giovedì 8 marzo 2018

La discografia di Ritchie Valens

Tra i musicisti scomparsi troppo giovani Ritchie Valens occupa sicuramente un posto particolare essendo morto a neanche 18 anni in uno schianto aereo il 2 febbraio del 1959 insieme a Buddy Holly e The Big Popper, in quello che fu definito The Day That Music Died. Ma nonostante la brevità della sua carriera e la scarsezza delle sue incisioni, Valens resta uno dei musicisti che hanno forgiato il rock and roll e le cui influenze si sentono nella musica di gruppi come i Santana e in tutti i chitarristi rock che sono venuto dopo di lui.

Durante la sua breve vita Ritche Valens riuscì a pubblicare solo tre 45 giri. Il primo di essi fu Come On, Let's Go/Framed grazie al quale ottenne la prima buona dose di successo; il primo dei due pezzi è un divertente rock and roll che resta tutt'ora una delle tracce più riconoscibili di Valens, mentre il secondo è un blues il cui riff di chitarra ricorda quello di Mannish Boy di Muddy Waters uscito tre anni prima. Il secondo 45 giri fu quello che resterà per sempre il suo maggiore successo: Donna/La Bamba; il primo dei due brani è un lento dedicato alla sua fidanzata dei tempi della scuola, Donna Ludwig, mentre il secondo è la celeberrima rivisitazione in chiave rock and roll di un classico folk messicano che di certo non richiede presentazioni. Il terzo dei tre singoli fu Fast Freight/Big Baby Blues che contiene due pezzi strumentali, il primo dei quali è un puro rock grintoso, mentre il secondo è di nuovo di stampo marcatamente blues.

Purtroppo Valens non riuscì a vedere pubblicati nessuno degli album che raccolgono il materiale da lui registrato, infatti i tre LP pubblicati furono dati alle stampe dal produttore Bob Kane solo dopo la morte del cantante. Il primo di esso si intitola proprio Ritchie Valens e fu pubblicato dopo solo un mese dal tragico evento. Il disco è composto da dodici tracce principalmente improntate a un rock and roll divertente ricco di suoni latini e centroamericani. Nel disco troviamo le quattro tracce tratte dai primi due 45 giri, che sono sicuramente tra i momenti migliori dell'LP. Tra i brani degni di nota troviamo anche i due lenti In A Turkish Town e We Belong Together, mentre tra i pezzi veloci spiccano la cover di Boney-Moronie di Larry Williams e Dooby-Dooby-Wah. Nel disco è presente anche Bluebirds Over The Mountain, cover del brano di Ersel Hickey, che negli anni è stato reinterpretato da innumerevoli artisti tra cui i Beach Boys e Robert Plant.

Nell'ottobre dello stesso anno, Bob Kane pubblicò il secondo album di Ritchie Valens intitolato semplicemente Ritchie. Il disco contiene 11 tracce tra cui le due pubblicate sul terzo 45 giri uscito prima dell'incidente aereo. Rispetto al primo LP, il secondo contiene una maggiore varietà di suoni e stili diversi. Oltre a contenere i due pezzi strumentali usciti nel terzo dei tre 45 giri, vi troviamo infatti anche Little Girl il cui stile musicale sembra influenzato dal rhythm and blues di Fats Domino e un altro brano strumentale intitolato Ritchie's Blues che come dice il titolo stesso tende fortemente verso il blues. Anche in questo disco non mancano comunque i momenti di rock and roll più allegro con brani come The Paddi-Wack Song, Rockin' All Night e Hurry Up, scritta per Valens da Shari Sheeley, al tempo fidanzata di Eddie Cochran. Anche questo album contiene un buon numero di pezzi melodici, e alle volte malinconici, come Stay Beside Me, My Darling Is GoneNow You're Gone.

A dicembre del 1960 Rob Keane pubblicò un terzo LP di Ritchie Valens intitolato Ritchie Valens In Concert at Pacoima Jr. High che, come dice il titolo stesso, contiene una registrazione live di un concerto tenutosi il 10 dicembre del 1958 nella Pacoima Junior High School, in California; che lui stesso aveva frequentato. Il primo lato dell'LP contiene 4 brani registrati live quali Donna, la cover di Summertime Blues di Eddie Cochran, l'inedito From Beyond strumentale e La Bamba. La sezione live è completata con una registrazione demo di Come On Let's Go a cui è stato sovraimposto il rumore della folla, che infatti non combacia con l'incedere del pezzo.

Il secondo lato dell'LP contiene cinque registrazioni in versione demo mai completate, ciascuna introdotta dalla voce di Keane che ne spiega il contenuto. Tre dei pezzi sono strumentali: Rhythm Song, Guitar Instrumental ispirata alla musica di Bo Diddley, e il brano folk Malagueña che avrebbe dovuto nelle speranze del autori replicare il successo di La Bamba. Oltre a questi, concludono il disco due pezzi cantati intitolati Rock Little Darling e Let's Rock and Roll, due rock and roll veloci e dalle atmosfere festaiole. La qualità di questo terzo disco è piuttosto povera, tuttavia va riconosciuto a Keane il merito di aver dato alle stampe del materiale preziosissimo che altrimenti sarebbe andato perso o sarebbe diventato rarissimo e introvabile.

Purtroppo le incisioni di Ritchie Valens sono veramente poche perché la prematura morte del cantante non gli ha consentito di registrare più di una manciata di pezzi. L'interesse per la musica di Valens e per la sua tragica storia sono stati rinvigoriti negli anni 80 dal biopic La Bamba in cui i Los Lobos interpretano la musica di Valens rinnovandola e attualizzandola con il gusto dell'epoca. In realtà non sapremo mai dove sarebbe arrivato Ritchie Valens se avesse potuto vivere più a lungo, ma dal talento che ha dimostrato in soli tre LP possiamo immaginare che sarebbe diventato uno dei grandissimi del rock and roll al pari dei cantanti più blasonati di ogni tempo.

giovedì 1 marzo 2018

La morte di Chris Cornell

Nel 2017 la lista dei musicisti morti troppo giovani si è ancora tristemente allungata e tra questi ve n'è uno che negli anni 90 è stato una delle voci più influenti e caratteristiche del grunge e dell'alternative rock essendo stato il cantante dei Soundgarden e degli Audioslave. Nei primi minuti dopo la mezzanotte del 18 maggio del 2017 Chris Cornell fu trovato morto nella sua stanza dell'MGM Grand Hotel di Detroit all'età di cinquantadue anni.

Ad oggi i contorni generali di quanto successo in quel drammatico giorno in quella stanza di albergo sono noti oltre ogni ragionevole dubbio, in quanto due mesi dopo l'accaduto la polizia di Detroit ha rilasciato a seguito di una richiesta FOIA (Freedom Of Information Act) una notevole quantità di documenti e foto sulla morte di Cornell, oltre alla registrazione audio della chiamata al 911.

Secondo il racconto della sua guardia Martin Kirsten raccolto dalla polizia di Detroit, la sera del 17 maggio Cornell aveva tenuto un concerto con i Soundgarden al Fox Theater; dopo l'esibizione tornò in albergo verso le 23, dove firmò alcuni autografi per poi ritirarsi nella sua suite numero 1136. Prima di che Cornell entrasse nella sua stanza, Kirsten gli diede anche come di consueto due pastiglie per dormire che gli servivano per combattere l'ansia. Poco dopo, intorno alle 23:34, Cornell chiamò ancora Kirsten, che stava nella stanza 1128 poco distante dalla sua per lamentarsi che la sua Apple TV non funzionava correttamente; Kirsten chiamò l'assistenza dell'albergo e insieme a un tecnico dell'MGM Grand Hotel andò nella camera di Cornell per connettere l'apparato alla rete WiFi dell'albergo.

Alle 00:15 la moglie di Cornell Vicky chiamò Kirsten allarmata perché il marito non rispondeva al telefono e poco prima, circa alle 23:35 (in realtà l'orario è troppo vicino a quello che Kirsten riporta in relazione all'intervento sulla Apple TV, ma entrambi sono semplici ricordi di due persone lontane e quindi sono soggetti ad errori di qualche minuto), gli aveva parlato e le era sembrato intontito e continuava a ripetere di essere stanco. Kirsten andò di nuovo alla stanza di Cornell, ma non poté entrare nonostante avesse la chiave perché il chiavistello era chiuso dall'interno. Kirsten chiamò la sicurezza da un telefono interno del corridoio, ma questi si rifiutarono di aiutarlo, perché l'apertura forzata di una stanza poteva essere chiesta solo da chi occupa la stanza stessa; Kirsten ne informò Vicky, che rimase al telefono per tutto lo svolgimento dei fatti, e su richiesta della donna decise di abbattere la porta. Entrato nella suite trovò anche la porta della camera da letto chiusa dall'interno, chiese aiuto di nuovo alla sicurezza dell'albergo ottenendo un secondo rifiuto; la guardia chiese comunque allo staff dell'albergo di chiamare il 911 e i paramedici. Kirsten quindi abbatté anche la seconda porta e trovò il bagno socchiuso e il cantante steso a terra con una banda elastica per esercizi ginnici intorno al collo e sangue che gli usciva dalla bocca e che gli copriva in parte il viso. Kirsten allentò il laccio al collo e iniziò a praticare a Cornell il massaggio cardiaco.

Il personale paramedico dell'albergo arrivò sulla scena alle 12:56 e si sostituì a Kirsten nel proseguire il massaggio cardiaco al cantante, inoltre i soccorritori gli misero in bocca un tubo per l'intubazione. Pochi minuti dopo arrivò la prima squadra della polizia insieme all'ambulanza. Anche il personale medico dell'ospedale si unì ai tentativi di rianimazione, ma purtroppo ogni sforzo fu vano e quando all'1:40 arrivarono il detective della squadra omicidi Charles Weaver e il medico legale Angela Anderson-Cobb, Chris Cornell era già stato dichiarato morto.

Nonostante il quadro complessivo di quanto accaduto sia chiaro, il materiale rilasciato dalla polizia di Detroit non è esente da falle. Ad esempio non è chiaro quando Kirsten abbia dato le due pastiglie a Cornell, la trascrizione della testimonianza di Kirsten (che è ovviamente il più importante testimone di tutto l'accaduto) dice che gliele ha date prima che il cantante entrasse in camera, mentre secondo quanto riportato nel rapporto dell'agente di polizia Alonzo Tolefree (uno dei primi a intervenire sulla scena) gliele avrebbe date contestualmente alla risoluzione del problema legato alla Apple TV. Inoltre la documentazione rilasciata contiene almeno tre errori notevoli. Nel medesimo rapporto di Tolefree il nome della moglie di Cornell è scritto Nicky, anziché Vicky, e nel rapporto della scena del crimine di Charles Weaver in un'occasione il suo cognome è scritto Cornwell (che è un errore di battitura nello scrivere "Cornell" e non il nome da nubile, perché il nome per esteso di Vicky da nubile è Vicky Karayiannis). Inoltre nel Case Registration Summary dell'ufficio del medico legale c'è scritto che Cornell sarebbe stato trovato ancora appeso alla porta, invece fu trovato steso a terra. Tuttavia l'errore peggiore è sicuramente ancora nel rapporto della scena del crimine dove c'è scritto che la vittima era alta 1,78 cm (5 piedi e 10 pollici), mentre nel rapporto dell'autopsia è scritto che era alto 1,91 cm (6 piedi e 3 pollici) e basta vedere le foto per capire che l'altezza corretta è la seconda.

Riguardo alle modalità del suicidio, sulle prime può stupire che un uomo che si è impiccato venga trovato steso a terra. In realtà come si vede chiaramente dalle foto, Cornell aveva bloccato la banda elastica facendola passare sopra la porta del bagno e chiudendo la porta stessa in modo da incastrare il moschettone tra il battente e il traverso (nell'immagine accanto la banda è stata riposizionata come l'aveva messa Cornell appositamente per mostrare la dinamica dell'accaduto). Evidentemente la porta si è poi aperta (Kirtsen la trovò socchiusa) dopo il decesso di Cornell e il corpo del cantante cadde a terra. E' probabile, vista l'altezza di Cornell, che toccasse terra con i piedi o con le punte, tuttavia non è necessario che il corpo sia completamente sospeso a causare la morte per impiccagione. Come questo possa avvenire è spiegato dettagliatamente nel volume Spitz and Fisher's Medicolegal Investigation of Death, quarta edizione; in sintesi se il corpo poggia da qualche parte è sufficiente il peso della testa che grava sul cappio a causare il blocco del flusso sanguigno e la morte. Inoltre, Cornell usò una banda elastica, che proprio essendo elastica esercitò una trazione verso l'alto.

Purtroppo il quadro che emerge dai documenti rilasciati non è sufficiente a sedare voci alternative. Proprio Vicky Cornell, ad esempio, non crede che il marito intendesse suicidarsi e attribuisce la colpa del suo gesto a uno stato di alterazione mentale prodotto dalle medicine che aveva assunto. In realtà il rapporto dell'autopsia del dottor Theodore Brown (lo stesso che dichiarò la morte sulla scena) dice chiaramente che le medicine assunte non ebbero un ruolo nella morte del cantante. Inoltre molte volte durante la sua vita erano emersi tendenze depressive e sucide da parte di Cornell, anche ben prima della sua morte. Vi è traccia di ciò almeno dal 1996, e anche nel 2006 Cornell combatteva ancora con la depressione.

Alcuni teorici del complotto più sfrontati sostengono invece che Cornell sia stato ucciso, per motivi che però nessuno è in grado di spiegare. Tuttavia dal rapporto dell'autopsia non emergono sul cadavere segni di difesa sulle mani e sugli avambracci, inoltre guardando le foto rilasciate dalla polizia la stanza appare in ordine e non sembra proprio che lì vi sia appena avvenuta una colluttazione. Bisognerebbe anche considerare quante persone sarebbero necessarie a immobilizzare un uomo di un metro e novantuno che combatte per la sua vita. La porta della stanza era chiusa dall'interno e quindi un eventuale assassino (o un gruppo di sicari) avrebbe dovuto fuggire dalla finestra, cosa che all'undicesimo piano è evidentemente impossibile visto che, come si vede dalle foto del palazzo, non ci sono scale antincendio esterne, né cornicioni. In ultimo, nessuno degli occupanti dell'albergo ha riportato di aver sentito urla.

Purtroppo quanto accaduto nella stanza 1136 dell'MGM Grand Hotel di Detroit nei primi minuti del 18 maggio del 2017 è tanto tragico quanto semplice: Chris Cornell, schiacciato dal peso dello stress e della depressione, si volontariamente tolto la vita.

domenica 25 febbraio 2018

Visions of Atlantis - The Deep & The Dark

A due anni di distanza dall'EP Old Routes - New Waters tornano gli austriaci Visions of Atlantis con il primo album in studio realizzato con i due nuovi cantanti Siegfried Samer e Clémentine Delauney. Il nuovo album si intitola The Deep & The Dark ed è composto da dieci tracce che ripropongono la formula classica dei Visions of Atlantis con un symphonic metal melodico e ricco di venature di AOR ottantiano basato su un sapiente accostamento tra la forza delle chitarre e il suono morbido delle tastiere a cui si uniscono le voci dei due vocalist, con il canto di Siegfried in tipico stile power metal e Clémentine a fare da vero punto di forza di questo insieme.

L'album si apre con la potente title track cantata interamente dalla soprano francese che dà subito prova della potenza ed estensione della sua voce. Tra i brani più energici troviamo anche Ritual Night in cui di nuovo Clémentine sfoggia il meglio della sua forza vocale, Dead Reckoning e Words of War che è la traccia del disco in cui i rimandi agli anni 80 sono più netti. Restando sui brani forti spiccano anche The Silent Mutiny che è il pezzo più duro del disco il cui le chitarre prendono il sopravvento sulle tastiere e Book of Nature che presenta sonorità mediorientali che tendono verso l'oriental metal, genere nel quale Clémentine si era già cimentata partecipando come ospite all'album Tales of the Sand dei tunisini Myrath.

Il disco contiene anche tre pezzi più melodici. Il primo di essi è l'epica Return to Lemuria che riprende in parte la melodia di Lemuria dall'album Cast Away del 2004 quando i vocalist del gruppo erano Mario Plank e la compianta Nicole Bogner. Tra i brani più melodici troviamo anche The Grand Illusion che è uno dei pezzi migliori dell'album anche perché Clémentine fa un uso più esteso del canto lirico che è quasi assente nel resto dell'album e oltre che in questo brano compare solo nei ritornelli di Return to Lemuria e Dead Reckoning. Nel disco sono presenti anche due ballad: The Last Home, cantata dalla sola Clémentine e realizzata con voce e tastiera fino all'ultimo ritornello in cui si aggiunge il resto della strumentazione, e Prayer to the Lost, anch'essa cantata solo dalla soprano.


Con The Deep & The Dark i Visions of Atlantis realizzano un altro ottimo album, il sesto della loro carriera, che prosegue degnamente la scia dei precedenti e che dà una lezione tanto importante quanto semplice: se si ha nel gruppo un talento naturale come quello di Clémentine Delauney diventa tutto facile e il disco che ne risulta non può che essere di ottima qualità. Il gruppo esce da questa prova a testa altissima, realizzando il loro ennesimo album memorabile.

lunedì 19 febbraio 2018

Demon Eyes - Rites Of Chaos

Rites Of Chaos del 1984 è il primo album dei parigini Demon Eyes, band formata da Thierry Masson e Philippe Chastagnol alle chitarre, Philippe Masson alla voce, Remy Bertelle al basso e Bob Snake alla batteria. Quest'ultimo negli stessi anni militava anche in un'altra band francese, i ben più noti Sortilège che realizzarono il loro primo LP nello stesso anno in cui uscì Rites Of Chaos. Questo album segue di un anno la realizzazione di un demo nel 1983 che si intitola con il nome stesso del gruppo ed è composto da otto tracce di sano metal diretto, sanguigno e con pochi fronzoli.

La musica dei Demon Eyes è chiaramente ispirata ai mostri sacri della NWOBHM degli anni 80, ricca di riff e assoli di chitarra graffianti a cui si somma la potente voce del cantante che si lancia spesso in scream e acuti. Inoltre, il canto in francese aggiunge un tocco di originalità rispetto alle sonorità tipiche degli altri gruppi della stessa decade. Gli otto pezzi sono tutti energici e veloci e compongono un album divertente, in cui non ci sono momenti di noia, che intrattiene senza sosta.

La versione in vinile dell'album riporta sul retro di copertina i titoli dei pezzi in inglese, con tra parentesi il titolo in francese. Tra i brani migliori troviamo sicuramente la veloce L'orgie Des Damnés, che tende verso lo speed metal, la più melodica L'Invincible Force De La Mort e la grintosa Les Deux Maudites.

La versione in CD dell'album è notevolmente più lunga e contiene quindici tracce, i cui titoli sono scritti sul retro in francese; oltre alle otto originale contiene infatti tre brani dal demo Demon Eyes, tre b-side e due incisioni dal vivo.

L'unico difetto che si può trovare a questo album è che effettivamente il suono è poco pulito e molto grezzo, anche il cantato di Philippe Masson, per quantio potente, è piuttosto ruspante. Nell'album successivo, Garde à Vue del 1987, la band proporrà infatti un suono altrettanto duro e diretto ma più pulito e patinato, sia nelle basi sia nel canto. I Demon Eyes registreranno un terzo album nel 1990 intitolato Out Of Control, con un vocalist diverso, e cantato in inglese, che prosegue sulla strada del precedente, con un metal sempre più pulito senza rinunciare all'impatto sonoro dei pezzi.

Purtroppo la carriera dei Demon Eyes durò solo pochi anni, ma i loro tre album sono altrettanti capolavori del metal francese e della musica degli anni 80 in generale. Per quanto siano poco noti al di fuori dei confini nazionali, i Demon Eyes restano per noi una piccola perla da riscoprire.

lunedì 12 febbraio 2018

Metallica WorldWired Tour - Torino, 10/2/2018

Nota: questo articolo è stato scritto dal nostro guest blogger Tino che ringraziamo per la collaborazione.

Una volta erano headliner a qualche festival costosissimo e avevo il sospetto suonassero poco tempo, vuoi che una volta erano lontani, una volta mi sono pure svegliato tardi e i biglietti erano andati, ma stavolta i Metallica non me li sono fatti scappare. Nella serata della finale del Festival di Sanremo, io e altre 14000 persone di tutte le età che il frontman ha definito 'The Metallica's family' abbiamo letteralmente riempito il Pala Alpitour per vedere Hetfield e altri 3 'old men' che da ben 37 anni picchiano duro con il loro metal grezzo, veloce e violento al punto giusto, thrash appunto.

Dopo l'apertura dei norvegesi Kvelertak, il palco sembrava una banale piattaforma quadrata in mezzo al campo centrale, ma sulle note di Ecstasy of Gold di Morricone, luci, proiettori cubici mobili e piccoli droni lucciole non hanno per nulla fatto sentire la mancanza degli oramai tradizionali megaschermi.

Il tour si chiama WorldWired e la band ha iniziato con i due singoli dell'ultimo disco (un ottimo disco, secondo me stanno ancora cercando di farsi perdonare St. Anger), le mitragliate di doppia cassa di Hardwired e Atlas, Rise! aprono le danze prima che James annunci che faranno sia nuove canzoni che vecchie. La band attacca quindi con il riff iniziale di Seek and Destroy, dal primo album del 1983, per molti il vero concerto inizia solo ora. Sulla via della nostalgia Leper Messiah e Welcome Home anticipano una tripletta pezzi recenti come Now We Are Dead, la più melodica HardWired, e Spit Out the Bone e Halo on Fire; in mezzo a questi For Whom the Bell Tolls, altro classicone direttamente da Ride The Lightning degli anni 80.

Sorpresona del concerto è stato un duetto Hammet-Trujillo che a sorpresa partono con C'è Chi Dice No, di Vasco Rossi come tributo alla nazione ospitante del concerto; ho apprezzato moltissimo il gesto, ma come molti altri ho pareri contrastanti.

Unici due pezzi tratti dagli album meno apprezzati dei Metallica sono stati la cover di Blitzkrieg, mi piace talmente tanto che non ho mai nemmeno cercato la versione originale, e The Memory Remains, dall'album Reload. Si prosegue poi con Moth Into Flame, Sad But True, la mitica One e la devastante Master Of Puppets, un vero pezzo di storia della musica heavy metal.

Pausa minima prima della strumentale Orion e finale più che epico con due pezzi tratti dall'album eponimo; oltre a vendere 16 milioni di copie solo negli Stati Uniti, lancia i Metallica nel circuito un po' più commerciale consacrandoli davvero come fenomeno planetario. L'arpeggio di Nothing Else Matters fa cantare tutti, un tempo ci sarebbero stati gli accendini al cielo, e la famosissima Enter Sandman chiude le oltre due ore di concerto.

Hanno passato i 50 e hanno i capelli bianchi, ma diamine se spaccano dal vivo...

mercoledì 7 febbraio 2018

RavenBlack Project - Breaking Through The Mist

Nel 2015 il progetto RavenBlack Project, guidato dal chitarrista e compositore Riccardo Bacchi, ha pubblicato il proprio primo, e fin'ora unico, album intitolato Breaking Through The Mist. Il disco è composto da nove tracce che attingono dall'hard rock melodico degli anni '70 ispirandosi a band come i Rainbow e i Deep Purple, ricco di basi energiche e potenti a cui si unisce la voce degli eccezionali vocalist chiamati a far parte del progetto.

Già da un primo ascolto, ciò che colpisce di questo disco è la forza del suono che offre un metal puro, energico e carico di riff di chitarra dello stesso Bacchi; infatti sui nove pezzi del disco ne troviamo cinque dalle sonorità dure e graffianti. Due di queste sono interpretate dal bassista e cantante Mark Boals. Il primo è il brano di apertura My New Revelations, sostenuto dal suono della chitarra e nel quale la voce di Boals dà grande prova della sua potenza, Il secondo brano cantato dall'ex bassista dei Dokken è The Road to Hell Paso che unisce sonorità AOR ottantiane a venature southern, Boals chiude il pezzo con un acuto potentissimo con cui dimostra che nel pezzo precedente aveva solo dato un piccolo assaggio delle sue qualità.

Tra i pezzi veloci troviamo anche One-Night Stand affidata alla voce dell'ex cantante dei Rainbow Doogie White, e due brani interpretati da altrettanti vocalist italiani d'eccezione: Redemption Blaze, puro hard rock anni 70 ricco del suono dell'organo Hammond, cantata da Alberto Bollati, e Your Load of Lies che è il pezzo più metallico dell'intero disco, grazie anche alla graffiante voce di Franco Campanella.

Oltre a queste nell'album troviamo quattro brani più raccolti tra cui la toccante The Faithless and The Dreamer, brano lento dedicato alle vittime dell'11/9 cantato da Andre Matos, ex vocalist degli Angra, con Jon Oliva dei Savatage, e la power ballad in stile ottantiano Wasting Memories cantata da James Christian degli House of Lords. Tra i brani lenti spiccano due splendidi gioielli di musica interpretati dalla sempre straordinaria Amanda Somerville. Il primo di essi si intitola The Ancestral Call e vede Amanda duettare con Doogie White; il pezzo è una sorta di ballata celtica medievale ricca di flauti, chitarre e percussioni acustiche. Il brano mostra un lato di White ben diverso da quello grintoso di One-Night Stand e l'aspetto migliore del pezzo è proprio la parte canora dei due straordinari vocalist che nell'ultimo ritornello duettano con Doogie a fare la voce bassa e Amanda quella alta. Il secondo pezzo cantato da Amanda Somerville è la splendida e onirica Lullaby for a Wolf, che si apre con un vocalizzo della cantante e che è realizzata con soli voce, piano e chitarra acustica.

Nella versione fisica del disco è presente come bonus track la cover di Tarot Woman dei Rainbow (a rimarcare qual è la fonte di ispirazione principale di questo progetto) che lascia invariata la melodia originale, ma la rende molto più aggressiva affidandola alle voci di Bolas e Campanella.

Due anni dopo l'uscita dell'album è stata pubblicata anche una versione acustica di Wasting Memories con alla voce Giacomo Voli, uno dei migliori cantanti italiani rock di ogni epoca, che rallenta notevolmente il pezzo condendolo con una strumentazione acustica di grande atmosfera.

Ascoltando Breaking Through The Mist si capisce fin da subito che si tratta di una perla di grande valore, che purtroppo non gode della notorietà che meriterebbe. Questo album di Riccardo Bacchi è semplicemente perfetto e non deluderà le aspettative degli amanti del rock e del metal che si accingeranno ad ascoltarlo. Bacchi mischia con grande maestria elementi musicali diversi, con una strumentazione molto varia e avvalendosi di cantanti che contribuiscono alla realizzazione dell'opera ognuno con il proprio stile. L'album nel suo complesso offre una varietà di suoni veramente notevole a comporre un disco che offre tantissime emozioni diverse.

Non resta che augurarsi che Breaking Through The Mist non resti un esperimento isolato e che Riccardo Bacchi torni presto in studio con questa o un'altra squadra di musicisti a registrare un altro capolavoro di questo calibro. Anche nella speranza che magari le prossime incisioni di questo progetto riescano a guadagnare le posizioni in classifica che la loro musica merita.

sabato 3 febbraio 2018

I primi tre album di Buddy Holly

Nonostante la sua carriera sia stata brevissima, essendo morto a soli 22 anni il 3 febbraio del 1959, Buddy Holly è uno dei giganti del rock and roll degli anni 50; uno dei pochissimi che insieme a Chuck Berry, Elvis Presley, Little Richard e Ritchie Valens ha forgiato la nuova musica che stava nascendo e che influisce tuttora su tutto ciò che ascoltiamo. Basti pensare che proprio a Buddy Holly si deve la formazione tipica dei gruppi rock con doppia chitarra, basso (o contrabbasso) e batteria.

Durante la sua vita Buddy Holly pubblicò solo tre album, usciti nell'arco complessivo di cinque mesi. Il primo di essi è intitolato The "Chirping" Crickets, dal nome del gruppo fondato dallo stesso Buddy Holly, che oltre a cantare suonava la chitarra solista, con Jerry Allison alla batteria, Joe B. Mauldin al contrabbasso e Niki Sullivan alla chitarra ritmica. Il disco, pubblicato nel novembre del 1957, contiene dodici tracce, tra pezzi usciti precedentemente in 45 giri ed altri registrati apposta per l'album. Già da questo primo LP troviamo il suono distintivo di Buddy Holly fatto di un rock and roll divertente, ai confini con il rockabilly, e ricco di suoni incredibilmente innovativi che lo pongono qualitativamente nettamente al di sopra degli altri musicisti della sua epoca. Nell'album troviamo capolavori assoluti del rock and roll come Oh, Boy!, Not Fade Away (che vanterà innumerevoli cover, tra cui quella dei Rolling Stones nel 1964), Maybe Babe e That'll Be The Day. Il disco contiene anche la bellissima You've Got Love scritta da Roy Orbison appositamente per Buddy Holly. Tra i pezzi più melodici, che nel disco non mancano, ne troviamo alcuni in cui il gruppo sconfina anche nel doo-wop come Send Me Some Lovin' e Last Night.

Il secondo album uscì nel febbraio del 1958, a soli tre mesi di distanza dal primo, ed è firmato con il solo nome di Buddy Holly nonostante la formazione che lo ha realizzato sia la stessa del precedente e veda di nuovo i Crickets al completo. L'album porta il nome stesso del cantante e riesce nella difficile impresa di superare il primo in qualità: le undici tracce sono altrettanti gioielli di rock and roll che meriterebbero di finire in una raccolta dei migliori brani di ogni tempo. Troviamo infatti pezzi come l'incalzante I'm Gonna Love You To, il lento Peggy Sue, ed Everyday. Tra i brani veloci troviamo anche (You're So Square) Baby I Don't Care, che l'anno precedente fu incisa anche da Elvis Presley, e Rave On! che ad oggi vanta innumerevoli cover tra cui quella di John Cougar Mellencamp del 1988.

Il terzo e ultimo album pubblicato da Buddy Holly in vita si intitola That'll Be The Day ed è composto da incisioni che temporalmente precedono gli altri due, in quanto risalgono al 1956. La formazione dei musicisti è molto varia e gli strumentisti coinvolti sono diversi e cambiano da brano a brano; dei Crickets compare solo Jerry Allison e non in tutti i pezzi. Come ci si può aspettare, le registrazioni sono più grezze e il disco non contiene tracce memorabili nonostante contenga comunque brani validi, come una versione della title track antecedente alla stessa pubblicata sul primo album, Midnight Shift e Love Me.

Tra l'uscita del suo terzo album e il giorno in cui Buddy Holly trovò la morte insieme a Ritchie Valens e The Big Popper riuscì a incidere molti singoli, ma non a confezionare un album intero. Il materiale di certo non gli mancava, visto che le incisioni postume di Buddy Holly sono molte di più di quelle che ha pubblicato in vita e la qualità delle stesse è assolutamente in linea con la musica meravigliosa dei primi tre album.

Resta l'enorme rimpianto di non sapere dove sarebbe arrivato questo straordinario musicista se non fosse morto così giovane. Non sapremo mai se avrebbe avuto una carriera leggendaria come quella di Elvis che spaziò tra innumerevoli generi musicali o se sarebbe rimasto fedele agli stili originari come Chuck Berry. Ma sappiamo che nonostante la brevità della sua vita la musica che ci ha lasciato lo proietta a pieno titolo nell'olimpo dei più grandi innovatori di ogni genere.