giovedì 12 maggio 2016

H-Bomb - Attaque

La carriera dei parigini H-Bomb è stata molto breve essendo il gruppo rimasto in attività per soli quattro anni dal 1982 al 1986. La loro prima produzione in studio risale al 1983 con il celebre EP Coup de Metal a cui è seguito nel 1984 l'unico album intero della band intitolato Attaque; nel 1986 il gruppo pubblicò anche due lavori in lingua inglese: il singolo Stop the Lights e l'EP To Feel is Pain entrambi inseriti come bonus track nella ristampa in CD di Coup de Metal del 1998.

Il loro lavoro più importante resta quindi il primo e unico LP che è caratterizzato da sonorità metal classiche che attingono dai modelli musicali della NWOBHM e che tendono a tratti verso lo speed metal, ispirandosi ai giganti dell'hard rock e del metal come i Judas Priest o i Saxon. Già dalla prima traccia Attaque/Exterminateurs carica di energia il gruppo dà prova di quale vuole essere il suo suono distintivo ricco di riff di chitarra e velocità elevata. Il cantante Didier Izard si cimenta fin dall'inizio del disco in scream e acuti che mostrano subito la sua notevole estensione imitando in parte lo stile dei mostri sacri del genere come di Rob Halford o Bruce Dickinson.

E' difficile individuare brani migliori di altri perché tutte le tracce del disco sono notevoli e di alto livello e se c'è una critica che può essere mossa ad Attaque è proprio quella di non offrire una grande varietà di suoni perché il disco è composto da dieci tracce veloci ed energiche e non ci sono brani melodici né ballad. Spiccano comunque Substance Mort che è il pezzo più speed metal del disco, Crache et Crève che inizia con un potente riff di chitarra per poi sfociare in un brano metal piuttosto classico e Fou Sanguinaire grazie al potente ritornello in cui Izard dà la miglior prova delle sue doti vocali per potenza ed estensione.

Nonostante questo disco sia un ottimo pezzo di puro metal è poco conosciuto così come gli H-Bomb non godono della fama che meritano perché spesso messi in ombra da gruppi più rappresentativi della scena metal francese come Blasphemie, ADX e Sacrilege. Ma nonostante la scarsa notorietà gli H-Bomb reggono benissimo il confronto con i loro colleghi più noti e la brevità della loro carriera ha fatto sì che non conoscessero cali di qualità nelle loro produzioni, tra le quali il loro primo e unico album è una perla da riscoprire.

giovedì 5 maggio 2016

The Roots of Guns N' Roses: le uniche registrazioni degli Hollywood Rose

Prima di essere il vocalist dei leggendari Guns N' Roses, Axl Rose fu il cantante di un gruppo da lui stesso fondato a Los Angeles nel 1983: gli Hollywood Rose.

La prima formazione degli Hollywood Rose vedeva oltre ad Axl i chitarristi Chris Weber e Izzy Stradlin, il batterista Johnny Kreis e i bassisti Rick Mars, Andre Troxx e Steve Darrow. Dopo un solo anno dalla fondazione la formazione vide alcuni importanti cambi di formazione dopo che Weber colpì accidentalmente Axl alla testa con la paletta della chitarra durante un'esibizione dal vivo nella trasmissione televisiva Music Machine. Axl abbandonò l'esibizione e in seguito allo screzio Weber fu licenziato; oltre a Weber anche Stradlin e Kreis lasciarono il gruppo. I chitarristi furono sostituiti da Slash e il batterista da Steven Adler.

Anche la nuova formazione durò poco e in seguito ad altre liti, altri abbandoni e alcuni rientri gli Hollywood Rose si fusero con gli L.A. Guns e il nuovo gruppo assunse il nome di Guns N' Roses. La formazione originale vedeva Axl e Izzy Stradlin degli Hollywood Rose e Tracii Guns, Ole Beich e Rob Gardner degli L.A. Guns. Poco dopo i tre ex membri degli L.A. Guns uscirono dalla nuova band e furono sostituiti da Duff McKagan, Slash e Steven Adler lasciando così i Guns N' Roses di fatto privi di elementi provenienti dagli L.A. Guns, ma formando così quella che fu per anni la formazione storica.

Tracii Guns riformò quindi gli L.A. Guns con un altro cantante e con altri musicisti e la carriera del gruppo procede tutt'ora dopo oltre trent'anni e nonostante liti, scissioni e cambi di formazione che non hanno impedito agli L.A. Guns di dimostrarsi nei decenni più costanti e duraturi dei più celebri Guns N' Roses.

Gli Hollywood Rose invece ebbero una carriera molto breve ed esiste un solo disco che contiene il materiale registrato in quel breve periodo. L'album, intitolato The Roots of Guns N' Roses, è stato pubblicato nel 2004 grazie alla produzione proprio di Chris Weber e contiene i cinque brani registrati prima dello screzio tra Weber e Axl in tre diverse versioni ciascuno.

I cinque pezzi del disco sono:
  • Killing Time: brano veloce e aggressivo in tipico stile GNR
  • Anything Goes: che fu poi reincisa dai Guns N' Roses nell'album Appetite for Destruction
  • Rocker: altro brano veloce e tagliente in cui la voce di Axl dà già prova nella sua notevole estensione
  • Shadow of Your Love: reincisa nell EP del 1988 Guns 'N Roses pubblicato solo per il mercato giapponese e noto anche come Live From the Jungle per via della scritta in ideogrammi giapponesi riportata sulla obi strip
  • Reckless Life: in seguito reincisa ed inclusa nell'EP dei Guns 'N Roses Live ?!*@ Like a Suicide del 1986 che fu poi interamente incluso in G N' R Lies del 1988

Tutti e cinque i pezzi sono presenti sull'album sia in versione demo originale senza sovraincisioni successive, con tanto di voce introduttiva che ne annuncia il titolo seguito da take 1, sia in due versioni remixate. Delle cinque tracce sono infatti presenti i remix del chitarrista Gilby Clarke (che in seguito avrebbe avuto un posto fisso nei Guns N' Roses dopo l'abbandono di Izzy Stradlin) e quelli del batterista dei Cinderella Fred Coury. Come riportato dal retro di copertina della versione in CD, le versioni di Clarke di Reckless Life e Shadow of Your Love vedono anche la presenza di una sovraincisione di Tracii Guns alla chitarra; curiosamente sulla versione in vinile questa nota è omessa.

Un'altra bizzarria di questa incisione riguarda i nomi riportati come autori dei brani. Infatti Anything Goes, Reckless Life e Shadow of Your Love (cioè le tre che sono poi state reincise con il marchio Guns N' Roses) sono attribuite non solo ad Axl Rose, Chris Weber e Izzy Stradlin (indicato con il vero nome Jeffrey Dean Isbell) ma anche a Slash (indicato con il vero nome Saul Hudson), McKagan e Adler. Ma gli ultimi tre non avevano alcun legame professionale con Axl e gli Hollywood Rose ai tempi di questa incisione e l'unica spiegazione è che la scelta sia stata dettata da motivi legati ai diritti d'autore.

Ad aumentare la confusione riguardo a questa preziosa registrazione, nel 2007 il disco è stato stampato anche in Argentina per il mercato sudamericano con la medesima tracklist e riportando i medesimi autori, ma con copertina diversa su sfondo nero (foto sopra) che attribuisce l'intero disco non solo agli Hollywood Rose ma anche agli L.A. Guns, probabilmente per via della presenza di Tracii Guns perché le cinque tracce sono state registrate prima della fusione.

Nota: un gruppo chiamato Hollywood Rose con un logo molto simile a quello dei Guns 'N Roses ha inciso nel 2014 un live intitolato Live From Budapest facilmente reperibile su iTunes e Amazon, ma si tratta di una cover band che non ha nulla in comune con il primo gruppo di Axl.

giovedì 28 aprile 2016

La morte di Elvis Presley

Il 16 agosto del 1977 segnò una data fondamentale nella storia della musica perché nel primo pomeriggio di quel martedì il re del rock and roll Elvis Presley fu trovato morto in uno dei bagni della sua residenza di Graceland ponendo così una forzata fine alla carriera di uno dei più grandi interpreti della musica di tutti i tempi.

Nell'ultimo periodo Elvis conduceva una vita sregolata e senza orari, il giorno prima della sua morte si svegliò dopo le quattro del pomeriggio e quella stessa sera volle vedere il proprio dentista, il dottor Hofman, intorno alle 22:30 perché soffriva di forte mal di denti. Insieme a lui andò anche la donna con cui visse nell'ultimo periodo della sua vita, la ventunenne Ginger Alden con cui era fidanzato da meno di un anno. Il dentista praticò la pulizia della bocca e Elvis e gli fece anche alcune otturazioni, quindi visitò anche Ginger a cui pure praticò la pulizia della bocca. In quei giorni i rapporti tra Elvis e Ginger erano molto tesi perché il 16 agosto il cantante avrebbe dovuto partire per l'ennesima tournée della sua carriera e voleva che la ragazza lo seguisse, ma Ginger sosteneva di avere degli impegni che l'avrebbero trattenuta a Memphis e che lo avrebbe raggiunto in seguito.

Elvis e Ginger tornarono a Graceland alle 00:28 dalla visita dal dentista e mentre il cantante era ancora in macchina durante il suo ultimo spostamento gli fu scattata quella che rimarrà per sempre la sua ultima foto in vita. Alle 2:15 Elvis chiamò il suo medico personale, il dottor George Nichopoulos chiedendogli un analgesico perché uno dei denti curati da Hofman gli faceva ancora male, il medico gli prescrisse il Dilaudid ed Elvis chiamò quindi il fratellastro Rick Stanely chiedendogli di ritirare la prescrizione dal medico e le medicine dalla farmacia del Baptist Memorial Hospital. In rete si trova facilmente una copia della prescrizione del dottor Nichopoulos che include degli stimolanti oltre al Dilaudid, ma si tratta di un falso che veniva venduto insieme al bootleg Elvis' Greatest Shit del 1982 che nelle intenzioni di chi lo ha realizzato doveva raccogliere il peggior materiale mai registrato da Elvis. Nel documento falso il nome del medico è scritto sbagliato, Nichopolous invece di Nichopoulos, così come è sbagliato anche il codice di avviamento postale, 34108 invece di 38104.

Dopo aver assunto le medicine portategli da Stanley. Alle 4 di notte, ancora non riuscendo a dormire, Elvis svegliò il cugino Billy Smith e la moglie Jo per una partita di racquetball (sport simile allo squash ma giocato con una palla di gomma) con lui e Ginger, pensando che l'esercizio fisico lo avrebbe aiutato a tenere il peso sotto controllo, del resto la forma fisica sarebbe tornata a essere un fattore determinante vista l'imminente tournée. Nonostante Billy e Jo fossero addormentati a casa loro, accettarono l'invito e andarono a Graceland a giocare. Giocarono dapprima le due ragazze, poi Elvis e Ginger, poi Billy e Jo e poi Billy ed Elvis ma la partita dei due uomini degenerò in fretta e i due cominciarono a tentare di colpirsi reciprocamente con la palla, finché Elvis non si fece male allo stinco con la sua stessa racchetta. La partita finì con una risata di gruppo, quindi Elvis portò Ginger, Billy e Jo nella sala dove teneva il piano e intrattenne i suoi tre ospiti suonando e cantando due brani gospel e la canzone Blue Eyes Crying in the Rain di Fred Rose che Elvis aveva inciso per il suo penultimo album From Elvis Presley Boulevard, Memphis, Tennessee e Unchained Melody che Elvis aveva inciso per il suo ultimo album Moody Blue.

Verso le cinque del mattino Elvis e Ginger tornarono e letto e mentre il cantante camminava verso la sua stanza vide la figlia Lisa Marie ancora sveglia, la rimise a letto dandole un bacio della buona notte. Arrivato in stanza chiese a Rick di portargli altri sonniferi e il fratello gli consegnò il primo pacchetto di medicine che assunse quella mattina. Non riuscendo a dormire Elvis prese altre pastiglie alle 7 e ancora altre alle 8. Purtroppo le medicine assunte non ebbero l'effetto sperato e alle 9 Elvis, in preda a dolori addominali dovuti a una grave costipazione, si alzò dal letto dicendo a Ginger che sarebbe andato in bagno a leggere portando con sé un libro.

Nel frattempo Ginger si addormentò e si svegliò tra l'una e trenta e le due del pomeriggio non trovando Elvis accanto a sé. Non si allarmò da subito ed andò dapprima a lavarsi e truccarsi in un altro bagno, quindi andò a cercare Elvis nel bagno in cui l'uomo si era chiuso dalle 9 e dopo aver bussato senza ottenere la porta entrò e trovò il cantante steso a terra sul fianco sinistro con ancora i pantaloni abbassati in stato di incoscienza e con il viso immerso in una pozza di vomito. In preda allo spavento Ginger chiamò la governante al piano di sotto con l'interfono e questa inviò Al Strada, una delle guardie di Elvis, e il suo road manager Joe Esposito (nessuna relazione con l'omonimo cantante) che arrivò di corsa dal Howard Johnson Hotel e che capendo subito della gravità della situazione chiamò il soccorso medico e subito dopo chiamò anche Nichopoulos. Ginger, Al e Joe girarono il corpo sulla schiena ma questo era già freddo e rigido, provarono comunque a praticargli la rianimazione cardio-polmonare ma per via del rigor mortis la bocca di Elvis non si aprì, segno che il cantante era già deceduto da alcune ore e quindi ogni tentativo di rianimarlo sarebbe comunque stato vano. Sopraggiunsero sulla scena anche Vernon Presley, il padre del cantante, e Lisa Marie che Ginger tenne fuori dalla stanza per non farle vedere il cadavere del padre.

I paramedici arrivarono a Graceland alle 14:33, nonostante il cadavere fosse ormai freddo provarono comunque anche loro a rianimarlo e continuarono a farlo durante in tragitto verso l'ospedale anche intubandolo e somministrandogli degli stimolanti. Nel frattempo arrivò anche Nichopoulos che salì sull'ambulanza e diede istruzioni di portare Elvis al Batpist Memorial Hospital e non al Methodist South Hospital che sebbene fosse più vicino non aveva mai avuto Elvis in cura e quindi i registri relativi al cantante si trovavano al Baptist Memorial dove inoltre Nichopoulos aveva numerose conoscenze. Ma una volta arrivato all'ospedale, alle ore 15 Elvis Presley fu dichiarato morto.

L'autopsia iniziò il giorno stesso del decesso e questa accertò che il fegato del cantante era gravemente danneggiato, il cuore ingrossato e l'intestino occluso da materiale fecale. Gli esiti degli esami furono consegnati alla famiglia solo due mesi dopo e rilevarono nel corpo di Elvis la presenza di ben 14 farmaci di cui dieci ampiamente oltre i limiti imposti dall'uso terapeutico. L'ipotesi sostenuta dai patologi fu quindi che l'abuso di farmaci causò il decesso di Elvis Presley. Tuttavia il medico legale della contea di Shelby, il dottor Jerry Francisco, sostenne da subito che si trattò invece di un problema al cuore. Tutt'ora a quasi quarantanni dalla morte di Presley il dibattito su quale fu la causa del decesso è ancora aperto tra chi sostiene che il motivo sia l'abuso di farmaci e chi sostiene un evento di tipo cardiaco causato dallo sforzo della defecazione. Di questa seconda opinione è anche il dottor Shepperd della trasmissione televisiva Autopsy trasmessa da Channel 5 che nella puntata dedicata alla morte di Elvis fa notare che prima di morire il cantante di alzò dalla toilette e fece alcuni passi allontanandosi di un metro dalla toilette stessa e facendo cadere con la mano alcuni flaconi vicino al lavello. Di norma chi muore per abuso di farmaci perde coscienza e si addormenta, ma questo non sembra essere il caso di Elvis che al contrario si alzò e probabilmente aveva intenzione di chiedere aiuto.

Come tutte le morti premature di personaggi famosi anche il decesso di Elvis Presley ha dato vita a numerose teorie alternative tra le più fantasiose. Secondo alcuni Elvis sarebbe stato ucciso dal suo manager, il Colonnello Tom Parker, il quale sarebbe stato anche un agente dell'FBI incaricato di uccidere Elvis per evitare che questi rivelasse particolari scomodi che aveva scoperto sugli omicidi dei fratelli Kennedy. Ma si tratta di una delle tante ipotesi di complotto che si basa sul nulla; non vi è prova fattiva di nulla di tutto ciò.

Una teoria più nota vuole che Elvis abbia intenzionalmente abusato dei farmaci che aveva a disposizione per suicidarsi in quanto depresso. Ma se queste fossero state davvero le intenzioni del cantante avrebbe probabilmente cercato di ingerire tutte le dosi di medicine contemporaneamente (ad esempio accumulandole per l'ultima somministrazione se non poteva averle a disposizione prima senza destare sospetti da parte di Ginger o di Rick). Inoltre Ginger nelle interviste rilasciate dopo la morte di Elvis lo descrisse come euforico ed eccitato per la tournée che stava per intraprendere e questo non sembra proprio il quadro di una persona intenta a suicidarsi.

Ma la teoria alternativa più nota è senza dubbio quella secondo cui Elvis sarebbe vivo e si nasconderebbe da qualche parte del mondo, nessuno sa né dove né perché. Francamente questa teoria è più assurda di quella del suicidio e dovrebbe prevedere un gigantesco complotto di cui farebbero parte anche Nichopoulos, Francisco e tutti i medici che hanno avuto contatti con il cadavere di Elvis da Graceland fino all'autopsia. In rete e in alcuni libri si legge che Francisco avrebbe dichiarato che il cervello e il cuore di Elvis dopo l'autopsia sono rimasti al Baptist Memorial Hospital, nell'ambito di questa ricerca non abbiamo trovato la citazione originale e forse Francisco non ha mai proferito quella frase e quindi non possiamo prendere per assodato che Elvis sia stato sepolto senza questi organi vitali. Tuttavia anche senza questa smentita è oltre il ridicolo pensare che il cantante abbia finto la propria morte e non sia stato scoperto in quasi quattro decenni.

Le fonti che abbiamo utilizzato per questa ricerca sono i libri Careless Love: The Unmasking of Elvis Presley di Peter Guralnick, The Death of Elvis di Charles C. Thompson II e James P. Cole e The King and Dr. Nick: What Really Happened to Elvis and Me del dottor George Nichopoulos, i documentari Autopsy e Elvis Presley: The Last 24 Hours e numerose interviste rilasciate poco dopo l'accaduto da Ginger Alden facilmente reperibili su YouTube.

giovedì 21 aprile 2016

Trust - Répression

I parigini Trust vengono spesso definiti dalla critica e dalla stampa come la versione francese e più leggera degli AC/DC e nonostante la diversità linguistica imponga necessariamente una differenza anche nei suoni e nel cantato è effettivamente vero che l'hard rock veloce e divertente dei Trust non è molto lontano da quello dei più noti angloaustraliani. L'album migliore e più famoso della band è sicuramente il loro secondo intitolato Répression uscito nel 1980 ad un solo anno di distanza dal primo che porta il nome stesso della band. Il disco fu pubblicato poco dopo la morte del primo cantante degli AC/DC Bon Scott e infatti è dedicato proprio a lui, del resto il legame tra Scott e il cantante dei Trust Bernard Bonvoisin, detto Bernie, era molto stretto per via dell'amicizia che li legava e non solo. I Trust infatti nel loro primo album avevano inciso una cover del brano Ride On degli AC/DC ed esiste anche una registrazione live del pezzo che vede Bernie duettare con Scott, la registrazione è stata poi pubblicata nel bootleg Bon Scott Forever Volume 1. E nel loro album live Répression dans l'Hexagone i Trust eseguirono anche Live Wire e Problem Child sempre del gruppo angloaustraliano.

Répression è un disco di rock travolgente che volge verso il punk sia nelle sonorità che nelle tematiche trattate. E' composto da dieci tracce da cui emerge che nonostante le somiglianze i Trust offrono suoni diversi che non si trovano in nessun album degli AC/DC. Tutti i brani sono ovviamente veloci i incalzanti e come nel caso degli AC/DC non ci sono ballad né midtempo, ciò nonostante la varietà di suoni è nettamente superiore con un brano dalle tonalità smaccatamente rock and roll come Fatalité e anche uno i cui riff di chitarra tendono al blues intitolato Saumur. tra i brani migliori troviamo anche le energiche Antisocial, Passe e Les Sects con quest'ultima che vira decisamente verso lo speed metal.

Nello stesso anno il disco è stato ripubblicato con il medesimo titolo e cantato in inglese, rinunciando alla propria lingua di origine la musica dei Trust perde un po' di originalità ma ha guadagnato in diffusione visto che di due dei pezzi cantati in inglese sono state realizzate altrettante cover dagli Anthrax che nel loro album State of Euforia del 1988 hanno riproposto Antisocial e nell'EP Penikufesin del 1989 hanno inciso anche Sects (versione inglese della già citata Les Sects).

I Trust sono tra i più famosi gruppi rock tra quelli non anglofoni e nonostante la loro notorietà sia ancora ben lontana da quella delle band angloamericane la qualità della loro musica non ha nulla da invidiare a quella dei gruppi più famosi, purtroppo la loro carriera è durata troppo poco ma restano autori di grandi capolavori del rock, proprio come Répression.

giovedì 14 aprile 2016

Intervista a David Moretti

Gli anni 90 sono stati un decennio d'oro per il rock italiano e tra i vari gruppi che la nostra penisola ha prodotto spiccano qualitativamente su tutti gli altri i milanesi Karma. La band guidata dal frontman David Moretti ha pubblicato solo due album tra il 94 e il 96 che spaziano dal grunge al rock psichedelico arricchiti di suoni etnici e tribali. Chiusa l'avventura dei Karma e dopo oltre dieci anni di lontananza dalle scene nel 2007 lo stesso gruppo di musicisti tornò in studio sotto il nome di Juan Mordecai per registrare un unico album dalle sonorità molto varie.

Oggi David Moretti è direttore creativo di Wired a San Francisco e ha accettato la nostra proposta di un'intervista per raccontarci qualcosa di più sul suo profilo musicale e su come sono nati i tre album che ha inciso.

Ringraziamo David Moretti per la sua cortesia e disponibilità.


125esima Strada: Ciao David, e anzitutto grazie del tempo che ci dedichi. Parliamo come prima cosa dei Karma, come vi è venuta nei primi anni 90 l'idea di portare il grunge in Italia?

David Moretti: In realtà non ci siamo resi mai conto di essere “grunge”, forse fino alla produzione del primo album in italiano. I Karma nascono verso la fine degli anni 80 come cover band: Hendrix, Led Zeppelin, Pink Floyd, Rolling Stones, Beatles, Jefferson Airplaine… Ognuno di noi veniva da generi diversi: metal, punk rock, prog, hardcore, rock psichedelico. Il classic rock è stata la base sulla quale abbiamo costruito il nostro suono. Nel 1991 iniziammo a comporre musica nostra e a registrare il nostro primo “disco” in inglese sotto il nome di Circle of Karma. Fu Fabrizio Rioda dei Ritmo Tribale a convincerci a riscrivere i testi in italiano e nel 1992 abbreviammo il nome in Karma e iniziammo a farci conoscere come prodotto italiano. L’album omonimo uscì nel 1994 per Ricordi/Ritmi Urbani. Volevamo un suono contemporaneo e molte band dell’epoca avevano le nostre stesse radici: Pearl Jam, Mother Love Bone, King’s X, Alice in Chains, Soundgarden. Ma fu la stampa ad etichettarci come grunge.


125esima Strada: Come vi è venuta l'idea di mischiare il grunge e il rock con sonorità tribali ed etniche?

David Moretti: E’ difficile crederlo ascoltando il primo album, ma la vena acustica è sempre stata molto forte, tanto quanto quella psichedelica. Iniziammo a suonare con Pacho, il nostro percussionista, qualche mese prima dell’inizio delle registrazioni dell’album. Iniziammo a portare in giro uno spettacolo con percussioni industriali, lamiere, bidoni, perfino una lavatrice (!). Con lui fu amore a prima nota. Condivideva inoltre la mia “passione” per l’India e le filosofie orientali ed era (ed e’) un suonatore di tablas formidabile. Io suonicchiavo il sitar e una delle nostre jam finì come intro del nostro primo singolo La Terra. Il nostro secondo lavoro, Astronotus, nato come una lunga jam session di quasi 2 ore, e’ il frutto di questa miscela decisamente atipica.


125esima Strada: Personalmente trovo il tuo cantato in questa prima fase della tua carriera molto simile a quello di Layne Staley. Sei d'accordo con questa similitudine?

David Moretti: Grazie del complimento! Layne aveva una voce strepitosa. Ho sempre cantato in inglese, fin da giovanissimo. Amo molto le voci potenti ma versatili come Glenn Hughes, Doug Pinnick, Demetrio Stratos. Avendo una voce molto bassa e una discreta estensione mi è venuto naturale impostare i miei cantati su quei modelli. Layne e anche Vedder sono stati molto importanti nella mia fase di passaggio tra inglese e italiano. Il primo album è decisamente Alice in Chains, soprattutto nelle armonizzazioni dei cori.


125esima Strada: Parliamo invece degli Juan Mordecai, come è nato questo progetto e come ti è tornata da voglia di tornare in studio e sul palco a oltre dieci anni dall'avventura dei Karma?

David Moretti: Non ho mai smesso di comporre. Quando sei un musicista non vai mai in pensione. Mi sono così ritrovato dopo quasi dieci anni di distanza ad avere moltissimi brani archiviati. La vita ci aveva fatto prendere strade differenti, ma la persona con la quale mi vedevo più spesso era Andrea Viti che nel frattempo era entrato in pianta stabile negli Afterhours. Ognuno dei due si era attrezzato con un piccolo studio mobile casalingo e così iniziammo a scambiarci file audio. Alcuni pezzi erano talmente in sintonia che fu facile farne una playlist. Poi iniziammo a coinvolgere gli altri Karma, chi per una linea di chitarra, chi per le percussioni. In realtà gran parte del disco fu suonata e registrata da me ed Andrea tra il 2004 e il 2007. Ma ricontattare gli altri Karma fu l’inizio di un processo che ci riportò poi dal vivo per i due anni successivi.


125esima Strada: Cioè che stupisce del disco degli Juan Mordecai è l'incredibile varietà dei suoni proposti, a quali artisti vi siete ispirati per comporre i pezzi?

David Moretti: Juan Mordecai è un disco bastardo. Nel vero senso della parola. Tom Waits, Johnny Cash, ma anche MC5, Stooges potrei citarti migliaia di nomi. Siamo sempre stati onnivori musicalmente. Quando hai a disposizione 10 anni e poi fai una selezione, l’unico modo di tenere tutto insieme è farne un frullato. Per di più nessuno dei due ha mai avuto il controllo della cosa. “Mi serve una linea di basso”, “Ho bisogno di una melodia”, “ Ho aggiunto un solo, che dici?”… Questo è stato il modo con cui abbiamo messo insieme dieci pezzi. Anche la lunghissima jam finale è frutto di sovraincisioni a “distanza”. Quando uno di noi aveva il tempo aggiungeva qualcosa e passava all'altro. Per cucinare il tutto poi ci è servita una persona terza che prendesse le decisioni: il grande Taketo Gohara.


125esima Strada: Nei Karma cantavi in italiano e negli Juan Mordecai in inglese. Nella tua esperienza personale quali sono le caratteristiche e i pregi di ciascuna di queste due lingue da un punto di vista musicale e canoro?

David Moretti: Non sono mai stato un poeta, non è quello che sono. Amo la poesia, ma ho sempre trovato ingenua e banale ogni cosa che abbia fatto in quella direzione. Molte delle liriche dei Karma sono cut-and-paste di manuali di meditazione, saggi di filosofia, citazioni, fiabe orientali… Con l’inglese ho un rapporto più diretto, suona in me subito giusto. Almeno questa è la mia esperienza.


125esima Strada: Quali sono i tuoi musicisti preferiti di tutti i tempi?

David Moretti: Non riesco a fare una classifica. Ti direi i Led Zeppelin perché hanno ossessionato la mia adolescenza, perché trovo in loro molto dei suoni che amo dal rock britannico alle sonorità orientali. Ma è davvero molto difficile.


125esima Strada: Nella scena musicale attuale invece chi sono i tuoi preferiti?

David Moretti: Questa è ancora più’ difficile. Ti dico quello che ho aggiunto recentemente su Spotify: Iggy Pop – Post Pop Depression (con Josh Homme), Black Mountain – IV, Bee Caves – Animals with Religion. Adesso che vivo in California ascolto tantissima musica indipendente. Gli unici italiani che ascolto con molto piacere sono i Verdena. Per il resto sono completamente sconnesso.


125esima Strada: Essere un musicista ed essere direttore creativo di Wired sono profili professionali molto diversi, come riesci a coniugare questi due aspetti così all'apparenza distanti?

David Moretti: Nella mia vita ho sempre alternato grafica a musica e musica a grafica. A volte queste due cose si sono sovrapposte. Facevo il grafico per pagarmi l’università e il “vizio” della musica, poi mi sono ritrovato musicista “professionista” e quando la “professione” non mi ha più consentito di viverci sono tornato a fare il grafico.


125esima Strada: Ti rivedremo mai il sala di registrazione o su un palco?

David Moretti: Il bello di stare negli Stati Uniti e’ che qui suonano TUTTI. Molti dei miei colleghi hanno band e ogni tanto spariscono per una settimana girando in piccoli tour. Qui i locali ci sono, la gente va ai concerti e a nessuno gliene frega niente se hai 50 o 16 anni. Diciamo che sto scaldando l’ugola :)

giovedì 7 aprile 2016

Francess - Apnea

Il 2015 ha visto il debutto discografico della della giovanissima cantante italiana Francess, all'anagrafe Francesca English nata a New York nel 1989 da padre giamaicano e madre italiana, con il suo primo album intitolato Apnea. Nonostante la nota biografica sulla pagina di Facebook della cantante descriva la sua musica come soul, blues e jazz a noi sembra invece che questa afferisca all'R&B e sia più vicina a modelli come Erikah Badu, Monica o Blu Cantrell piuttosto che ad Alicia Keys o Norah Jones.

Ma a parte le etichette quello che importa è la caldissima voce di Francess offre dell'ottima musica di grande qualità e porta una ventata di sonorità nere in un paese che troppo spesso si ferma al pop di facile consumo. Di norma i dischi R&B presentano una predominanza di brani lenti, ma Apnea contrariamente alle aspettative offre un buon equilibrio tra brani lenti e altri più energici. L'album parte alla grande con la bellissima traccia di apertura intitolata Cool, proposta anche in chiusura in versione acustica, sostenuta dal forte giro di basso e di tastiere; anche il secondo brano In My Veins è piuttosto energico ed in questo sono i fiati ad avere il ruolo principale nell'accompagnare la voce di Francess.

Tra i brani lenti spiccano le bellissime Ashes Flesh and Bones, No Hero e The Other Half of Me affidate alla voce sensuale della cantante che riesce a creare l'atmosfera con grande efficacia. Mentre tra i pezzi più veloci meritano una menzione particolare anche le allegre e trascinanti Notes and Words, che chiude il disco prima della versione acustica di Cool, e Holding Your Breath. Tra gli altri brani veloci troviamo Never Know, caratterizzata da un insolito ritmo sincopato, e Upside Down, uptempo piuttosto tradizionale.

Tutte le undici tracce del disco sono comunque di altissimo livello, l'album non conosce un attimo di noia e offre oltre un'ora di R&B che mette in mostra il raro talento della cantante e della sua voce suadente che si dimostra all'altezza sia dei pezzi più trascinanti che di quelli più intimistici.

La voce e lo stile di Francess non hanno eguali nel nostro paese. Mentre in UK cantanti R&B come Shola Ama, Ms. Dynamite o Jamelia (che in realtà mancano dalle classifiche da almeno un decennio, lasciando il posto a cantanti bianchi che interpretano gli stessi stili) hanno portato l'R&B nel vecchio continente e in Germania Xavier Naidoo ha tradotto questo stile nella propria lingua così come ha fatto Nell Evans in Francia, in Italia l'R&B è stato interpretato poche volte e da musicisti e vocalist ben sotto il livello dei colleghi esteri che spesso sfiorano il ridicolo e alle volte lo centrano in pieno. Francess al contrario esce a testa alta dal confronto con gli interpreti migliori, ma purtroppo la musica di qualità nel nostro paese quasi mai affiora in superficie.

giovedì 31 marzo 2016

Taj Mahal - The Natch'l Blues

Basta il nickname del grande bluesman Taj Mahal, all'anagrafe Henry Saint Clair Fredericks, a suggerire che ci troviamo di fronte a un musicista atipico che non attinge solo dalla tradizione americana, ma che negli anni ha arricchito la propria musica di sonorità provenienti da terre lontane. E anche prima che iniziassero le sue sperimentazioni con la world music Taj Mahal non si accontentò di fermarsi al blues della tradizione di Muddy Waters o Howlin' Wolf ma aggiunse alla propria musica suoni che vengono dal soul e dal rhythm and blues.

Dopo il suo primo ed eponimo album di blues grintoso ma tradizionale pubblicato nel 1968, Taj Mahal pubblicò il suo secondo lavoro intitolato The Natch'l Blues nello stesso anno del precedente. Il disco è composto da nove brani di cui sei inediti scritti dallo stesso Taj Mahal, due standard della tradizione nera come You Don't Miss Your Water e Ain't That a Lot of Love e il brano folk The Cuckoo.

Tutti i brani sono piuttosto allegri e sono sostenuti dalla chitarre del nativo americano Jesse Ed Davis oltre che dal cantato di Taj Mahal. Il brano più forte del disco è sicuramente She Caugh the Katy che anni dopo fu usata dai Blues Brothers nel loro celeberrimo film.

Oltre a questa tra i brani di spicco troviamo le già citate Ain't That a Lot of Love grazie alla potente linea di basso ripresa poi in Gimme Some Lovin' degli Spencer Davis Group, anch'essa usata dei Blues Brothers, e You Don't Miss Your Water che sconfina decisamente verso il soul con un cantato che richiama lo stile di Otis Redding che pure interpretò lo stesso standard pochi anni prima.

Nella versione in CD pubblicata nel 2000 si trovano tre bonus track: una versione più energica e veloce di The Cuckoo, la lenta New Stranger Blues e la vibrante Things Are Gonna Work Out Fine condotta principalmente dall'armonica suonata dallo stesso Taj Mahal.

Dai suoi primi passi fino a pochi anni fa la carriera di Taj Mahal è proseguita a una velocità impressionante, sfornando album nuovi ogni pochi anni e soprattutto senza mai ripetere due volte lo stesso esperimento di mescolanza di stili diversi, e ogni volta che si cimenta in qualcosa di nuovo crea album memorabili: così come lo è The Natch'l Blues.

giovedì 24 marzo 2016

National Symphony Orchestra - Jesus Christ Superstar

La versione più celebre del leggendario musical Jesus Christ Superstar è senza dubbio quella dell'omonimo film del 1973 interpretato dal Ted Neeley e Carl Anderson, ma il fatto che sia la più nota non implica necessariamente che si tratti anche della migliore. Nel 1995 ne è stata infatti pubblicata la versione della National Symphony Orchestra diretta dal maestro Martin Yates e interpretata da Dave Willetts nel ruolo di Gesù e da Clive Rowe in quello di Giuda registrata negli Abbey Road Studios di Londra tra giugno del 1993 e novembre del 1994 e basta davvero poco a capire che questa versione è nettamente superiore ad ogni altra.

Bastano infatti pochi secondi dopo l'inizio di Heaven on Their Minds affinché già dalle prime parole My mind is clearer now si capisca che la potenza vocale di Clive Rowe surclassa ampiamente tutti i Giuda che lo hanno preceduto e pochi istanti dopo in than the things you say appare chiaro che anche l'estensione della voce di Rowe è notevolmente superiore e al confronto Carl Anderson sembra stridulo e immaturo; inutile il confronto con quello che è forse il secondo Giuda più famoso della storia, Jérôme Pradon nella versione uscita in DVD nel 2000 diretta da Gale Edwards e Nick Morris, che si dimostrò completamente incapace di raggiungere le note più alte. La prova di Rowe è semplicemente grandiosa e la sua interpretazione di Heaven on Their Minds supera in espressività anche la versione dei Queensrÿche contenuta nell'album di cover Take a Cover del 2007.

Maestosa anche la prova di Dave Willetts, potente e sicura, e nella sua interpretazione supera notevolmente Ted Neeley per forza, espressività e precisione. Lo stesso si può dire di tutti gli altri interpreti, da Paul Collins nel ruolo di Simone lo Zelota fino a Ethan Freeman in quello di Erode. Anche l'unica interprete femminile di rilievo, Issy Van Randwyck nel ruolo della Maddalena, offre una prestazione che coniuga dolcezza a potenza ed una notevole estensione nei suoi pezzi principali: Everything's Alright e I Don't Know How to Love Him.

Un ruolo fondamentale ha anche il coro a supporto dei solisti che si dimostra all'altezza della migliore esecuzione di sempre del musical di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice che si esprime con precisione ma al contempo lasciando apprezzare tutte le voci sia nei brani più energici come Simon Zealotes che in quelli più riflessivi come The Last Supper eseguita con la solennità di un canto liturgico.

Questa versione di Jesus Christ Superstar è impreziosita anche, come spesso succede, da alcuni adattamenti del testo. In Strange Thing, Mystifying Giuda dice infatti To let her stroke you and kiss your hair is hardly in your line mentre la versione originale direbbe To let her kiss you and stroke your hair, that's hardly in your line. Questa pratica è comunque piuttosto comune, anche nella già citata versione del 2000 in Heaven on Their Minds Giuda canta and our conquerors object to another noisy sect invece di I am frightened by the crowd because we are getting much too loud.

Purtroppo di questa versione esiste solo la versione su CD e non ne esiste una registrazione video che ne avrebbe garantito una diffusione molto maggiore. Ma proprio per questo serve a dimostrare che alle volte i prodotti di nicchia sono qualitativamente migliori di quelli più famosi.

giovedì 17 marzo 2016

Muro - Telon de Acero

I madrileni Muro nacquero nel quartiere Vallecas della capitale spagnola nel 1984 e la loro carriera discografica iniziò in modo atipico. Dopo la realizzazione di alcuni demo (nell'83, nell'84 e nell'86) pubblicarono il loro primo album live intitolato Acero y Sangre nel 1986 e solo nel 1988 diedero alle stampe il loro primo album in studio intitolato Telon de Acero. Con i loro primi dischi i Muro furono i primi a portare lo speed metal di stampo aglosassone, sul modello di Motorhead o Judas Priest, in Spagna e il loro esempio fu poi seguito da altre band iberiche come gli Angeles del Infierno o i baschi Su Ta Gar.

Il primo album in studio del gruppo è caratterizzato da un robusto speed metal basato sul suono veloce e forte delle chitarre e della sezione ritmica che ricorda molto il periodo di Ram It Down dei Judas Priest ed è contraddistinto dalla potente voce del cantante Silverio Solorzano, detto Silver, dotata di una notevole estensione. Inoltre nella maggioranza dei brani i ritornelli sono arricchiti da massicci cori eseguiti dall'intera band che rendono i brani stessi particolarmente energici e trascinanti. Tra i pezzi migliori spiccano la title track che si trova in apertura e che si apre con chitarra e campana a morto e poco dopo da un notevole scream di Silver che mostra le sue doti canore già dai primi giri del disco. Oltre a questa spiccano anche Extraño Poder, Juicio Final e Holocausto. Tra i brani notevoli va segnalata anche Solo en la Oscuridad che dura oltre cinque minuti e che inizia come una ballad con un arpeggio di chitarra ad accompagnare la voce del cantante per poi riprendere la strada dello speed metal dopo un minuto e mezzo.

Dopo Telon de Acero la band incise nel 1989 l'album Metal Hunter in cui ripropose i pezzi di Acero y Sangre tradotti in inglese, ma rinunciando alla loro lingua madre i brani persero un po' della loro originalità. Da allora la carriera dei Muro è continuata lungo la strada dello speed metal per oltre tre decenni e nonostante la band abbia visto numerosi cambi di formazione è ancora pienamente attiva. Dopo l'uscita dell'ultimo album nel 2013 intitolato El Cuarto Jinete anche Silver dovette lasciare il gruppo ed essendo sostanzialmente insostituibile la band prese la coraggiosa decisione di assoldare una donna, Rosa Pérez (ex cantante dei Black Shark), come vocalist in modo che ogni tipo di confronto con il passato fosse impossibile. La Perez ha già intrapreso con la band alcune esibizioni da vivo e la sua voce potente e graffiante suona decisamente adatta alla musica dei Muro. Attendiamo quindi i prossimi album, le premesse per credere che la nuova cantante sarà all'altezza del passato sono molto buone.

giovedì 10 marzo 2016

Capital Inicial - Rosas e Vinho Tinto

I Capital Inicial nacquero nel 1982 a Brasilia e pubblicarono il loro primo ed eponimo album quattro anni più tardi. Dopo due album di stampo new wave e post-punk il suono della band si spostò verso il pop tipico di quel decennio con l'album Você Não Precisa Entender e in seguito verso un rock più robusto, in cui le tastiere venivano sostituite dal suono delle chitarre, a partire da Todos os Lados del 1990. I cambi di rotta portarono alla band a un calo del consenso riscosso tra i fan e del volume delle vendite, lo scarso successo portò anche il cantante Dinho Ouro Preto a lasciare il gruppo. Con il nuovo cantante Murilo Lima la band incise un solo album in studio intitolato Rua 47 nel 1995 dalle sonorità più grunge e hard rock rispetto al passato, ad esso seguì il live Capital Inicial: Ao Vivo e nel 1998 anche Lima lasciò il gruppo e il posto di cantante venne di nuovo preso da Dinho Ouro Preto. Con il rientro del cantante storico il gruppo svoltò di nuovo verso un rock-pop che a tratti tende verso l'hard rock e la scelta si rivelò vincente perché i Capital Inicial tornarono anche al successo commerciale e di pubblico.

Il secondo album successivo al ritorno di Ouro Preto segnò anche il ritorno del gruppo a una major con il passaggio dalla brasiliana Abril Music alla Sony, uscì nel 2002 ed è intitolato Rosas e Vinho Tinto. Il disco si apre con la graffiante 220 Volts, uno dei pezzi più duri della produzione dei Capital Inicial, e prosegue con l'ottima À Sua Maneira, cover di De Música Ligera dei Soda Stereo tradotta in portoghese; il brano dei Soda Stereo è proposto anche in versione originale con il testo in spagnolo come bonus track in alcune edizioni del CD. Il resto dell'album è caratterizzato da un pop rock veloce, allegro e divertente e tra i pezzi spiccano Quatro Vezes Você, Mais e Como Devia Estar. Nel disco troviamo anche due ballad: Olhos Vermelhos presente anche in versione acustica come bonus track e la bellissima e sognante Isabel che chiude il disco.

A distanza di oltre trentanni dalla loro fondazione i Capital Inicial continuano a sfornare album in studio e live, l'ultimo dei quali registrato in acustico a New York è stato pubblicato nel 2015, e non sono un caso isolato nel panorama rock brasiliano che con gruppi come i Barão Vermelho o i Legião Urbana (band sorella dei Capital Inicial in quanto entrambi nati dalle ceneri degli Aborto Elétrico) è davvero ricco ma purtroppo poco noto al di fuori della propria nazione per via delle barriere linguistiche.

giovedì 3 marzo 2016

Anthrax - For All Kings

Il 2016 segna il ritorno del newyorkesi Anthrax che non hanno certo bisogno di presentazioni essendo tra i più celebri, e forse i migliori in assoluto, esponenti del thrash metal. Il nuovo album For All Kings è il secondo dopo il rientro nella formazione del cantante storico Joey Belladonna ed è stato anticipato dall'uscita di due singoli nei mesi precedenti la pubblicazione dell'album intero. Il primo di essi Evil Twin, ispirato agli attentati terroristici e alle sparatorie di massa avvenuti nel 2015, è stato pubblicato nell'ottobre dello scorso anno e con il suo suono graffiante e tipicamente thrash si ricollega molto alle sonorità del precedente Worship Music; ma è con il secondo singolo Breathing Lightning, pubblicato a gennaio, che la band ha dato una prova distintiva del proprio cambio di rotta che avrebbe trovato conferma nel resto dell'album. For All Kings è infatti incredibilmente melodico se paragonato a tutti gli album precedenti degli Anthrax.

Che il gruppo di Scott Ian fosse coraggioso e che spesso sconfinasse in altri generi è noto da tempo: sono stati tra i precursori del rap metal nel 1991 con Bring the Noise in collaborazione con i Public Enemy e due anni dopo si sono cimentati con successo nel grunge con l'album Sound of White Noise, e ora nel 2016 a oltre trent'anni dall'esordio sembrano volersi cimentare con il prog. Infatti brani come You Gotta Believe, con i suoi incredibili e imprevedibili cambi di tempo, Monster at the End, Defend Avenge o All of Them Thieves sono molto più ricchi di melodie e virtuosismi di ogni altra produzione passata degli Anthrax. Tra gli altri brani spiccano anche Blood Eagle Wings che è notevolmente lento rispetto a ciò a cui la band ci ha abituato e sembra voler riportare alla sonorità grunge del 1993 e Zero Tolerance che insieme alla già citata Evil Twin è la più tradizionale tra le tracce del disco con il suo ritmo tipico del thrash. In tutte le tracce Joey Belladonna dimostra di essere ancora al vertice delle proprie capacità vocali, sia per potenza che per estensione, o forse di averlo appena raggiunto perché dal punto di vista vocale questo album non è secondo a nessuno tra gli altri della discografia degli Anthrax.

For All Kings è stato stampato anche in versione deluxe con l'aggiunta di quattro pezzi storici della band, Fight 'Em 'Til You Can't, A.I.R., Caught in a Mosh e Madhouse, registrati dal vivo.

In ultimo va notata la bellissima e scherzosa copertina realizzata da Alex Ross che in turbinio di colori proveniente dal logo illuminato sullo sfondo vede le band ritratta come statue di santi o profeti adorati dai propri fans.

For All Kings è un grande album ed sicuramente uno dei migliori dischi che la band newyorkese abbia mai realizzato, che metterà d'accordo i fan del thrash ma anche chi si aspettava dal gruppo sonorità nuove, e soprattutto mostra che a trentadue anni da Fistful of Metal la qualità della musica degli Anthrax e la loro creatività non sembrano minimamente calare.

giovedì 25 febbraio 2016

The Blues Brothers: Music from the Soundtrack - Gli originali

The Blues Brothers del 1980 è uno dei film musicali più celebri della storia del cinema grazie ai suoi iconici protagonisti, magistralmente interpretati da Dan Aykroyd e dal compianto John Belushi, e alla colonna sonora ricca di brani diventati negli anni dei veri e propri cult interpretati con ospiti leggendari come John Lee Hooker, James Brown e Ray Charles.

Non c'è nessuno che non conosca She Caught the Katy o Gimme Some Lovin' cantate dai due fratelli della finzione cinematografica e dalla Blues Brothers Band, ma ciò che forse molti non sanno è che nessuno degli undici brani che compongono la colonna sonore ufficiale è inedito: si tratta infatti di altrettante cover di pezzi storici del soul, del rock and roll e ovviamente del blues.

Ignorare da dove sono stati tratti questi brani significa ignorare la tradizione da cui i Blues Brothers hanno attinto e non si può cogliere appieno la grandezza di questo film se non conoscendo quali sono i musicisti a cui la band si è ispirata.

Vediamo allora di seguito da dove sono tratti gli undici brani che Jake ed Elwood con la loro band hanno reinterpretato e personalizzato.

  • She Caught the Katy: brano scritto dal Yank Rachell e Taj Mahal per l'album The Natch'l Blues di quest'ultimo pubblicato nel 1968. Da allora vanta numerose cover di cui molte eseguite proprio da Taj Mahal con diversi ospiti.
  • Peter Gunn Theme: brano strumentale composto da Henry Mancini per l'omonima serie televisiva nel 1959. Anch'esso è stato reinterpretato numerosissime volte, tra le versioni più famore ricordiamo quella degli Emerson, Lake & Palmer e quella degli Art of Noise.
  • Gimme Some Lovin': pezzo degli Spencer Davis Group pubblicato nel 1966; nonostante sia stato scritto da tutti e tre i membri del gruppo sui dischi della band il brano è accreditato solo a Steve Winwood, mentre nella colonna sonora di The Blues Brothers l'informazione è riportata correttamente. La canzone prende in prestito il riff di (Ain't That) A Lot of Love di Homer Banks uscita lo stesso anno.
  • Shake a Tail Feather: canzone del gruppo soul Five Do-Tones uscita nel 1963 e utilizzata nel 1988 per la colonna sonora del film Hairspray (Grasso è bello nella versione italiana).
  • Everybody Needs Somebody to Love: forse il pezzo più famoso tra quelli eseguiti dai Blues Brothers, l'originale è di Salomon Burke e risale al 1964. Anche la parte parlata all'inizio del brano è presente nell'originale, così come nella versione del film.
  • The Old Landmark: brano gospel tradizionale inciso per la prima volta nel 1949 con arrangiamento di Virginia Davis. Secondo alcune fonti sarebbe stato scritto da William Herbert Brewster, secondo altre da Adeline Brunner (sulla colonna sonora del film è attribuito proprio a quest'ultima). Nel film è eseguito da James Brown con il James Cleveland Choir e cori di Chaka Khan.
  • Think: il brano è stato originariamente inciso da Aretha Franklin nel 1968 e in questa versione è eseguito dalla stessa Franlkin con cori di Jake, Elwood, Brenda Corbett, Margaret Branch e Carolyn Franlkin, sorella di Aretha, con l'aggiunta del sassofono suonato da Lou Marini. Questa versione è ampiamente più famosa dell'originale.
  • Theme from Rawhide: originariamente scritto nel 1958 da Ned Washington e Dimitri Tiomkin e cantato da Frankie Laine per la serie televisiva Rawhide (Gli uomini della prateria nella versione italiana). Tra la varie cover che negli anni hanno omaggiato il brano ricordiamo quella dei Litfiba nell'album Pirata del 1989.
  • Minnie the Moocher: il brano originale era stato scritto e registrato nel 1931 da Cab Calloway che nel film la ripropone a distanza di quasi cinquant'anni in versione sostanzialmente uguale all'originale con la sola aggiunta dei cori della Blues Brothers Band.
  • Sweet Home Chicago: è uno degli standard blues più noti di tutti i tempi, scritto e registrato da Robert Johnson nel 1936 negli anni è stato interpretato da innumerevoli artisti. Nel film, come dice Jake, è dedicato alla memoria del grande bluesman Magic Sam.
  • Jailhouse Rock: scritto in origine da Jerry Leiber and Mike Stoller nel 1957 e interpretato da Elvis Presley per la colonna sonora del film omonimo di cui era ovviamente anche l'attore principale.

giovedì 18 febbraio 2016

Myrath - Legacy

A cinque anni di distanza dal bellissimo Tales of the Sands tornano i tunisini Myrath con un nuovo album intitolato Legacy pubblicato il 12 febbraio di quest'anno. Il disco è stato anticipato dall'uscita del video del singolo Believer pubblicato il 29 gennaio. Il video vede la band entrare in un negozio di antichità, probabilmente proprio in Tunisia, e mentre i musicisti discutono con il negoziante il cantante Zaher Zorgati (che per oscuri motivi indossa due diverse paia di occhiali da sole a seconda dell'inquadratura) si allontana e trova una clessidra coperta da un panno che si rivela essere una macchina del tempo che trasporta il gruppo nell'alto medioevo in un'ambientazione da Prince of Persia dove Zaher deve scappare da miliziani del sultano che lo vogliono uccidere e correrà nel deserto tra mercanti e splendide danzatrici. Già dal primo video si può capire come la musica proposta dalla band resta fedele al proprio modello con ricche melodie power metal che si mischiano alla musica araba tipica delle loro terre, e oltre alla musica dobbiamo elogiare anche le immagini e i colori del video che sono davvero notevoli, con la tinta della sabbia sterminata del deserto che sembra avvolgere e trasformare tutto ciò che le sta intorno.

L'intero album conferma quanto Believer ha anticipato: i Myrath propongono, così come in Tales of the Sands, del power metal ispirato a modelli come i Symphony X o i Kamelot arricchito dalle sonorità tipiche delle loro terra sia nella musica che nel cantato. I Myrath sono un caso unico nel panorama dell'oriental metal, di cui sono tra i principali esponenti, in quanto non attingono da stili estremi come il black metal o il death metal ma da tradizioni più melodiche creando così una musica ricca di spunti e suggestioni.

Il nuovo album si apre con una traccia introduttiva strumentale intitolata Jasmin dalle sonorità decisamente arabe e lontanissime da ogni forma di metal ed è composto da undici tracce (dodici nell'edizione americana grazie a una bonus track) di cui quattro ballad, Nobody's Lives, Through Your Eyes, I Want to Die e Duat, e le restanti forti e veloci sostenute del potente suono delle chitarre elettriche. E' difficile scegliere brani migliori di altri perché tutti i pezzi sono di buon livello come la band ci ha abituato negli album precedenti; ovviamente i pezzi più interessanti sono quelli con maggiori inserti di musica araba come la già citata Nobody's Lives e Storm of Lies, impreziosite anche da alcune parti cantante il lingua tunisina, e le energiche The Needle, The Unburnt e Endure the Silence.

La bonus track Other Side è un bellissimo midtempo che si differenzia dagli altri pezzi del disco per il suo ritmo che non trova simili tra le altre tracce del disco e coniuga la forte base musicale alla melodia del canto, inoltre il brano è arricchito da un bellissimo coro di voci femminili nell'inciso e rende sicuramente preferibile l'acquisto della versione americana dell'album per non dover rinunciare a questo piccolo gioiello.

Ancora una volta i Myrath sfornano un album sicuramente molto valido che continua sulla strada già tracciata dal gruppo tunisino e offre una bella ventata di novità nel panorama metal mondiale. E vista un'altra volta la qualità e la creatività dei Myrath non resta che sperare che non passino altri cinque anni prima che realizzino un nuovo disco.

giovedì 11 febbraio 2016

Hei Bao - Hei Bao

Gli Hei Bao (黑豹乐队 in ideogrammi cinesi e spesso chiamati Black Panther nei testi occidentali) sono una delle band di punta della scena rock cinese che negli anni 80 e 90 ha prodotto molte formazioni di rilievo. Il gruppo è stato fondato a Hong Kong nel 1987 dal cantante Dou Wei (che dopo il primo album del gruppo avvierà una carriera solista di successo), dal chitarrista Li Tong, dal batterista Zhao Mingyi, dal bassista Wang Wenjie e dal tastierista Luan Shu e ha pubblicato il proprio primo ed eponimo album nel 1992.

Il disco che porta il nome della band è composto da dieci tracce e si apre con il forte e trascinante brano Wu Di Zi Rong (无地自容) che rimarrà negli anni il pezzo più rappresentativo della produzione della band in cui il suono delle chitarre e il potente cantato di Dou Wei mostrano da subito quali sono le caratteristiche distintive del gruppo. La musica degli Hei Bao si basa infatti su un rock graffiante e di grande presa che resta subito in testa e che non necessita di molti ascolti per venire apprezzato. L'album contiene anche ben cinque brani lenti molto melodici in cui anche il suono delle tastiere esce con prepotenza come Kao Jin Wo (靠近我), Pai Ni Wei Zi Ji Liu Lang (怕你为自己流泪), Bie Qui Zao Ta (别去糟蹋), Take Care e Don't Break My Heart (il titolo delle ultime due è riportato in inglese anche sui dischi originali e cantato nella medesima lingua); in particolare quest'ultima è uno dei pezzi migliori dell'album e grazie alle suo sonorità morbide e patinate ricorda molto le ballad di gruppi angloamericani dello stesso periodo. Non mancano anche due brani di rock più allegro e dalle tonalità più festose come Lian Pu (脸谱) e Yan Guang Li (眼光里), ma i migliori restano quelli più energici come la già citata traccia di apertura, Ti Hui (体会) e Bie Lai Jiu Chan Wo (别来纠缠我) che danno modo al cantante di mostrare la sua notevole estensione vocale.

Gli Hei Bao creano un rock divertente e di facile presa e anche grazie alla varietà dei suoni che la band riesce a creare l'album non stanca mai perché non ci sono due brani che si assomiglino. Il primo disco non ha costituito un'eccezione nella produzione del gruppo che da allora continua a sfornare ottimi album di puro rock divertente e trascinante nonostante i numerosi cambi di formazione. Dow Wei infatti abbandonerà il gruppo subito dopo l'uscita del primo album lasciando dapprima il ruolo al tastierista Luan Shu che pure lascerà la band nel 1994 per essere sostituito da altri vocalist. Gli unici che restano tuttora della formazione originaria sono Li Tong, Zhao Mingyi e Wang Wenji che riescono a distanza di quasi tre decenni a dare continuità al suono del gruppo che nonostante il passare degli anni suona ancora fresco ed energico come agli inizi.

giovedì 4 febbraio 2016

I Litfiba con Filippo Margheri

L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale in seguito alla pubblicazione dell'EP "Il Mostro" nell'agosto del 2016.

Piero Pelù e Gianluigi Cavallo non sono gli unici cantanti ad aver ricoperto il ruolo di front-man dei Litfiba nei quasi quattro decenni della loro carriera. Tra l'abbandono di Cabo alla fine del 2006 e il ritorno di Pelù nel 2009 vi fu un breve periodo in cui la band fiorentina ebbe un terzo cantante: Filippo Margheri.

Pochi mesi dopo l'abbandono di Cavallo, Ghigo Renzulli cercò un nuovo vocalist nel tentativo di rilanciare la band e lo individuò nel giovanissimo Margheri, nato a Firenze nel 1980, che era stato fino al 2003 leader di un gruppo underground chiamato MiiR che cantava in inglese.

Il primo brano realizzato dai Litfiba con Margheri fu Effetti Collaterali pubblicato nell'agosto del 2008, un rock graffiante, aspro e in parte anche piuttosto grezzo ma di grande impatto sonoro ed efficacia; Margheri cantava con uno stile proprio, non tentando di imitare i suoi predecessori e il primo brano fu davvero ottimo. Di Effetti Collaterali venne anche realizzato un video in cui si vede la band suonare e nella stanza accanto il cantante che lotta contro un uomo incappucciato che alla fine si scopre essere lo stesso Margheri.

Dopo il primo brano, il gruppo realizzò un EP pubblicato a gennaio del 2009 e diffuso solo in formato digitale intitolato Five on Line registrato in presa diretta e composto da cinque brani: tre inediti e due versioni nuove di brani vecchi. Le due autocover sono Animale di Zona (cantata originariamente da Pelù) e Luce che Trema (cantata originariamente da Cabo) entrambe riproposte in versione sostanzialmente uguale all'originale. Oltre a queste l'EP contiene Effetti Collaterali 1.1, nuova versione del pezzo già edito, l'aggressiva e penetrante Sepolto Vivo e Terra di Nessuno che richiama le sonorità new wave degli esordi del gruppo negli anni 80. Di tutti i cinque brani furono anche realizzati dei video che mostrano semplicemente il gruppo in sala d'incisione che registra i pezzi.

Dopo Five on Line i Litfiba pubblicarono anche i brani Sepolto Vivo 2.0, nuova versione del brano dell'EP a cui sono aggiunti vari suoni in post produzione tra cui l'introduzione al pianoforte e la seconda voce nel ritornello, e Rabbia in Testa che prosegue sulla strada del rock graffiante che ha caratterizzato la musica della band fiorentina in questo breve periodo.

Alla pubblicazione dell'EP e delle due nuove tracce avrebbe dovuto seguire un tour di promozione ma alla fine i concerti furono solo due nel settembre del 2009: uno ad Aosta e uno a Modena. In queste date la band propose un nuovo brano inedito intitolato Il Mostro, un rock veloce che pur non discostandosi molto dalle produzioni dei Litfiba di quel periodo sembra un collage di altri brani scritti in precedenza come Resta o Gira nel mio Cerchio. La versione de Il Mostro registrata in studio è stata pubblicata solo nell'agosto del 2016 dal Ghigo Renzulli Fan Collaborative all'interno di un EP che porta il titolo stesso del pezzo inedito e che contiene anche Mr. Hyde, Oceano, Luce Che Trema e Sottile Ramo registrate dal vivo al concerto di Aosta il 6 settembre del 2009.

Purtroppo questo breve esperimento non raccolse l'interesse dei media e dei fan e a novembre del 2009 il gruppo annunciò la chiusura di questa fase e la sospensione delle attività. Non possiamo dire che si tratti di un'occasione sprecata perché l'abbandono di Margheri fu quasi contestuale al ritorno di Pelù avvenuto il mese dopo, ma sicuramente Filippo si dimostrò ampiamente all'altezza della prova e bravissimo come cantante e come autore. In realtà non sapremo mai se Margheri sarebbe stato in grado di scrivere e registrare con Renzulli un intero album, ma sappiamo per certo che i pochi brani che ha scritto e inciso sono ottimi e che è un vero peccato che un talento di questa portata resti ai margini della scena musicale.

giovedì 28 gennaio 2016

Chris Weaver Band: southern rock da Nashville

Dovendo dare una definizione alla musica della Chris Weaver Band è inevitabile ricorrere all'etichetta del southern rock. Ma già dal primo ascolto si capisce che il suono della band è ricco di tante influenze di generi diversi al punto che qualunque etichetta risulta inevitabilmente troppo specifica. Il primo brano del loro primo album si intitola Blues, Soul and Rock and Roll e chiarisce da subito che il gruppo propone un bel mix di stili diversi, sulla biografia pubblicata sul loro sito internet definiscono la loro musica come Mixing southern rock, soul, and country blues e il cantante del gruppo cita tra i musicisti che più lo hanno ispirato Tom Petty, Bob Seger, John Mellencamp e Joe Cocker a riprova del fatto che le influenze musicali che caratterizzano la musica del gruppo sono davvero varie.

Chris Weaver nacque in West Virginia, ma è dopo il trasferimento a Nashville che fondò la band che porta il suo nome; oltre allo stesso Weaver alla voce e alla chitarra il gruppo è composto da Colin Poulton alla seconda chitarra, Andy Leab al basso e Tyler Parkey alla batteria.

La band nel 2010 incise il primo album intitolato Standing in Line. Il disco è composto da 11 tracce con una buona alternanza di pezzi veloci ed altri più melodici come la bellissima ballad So Damn Beautiful. Tra i brani energici spiccano il già citato pezzo di apertura, la festaiola Last Summer e la title track, mentre tra i quelli più melodici si distinguono anche Tear Me Up e No Time to Cry. Tutte le tracce del disco sono comunque di buon livello e l'intero album non ha un attimo di noia. L'atmosfera creata dalla musica del gruppo è sempre positiva, gioiosa e molto country e southern e sembra trasportare nelle migliori feste del sud degli Stati Uniti con i suoi brani divertenti e allegri.

Il secondo album della band intitolato American Dreamer è uscito nel 2013 prodotto da Josh Leo, già produttore di band come gli Alabama o i Lynyrd Skynyrd di cui la Chris Weaver Band continua la tradizione. Il disco prosegue sulla strada segnata dal precedente ma spostando la propria musica sempre più verso il country e accentuando ancora di più l'allegria espressa dai brani; la mano del produttore si sente distintamente e i pezzi sono molti più patinati e accattivanti rispetto a quelli di Standing in Line. L'album parte alla grande con l'ottima Gravy Train sostenuta dalla chitarra e dalla voce del frontman; troviamo poi la bellissima Raise the Dead impreziosita dal coro di voci femminili sul ritornello che apre il brano a cappella e che si ritrova poi all'interno del pezzo. Il brano migliore resta comunque la title track energica e trascinante. Molto bella è anche Without Chains che ripropone la formula del coro di voci femminili che fanno la seconda voce nel ritornello. Nel disco non mancano momenti più d'atmosfera con dei brani più lenti come California High, Time Has Wings e I Should Have Said That proposta anche in versione acustica.

E' un vero peccato che gruppi rock così energici e sanguigni vengano praticamente ignorati al di fuori del loro paese perché la musica della Chris Weaver Band è davvero ottima e meriterebbe di valicare i confini. Non possiamo che restare in attesa che la band pubblichi i suoi prossimi lavori che sicuramente ci regaleranno dell'altra ottima musica.

giovedì 21 gennaio 2016

La morte di Whitney Houston

La vita di Whitney Houston si spense l'11 febbraio del 2012 nella stanza 434 del Beverly Hilton, al numero 9876 di Wilshire Boulevard a Bevery Hills dove la cantante si trovava per partecipare alla consueta festa che il produttore Clive Davis organizza annualmente la sera prima della cerimonia dei Grammy Awards. Whitney era arrivata il 6 febbraio firmandosi al check-in con il nome di Elisabeth Collins, pseudonimo ispirato al nome della nonna materna che si chiamava Sarah Elisabeth Collins Houston, inoltre la stessa Whiteny aveva Elisabeth come secondo nome. Insieme a lei viaggiavano la sua assistente Mary Jones e la guardia del corpo Ray Watson. La festa di Clive Davis si sarebbe tenuta il sabato sera, proprio il giorno della sua morte.

Whitney passò la serata precedente al bar dell'Hilton con altri ospiti dell'albergo bevendo fino a tardi. Nel primo pomeriggio di sabato 11 telefonò alla cugina, la famosa cantante Dionne Warwick, per assicurarsi che le due sarebbero state sedute allo stesso tavolo alla festa, in seguito la Warwick riportò che Whitney a quell'ora stava bene ed era di buon umore in vista della serata che le aspettava.

Poco prima delle 15 Whitney disse alla Jones di sentirsi la gola secca e di avere questa sensazione da alcuni giorni, l'assistente le consigliò di farsi un bagno per rilassarsi e di prepararsi per la serata. Quindi Mary uscì dalla stanza e alle 15:15 Whitney sentì al telefono anche la madre, la cantante Cissy Houston, che pure confermò in seguito che la figlia stava bene.

Alle 15:36, come confermato dal sistema elettronico di rilevamento delle aperture delle porte dell'albergo, la Jones tornò nella stanza, aprì con la propria chiave elettronica e non vide la cantante in giro, la cercò in bagno dove vide dapprima il pavimento bagnato e un attimo dopo la Houston priva di sensi stesa nella vasca piena a faccia in giù. Il rubinetto era comunque chiuso. L'assistente provò a estrarla dalla vasca, ma non riuscì. Chiamò quindi Watson e insieme trassero il corpo dalla vasca deponendolo sul pavimento del salotto della suite spostando il divano in modo da creare più spazio; alle 15:43 Watson chiamò la reception chiedendo di chiamare il 911. Arrivarono dapprima alcuni agenti di polizia e i paramedici dei vigili del fuoco già presenti nell'albergo per via del grosso evento che avrebbe avuto luogo la sera, i paramedici tentarono la rianimazione cardio-polmonare, ma invano. Alle 15:55 Whitney Houston fu dichiarata morta.

Il corpo rimase a lungo nella stanza 434 e il medico legale ne ordinò la rimozione solo dopo dieci ore, quando la festa di Davis. che si tenne comunque, era già abbondantemente iniziata nell'imbarazzo di molti degli ospiti. Il medico legale nel suo rapporto definitivo scrisse che la causa del decesso fu annegamento dovuto ad aterosclerosi (malattia cardiaca di cui soffriva) e uso di cocaina, sostanza che la cantante usava regolarmente come confermato dalle perforazioni nel setto nasale riscontrate dal coroner. Il medico scrisse anche di aver trovato nella stanza molte medicine, tra cui ansiolitici e miorilassanti, che le erano state prescritte, posaceneri colmi di cicche di sigarette, bottiglie di alcolici e uno specchio con della polvere bianca. In bagno sul ripiano del lavello fu trovato anche un cucchiaino con una sostanza cristallina e un foglio di carta arrotolato accanto al cucchiaio, segno che la cantante aveva assunto cocaina poco prima di immergersi nella vasca. Anche l'esame tossicologico confermò la presenza nel suo sangue di cocaina e alti livelli di benzoilecgonina, il principale metabolita della cocaina.

Del resto Whitney aveva consumato cocaina varie volte durante la sua permanenza al Beverly Hilton e non sono solo gli oggetti trovati nella sua stanza a confermarlo. Intervistato dal documentario delle serie Autopsy di Channel 5 dedicato alla morte di Whitney Houstion lo spacciatore abituale della cantante, che appare nel documentario con il viso coperto, racconta di averle consegnato cocaina all'Hilton più volte durante quei cinque giorni. L'uomo le si avvicinava fingendosi un fan e porgendole una biro come se volesse un autografo. La cantante, che conosceva la procedura, estraeva dalla borsa un quaderno in cui aveva nascosto nelle banconote e dopo averlo autografato lo porgeva all'uomo tenendosi in cambio la biro che era in realtà piena di cocaina. Inoltre secondo un'indagine di TMZ l'uomo che le fornì la cocaina in quei giorni riuscì a rimuoverne alcune quantità dalla stanza dopo la morte della cantante e prima che arrivassero le autorità, non c'è modo di verificare indipendentemente questa asserzione che in realtà appare poco credibile perché non si capisce quando l'uomo sarebbe entrato senza essere notato, come avrebbe fatto a sapere che la cantante era morta prima che ne venisse diffusa la notizia e soprattutto TMZ sostiene che nella stanza non vi fossero più tracce di cocaina quando arrivarono le autorità ma questo, come abbiamo visto, non corrisponde al vero.

Secondo quanto sostenuto da Autopsy il grave errore della cantante fu di aver riempito la vasca con acqua troppo calda, infatti quando fu misurata sei ore dopo l'incidente era ancora oltre 34 gradi. Dopo aver chiuso il rubinetto la Houston sarebbe quindi entrata in piedi nella vasca sotto l'effetto della cocaina e lo stordimento della droga le avrebbe impedito di percepire lo shock termico dell'acqua eccessivamente calda, lo shock le causò un crollo della pressione sanguigna e la conseguente perdita di sensi la fece cadere nella vasca, l'aterosclerosi e l'effetto della droga le impedirono di riprendere conoscenza e la cantante annegò nell'acqua.

Sebbene non vi siano seri motivi per dubitare della ricostruzione del medico legale, anche la morte di Whitney Houston ha generato varie teorie del complotto secondo cui la cantante sarebbe in realtà stata uccisa. E' quanto sostiene il detective privato Paul Huebl le cui motivazioni sono però piuttosto risibili. Secondo Huebl durante il periodo in cui Whitney è rimasta da sola in stanza, un gruppo di aggressori non meglio identificato sarebbe entrato nella stanza, l'avrebbe aggredita e poi tenuta con la testa sott'acqua forse solo per spaventarla e non con l'intenzione di ucciderla. L'unica motivazione addotta da Huebl sono le abrasioni trovate sul corpo della Houston e gli slittamenti della pelle rilevati dal medico legale, la causa scatenante sarebbe un debito per droga mai saldato. Ma la spiegazione data da Autopsy è molto più semplice: le abrasioni alla testa furono causate dalla caduta nella vasca, e il tentativo di estrarla a peso morto dalla vasca e la rianimazione causarono le altre. Lo slittamento della pelle è dovuto invece alla lunga permanenza nell'acqua calda.

Inoltre come tutte le teorie del complotto si basa su dettagli insignificanti e ne ignora altri ben più significativi. Huebl ad esempio non considera il fatto che la Houston è stata trovata nella vasca nuda e ci sembra piuttosto bizzarro che la cantante potesse ricevere ospiti nuda. Del resto la porta non è stata forzata, né il sistema di rilevamento elettronico delle aperture delle porte dell'albergo ha registrato un passaggio della chiave prima di quello di Mary Jones. I vestiti avrebbero comunque esserle stati strappati, anche solo un accappatoio, ma se davvero ci fosse stata una colluttazione in quella stanza il mobilio e gli oggetti di Whitney sarebbero stati in disordine ma la camera come descritta dal medico legale nel rapporto è invece ordinata con tutti gli oggetti disposti in modo coerente, questo dettagli è confermato anche dalle poche foto che sono state pubblicate in esclusiva da TMZ. Nemmeno Mary Jones ha mai riportato di aver trovato nella stanza un disordine sospetto.

In ultimo se la Houston fosse stata aggredita avrebbe verosimilmente urlato e in un hotel gremito come quello qualcuno avrebbe sentito le grida. Ma nessuno dei testimoni mai riportò nulla del genere. L'unico dettaglio sospetto è il fatto che il coroner precisa che la patente di guida di Whitney è stata sottratta dal portafogli prima del suo arrivo, ma questo non indica in alcun modo che si sia trattato di un omicidio piuttosto sembra indicare che tra le persone che sono entrate nella stanza qualcuno abbia raccolto un cimelio.

Ancora una volta anche nel caso di Whitney Houston le teorie del complotto sembrano solo il parto delle menti troppo fervide di chi intende lucrare su morti famosi.

Oltre a quelle già citate le fonti che abbiamo utilizzato per la nostra ricerca sono gli articoli di ABC News A Timeline of Whitney Houston's Final Days e Whitney Houston: 'White Powder' Found on Spoon in Hotel Room, Whitney Houston found dead in a bathtub at Beverly Hilton Hotel del New York Daily News e We'll always love you: Whitney is carried from funeral to sound of her greatest hit - but Bobby Brown storms out in row over seating del Daily Mail.


Nota: Il 19 novembre del 2014 il conduttore radiofonico Adam Corolla ha sostenuto nel suo programma The Adam Corolla Show che lo spacciatore intervistato nella puntata di Autopsy sia in realtà un attore e che l'intervista fosse quindi falsa. Il presunto attore ha partecipato alla trasmissione di Corolla, tuttavia non abbiamo potuto confrontare le voci perché il podcast della puntata non è più disponibile, ma guardando le foto pubblicate dal sito dell'Adam Corolla Show non ci sembra proprio che l'uomo intervistato da Corolla sia lo stesso apparso in Autopsy, in particolare la bocca e nello specifico il labbro superiore sembrano notevolmente diversi. Inoltre l'uomo intervistato da Corolla ha sostenuto di aver interpretato l'autista di Whitney Houston in un'intervista telefonica nella stessa puntata di Autopsy, ma questo è falso come è facilmente verificabile visionando Autopsy. L'ipotesi più probabile è che l'uomo intervistato da Corolla sia un mitomane che nulla ha in comune con lo spacciatore di Whitney Houston. Detto ciò, che la testimonianza dello spacciatore di Autopsy sia vera o meno non cambia minimamente la ricostruzione della morte della cantante.

lunedì 11 gennaio 2016

ilNero E=MC2 Tour - Desio, 9/1/2016

Ci sono concerti che ti lasciano dentro un qualcosa che poi non sai descrivere, una sensazione di aver partecipato a qualcosa di vero, a un profluvio di emozioni genuine che sgorgano dal cuore. E' questo ciò che ho provato io e gli altri che erano con me al concerto de ilNero al Rock On The Road di Desio il 9 gennaio del 2016. Il pubblico trepidande si è raccolto ai piedi del palco ben prima che la band capitanata da Gianluigi Cavallo (e che vede nella sua formazione anche il figlio Sebastiano come chitarrista) uscisse dai camerini intorno alle 23 accompagnata dalle nuvole di fumo che uscivano dai lati e della title track del loro album E=MC2 che veniva trasmessa dagli altoparlanti.

E da lì in poi è stato solo rock, energia a fiumi per un'ora e mezza di musica ininterrotta. La band sul palco ha un'energia incredibile e trasmette una forza degna dell'olimpo del rock. I "neri" hanno eseguito tutti i pezzi del loro primo album e dalle esecuzioni live emerge la perfezione tecnica che contraddistingue la band che non sbaglia un colpo. Il concerto è partito alla grande con Splendido Girone, per poi proseguire con Cuore, Oltre e tutti gli altri brani che compongono il disco e tutto il pubblico era unito nel cantarli a memoria insieme a Cabo. Oltre a questi ilNero ha eseguito due inediti entrambi in inglese: The Return una ballad che inizia con tastiera a voce che circa a metà concerto ha rallentato per un attimo il ritmo creando un'atmosfera più intima e raccolta e We Are Back vibrante e trascinante rock and roll da headbanging in chiusura del concerto che Cabo usa per lanciare la frase che sintetizza al meglio ciò che abbiamo vissuto: Siamo vivi!

Dopo We Are Back come ultimo brano non poteva mancare la cover di Heroes di David Bowie (in una delle ultime, forse proprio l'ultima, interpretazioni live eseguite quando il Duca Bianco era ancora in vita) che Cabo dedica ai propri sostenitori ma che tutti i presenti in realtà avrebbero dedicato alla band che, va ricordato, non è composta di professionisti ma da informatici che fanno musica per hobby e che nonostante ciò non hanno nulla da invidiare a gruppi blasonati del panorama mondiale.

Dopo Heroes il pubblico ha richiesto alla band un bis, non per consuetudine ma per la vera voglia di stare ancora insieme, di regalarsi altri pochi minuti di musica, forza e amicizia e ilNero ha riproposto Dolce Vita, forse il pezzo migliore dell'album e del concerto, e la cover di Personal Jesus dei Depeche Mode in una versione particolarmente infernale. E mentre ci allontanavamo dal locale c'era la forte sensazione di non essere stati solo a un concerto, ma quasi a un evento in famiglia e tra amici. "Piacere di avervi conosciuto" dicevo a chi aveva cenato con me, con cui avevo scambiato poche parole ma che erano bastate a capire che la passione per il rock ci accomunava. E i sei ragazzi sul palco il rock ce l'hanno nel sangue e l'hanno riversato nell'aria come solo quelli a cui scorre fino al cuore sanno fare. Grazie "neri", alla prossima!

giovedì 7 gennaio 2016

Intervista a Gianluigi Cavallo

Il 2015 ha visto il ritorno sulle scene musicali di Gianluigi Cavallo, ex frontman dei Litfiba dal 2000 al 2006 e attualmente cantante del suo nuovo progetto musicale chiamato ilNero che vede nella sua formazione anche la presenza del figlio Sebastiano come chitarrista.

Cabo ha cortesemente accettato la nostra proposta di rilasciarci un'intervista che potete leggere di seguito.

Ringraziamo Gianluigi per la sua cortesia e disponibilità


125esima Strada: Ciao Cabo, anzitutto grazie del tempo che ci dedichi. Parliamo del tuo nuovo disco, come è nato ilNero?

Gianluigi Cavallo: Dalla voglia di creare insieme ad amici e fratelli arte, musica ed emozioni. Il concetto di nero è davvero molto esteso e rispecchia completamente le nostre filosofie di pensiero a riguardo. Il nero è la madre della luce. Senza il nero le luci, anche le più tenui, non sarebbero visibili. E’ uno stato di profonda quiete che ti impone di ascoltare il tuo essere.


125esima Strada: E i brani del disco come sono nati?

Gianluigi Cavallo: Ho sempre continuato a scrivere in questi anni, con il piacere di estrarre quanto contenuto nel mio essere. Alcuni arrivano addirittura dal 1995, brani che avevo scritto e che non abbiamo utilizzato nei Litfiba. Il tutto è stato preso e portato in sala prove con i miei fratelli “neri” e da lì la stesura ed il vestito finale.


125esima Strada: Cosa provi a vedere tuo figlio che si esibisce insieme a te come chitarrista?

Gianluigi Cavallo: Orgoglio e gioia. Metà di me vorrebbe essere giù dal palco per assistere allo spettacolo senza perdere un secondo. Un dei regali più belli di questa vita, suonare insieme a mio figlio.


125esima Strada: A quale brano del disco sei più legato (se ce n'è uno)?

Gianluigi Cavallo: Nessuno in particolare.


125esima Strada: Come mai hai scelto proprio Heroes per tornare sulle scene dopo la tua lunga assenza?

Gianluigi Cavallo: Il Duca Bianco è un esempio, un maestro, sempre. La sua capacità di emozionare è rimasta inalterata e non perde occasione per mostrare la sua coerenza e il suo talento. Heroes è stata una scelta immediata, secca, diretta.

Adoro quel brano e dedicarlo ai mie fan che fino ad oggi hanno aspettato con pazienza e passione il mio ritorno è stato spontaneo. Celebrare persone e amici che per tanto tempo hanno fatto viaggi, sacrifici, chilometri, speso soldi, per condividere le emozioni di una sera insieme è quanto di più vero c’è in questa vita.


125esima Strada: Quali sono i tuoi gruppi o cantanti preferiti attualmente?

Gianluigi Cavallo: Ascolto musica a 360 gradi. Attualmente le mie preferenze sono David Bowie, Foo Fighters, Muse, Franz Ferdinand, Kasabian, Slash.


125esima Strada: E invece quali sono i tuoi preferiti di tutti i tempi?

Gianluigi Cavallo: Troppi da nominare: da Robert Johnson ai Muse, non dimenticando Paganini, Miles Davis, Paco de Lucia, ecc.ecc.

Troppi per fare una lista sensata. Ogni artista mi incontra durante i passi del mio vivere.


125esima Strada: Quali generi musicali ascolti oltre al rock?

Gianluigi Cavallo: Tutti. Non ci sono limiti alle emozioni. Tutto quello che mi emoziona.


125esima Strada: Qual'è il tuo ricordo più bello degli anni che hai trascorso nei Litfiba?

Gianluigi Cavallo: Il pubblico, i fan, gli amici.


125esima Strada: Come riesci a coniugare il tuo lavoro di CEO di Virtualcom con l'attività di rocker?

Gianluigi Cavallo: C’è chi gioca a golf o a calcetto… io suono.


125esima Strada: Ci sarà mai un nuovo album de ilNero?

Gianluigi Cavallo: E’ già in lavorazione. Siamo tornati, per restare.