martedì 13 giugno 2023
Qual è la canzone dello spot della Coppa del Nonno?
Dal 1995 lo spot del gelato della Coppa del Nonno è famoso per la canzone di sottofondo il cui testo canta I feel good, I feel fine 'cause I know my loving heart is all you need, it's such a joy to see. Purtroppo per anni la canzone fu oggetto di vari equivoci, molti dei quali permangono anche oggi a distanza di quasi tre decenni. Vediamo quindi qual è il vero titolo di questa canzone, chi la canta e chi ne sono gli autori.
Negli anni 90 molti credettero che il pezzo in questione fosse Circle di Edie Brickell & New Bohemians tratta dall'album Shooting Rubberbands at the Stars del 1988 perché l'attacco del ritornello è effettivamente molto simile laddove Circle inizia con I quit, I give up e la canzone della Coppa del Nonno dice I feel good, I feel fine. A metà anni 90 non c'era lo streaming e non c'era ancora neanche Napster, l'unica possibilità di ascoltare una canzone vecchia di sette anni era quindi quella di avere il CD o la cassetta, altrimenti la memoria se ne perdeva facilmente e chi non ricordava con precisione Circle poteva cadere nell'equivoco.
La canzone della pubblicità è invece Joy della cantante italoaustraliana Gisella Cozzo, scritta dalla stessa Cozzo con Luciano Ripamonti, fondatore della società di comunicazione pubblicitaria Peperoncino Studio, e da Antonello Aguzzi di Elio e le Storie Tese che al tempo lavorava anche con Ripamonti e per la sua agenzia. La versione cantata da Gisella Cozzo e registrata in studio fu pubblicata solo nel 1998, tre anni dopo la messa in onda del primo spot e sebbene la canzone sia oggi nota come I feel good, I feel fine, il titolo riportato sulla copertina del CD è Joy.
Gli equivoci su questa canzone non si fermano qui. Al tempo Gisella Cozzo cantava molte canzoni per spot televisivi, tra cui You Wanna Be Americano (cover di Tu Vuò Fà l'Americano risalente al film La Baia di Napoli del 1960) per lo spot dei pantaloni Dockers e Heaven is a Place on Earth per la pubblicità dei Kellog's Special K, e questo portò molti a credere che la versione della pubblicità della Coppa del Nonno fosse quella cantata dalla Cozzo. In realtà è abbastanza ovvio riscontrare che la voce è diversa e che la versione della pubblicità inizia dal ritornello e non dalla strofa; si tratta infatti di una registrazione apposita realizzata da Peperoncino Studio.
Nel 2018 Gisella Cozzo partecipò come concorrente alla quinta edizione di The Voice of Italy cantando la sua stessa canzone Joy. Nessuno dei coach si girò per sceglierla per la propria squadra alle Blind Auditions e al termine dell'esibizione Cristina Scabbia dei Lacuna Coil disse che la concorrente, che evidentemente non conosceva, aveva cantato Circle di Edie Brickell & New Bohemians, venendo corretta dai colleghi e confermando quanto le due canzoni possano essere scambiate.
In ogni caso Joy di Gisella Cozzo è un pezzo iconico e la pubblicità della Coppa del Nonno è più nota per la canzone di sottofondo che per il prodotto reclamizzato: una canzone che da quasi trent'anni evoca per gli spettatori italiani l'inizio dell'estate.
domenica 28 maggio 2023
Quando i Cypress Hill tentarono il nu metal
Nel 2000 il nu metal era all'apice della propria popolarità e mentre questo genere dominava le classifiche, molti gruppi hip hop provarono a scavalcare in confine concedendosi qualche contaminazione rock o metal.
Mentre il genere spopolava i californiani Cypress Hill provarono a fare un passo in più, realizzando un doppio album che conteneva sul primo disco dieci tracce di hip hop latino nel loro stile consueto e nel secondo sei tracce nu metal. L'album in questione si intitola Skull & Bones e già dal titolo vuole sottolineare come sia composto di due anime distinte. Dal disco furono estratti quattro singoli racchiusi in due 45 giri a doppio Lato-A. I primi due che uscirono furono (Rap) Superstar e (Rock) Superstar, come si può facilmente intuire si tratta in realtà della stessa canzone con due arrangiamenti diversi: il primo hip hop e il secondo rock. Per l'occasione i Cypress Hill invitarono anche ospiti illustri quali Eminem e Noreaga per (Rap) Superstar e Chino Moreno dei Deftones ed Everlast per (Rock) Superstar. Il secondo singolo a doppio Lato-A fu quello composto da Highlife, brano hip hop tratto dal disco Skull, e dalla ben più famosa Can't Get the Best of Me, tratta da Bones, che godette di un buon passaggio su MTV grazie a un video che mostrava una rissa scaturita tra due combattenti che si stanno per affrontare su un ring e che invece vengono alle mani ben prima.
Poco più di un mese dopo l'uscita di Skull & Bones, Sen Dog (uno dei due vocalist del gruppo insieme a B-Real) sfornò un altro album di nu metal con un gruppo nuovo chiamato SX-10 in cui ripropose una formula simile a quella di Bones. L'album si intitola Mad Dog American e ne venne estratto un solo singolo straordinariamente efficace intitolato Heart of a Rebel in cui compare come ospite il cantante Rey del gruppo nu metal losangelino dei Downset che esegue lo scream sul ritornello.
Grazie a Skull & Bones, i Cypress Hill iniziarono a guadagnare notorietà anche tra gli appassionati di musica rock; presero parte al tour Back 2 Basics con i Limp Bizkit e i Cold e verso la fine dell'anno arrivarono ad aprire una serie di concerti degli Offspring per il tour seguente all'album Conspiracy of One. Essendo le due anime strettamente legate, i Cypress Hill si avvalsero per le esibizioni dal vivo dei musicisti degli SX-10 e da questo connubio nacque anche il live Live at the Fillmore registrato a San Francisco nell'agosto del 2000 e pubblicato a dicembre dello stesso anno.
L'esperimento, per quanto di successo, durò poco, se non altro per il tramonto del nu metal poco dopo l'anno 2000. L'album successivo Stoned Raiders del 2001 conteneva ancora qualche traccia di rock, ma fu disastroso in termini di vendite perché i pezzi suonavano incredibilmente forzati. Per tornare al successo i Cypress Hill dovettero attendere Till Death Do Us Part del 2004 e il totale ritorno all'hip hop, il disco infatti ha un suono fresco e convincente grazie a pezzi quali Another Body Drops, What's Your Number? e Busted in the Hood che riportavano ai fasti degli anni 90.
Quello di Skull & Bones fu quindi un esperimento isolato, ma andato a buon fine. E quando si ricordano i migliori gruppi nu metal di quegli anni, forse sarebbe giusto guardare anche a over e ricordare quanto fatto nel 2000 da Sen Dog, B-Real, DJ Mugs e Bobo.
venerdì 5 maggio 2023
Stuck Mojo: nu metal da Atlanta
Tra i precursori del nu metal, prima che diventasse un fenomeno da classifica con gruppi come Korn e Limp Bizkit, si trova una band che per quanto non goda della notorietà degli altri ha prodotto musica di altissima qualità che li colloca tra i migliori esponenti del genere: si tratta degli Stuck Mojo, provenienti da Atlanta. La prima formazione degli Stuck Mojo vedeva Rich Ward (unico membro fisso della band dalle origini ad oggi) alla chitarra, Dwayne Fowler al basso, Brent Payne alla batteria e lo straordinario rapper Bonz alla voce che ne fu il vero punto di forza. Il fatto di avere un vero rapper afroamericano al microfono, infatti, fu stato uno degli elementi distintivi degli Stuck Mojo, perché ha reso il flow del cantante molto più aderente ai modelli hip hop di quanto non fossero Fred Durst o Mike Shinoda dei Linkin' Park. Da questo punto di vista, l'unica band che poteva reggere il paragone erano i Body Count di Ice-T, anch'essi mai infilatisi sulla scia del nu metal mainstream.
Il primo album della band capitanata da Ward e Bonz fu Snappin' Necks del 1995, composto da undici pezzi contraddistinti da un sound grezzo, diretto e ruspante a cui si somma l'aggressivo rap di Bonz. Nel disco si trovano solo sonorità dure vicine al metalcore, con nessuno spazio per le melodie. Dall'album è stato tratto un unico singolo dalla detonante traccia di apertura Not Promised Tomorrow, tra gli altri brani spicca anche la title track in cui Bonz dà una delle migliori prove di sé, per il resto il limite di questo disco coincide in gran parte con la propria scelta di voler combinare le estremità del rap e quelle del metal e alla fine le canzoni hanno tutte sonorità simili.
Già dopo la realizzazione del primo album, la band andò incontro ai primi cambi di formazione con l'ingresso del bassista Corey Lowery e del batterista Bud Fontsere. Il secondo album intitolato Pigwalk uscì nel 1996 guidato ancora dalla coppia Ward e Bonz. Il disco si sposta più verso sonorità da industrial metal e in generale il suono è più ricco rispetto al disco precedente grazie alla presenza di Lowery che esegue le seconde voci affiancando la propria voce a quella di Bonz in pezzi come [Here Comes] the Monster o Twisted. La ristampa di Pigwalk è impreziosita dall'aggiunta dell'EP Violated, stampato lo stesso anno solo per il mercato europeo, che contiene le cover di Wrathchild degli Iron Maiden e Shout at the Devil dei Motley Crue.
Il disco successivo venne realizzato con la stessa formazione di Pigwalk e vide la luce nel 1998, il nuovo album intitolato Rising torna parzialmente alle sonorità del primo album, ma l'arricchimento e la pulizia del suono fanno un ulteriore passo in avanti con parti suonate più lunghe e qualche sconfinamento nel grunge in pezzi come Trick che vede di nuovo Bonz e Lowery alternarsi alla voce. Il pezzo migliore del disco in questo caso è senza dubbio la dirompente title track che al tempo godette anche di buona notorietà per il fatto di essere stata utilizzata anche dalla WCW (federazione di wrestling al tempo rivale della WWE e infine acquistata da quest'ultima).
Purtroppo Rising fu anche l'ultimo grande album degli Stuck Mojo, che nel 1999 pubblicarono il live HVY1 (uno dei pochissimi album live del genere nu metal) e l'anno seguente si sciolsero dopo la pubblicazione del quarto album Declaration of a Headhunter che risente non poco delle tensioni nate tra Ward e Bonz. L'album è infatti poco a fuoco, con una mistura di generi diversi che sembrano volersi accodare alle band più blasonate del genere perdendo del tutto la propria originalità. La band si riunì nel 2007 con il solo Rich Ward tra i componenti originali; Bonz venne sostituito dal rapper Lord Nelson che impallidisce al confronto e il risultato dei due album realizzati fu molto scadente. Da allora la storia di questa band si perde tra vari cambi di formazione e la temporanea reunion della formazione di Pigwalk che durò poco senza realizzare nessun disco nuovo. Ad oggi l'ultimo album degli Stuck Mojo è Here Come The Infidels del 2016, realizzato con una lineup ancora rinnovata che vede Robby J. Fonts alla voce.
Purtroppo la notorietà degli Stuck Mojo è offuscata dal fatto di avere prodotto rap metal prima che il genere diventasse famoso, perché le loro prime incisioni sono sicuramente più d'impatto di quelle di altre gruppi nu metal venuti dopo di loro. In ogni caso nel ricordare i pionieri di questo genere, prima che i gruppi di Los Angeles arrivassero in vetta, è opportuno non trascurare la basi che sono state gettate da questo misconosciuto quartetto di Atlanta.
lunedì 24 aprile 2023
Rhapsody of Fire - Glory For Salvation Tour, Milano 23/4/2023
La data era segnata in calendario da tempo, perché se il Glory For Salvation Tour dei Rhapsody of Fire passa da vicino a casa è ovvio che si tratta di un'occasione imperdibile. Arrivo al Legend in tempo per sentire l'ultimo pezzo dell'esibizione dei Symphonity, ultimo di tre gruppi di apertura, e appena la band ceca lascia il palco mi rendo conto di quanto sia alta l'attesa e la voglia tra la gente venuta a sentire questo concerto di vedere la band fondata da Alex Staropoli e Roberto De Micheli in azione. Molti si raccontano tra di loro delle volte precedenti che hanno visto i Rhapsody live, mentre per me l'attesa ha anche un altro sapore: Giacomo Voli è il musicista che ho visto dal vivo più volte, ma l'ho sempre visto da solo o con la sua band personale e mai a guidare quello che da oltre venticinque anni è il gruppo metal più famoso d'Italia. "Vediamo come se la cava in questa veste", pensavo tra me e me.
I Rhapsody salgono sul palco intorno alle 22:30 e il Legend è strapieno: ma non per modo di dire, è talmente pieno che non si riesce ad avanzare di un passo nella folla che inneggia alla band, fortunatamente durante il concerto qualcuno va a prendere da bere e riusciamo ad avvicinarci di qualche metro. Il concerto parte fortissimo con I'll Be Your Hero e Chains of Destiny dall'ultimo album Glory for Salvation e subito ci troviamo immersi in sonorità medievali che fanno venire voglia di aprire le porte per vedere se fuori c'è ancora la metropoli di Milano o se ci troviamo tra castelli, maghi e cavalieri. Per essere fine aprile la serata fuori è fresca, ma dentro fa un caldo infernale, almeno fino a quando i gestori del locale non accendono i ventilatori a soffitto che danno un po' di refrigerio. La setlist del concerto spazia per tutta la discografia della band, attingendo dagli album da Symphony of Enchanted Lands del 1998 in avanti, ma ovviamente metà della scaletta è dedicata agli ultimi due album, The Eighth Mountain e Glory for Salvation, quelli che vedono Giacomo alla voce.
La risposta alla mia domanda iniziale arriva presto: Giacomo come frontman di una band blasonata si muove alla grande, non solo come cantante e interprete di un mondo narrativo nato tre decenni fa, ma anche nel ruolo di trascinatore che il pubblico segue sempre con entusiasmo nel fare i cori o nell'inscenare scherzose battaglie con spade di plastica portate da un appassionato follower tedesco.
Poco dopo la metà del concerto sale sul palco anche il cantante spagnolo Huecco che interpreta con la band Fuego Valyrio, nata dalla collaborazione tra queste due anime musicali all'apparenza così lontane e che coniuga sonorità latine e power metal. Lo stacco è notevole, dona una ventata di divertimento in uno stile un po' diverso e mostra come il mondo della musica sia molto più interconnesso di quanto pensiamo. Dopo questa digressione i Rhapsody ci regalano qualche pezzo più di atmosfera che culmina in Un'Ode Per l'Eroe, resa ancora più maestosa dal canto in italiano che Giacomo ci racconta fare molta presa anche sul pubblico estero. Segue la magniloquente Dawn of Victory che vede in chiusura anche i membri delle band che hanno preceduto i Rhapsody salire sul palco per il coro finale Gloria, gloria pertetua, in this dawn of victory.
L'encore inizia con Reign of Terror in cui Giacomo si cimenta anche in un growl che fa venire il dubbio se ci sia qualcosa che questo straordinario vocalist non sappia fare con la propria voce, a cui seguono Wisdom of the Kings ed Emerald Sword al termine della quale Giacomo promette che ci si vede "tra cinque minuti al merchandise". In realtà di minuti ne passano forse due e la band si mischia con il suo pubblico per foto e autografi, a dimostrazione del fatto che nonostante tutti questi anni di successi il gruppo è sempre vicino al proprio pubblico e si rende disponibile per due chiacchiere in amicizia.
Una leggera pioggia ci accompagna mentre ci allontaniamo dal Legend e alla fine fa piacere, visto il caldo patito all'interno. Il blocco dei concerti dovuto alla pandemia è oggi un ricordo brutto e lontano, la musica è ripartita e per ripartire servono serate come questa che vedono un ottimo connubio tra una band tra le migliori al mondo e un locale di meritata fama, in cui tutto è sempre semplice e ordinato, che li ospita.
Grazie Rhapsody of Fire e grazie Legend, alla prossima! Per entrambi!
mercoledì 12 aprile 2023
Imperial Age - New World
Nel mezzo del turbinio causato dal loro spostamento dalla Russia all'Europa, per via delle fin troppo ovvie ragioni belliche, gli Imperial Age hanno pubblicato il loro nuovo album intitolato New World che arriva quanttro anni dopo il precedente The Legacy Of Atlantis. L'album è composto da otto pezzi che hanno come tema i viaggi per mare e la libertà, tematiche ricorrenti nelle incisioni del gruppo, e caratterizzate principalmente atmosfere incoraggianti e gioiose.
New World propone la più alta espressione di symphonic metal che questa band abbia mai prodotto, con sonorità maestose che mischiano lirica, classica e metal, e in cui i tre straordinari vocalist di questo gruppo, Alexander Osipov, Jane Odintsova (che recentemente è stata nostra ospite per un'intervista video) e Anna Moiseeva, offrono il meglio della loro vocalità a cui si somma il potente contributo corale del SoundPuzzle Chorus. Ne risulta un disco di presa immediata che coniuga al meglio la potenza delle basi musicali alle atmosfere patinate del metal sinfonico.
La prima traccia Windborn apre il disco con una forza travolgente sia nelle musiche che nel canto e dà subito un assaggio delle caratteristiche dell'intero disco che proseguono nelle successive due Legend of the Free e The Way I Am. Tra i pezzi migliori troviamo anche The Wheel e Shackles of Gold che si apre con suoni etnici e che costituisce un tocco di unicità all'interno dell'album. Chiude il disco Call of the Towers che dura ben diciotto minuti e che racchiude in sé lunghe parti strumentali, musica classica, musica da film e ovviamente il canto dei tre vocalist.
L'edizione deluxe in CD è impreziosita dalla presenza di un secondo disco che che ripropone le stesse otto canzoni dell'album principale, suonate con l'orchestra anziché con la band. Superata la sorpresa di non trovare i riferimenti consueti di chitarra, basso e batteria, si apprezza l'ecletticità di queste composizioni che funzionano bene sia in versione metal sia in versione classica.
New World è in terzo album degli Imperial Age, nella cui formazione è entrato di recente anche il batterista italiano Manuele Di Ascenzio, e ad oggi è anche la loro opera più completa e matura che mostra come questa band sia in continua crescita. Non resta che sperare che lo spostamento in Europa, più precisamente nel Regno Unito, dia loro più stabilità e consenta di produrre più musica di altrettanto buon livello.
martedì 14 marzo 2023
Ly-O-Lay Ale Loya: il presunto canto new age dei nativi americani rubato alla popolazione sami
Gli anni 90 furono l'epoca d'oro della musica new age, grazie a gruppi prodotti principalmente in Europa come i Deep Forest, con la loro Sweet Lullaby del 1992, o gli Enigma che nei primi anni del decennio assestarono due importanti successi con Sadness e Return to Innocence. L'importanza della new age in quel periodo fu tale che molti altri generi musicali ne vennero contaminati, ad esempio la cantante irlandese Enya creò un'inedita mescolanza tra musica celtica e new age e verso la fine del decennio nacque anche un crossover tra new age e canto gregoriano con i tedeschi Gregorian, che reinterpretavano nel loro inedito stile alcuni dei pezzi rock e pop più famosi degli ultimi decenni. Anche Mike Oldfield, precursore di questo genere già da due decenni prima, in quel periodo si avvicinò a sonorità simili a quelle degli Enigma con l'album The Songs of Distant Earth.
All'interno del movimento new age di quel periodo nacque anche un progetto tedesco, prodotto nei Paesi Bassi, chiamato Sacred Spirit il cui primo album Chants and Dances of the Native Americans del 1994 voleva essere una raccolta di reinterpretazioni di canti dei nativi americani. Il disco, edito dalla Virgin Records, fu pubblicato in Italia con il titolo Indiani e conteneva il brano The Counterclockwise Circle Dance (Ly-O-Lay Ale Loya) che divenne celebre qualche anno dopo quando venne usata in uno spot della bevanda energetica Gatorade che narrava l'apologo africano del leone e della gazzella (evidentemente gli autori non si chiesero cosa c'entrassero i nativi americani con l'Africa).
Il pezzo ebbe notevole successo e per anni venne considerato il più iconico canto dei nativi americani, venne inserito nella compilation del 2004 Indiani Platinum Collection, edita anch'essa dalla Virgin, e in altre raccolte che lo indicavano come un canto dei Navajo. Tuttavia tredici anni dopo si scoprì che il vocalizzo era un vero e proprio furto e che non apparteneva alla tradizione dei nativi americani. Nel 2007 emerse infatti che la registrazione della linea vocale veniva da una trasmissione televisiva olandese in cui un ospite eseguì uno joik (cioè un canto tradizionale) dei sami (popolazione del nord della Scandinavia, spesso definiti in italiano lapponi) intitolato Normo Jovnna. Nonostante Channel 4, il canale televisivo olandese presso cui avvenne l'esibizione, neghi di aver venduto alla Virgin la registrazione, questa finì in qualche modo alla casa discografica che la usò per il disco. Non è ad oggi possibile verificare l'esistenza della registrazione che sarebbe stata rubata, ma che Ly-O-Lay Ale Loya non sia un canto dei nativi americani ma del popolo sami è facilmente riscontrabile perché su YouTube esistono varie versioni di Normo Jovnna e il vocalizzo è proprio lo stesso di quello di Ly-O-Lay Ale Loya.
Curiosamente quello dei Sacred Spirit non è l'unico caso di new age etnico la cui parte cantata è stata usata illecitamente, la già citata Sweet Lullaby dei Deep Forest contiene infatti una registrazione di un canto delle Isole Salomone usato senza autorizzazione.
Una volta scoperto il furto, l'organizzazione Sámikopiija, che si occupa della difesa dei diritti d'autore dei sami, ha chiesto alla Virgin il riconoscimento delle royalties per Ly-O-Lay Ale Loya; per ora non ha avuto successo e difficilmente, visto il tempo trascorso, ne avrà mai.
venerdì 3 marzo 2023
Una sera a Camden Town, sulle tracce di Amy Winehouse
Ero stato una volta sola a Camden Town, una fredda mattina dei primi di gennaio di ormai sei anni fa. Da allora, nonostante molti altri viaggi a Londra, non ci ero ancora tornato e, trovandomi di nuovo nella capitale del Regno Unito per tutt'altri motivi, questa volta ho deciso di tornarci. Anche perché ricordavo bene il mercato, i musicisti che vendono i propri CD lungo il marciapiede (e al tempo ne avevo anche comprato uno del rapper Terra Slim), e le folli insegne tridimensionali dei negozi, ma non ero riuscito ad andare a Camden Square, dove Amy Winehouse aveva passato l'ultimo anno della sua vita e dove è morta nel luglio del 2011.
L'atmosfera di Camden Town è sempre singolare, indescrivibile per chi non si è mai trovato in questo turbinio di suggestioni in cui la musica fa da sfondo ad ogni cosa. Esco dalla stazione della metropolitana e sento una band che suona dal vivo Jumpin' Jack Flash in un pub, cammino verso la zona del mercato e vengo sopraffatto dall'atmosfera punk e dark che diede i natali a questi generi musicali nel fermento della swinging London. Qui i segni del passaggio di Amy si vedono praticamente ovunque, non solo nei luoghi più celebri come la statua a grandezza naturale, infatti scopro anche un graffito dipinto su una serranda abbassata (che mi fa ricredere sui miei dubbi sull'opportunità di venire qui quando i negozi e il mercato sono chiusi) e un negozio di arte al numero 279 di Camden High Street (a cui purtroppo ho dimenticato di fare una foto) che espone in vetrina dei suoi ritratti.
È difficile stabilire da quanto tempo sia lì il ritratto di Amy sulla serranda dello studio di tatuaggi Boys Don't Cry, che ovviamente omaggia l'omonima canzone dei Cure nel nome, al numero 269a di Camden High Street, ma Google Street View ci viene in aiuto e ci mostra che a gennaio del 2021 il graffito non c'era, l'opera è quindi recentissima e infatti è ancora perfetta.
La prima tappa che mi ero prefissato per questo giro e è la statua di bronzo, e quando ci arrivo devo aspettare un attimo prima di scattare una foto, perché davanti a me c'è una fila di persone che vogliono fare lo stesso. La statua è bellissima come me la ricordo e fa riflettere una volta in più sul perché una ragazza al pieno del successo si sia distrutta con le sue mani. Ciò che colpisce di questa ricostruzione a grandezza naturale è quanto Amy fosse minuta e come una voce come quella potesse uscire da un corpo così ridotto; perché la statua è alta un metro e 75 centimetri, ma solo includendo la base e la folta chioma ispirata a quelle delle Ronettes a cui Amy si rifaceva nello stile. In ogni caso, è talmente realistica da sembrare vera grazie alla posa spontanea in cui la cantante è stata riprodotta e prima di fare una foto viene voglia di chiederle il permesso.
La seconda tappa è la sua casa di Camden Square, che dalla statua dista circa un chilometro e mezzo di vie interne che si dipanano in una zona residenziale. Le case di Camden Square, che sono distribuite sulle due strade che costeggiano il parco, sulle prime sembrano tutte uguali, ma quella al numero 30, dove visse Amy, è diversa per almeno due motivi. Anzitutto è l'unica con porta e finestre oscurate in modo che da fuori non si veda completamente nulla degli interni. In secondo luogo per via del memoriale nato spontaneamente su un albero di fronte all'ingresso grazie a biglietti, foto, fiori e qualunque altra cosa i fan abbiano lasciato in ricordo della cantante.
È tempo di tornare verso la stazione della metro, ma mi accorgo che se metto Amy Winehouse su Google Maps il completamento automatico mi segnala anche un murale che dovrebbe essere vicino all'insegna di Camden Lock e che è stato realizzato dall'artista grafico JXC in occasione del decimo anniversario della morte della cantante. Decido di andarci, ma arrivato sul posto non lo trovo. Chiedo a due passanti mostrando la foto sul cellulare, ma nessuno mi sa aiutare. Lo trovo, dopo minuti di ricerca, in una strada stretta che porta a uno dei cortili del quartiere. Nonostante non si veda dalla strada principale, il murale è immenso, con il buio e lo vedo a fatica ma comunque trasmette quanto questo quartiere sia tuttora legato a lei.
Adesso il giro è finito davvero e torno veramente verso la stazione in cerca di un pub per mangiare, e mentre mi allontano rifletto su quanto Amy Winehouse abbia influenzato Camden Town e su quanto la sua vita sia legata a doppio filo a questo quartiere dove la si vede ovunque e la si sente ovunque. Perché anche se Amy ci ha lasciato il 23 luglio del 2011 tra queste strade è ancora viva.
L'atmosfera di Camden Town è sempre singolare, indescrivibile per chi non si è mai trovato in questo turbinio di suggestioni in cui la musica fa da sfondo ad ogni cosa. Esco dalla stazione della metropolitana e sento una band che suona dal vivo Jumpin' Jack Flash in un pub, cammino verso la zona del mercato e vengo sopraffatto dall'atmosfera punk e dark che diede i natali a questi generi musicali nel fermento della swinging London. Qui i segni del passaggio di Amy si vedono praticamente ovunque, non solo nei luoghi più celebri come la statua a grandezza naturale, infatti scopro anche un graffito dipinto su una serranda abbassata (che mi fa ricredere sui miei dubbi sull'opportunità di venire qui quando i negozi e il mercato sono chiusi) e un negozio di arte al numero 279 di Camden High Street (a cui purtroppo ho dimenticato di fare una foto) che espone in vetrina dei suoi ritratti.
Graffito al 269a di Camden High Street |
È difficile stabilire da quanto tempo sia lì il ritratto di Amy sulla serranda dello studio di tatuaggi Boys Don't Cry, che ovviamente omaggia l'omonima canzone dei Cure nel nome, al numero 269a di Camden High Street, ma Google Street View ci viene in aiuto e ci mostra che a gennaio del 2021 il graffito non c'era, l'opera è quindi recentissima e infatti è ancora perfetta.
La prima tappa che mi ero prefissato per questo giro e è la statua di bronzo, e quando ci arrivo devo aspettare un attimo prima di scattare una foto, perché davanti a me c'è una fila di persone che vogliono fare lo stesso. La statua è bellissima come me la ricordo e fa riflettere una volta in più sul perché una ragazza al pieno del successo si sia distrutta con le sue mani. Ciò che colpisce di questa ricostruzione a grandezza naturale è quanto Amy fosse minuta e come una voce come quella potesse uscire da un corpo così ridotto; perché la statua è alta un metro e 75 centimetri, ma solo includendo la base e la folta chioma ispirata a quelle delle Ronettes a cui Amy si rifaceva nello stile. In ogni caso, è talmente realistica da sembrare vera grazie alla posa spontanea in cui la cantante è stata riprodotta e prima di fare una foto viene voglia di chiederle il permesso.
La seconda tappa è la sua casa di Camden Square, che dalla statua dista circa un chilometro e mezzo di vie interne che si dipanano in una zona residenziale. Le case di Camden Square, che sono distribuite sulle due strade che costeggiano il parco, sulle prime sembrano tutte uguali, ma quella al numero 30, dove visse Amy, è diversa per almeno due motivi. Anzitutto è l'unica con porta e finestre oscurate in modo che da fuori non si veda completamente nulla degli interni. In secondo luogo per via del memoriale nato spontaneamente su un albero di fronte all'ingresso grazie a biglietti, foto, fiori e qualunque altra cosa i fan abbiano lasciato in ricordo della cantante.
La casa al numero 30 di Camden Square dove visse e morì Amy Winehouse |
Il memoriale davanti alla casa |
È tempo di tornare verso la stazione della metro, ma mi accorgo che se metto Amy Winehouse su Google Maps il completamento automatico mi segnala anche un murale che dovrebbe essere vicino all'insegna di Camden Lock e che è stato realizzato dall'artista grafico JXC in occasione del decimo anniversario della morte della cantante. Decido di andarci, ma arrivato sul posto non lo trovo. Chiedo a due passanti mostrando la foto sul cellulare, ma nessuno mi sa aiutare. Lo trovo, dopo minuti di ricerca, in una strada stretta che porta a uno dei cortili del quartiere. Nonostante non si veda dalla strada principale, il murale è immenso, con il buio e lo vedo a fatica ma comunque trasmette quanto questo quartiere sia tuttora legato a lei.
Il murale di JXC |
Adesso il giro è finito davvero e torno veramente verso la stazione in cerca di un pub per mangiare, e mentre mi allontano rifletto su quanto Amy Winehouse abbia influenzato Camden Town e su quanto la sua vita sia legata a doppio filo a questo quartiere dove la si vede ovunque e la si sente ovunque. Perché anche se Amy ci ha lasciato il 23 luglio del 2011 tra queste strade è ancora viva.
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