rimanda ai Procol Harum e che musicalmente si discosta dal resto del disco per le sue atmosfere gotiche con qualche contaminazione al confine tra Vangelis ed Ennio Morricone, e Der Letze Musketier, dalle nette venature blues, o la cover di Second Element di Sarah Brightman, che è uno dei pezzi più pop e lontani dal crossover della soprano inglese. Tuttavia ad eccezione di questi pezzi, resta poco di nuovo da scoprire. Nell'album si trova anche una nuova versione di Wish You Were Here dei Rednex (da non confondere con l'omonimo brano dei Pink Floyd), già incisa dai Blackmore's Night nel loro primo LP. Nature's Light è stato stampato anche in versione doppio disco, con una sorta di greatest hits sul secondo volume con i pezzi storici che si ascoltano sempre con piacere.
Nature's Light è quindi sicuramente un buon disco, che deve però essere approcciato con le giuste aspettative: chi ci vorrà trovare qualcosa di nuovo verrà in gran parte deluso, chi cerca la conferma delle ben note doti straordinarie di questo combo rimarrà invece sicuramente soddisfatto.
L'album ripropone la formula classica del gruppo che rimane molto simile a sé stessa fin dall' esordio discografico di Shadow of the Moon del 1997 con basi folk ispirate alla musica rinascimentale a cui si somma lo stupendo cantato della voce angelica di Candice Night. Sicuramente l'album di per sé funziona alla grande, con pezzi ottimi come le due tracce di apertura Once Upon December e Four Winds o la title track; il problema di questa composizione è semmai che il paradigma musicale dei Blackmore's Night difficilmente si può evolvere, perché è legato a spunti appartenenti al passato remoto. Per quanto godibile e di ottimo livello, il disco può quindi dare l'effetto déjà vu a chi conosce la band da tempo.
Non mancano in ogni caso spunti interessanti, come le due tracce strumentali Darker Shade of Black, il cui titolo rimanda ai Procol Harum e che musicalmente si discosta dal resto del disco per le sue atmosfere gotiche con qualche contaminazione al confine tra Vangelis ed Ennio Morricone, e Der Letze Musketier, dalle nette venature blues, o la cover di Second Element di Sarah Brightman, che è uno dei pezzi più pop e lontani dal crossover della soprano inglese. Tuttavia ad eccezione di questi pezzi, resta poco di nuovo da scoprire. Nell'album si trova anche una nuova versione di Wish You Were Here dei Rednex (da non confondere con l'omonimo brano dei Pink Floyd), già incisa dai Blackmore's Night nel loro primo LP. Nature's Light è stato stampato anche in versione doppio disco, con una sorta di greatest hits sul secondo volume con i pezzi storici che si ascoltano sempre con piacere.
Nature's Light è quindi sicuramente un buon disco, che deve però essere approcciato con le giuste aspettative: chi ci vorrà trovare qualcosa di nuovo verrà in gran parte deluso, chi cerca la conferma delle ben note doti straordinarie di questo combo rimarrà invece sicuramente soddisfatto.
mercoledì 14 aprile 2021
La Storia del Rap di Andrea Di Quarto
Tra il 2017 e il 2018 il giornalista Andrea Di Quarto ha pubblicato i due volumi dedicati alla storia della musica rap intitolati La Storia del Rap: il primo libro copre il periodo che va dal 1973 al 1997, mentre il secondo va dal 1998 al 2018. Il racconto di Di Quarto parte dalla nascita di questo nuovo genere musicale tra le strade di uptown New York fino ai giorni nostri, narrando in dettaglio le biografie e le discografie di tutti gli esponenti più importanti, e non solo, degli ormai cinque decenni trascorsi dalle origini ad oggi.
L'opera di Di Quarto prende quindi le mosse dall'intuizione geniale di DJ Kool Herc nell'agosto del 1973, per arrivare all'epoca della rivalità tra le due coste, fino alla nascita del movimento del sud e dei casi di Chicago, Atlanta e Toronto (in realtà con il solo Drake). La ricerca compiuta in questi due libri è veramente ottima sia dal punto di vista della correttezza delle informazioni riportate sia per la loro completezza. L'autore ha attinto da una mole impressionante di fonti, risalendo il più possibile fino alle origini; nell'introduzione del primo volume infatti Di Quarto racconta come abbia compiuto diversi viaggi negli USA per la scrittura del testo e di come abbia incontrato personaggi centrali come Grandmaster Caz e Rahiem (uno dei rapper della crew di Grandmaster Flash & the Furious Five).
Il racconto di Di Quarto è sempre vivido e vibrante, al punto che nelle prima fasi sembra proprio di trovarsi tra le strade dei quartieri neri di New York e di sentire i rumori e gli odori che i protagonisti del movimento nascente sentivano in quegli storici momenti. Il testo è anche ricco di note e digressioni sul contesto sociale in cui il rap si è sviluppato e sul tessuto che ha portato a quelle condizioni, spiegando ampiamente quale sia stato il lascito dei movimenti del black power dei decenni precedenti, come i Black Panthers o la Nation of Islam. L'autore è inoltre sempre obiettivo nelle sue valutazioni e non nasconde quanto alle volte i messaggi dei musicisti di questo genere siano miopi o contraddittori.
Quella di Di Quarto è quindi un'opera monumentale che spicca nel panorama del giornalismo italiano per qualità e dedizione a quello che resta comunque un argomento di nicchia per la stampa del nostro paese. I due volume de La Storia del Rap sono un ottimo compendio della storia di un movimento che, come spiegato correttamente dall'autore, valica i confini musicali per sfociare nella protesta sociale e in una cultura a sé stante che deve essere conosciuta e compresa anche per capire molti dei folli avvenimenti del mondo contemporaneo.
L'opera di Di Quarto prende quindi le mosse dall'intuizione geniale di DJ Kool Herc nell'agosto del 1973, per arrivare all'epoca della rivalità tra le due coste, fino alla nascita del movimento del sud e dei casi di Chicago, Atlanta e Toronto (in realtà con il solo Drake). La ricerca compiuta in questi due libri è veramente ottima sia dal punto di vista della correttezza delle informazioni riportate sia per la loro completezza. L'autore ha attinto da una mole impressionante di fonti, risalendo il più possibile fino alle origini; nell'introduzione del primo volume infatti Di Quarto racconta come abbia compiuto diversi viaggi negli USA per la scrittura del testo e di come abbia incontrato personaggi centrali come Grandmaster Caz e Rahiem (uno dei rapper della crew di Grandmaster Flash & the Furious Five).
Il racconto di Di Quarto è sempre vivido e vibrante, al punto che nelle prima fasi sembra proprio di trovarsi tra le strade dei quartieri neri di New York e di sentire i rumori e gli odori che i protagonisti del movimento nascente sentivano in quegli storici momenti. Il testo è anche ricco di note e digressioni sul contesto sociale in cui il rap si è sviluppato e sul tessuto che ha portato a quelle condizioni, spiegando ampiamente quale sia stato il lascito dei movimenti del black power dei decenni precedenti, come i Black Panthers o la Nation of Islam. L'autore è inoltre sempre obiettivo nelle sue valutazioni e non nasconde quanto alle volte i messaggi dei musicisti di questo genere siano miopi o contraddittori.
Quella di Di Quarto è quindi un'opera monumentale che spicca nel panorama del giornalismo italiano per qualità e dedizione a quello che resta comunque un argomento di nicchia per la stampa del nostro paese. I due volume de La Storia del Rap sono un ottimo compendio della storia di un movimento che, come spiegato correttamente dall'autore, valica i confini musicali per sfociare nella protesta sociale e in una cultura a sé stante che deve essere conosciuta e compresa anche per capire molti dei folli avvenimenti del mondo contemporaneo.
mercoledì 31 marzo 2021
Embrace of Souls - The Number of Destiny
L'inizio del 2021 ha visto l'uscita dell'album The Number of Destiny degli Embrace of Souls, progetto solista del batterista dei Chronosfear Michele Olmi che per l'occasione ha assemblato una squadra di livello stellare composta da Giovanni Paolo Galeotti alle chitarre, Davide Scuteri alle tastiere, Xavier Rota (che affianca Olmi anche nei Chronosfear) al basso e l'ormai leggendario Giacomo Voli (vocalist dei Rhapsody of Fire) alla voce.
L'album è di fatto una metal opera che narra della storia d'amore tra due anime vissute più di due secoli fa e che si cercano nell'universo fino a ritrovarsi. Il risultato è un compendio di ottimo power metal ricco di atmosfere luminose e speranzose e di forti influenze melodiche e patinate da AOR anni 80; il disco vanta anche un numero notevole di ospiti (tra cui spiccano Roberto Tiranti, Ivan Giannini e Michele Guaitoli) che insieme al resto della band vanno a comporre una sorta di dream team del metal italiano. L'album contiene tutti gli stilemi del metal melodico, dai pezzi aggressivi alle power ballad, che si combinano in un magnifico caleidoscopio di musica e narrazione.
Trattandosi di una metal opera, le sonorità del disco sono fortemente interconnesse tra di loro ed è difficile individuare pezzi migliori di altri. Non mancano comunque momenti di più alto splendore, come Shape Your Fate, che è la traccia che risente di più delle influenze ottantiane grazie anche al potente assolo di chitarra di Valentino Francavilla dei White Skull, e la cupa Prison impreziosita dalla teatrale prova vocale di Morby dei Domine. Tra i momenti più raccolti spicca In The Castle grazie soprattutto ai virtuosismi vocali di Giacomo che in questo album mostra la terza faccia della propria essenza visto che la sua performance si discosta sia da quella delle sue incisioni soliste sia da quella nei Rhapsody of Fire. Tra i featuring svetta la presenza di Michele Guaitoli, un altro dei titani del canto metal italiano voce maschile dei Temperance e dei Visions of Atlantis, che interpreta la poderosa To The End. Chiude il disco la solenne e magniloquente Il Numero Mistico che vede Giacomo duettare con Roberto Tiranti e che si stacca nettamente dal resto della composizione per il fatto di essere cantato in italiano.
The Number of Destiny è quindi un ottimo esempio di power metal luminoso che unisce potenza, lirismo e melodia. Olmi centra in pieno l'obiettivo realizzando un album ricco che appassiona nel racconto e funziona benissimo dal punto di vista musicale. Non resta da sperare che questo non sia un esperimento isolato che gli Embrace of Souls si riuniscano ancora per regalarci altri dischi di questo livello nel prossimi anni.
venerdì 19 marzo 2021
Temperance - Melodies of Green and Blue
Realizzare un album metal in acustico può sembrare un impresa impossibile, anzi una Mission Impossibile per citare il titolo di un brano di Viridian, l'ultimo LP dei Temperance pubblicato nel 2020. Riuscire in un'impresa del genere non è semplice e richiede musicisti versatili e dalle doti eccezionali; tuttavia c'è chi riesce a trasformare l'impossibile in possibile ed è questo il caso del nuovo EP della band, nato come un esperimento su YouTube durante la pandemia da COVID-19 che ha raccolto il favore dei fan fino a convincere il gruppo a realizzare un disco intero.
L'album è composto da otto pezzi di cui sei rielaborazioni di brani tratti da Viridian più due inediti che aprono il disco. Il disco rinuncia quindi alle atmosfere patinate e roboanti degli album precedenti, per approdare a emozioni più intime. Il risultato di questa sperimentazione è semplicemente perfetto e va a toccare le corde più intime dell'animo, risvegliando emozioni profonde e ancestrali. L'acustico ovviamente mette in luce maggiormente le doti canore degli interpreti, e in questo caso i Temperance mettono in campo una delle coppie miglior al mondo con il combo composto da Michele Guaitoli e Alessia Scolletti, che è la punta di diamante del metal italiano e che regala in queste incisioni un'altra prova magnifica soprattutto nei duetti, in cui Alessia fa la voce alta e Michele quella bassa.
Le melodie dei pezzi restano simili a quelle originali, per questo il disco si ascolta facilmente, anche la trasformazione in acustico li rende di fatto dei prodotti nuovi. Tra i pezzi migliori di questo EP troviamo sicuramente I Am the Fire che mantiene il proprio stampo ottantiano anche in questa versione acustica, l'ottima e sperimentale Nanook e My Demons Can't Sleep nel cui finale troviamo un divertente assaggio di musica latina cantato in spagnolo dai due vocalist.
Con Melodies of Green and Blue i Temperance confermano quindi le proprie capacità e soprattutto mostrano una maturità che poche band hanno; perché dimostrano di sapere uscire dai propri binari e di saperlo fare benissimo. L'ecletticità di questo gruppo non è del tutto una novità, perché già Viridian aveva mostrato ricche contaminazioni sonore di ottimo livello. Questo nuovo EP conferma quindi che creatività e la capacità di questo gruppo non hanno confini e lascia la curiosità di scoprire quali altri confini i Temperance possano valicare, regalandoci ancora dischi meravigliosi come questo.
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