mercoledì 9 settembre 2015

La morte di Kurt Cobain

La mattina dell'8 aprile 1994 una squadra di elettricisti della VECA Electric arrivò alla villa al numero 171 di Lake Washington Boulevard, nella città di Seattle, per installare un nuovo sistema di luci di sicurezza. Il proprietario della villa non era un cliente comune, ma il famoso cantante rock e leader dei Nirvana Kurt Cobain.

Intorno alle 8:40 Gary Smith, uno degli elettricisti, si avvicinò alle finestre della serra e vide a terra ciò che sulle prime gli sembrò un manichino. Ma guardando meglio si accorse di un rivolo di sangue che usciva dall'orecchio destro, una bionda chioma fluente, un orologio da polso e un fucile appoggiato sul petto. Chiamò il 911, quindi chiamò la sede della ditta per cui lavorava dove gli rispose il collega Bruce Williams a cui chiese che aspetto avesse Kurt Cobain per assicurarsi che l'uomo morto fosse proprio il padrone di casa; Williams non lo sapeva e chiese a sua volta a una collega poco lontano. La donna disse che Cobain aveva lunghi capelli biondi e carnagione chiara e questi pochi dettagli bastarono a Smith a capire che l'uomo morto era proprio il cantante dei Nirvana e da quanto poteva vedere sembrava che si fosse sparato.

Il 911 inviò una squadra del Seattle Police Department e una del Seattle Fire Department e come abitualmente accade i pompieri arrivarono prima. Trovarono le porte della serra chiuse dall'interno e una di esse addirittura bloccata con uno sgabello, quindi ruppero i vetri per accedere alla serra. Poco dopo arrivò anche il primo agente di Polizia, l'ufficiale Von Levandowsky, che scrisse in seguito nel suo rapporto di aver trovato il cadavere steso a terra così come aveva riferito Smith con accanto una scatola di sigari che conteneva una siringa, un cucchiaino e altri strumenti utili a iniettarsi droga in vena. Poco lontano dal cadavere su un tavolo trovò anche un messaggio di addio manoscritto infilzato con una biro in modo che non volasse via. Lewandosky omise di scrivere che la biro con il foglio era infilzata in un vaso di terriccio posto sul tavolo. Il testo della lettera diceva in sintesi che a Kurt non piaceva più la vita che faceva, non gli piaceva più scrivere musica né esibirsi davanti al pubblico e che sarebbe stato di cattivo esempio per la figlia. Prima dei saluti concluse con una frase che nel giro di poco sarebbe diventata tristemente celebre: I don’t have the passion anymore and so remember, it’s better to burn out than to fade away.

Il quadro di quanto avvenuto fu da subito piuttosto ovvio. Cobain si era sparato in bocca e nonostante avesse il viso sfigurato dall'esplosione il coroner della Contea di King, in cui si trova Seattle, poté verificarne l'identità sulla base delle impronte digitali e stimò che il decesso era avvenuto tre giorni prima, il 5 aprile. Nel pomeriggio il medico legale emise il comunicato ufficiale confermando ciò che tutti già sapevano: Kurt Cobain era morto per ferita da arma da fuoco autoinflitta.

Nonostante tutto sembrasse fin troppo chiaro, fin dalla prima settimana dopo il ritrovamento del cadavere hanno iniziato a diffondersi le prime teorie del complotto secondo cui Kurt Cobain sarebbe invece stato ucciso. I principali e più famosi esponenti di queste teorie sono il giornalista Richard Lee e l'investigatore privato Tom Grant che fu incaricato dalla cantante Courtney Love (vedova di Cobain) di far luce sull'accaduto.

La prima motivazione addotta da chi non crede al suicidio è che la lettera di Kurt trovata infilzata nel vaso non sarebbe attendibile in quanto le ultime righe sembrano scritte con una grafia notevolmente diversa dal resto del testo. Anzitutto non è chiaro cosa questa teoria vorrebbe dimostrare, quand'anche fosse vero che le ultime righe sono state scritte da un'altra mano non si capisce per quale motivo questo indicherebbe che Kurt è stato ucciso. A meno che non si voglia credere che i cospiratori siano stati talmente pasticcioni da prendere una vera lettera di Cobain, aggiungerne del pezzi scritti in modo notevolmente diverso, non accorgersi di ciò e poi avere usato il foglio come fasulla lettera di addio: francamente il tutto è oltre i limiti dell'assurdo.

Se questa considerazione non bastasse, la ricostruzione del biografo Charles Cross proposta nella volume Heavier than Heaven risolve comunque l'apparente mistero. Cobain scrisse la parte principale del testo mentre era steso a letto e con il foglio ancora attaccato al blocco, mentre le ultime righe furono aggiunte sul pavimento di linoleum della serra appoggiando il singolo foglio sul pavimento. Per via della superficie irregolare che cede sotto la pressione della penna Cobain fu costretto a tracciare lettere più ampie. In ultimo, è sufficiente verificare nella raccolta di testi manoscritti di Cobain intitolata Journals (Diari, nella traduzione italiana) pubblicata nel 2002 che Kurt abitualmente aggiungeva dopo una prima stesura frasi addizionali scritte malamente in caratteri più grandi. La lettera, così come gli altri oggetti rivenuti sulla scena, sono chiaramente visibili nella raccolta di oltre 30 foto della scena pubblicate dal Seattle Police Department nel 2014.

Un'altra argomentazione che viene spesso presentata da chi non crede al suicidio è che la dose di eroina presente nel sangue di Kurt fosse troppo alta perché se la fosse iniettato da solo. Un articolo pubblicato dal Seattle Post Intelligencer il 14 aprile del 1994 riportò che il livello di morfina fosse di 1,52 milligrammi per litro, secondo Tom Grant questo comporta che la quantità di eroina iniettata nel corpo di Cobain fosse di oltre 200mg, mentre la dose letale è intorno ai 100mg per un uomo di corporatura media. Ma a tal proposito va notato che i tossicodipendenti sviluppano livelli di tolleranza più alti, come confermato da alcuni medici interpellati sull'argomento da Dateline NBC; inoltre dopo l'iniezione lo stordimento non si verifica istantaneamente ma lascia un po' di tempo a disposizione e di poco tempo aveva bisogno Cobain per prendere il fucile e spararsi in bocca.

La tesi di Tom Grant è che l'eroina sia stata iniettata a Cobain forzatamente per poterlo uccidere ed inscenare il suicidio, ma come sempre le teorie del complotto presentano più lacune di quelle che credono di colmare. Infatti se così fosse Kurt avrebbe dovuto presentare segni di colluttazione su tutto il corpo, ma nessun rapporto ufficiale menziona la presenza di alcun segno di lotta sul cadavere.

Un'ulteriore argomentazione proposta da chi non crede al suicidio è che i rapporti della polizia riportano che sul fucile sono state trovate impronte digitali latenti e non utilizzabili. Sempre secondo la biografia di Charles Cross il coroner Nikolas Hartshorne ha spiegato che il motivo per cui le impronte non erano leggibili è che per via del rigor mortis Cobain stringeva il fucile tra le mani ed esso gli è stato strappato dalla presa. Le dita di Kurt pertanto si sono mosse sul fucile rendendo le impronte illeggibili.

Purtroppo anche in questo caso la morte prematura di una persona famosa è diventata occasione per ricercatori senza scrupoli o poco accorti di vendere libri e DVD. Ma finché le argomentazioni portate sono di questo spessore non vi è alcun motivo ragionevole per dubitare del fatto che Kurt Cobain si sia sparato. Anche la nuova indagine condotta nel 2014 dopo che il Seattle Police Department esaminò quattro filmati registrati su pellicola da 35mm sulla scena del decesso (di cui non è noto il motivo per cui non sono stati esaminati già nel 94) non ha portato ad alcuna novità ma solo alla conferma di quanto era ovvio sin dall'inizio.

Oltre a quelle citate all'interno dell'articolo, le fonti che abbiamo utilizzato per la nostra ricerca sono gli articoli Nirvana: The 1994 Cover Story on Kurt Cobain’s Death, ‘Into the Black’ di Gina Arnold pubblicato da SPIN, Kurt Cobain's death was indeed a suicide, police say di CBS News, Lawsuit to release graphic Kurt Cobain death photos thrown out di CBS News, il documentario The Last 48 Hours of Kurt Cobain e la ricchissima documentazione messa a disposizione dai siti Justice for Kurt e The Smoking Gun.

giovedì 3 settembre 2015

TSA - TSA

I TSA sono una delle formazioni di punta della scena metal polacca e più in generale del ricco panorama rock dell'Europa orientale. Il loro nome procede sulla tradizione polacca di usare acronimi di tre lettere come nomi delle band anche se il significato esteso, ammesso che ne esista uno, non è mai stato chiarito. Il loro primo ed eponimo album risale al 1983 e getta le basi di quello che sarà il suono distintivo del gruppo per tutta la sua carriera. La musica dei TSA si ispira ampiamente a diversi gruppi della NWOBHM come i Judas Priest o i Saxon ma attinge anche largamente dal rock anni '70 prendendo spunti da band come i Deep Purple o gli Uriah Heep. I TSA infatti spaziano nei loro suoni dal metal classico, allo speed metal, all'hard rock fino al blues rock.

Degli otto brani, sette sono veloci e potenti e ad essi si aggiunge una sola ballad intitolata Trzy zapałki dalle sonorità marcatamente blues che a nostro giudizio rappresenta il punto più basso del disco, ma tolto questo breve momento di noia i restanti pezzi si assestano su una qualità decisamente alta. Tra i brani spiccano il trascinante pezzo di apertura Wysokie Sfery e quello più palesemente speed metal intitolato Na co cie stać. Non è solo la musica della band a caratterizzare i brani ma anche il potente cantato del vocalist Marek Piekarczyk che si lancia spesso in acuti e urli imitando le leggende del metal come Rob Halford e dimostrando di esserne ampiamente capace.

Il risultato è un album di ottima musica, molto energica e divertente che dimostra che i gruppi dell'est Europa possono competere a testa alta con quelli angloamericani più noti e celebrati. A un solo anno di distanza dalla pubblicazione l'album è stato ristampato con gli otto brani cantati in inglese e con il titolo Spunk!, francamente abbandonando la lingua madre la musica dei TSA perde un po' della sua originalità e quindi preferiamo la versione in polacco.

Il primo album non rappresenta un'eccezione nella discografia dei TSA che realizzarono ottimi album per tutta la loro carriera e anche il secondo, intitolato Heavy Metal World, fu poi tradotto in inglese ma senza cambiarne il titolo. Purtroppo i TSA hanno registrato in totale solo 5 album in studio di cui l'ultimo risale al 2004, dopo oltre dieci anni dal precedente; da allora la band ha concentrato la sua attività sulle esibizioni dal vivo senza quindi produrre materiale nuovo ma mantenendo così viva la propria ottima tradizione musicale.

giovedì 27 agosto 2015

Body Count - Body Count

Ice-T è noto al grande pubblico per essere un celeberrimo gangsta rapper (forse il migliore di sempre), un attore di successo di cinema e di serie televisive e il protagonista di ben due reality show. Ma oltre a tutto questo è anche il front man di un gruppo metal da lui stesso fondato: i Body Count. E mentre altri passano da carriere di gruppo a quelle soliste e anche al cinema per dimostrare di non saper far nulla di tutto ciò (come ad esempio Rob Zombie), la grandezza di Ice-T sta anche nel fatto che gli riesce bene ogni avventura in cui si cimenta.

Il primo ed eponimo album dei Body Count è uscito nel 1992 e unisce per la prima volta la voce forte e tonante di Ice-T al suono di chiara ispirazione thrash metal dei quattro musicisti. La musica, va notato, non raggiunge i livelli di velocità o di ricchezza di suoni di altre band più tradizionali del genere, come gli Anthrax o i Metallica, e parimenti la voce di Ice-T non arriva all'estensione dei cantanti di genere più navigati. Ma poco importa: l'effetto è voluto, perché quando si incontrano generi musicali così diversi è ovvio che ognuna delle due componenti deve rinunciare alle sue frange più estreme. In nessuno dei brani, comunque, Ice-T rappa come fa nei suoi dischi solisti; quando è alla guida dei Body Count canta dimostrando di sapersi difendere bene anche in questo campo.

Tra i brani migliori troviamo sicuramente l'energica title track che era già stata proposta uguale nel disco di Ice-T dell'anno precedente: O.G. Original Gangster, che rappresenta anche il punto più alto della sua carriera; peccato che nell'album della band manchi la divertente introduzione in cui il rapper si scagliava contro chi lo accusava di essersi venduto. Anche Voodoo è un pezzo di grande effetto in cui Ice-T imita il cantato di Screamin' Jay Hawkins. Tra i brani di punta troviamo anche la contestatissima e censuratissima Cop Killer, brano di grande impatto sonoro che però oggi fa sorridere pensando che chi nel 1992 cantava Cop Killer nel giro di pochi anni avrebbe interpretato per innumerevoli stagioni proprio un poliziotto nella serie televisiva Law and Order, ma dal punto di vista della qualità della musica poco importa.

Nonostante, come abbiamo già scritto, Ice-T canti più che rappare quando è alla guida dei Body Count, questo disco è considerato come una delle pietre miliari che hanno inaugurato il genere del rap metal insieme a Bring the Noise nella versione dei Public Enemy insieme agli Anthrax uscita nel 1991 (lo stesso anno di O.G. Original Gangster).

Come ogni tentativo di unire genere musicali all'apparenza opposti, anche questo album dei Body Count ha raccolto molte critiche da parte dei sostenitori più estremisti dei due generi musicali di cui è formato. Ma vista la qualità della musica proposta, a questi non possiamo che rispondere con le parole dello stesso Ice-T: I feel sorry for anybody who only listens to one form of music.

giovedì 13 agosto 2015

Buddy Guy - Born to Play Guitar

Alla veneranda età di 79 anni il leggendario bluesman Buddy Guy sforna ancora ottimi album con una regolarità e una frequenza impressionanti e la sua grandezza non sta solo nella costanza ma anche nella capacità di non restare fermo ai modelli del passato e di sapersi sempre rinnovare.

La sua ultima fatica intitolata Born to Play Guitar è stata pubblicata il 31 luglio dei 2015 a soli due anni dal precedente e ottimo Rhythm & Blues. L'album è composto da 14 brani nei quali spazia dal blues di Chicago di stampo più classico a un blues rock decisamente più moderno e in tutti i brani il ruolo del protagonista è affidato alla chitarra elettrica e alla sua voce.

Il disco parte con un ottimo brano che porta lo stesso titolo dell'intero album e che con il suo ritmo lento e scandito dalla chitarra e dalla tastiera riporta subito alle atmosfere più classiche dell'epoca d'oro del blues. Il secondo brano intitolato Wear You Out vede la presenza di Billy Gibbons degli ZZ Top come ospite e grazie al suono potente delle chitarre e al suo incedere energico è il miglior brano di tutto il disco. Anche Kim Wilson dei Fabulous Thunderbirds è presente in due brani, Too Late e Kiss Me Quick, solo in verste di armonicista ma con il suo strumento crea splendidi duetti con la chitarra di Buddy Guy. Tra gli ospiti troviamo anche Joss Stone che si lancia in un divertente duetto nel brano (Baby) You Got What it Takes e Van Morrison in una lenta ballata intitolata Flesh & Bone dedicata alla memoria del compianto B.B. King.

Tra i brani degli di nota troviamo anche le allegre e veloci Thick Like Mississippi Mud e Whiskey, Beer & Wine, ma in generale è difficile distinguere brani migliori all'interno di questo meraviglioso capolavoro: Buddy Guy non sbaglia un solo colpo per l'intero disco e tutte le 14 tracce sono davvero ottime ed è più che ovvio che le sue doti di chitarrista e di cantante non sono minimamente scalfite dall'età.

E' veramente un piacere vedere che nonostante sia prossimo agli ottanta Buddy Guy abbia ancora la salute, la voglia e la capacità di produrre ottima musica che può far impallidire chitarristi con meno della metà dei suoi anni. Ci auguriamo che possa continuare su questa strada per ancora tanti e tanti anni.

giovedì 6 agosto 2015

Xandria - Fire and Ashes

I tedeschi Xandria non sono tra i più blasonati gruppi del panorama symphonic metal, ma sono sicuramente tra i migliori esponenti di questo movimento. Con l'EP Fire & Ashes pubblicato il 31 luglio del 2015 sono alla seconda prova in studio con la nuova cantante Dianne van Giersbergen dopo l'album Sacrificium del 2014.

Il disco è composto da tre brani inediti, due versioni nuove di pezzi tratti dagli album precedenti e due cover. La band sostanzialmente ripropone il proprio suono distintivo fatto di forti basi metal contraddistinte dal pesante suono delle chitarre a cui si somma la voce cristallina della cantante che spesso volge il proprio canto in lirico. I primi due inediti intitolati Voyage of the Fallen e Unembraced sono entrambi veloci e trascinanti e in particolare il primo è impreziosito dalla presenza massiccia di un coro che si accosta alla voce della cantante. Il terzo brano intitolato In Remembrance è invece una ballata di grande effetto che mette ancora più in luce la potenza vocale di Dianne.

La prima delle due cover è I'd Do Anything for Love di Meatlof; la scelta del pezzo può sorprendere e proprio per questo è il brano più interessante dell'intero disco perché sebbene dal punto di vista musicale sia suonata in modo del tutto simile all'originale la voce di Dianne è ovviamente notevolmente diversa da quella di Meat Loaf e questo dà un tocco di particolarità al brano trasformandolo il qualcosa di completamente diverso.

L'EP prosegue poi con le due autocover Ravenheart e Now & Forever, sostanzialmente uguali alle versioni originali ma cantate da Dianne anziché da Lisa Middelhauve. Il disco si chiude con la cover di Don't Say a Word dei Sonata Arctica leggermente accelerata rispetto all'originale e impreziosita dal canto lirico di Dianne che la rende molto più interessante e particolare del pur bel pezzo originale.

Gli Xandria non sono sicuramente degli innovatori, fanno parte indubbiamente della schiera di emuli dei Nightwish nati dopo il grande successo di questi ultimi e il loro suono non è mai troppo dissimile tra un disco e l'altro; ma questo non toglie che siano tra i migliori di quelli che hanno seguito il percorso tracciato dalla band finlandese e che la loro musica meriti di essere ascoltata e apprezzata. Il loro ultimo EP non fa eccezione.

giovedì 30 luglio 2015

Quando i Kiss furono scambiati per un gruppo di imitatori

Psycho Circus del 1998 fu il disco della reunion, la band era tornata alla sua formazione originaria dopo che Peter Criss ed Ace Frehley avevano ripreso il loro posto nel gruppo. Prima dell'uscita del disco la reunion era stata festeggiata con un tour mondiale intitolato Alive/Worldwide Tour e ma con la pubblicazione di Psycho Circus la band partì subito per un nuovo tour che iniziò la notte di Halloween del 1998 al Dodger Stadium di Los Angeles.

Lo spettacolo, trasmesso in diretta via radio e via internet, durò oltre due ore e fu un grande successo dovuto anche a una band di supporto assolutamente d'eccezione: gli Smashing Pumpking, che per la notte di Halloween si esibirono vestiti da Beatles, con tanto di logo The Beatles sulla grancassa, e suonarono ben dieci pezzi. Con i suoi 32000 spettatori il concerto di apertura fu uno di quelli con più affluenza di pubblico dell'intero tour, superato solo dalle tappe in Argentina, Brasile e Messico.

Ma se ciò che successe sul palco è ben noto, ciò che accadde dopo il concerto è invece stato raccontato solo recentemente da Paul Stanley nella sua autobiografia intitolata Face the Music (disponibile in italiano con il titolo Dietro la maschera) pubblicata nel 2014. La band alloggiava al Sunset Marquis di Hollywood e appena dopo lo spettacolo salì sul furgone, ancora con il trucco, per tornare in albergo. Ma nelle vicinanze dell'hotel le strade erano congestionate, avevano sottovalutato la parata di Halloween.

Il furgone non poteva muoversi, ma a Paul venne un'idea: scendere a proseguire a piedi per i sette isolati rimanenti. "Come on, let's go", disse. Il resto della band protestò: "What? We're in full gear!", ma Paul insistette dicendo che ad Halloween tutti erano mascherati e nessuno li avrebbe notati.

Camminarono tra la folla, dapprima indisturbati. Poi un gruppo di persone si fermò a guardarli e fece loro i complimenti per i costumi così somiglianti agli originali, altri si limitarono a gesti di approvazione con il pollice verso l'alto. La band ringraziò in risposta ai complimenti.

Nessuno dei partecipanti alla parata si accorse che quei quattro vestiti da Starchild, Demon, Spaceman e Catman erano gli stessi che poco prima avevano suonato davanti a 32000 persone.

giovedì 23 luglio 2015

La morte di Brian Jones

Il giorno della sua morte Brian Jones era già l'ex chitarrista dei Rolling Stones, la band lo aveva escluso dalla formazione per via del suo pessimo carattere da circa un mese. Il 2 luglio del 1969 a Cotchford Farm, la sua residenza ad Hartfield nell'East Sussex, erano presenti altre due persone oltre a Brian Jones e alla sua fidanzata Anna Wohlin. Il primo era l'imprenditore edile Frank Thorogood che aveva l'incarico dei lavori di ristrutturazione della casa; Thorogood era stato presentato a Jones dall'autista del gruppo Tom Keylock e alloggiava momentaneamente in un appartamento sopra al garage della villa per poter presidiare i lavori in modo più efficace. La seconda persona era un'infermiera diplomata chiamata Janet Lawson che diceva di essere la fidanzata di Thorogood e che momentaneamente alloggiava con lui.

I rapporti tra Jones e Thorogood non erano buoni, il chitarrista era furioso con l'imprenditore per la qualità scadente dei lavori: solo pochi giorni prima una trave della cucina era caduta dal soffitto mancando Anna per pochi centimetri. Secondo qualche ricostruzione Jones aveva già licenziato Thorogood prima del 2 luglio, secondo molti altri stava valutando se farlo ma non aveva ancora preso una decisione finale. Questa seconda versione è molto più realistica perché se Jones avesse già licenziato Thorogood non si capisce perché questi alloggiasse ancora nella casa del chitarrista.

La sera del 2 luglio fino circa alle 22:30 Brian e Anna stavano guardando in televisione il famoso show Rowan & Martin's Laugh-In, quindi Brian si alzò per andare nell'appartamento di Frank e invitare i due per un drink a bordo piscina. Frank e Janet accettarono e si portarono alla piscina dove Brian e Anna erano già seduti. I quattro bevvero brandy, vodka e whiskey e di tanto in tanto Brian assunse delle pastiglie di tranquillante. Prima di mezzanotte Brian propose di fare un bagno in piscina. Le due donne rifiutarono, Anna disse che aveva freddo e fece per tornare in casa e Janet la seguì non dopo aver tentato di far desistere Brian che non riteneva potesse nuotare in quella condizione di ebbrezza.

I due uomini si tuffarono in piscina e poco dopo anche Frank rientrò in casa in cerca di sigarette. Quello che accadde all'interno della casa è oggetto di numerose ricostruzioni discordanti; è sicuro che Anna salì in camera per cambiarsi e che un attimo dopo fu impegnata in una telefonata ma non è chiaro se la fece o se la ricevette e chi dei tre sollevò per primo il ricevitore. Ciò che è certo è che per qualche minuto Thorogood rimase in piscina da solo con Jones e che poco dopo anche Thorogood venne via.

Janet rimase poco in casa e tornò fuori dove vide Brian Jones sul fondo della piscina a faccia in giù inerte. Janet urlò chiedendo aiuto, Anna sentì subito le urla perché la finestra della sua camera era rivolta proprio verso la piscina. L'infermiera tentò di estrarre Jones dall'acqua, ma da sola non ci riuscì. Nel frattempo Anna abbandonò il telefono sul letto, senza riagganciare, e corse fuori insieme a Thorogood. In tre estrassero Brian dalla piscina e Janet iniziò subito a praticargli la respirazione bocca-a-bocca per poi lasciare questo compito ad Anna in modo da poter eseguire il massaggio cardiaco. Nel frattempo Thorogood rientrò in casa per chiamare soccorsi, ma perse dei secondi preziosi perché Anna aveva lasciato il telefono scollegato.

L'ambulanza arrivò poco dopo mezzanotte seguita dalla polizia. Brian Jones fu dichiarato morto per cause accidentali dovute ad abuso di alcol e droga. La quantità di alcol nel sangue di Jones era di 140 milligrammi per decilitro: una quantità che non uccide ma che può pesantemente intontire. Inoltre dall'autopsia emerse che il cuore e il fegato di Jones erano gravemente compromessi dall'abuso di alcol e stupefacenti.

Per 25 anni questa teoria fu l'unica accettata, fino a quando nel febbraio del 1994 Tony Keylock dichiarò che Frank Thorogood (insieme ad Anna Wohlin nella foto accanto) poco prima di morire di tumore nel 1993 gli rivelò di aver ucciso Jones tenendolo sott'acqua; ma l'omicidio non fu volontario, Thorogood voleva solo spaventare Jones e farlo riemergere ma la situazione gli scappò di mano. In seguito anche Anna e Janet cambiarono le proprie versioni dei fatti per dare credito all'ipotesi che Thorogood avesse ucciso Jones. Anna pubblicò nel 1999 un volume intitolato The Murder of Brian Jones in cui racconta i fatti cambiando pochi dettagli rispetto alle sue prime deposizioni ma soffermandosi maggiormente sui rapporti tesi tra Thorogood e Jones e incolpando l'imprenditore di omicidio. Janet dichiarò al Daily Mail nel 2008 che la sua prima deposizione fu gravemente modificata dall'agente di polizia che la raccolse e aggiunse di non essere mai stata la fidanzata di Thorogood ma piuttosto di essere stata legata a Keylock il quale le aveva chiesto di andare per un periodo di tempo a Cotchford Farm per tenere sotto controllo Brian; Janet cambiò versione anche sulle cause della morte sostenendo anche lei di ritenere Thorogood responsabile per via del suo malcelato nervosismo poco prima che si scoprisse il cadavere.

Nonostante la teoria dell'omicidio perpetrato dall'imprenditore non sia del tutto folle va sottolineato che gli indizi in questo senso sono molto deboli. Tutta la teoria è basata su una confessione sul letto di morte che come ovvio lascia il tempo che trova perché il morto non può confermare o smentire e perché vi è un unico testimone. Anche i racconti delle due donne hanno poco peso perché entrambe hanno puntato il dito verso Thorogood solo dopo la supposta dichiarazione in punto di morte e a distanza di decenni dall'accaduto. Inoltre nessuna delle due è stata comunque testimone oculare e quindi le loro sono solo supposizioni.

Basta anche il comune buon senso a capire che questa teoria non è del tutto solida. Che Thorogood abbia ucciso Jones tenendolo sott'acqua implica necessariamente che il musicista non abbia minimamente tentato la difesa; altrimenti avrebbe avuto segni di colluttazione mentre né i testimoni né il medico li hanno mai menzionati e Anna avrebbe sentito le urla dalla finestra che si affaccia sulla piscina. Quindi dobbiamo ipotizzare che Jones fosse talmente stordito dall'alcol e dalle droghe da non essere in grado di difendersi, ma se era talmente stordito da non sapersi difendere l'ipotesi secondo cui era altrettanto incapace di nuotare torna ad essere la più probabile. Inoltre è veramente assurdo che Thorogood volesse fare uno scherzo così pesante al proprio committente: come unica conseguenza avrebbe ottenuto una denuncia per tentato omicidio e l'esonero dall'incarico dei lavori.

Tra le prove spesso portate a favore della teoria dell'omicidio c'è il fatto che il cadavere si trovasse sul fondo della piscina. Ma questo comportamento è assolutamente normale, qualunque cadavere di norma va a fondo e riemerge solo dopo ore quando si sono sviluppati dei gas intestinali (i testi da noi consultati sul comportamento dei cadaveri in acqua sono Crimini e farfalle di Cristina Cattaneo e Monica Maldarella, Manuale completo di medicina legale di Giuseppe Briand e Giuseppe Saverio Brosson e il paragrafo The Body in Water di questo documento dell'FBI).

Un'altra teoria vuole che Jones sia stato ucciso da Thorogood ma con l'aiuto dei suoi operai. Questa tesi è sostenuta da A. E. Hotchner nel libro Blown Away: The Rolling Stones and the Death of the Sixties, l'autore cita come proprie fonti le testimonianze di Dick Hattrell, ex manager della band, e di un amico di Brian che ha voluto restare anonimo e che si fa chiamare "Marty". Hattrell avrebbe saputo dagli operai di Thorogood che quella sera erano presenti anche loro a Cotchford Farm e che insieme a Frank hanno annegato Brian involontariamente, ma negli anni Hattrell ha smentito varie volte di aver detto questo. Marty sarebbe invece stato testimone oculare dell'omicidio ma in oltre quarant'anni non è mai uscito allo scoperto; l'uomo menziona anche la presenza di due donne legate sentimentalmente ai lavoratori le quali però restano anonime e non si sono mai fatte avanti per testimoniare. In realtà bastano le testimonianze di Anna e Janet a confermare che nessun operaio di Thorogood era presente quella sera. L'unica spiegazione sarebbe quindi che nei pochi minuti in cui le due donne hanno lasciato Brian solo con Thorogood gli operai siano intervenuti, abbiamo ucciso il musicista e poi siano scappati senza farsi vedere dalle due ragazze. Si tratta francamente di un'assurdità piuttosto evidente visto il poco tempo a disposizioni e l'ovvio rischio di essere scoperti.

Pur non potendo mettere la parola "fine" sull'intera vicenda, a oltre quarant'anni dall'accaduto l'ipotesi dell'incidente resta la più credibile e probabile.

Oltre a quelle già citate le fonti che abbiamo consultato sono The Stones: The Definitive Biography di Philip Norman, Amy, 27 di Howard Sounes, Brian Jones: The untold life and mysterious death of a rock legend di Laura Jackson, Old Gods Almost Dead di Stephen Davis, Sympathy for the Devil di Paul Trynka.