venerdì 10 dicembre 2021

Tin Idols - Metal Kalikimaka, Volume 3


Nel 2016 gli hawaiani Tin Idols hanno completato la loro trilogia natalizia con la pubblicazione del terzo volume della serie Metal Kalikimaka. Il disco, composto da tredici tracce, ripropone la formula dei due precedenti con una selezione di pezzi della tradizione natalizia, tra classici e moderni, reinterpretati in chiave metal.

La regina del metal hawaiano Sandy Essman interpreta tre brani con la consueta potenza e sicurezza, troviamo infatti Sandy al microfono in Carol of the Bells, O Come All Ye Faithful (che a dispetto del titolo è cantata in latino in un inedito mash-up con Gloria in Excelsis Deo) e nell'Ave Maria di Charles Gounod. Sandy canta in latino due dei suoi tre pezzi e oltre all'intonazione e alla potenza che la contraddistinguono colpisce la precisione della pronuncia, una delle migliori al di fuori dell'Europa meridionale. Tra le voci femminili spicca anche l'interpretazione di Marti Kerton di Christmas Wrappings dei Waitresses del 1981 di cui mantiene l'atmosfera festaiola portando il new wave del pezzo originale su un incalzante brano metal.

Tra le voci maschili troviamo il potente canto di Tim Hewitt che apre il disco con The First Noel, seguito poco dopo dalla voce graffiante di Angelo Jensen che interpreta I'll Be Home for Christmas. Nell'album sono presenti anche due versioni di Hallelujah di Leonard Cohen con il testo natalizio dei Cloverton interpretate da Jon Lorenc: la prima versione ha il consueto arrangiamento metal, mentre la seconda, decisamente più raccolta, è interpretata con soli voce e tastiera. Tra le migliori rivisitazioni troviamo anche We Wish You a Metal Christmas (reinterpretazione di We Wish You a Merry Christmas) cantata da Mark Caldeira (una delle migliori voci del roster dei Tin Idols) e impreziosita dai cori di Sandy Essman, e O Little Town of Bethlehem interpretata da John Diaz in un inedito stile canoro da classical crossover.

In generale Metal Kalikimaka, Volume 3 ha un suono più patinato e maturo rispetto ai due predecessori e costituscie un album convincente e di altissimo livello che raggiunge appieno lo scopo che si prefigge, cioè quello di divertire per tutta la sua durata regalando versioni inedite di brani famosissimi. I Tin Idols, che nella loro lunga discografia vantano anche reinterpretazioni in chiave metal di Madonna e Duran Duran, si confermano tra i migliori interpreti della musica natalizia, come confermato da questo terzo innesto della trilogia di Metal Kalikimaka.

mercoledì 1 dicembre 2021

Stevie Wonder - Someday at Christmas


Pubblicato nel 1967 Someday at Christmas è il primo album natalizio di Stevie Wonder; il disco è composto da dodici tracce di cui cinque classici e sette inediti, tra cui la title track uscita in singolo l'anno prima.

Come in tutti i dischi di Stevie Wonder anche in questo caso si trovano un caleidoscopio di suoni e stili che si alternano e creare una composizione varia in cui non ci sono due brani che si assomiglino. Si passa dal rock and roll di What Christmas Means To Me, al ritmo da marcia marziale di The Little Drummer Boy, fino alla ballad soul The Day That Love Began. L'album è stato realizzato in collaborazione con i Funk Brother, il gruppo di turnisti che in quei decenni realizzava le basi per la Motown, e con altri due gruppi della Motown dell'epoca: le Andantes, che eseguono i cori di voci femminili, e gli Originals, che eseguono quelli maschili.

I punti di forza di questo album sono sicuramente la già citata title track, nota anche per il disincantato testo pacifista, e l'interpretazione scintillante di Silver Bells. Una menzione a parte merita anche l'interpretazione dell'Ave Maria di Franz Schubert con la quale Wonder dà sfoggio della sua capacità di passare dall'R&B alla musica classica.

Someday at Christmas è diventata negli anni un nuovo classico del Natale e vanta ad oggi innumerevoli cover tra cui quella dei Jackson 5 del 1970 e una versione rock dei Pearl Jam del 2004. Lo stesso Stevie Wonder ha reinterpretato il proprio pezzo nel 2015 in una versione più raccolta con sono piano e voce in cui duetta con la cantante soul Andra Day.

Someday at Christmas rappresenta l'ottavo album di Stevie Wonder dal suo esordio nel 1962 con The Jazz Soul of Little Stevie Wonder e quando uscì diede un assaggio del suo strabiliante talento quando la sua carriera stava decollando e non era ancora esplosa con quello che oggi definiamo il periodo classico, tra Music of My Mind del 1972 e Songs In The Key of Life del 1976. Il disco convince sotto ogni punto di vista, regalando un'ora di musica natalizia tra la migliore mai realizzata, con un buon equilibrio tra pezzi nuovi e tradizionali, che sicuramente accontenta sia gli amanti della black music che quelli della tradizione del Natale.

mercoledì 17 novembre 2021

Junior Wells - Hoodoo Man Blues

Nel 1965 il leggendario bluesman Junior Wells fece il suo esordio discografico con l'album Hoodoo Man Blues che resta ad oggi una delle sue migliori produzioni, nonché uno dei dischi più iconici del blues di Chicago. Nella prima versione in vinile, l'album è composto da dodici tracce tra inediti, standard e adattamenti di pezzi di altri autori.

Il disco è realizzato con il supporto della Junior Wells' Chicago Blues Band in cui spicca la presenza di Buddy Guy alla chitarra; i due nei decenni successivi, fino alla morte di Junior Wells, incisero altri nove album insieme e Hoodoo Man Blues segnò l'inizio della loro proficua collaborazione. L'album è un capolavoro e una pietra miliare che inanella dodici gioelli di blues che trasportano l'ascoltatore nella Chicago degli anni 60 e nel fermento culturale che diede la propulsione a questo stile musicale. Il punto di forza delle dodici tracce si trova nella commistione della voce tonante di Junior Wells, l'onnipresente chitarra di Buddy Guy e l'armonica suonata dallo stesso Wells. Buddy Guy non limita il suo contributo alla chitarra, perché presente anche in veste di autore nelle strumentali In the Wee Wee Hours e We're Ready.

La combinazione musicale creata da Junior Wells e Buddy Guy funziona bene sia nei pezzi più energici, come la traccia di aperura Snatch It Back and Hold It e la title track, sia nei dolorosi lamenti di ballad quali Ships on the Ocean o We're Ready. Tra le cover spiccano Good Morning, School Girl, in cui Wells mostra il meglio della sua vocalità, Early in the Morning di Sonny Boy Williamson e Hound Dog di Big Mama Thorton lontanissima dalla versione rock and roll di Elvis Presley del 1956.

Hoodoo Man Blues non è solo una colonna del blues di Chicago ma anche della black music di ogni genere. Le dodici tracce sono tutte di alto livello e mostano in ogni sfumatura le incredibili doti dei loro interpreti e la loro cura maniacale dei dettagli. Purtroppo, almeno in Italia, Junior Wells non gode della fama che meriterebbe e alle volte viene messo in ombra da figure più famose come Howlin' Wolf o Muddy Waters, e un nuovo alscolo del suo primo LP può servire a ricordare a chi non lo conosce che Wells merita sicuramente un posto tra i giganti del genere.

martedì 9 novembre 2021

Jerry Cantrell - Brighten


Nel 2021 il chitarrista e voce principale degli Alice in Chains (dalla scomparsa di Layne Staley) Jerry Cantrell ha realizzato il proprio terzo album solista a diciannove anni di distanza dal precedente Degradation Trip Volumes, a cui è seguita la reunion della band e la contestuale interruzione della carriera solista di Cantrell. Il nuovo album si intitola Brighten ed è composto da nove pezzi dalle sonorità sorprendenti, perché Cantrell si allontana dal grunge per approdare a una mescolanza di country, blues e southern rock ricchi di contaminazioni di alternative rock.

Il disco parte con Atone che, insieme a Had to Know, è l'unica che mantiene qualche legame con il passato. Per il resto l'album vede una preponderanza di ballad e di pezzi melodici tra cui spiccano Prism of Doubt e Black Hearts and Evil Done che sono i due brani in cui l'impronta country è più netta, in particolare il secondo dei due brani è impreziosito da un coro di voci femminili sull'ultimo ritornello. Tra i brani migliori, oltre alla già citata Atone, troviamo anche il midtempo dalla venature alternative rock Dismembered e la speranzosa e ottimista title track di cui è stato anche realizzato un video. Chiude il disco una cover di Goodbye di Elton John del 1971 dall'album Madman Across the Water; non si tratta della prima collaborazione tra Elton John e Cantrell perché gli Alice in Chains avevano collaborato con il leggendario musicista britannico già nella title track di Black Gives Way to Blue in cui Elton John suonava il piano.

Il nuovo album di Jerry Cantrell è ottimo sotto tutti i punti di vista con un misto di pezzi orecchiabili che non rinunciano alle atmosfere grezze e dirette degli inizi. In realtà l'unico difetto di questo album è che è troppo corto, perché le nove tracce volano via in un baleno e lasciano la voglia di ascoltarne altre. Questi nove brani sono altrettante gemme con cui Jerry Cantrell si conferma uno dei migliori e più iconici musicisti della sua generazione, non resta quindi che aspettare che il seguito di Rainier Fog degli Alice in Chains del 2018 non si faccia attendere troppo a lungo.

martedì 2 novembre 2021

Annalisa Parisi Quartet - Blue Skies


Nel 2018 la cantautrice jazz Annalisa Parisi ha pubblicato il proprio tributo al compositore Irving Berlin con l'album Blue Skies, che trae il proprio titolo da un brano di Berlin scritto per il musical Betsy del 1926. Il disco è composto da tredici standard che attingono dal repertorio dell'autore compreso nel periodo che va dal 1912 al 1938 ed è stato realizzato da un quartetto che vede oltre ad Annalisa Parisi alla voce anche Niccolò Cattaneo al piano, Alex Orciari al contrabbasso e Roberto Paglieri alla batteria.

I tredici brani sono riarrangiati in stile cool jazz, con un chiaro rimando ai quartetti della West Coast degli anni 50. La forza di queste composizioni risiede sicuramente nella voce rovente di Annalisa che trasforma in oro tutto ciò che tocca e che si muove con incredibile maestria sul tessuto sonoro creato dai tre strumentisti. Molti dei brani, come Isn't This a Lovely Day? o Cheek to Cheek o la title track, trovano le loro interpretazioni più famose in quelle di Ella Fitzgerald con cui Annalisa regge benissimo il confronto aggiungendo un'ottima dose di sensualità che mancava alle incisioni precedenti.

Oltre alle capacità interpretative, il quartetto guidato da Annalisa Parisi dà anche grande prova di creatività nel saper reinterpretare i classici dando loro risvolti nuovi; infatti se alcuni dei pezzi sono molto fedeli alle versioni originali, altri ne escono profondamente reinventati come Puttin' on the Ritz o Top Hat, White Tie and Tails che vengono qui presentati in una versione cool lontana da come erano nati.

Blue Skies è in sintesi un album che funziona sotto tutti i punti di vista grazie alle atmosfere rétro che riesce a creare, al punto che basta chiudere gli occhi per ritrovarsi in uno dei locali della New York di un secolo fa. Il disco si presta particolarmente all'ascolto durante un aperitivo come cocktail jazz, ma in realtà è adatto anche a qualunque altro contesto, perché la voce della first lady of songs del jazz italiano sa dare un tocco di magia in ogni occasione in cui la si ascolti.

sabato 16 ottobre 2021

The Unity - Pride



Uscito a marzo del 2020, Pride è il terzo album dei tedeschi The Unity, band nata per volere di Henjo Richter e Michael Ehré dei Gamma Ray e che vanta nelle proprie file anche l'italianissimo vocalist Gianbattista Manenti. Il disco è di norma etichettato come power metal, ma già da un primo ascolto si capisce come qualunque definizione vada stretta alla musica dei The Unity, perché Pride offre un caleidoscopio di suoni che spaziano tra stili e suggestioni diverse.

L'album, composto da dodici pezzi, parte con Hands of Time e Line and Singer, per le quali potrebbe essere coniato il neologismo di heavy AOR vista la sapiente combinazione di melodie vincenti di stampo ottantiano e di suoni energici, in particolare la seconda è contraddistinta da un ritornello che entra in testa come un trapano grazie alla potente esecuzione del nostro Jan. Il disco prosegue su suoni più tradizionalmente hard rock, come in Scenery of Hate o We Don't Need Them Here, e poco dopo si prendono di nuovo strade inaspettate con l'alt rock di Wave of Fear che sembra preso di peso da metà anni 90. Tra i brani più pesanti troviamo anche la teatrale Angel of Dawn in cui in canto di Gianbattista si fa più recitato, andando a creare un brano che ricorda le incisioni degli Avantasia.

Le sperimentazioni sonore non finiscono qui, il disco infatti chiude con due pezzi dalle sonorità inaspettate. È già sorprendente che in un album di power metal ci sia un pezzo intitolato Rusty Cadillac, e infatti il brano è un fresco e divertente rock and roll che si allontana da tutto il resto e ci porta con le sue atmosfere nell'America degli anni 50 a cui aggiunge un tocco di sonorità hard & heavy contemporanee. Chiude il disco la leggera You Don't Walk Alone con cui la band di concede una digressione più vicina al pop.

La forza di questo disco risiede nella straordinaria combinazione tra le melodie e la straripante voce di Gianbattista che regala una prestazione ottima in cui dimostra di sapere interpretare efficacemente praticamente ogni stile canoro in cui si cimenta. Una menzione speciale meritano i testi, mai banali e spessi impegnati, che toccano tematiche come l'ambientalismo e il razzismo. Completa l'album un secondo CD che contiene quatto registrazioni live di altrettanti pezzi tratti dai dischi precedenti, più la versione in studio della ruggente Nowhereland, pubblicata inizialmente come B-side di Never Forget.

La sfida di Pride è quindi completamente vinta, con un disco solido che convince e diverte per tutto l'ascolto e con il quale i The Unity si confermano una delle realtà più interessanti del panorama metal europeo.

giovedì 7 ottobre 2021

I trent'anni di Dangerous



Il 1991 fu un anno memorabile per la musica, tra gli album che in questo 2021 compiono trent'anni ci sono capolavori assoluti che travalicano i generi come Achtung Baby degli U2, Use Your Illusion dei Guns N' Roses, Innuendo dei Queen e Nevermind dei Nirvana. Tra le pietre miliari di quello straordinario anno ce ne fu una che aspettò proprio le ultime settimane dell'anno per arrivare nei negozi: il 26 novembre del 1991 uscì Dangerous di Michael Jackson.

Da Bad erano passati ben quattro anni e Dangerous segnava uno stacco netto del passato. I segnali erano abbondanti, a partire dall'interruzione della collaborazione con il produttore Quincy Jones che aveva trasformato in oro Off The Wall, Thriller e Bad; ma se Off The Wall era ancora solidamente legato al soul e al funk dell'epoca dei Jacksons, Thriller e Bad proponevano le stesse atmosfere di pop ricco di contaminazioni, mai banale ma sempre di facile presa e il modello non poteva essere ripetuto all'infinito.

Che Dangerous volesse rompere con il passato fu chiaro fin dalla copertina, incredibilmente complessa e ricca di simbolismi al posto delle foto di Michael che avevano caratterizzato gli album precedenti. E che la musica fosse altrettanto complessa e ricca di spunti lo si capì poco dopo. Il singolo di lancio Black or White, il cui titolo ironizzava sulle bizzarre teorie secondo cui Michael si schiariva la pelle per sembrare bianco, fece da ponte, con un suono decisamente accattivante e un testo che si scagliava contro il razzismo. Anche il video del pezzo, che ebbe molto airplay televisivo, era completamente diverso dai precedenti con Macaulay Culkin che litigava con il padre che gli chiede rudemente di abbassare il volume dell'intro rock della canzone e con l'enfant prodige di Mamma, Ho Perso l'Aereo che reagisce alzando al massimo; nel video si vede poi Jacko che balla con popoli di tutto il mondo e nella sequenza finale il registra John Landis fa ampio uso della tecnica del morphing (che in quell'anno fu resa celebre anche dal film Terminator 2: Judgment Day) per mostrare quanto gli esseri umani siano tutti uguali e connessi.

Se Black or White diede un assaggio, il resto dell'album regalò un sorprendente caleidoscopio di suoni che spaziavano fino alle sperimentazioni più ardite con le percussioni ossessive di Who Is It fino al gospel etereo e celestiale di Will You Be There, celebre anche grazie alle accuse di plagio di Al Bano smentite dai tribunali che hanno chiarito come entrambi si fossero ispirati a Bless You For Being An Angel degli Ink Spots, a sua volta ispirata a un canto dei Nativi Americani. Tra le suggestioni di questo album si trovano anche la celebre ballad Heal The World, il cui finale corale rimanda alle atmosfere di We Are The World, il new jack swing di Jam e di Remember The Time, fino alla ballad Keep The Faith anch'essa vicina al gospel e al contempo più simile alle sonorità dei dischi precedenti, visto che Jacko si era già cimentato in esperimenti del genere come ad esempio in Man in the Mirror. Oltre alla atmosfere anche i testi si fecero più complessi, trattando argomenti come l'inquinamento, il razzismo, l'AIDS e la disparità sociale.

Da Dangerous furono estratti ben nove singoli, su quattordici pezzi, a conferma di quanto questo disco fosse un capolavoro di un genio della musica. Del resto basta guardare la lista degli ospiti per capire quanti stili sono stati esplorati e come Dangerous sia un'opera monumentale, vi si trovano infatti un coro gospel, un'orchestra, Slash, Steve Porcaro, Jeff Porcaro, Siedah Garrett, il rapper Heavy D e il produttore Bill Bottrell che si improvvisa rapper. Gli ospiti dei video non erano meno illustri e oltre al già citato Macaulay Culkin apparvero Michael Jordan, Naomi Campbell. Eddie Murphy, Magic Johnson e molti altri.

Con Dangerous the King of Pop vinse la sua sfida, dimostrando al mondo che il suo talento non era limitato all'easy listening ma che sapeva fare anche cose ben più complesse. E soprattutto dimostrò che la nuova strada era appena iniziata.