mercoledì 18 marzo 2020

Russell Allen / Anette Olzon - Worlds Apart

A marzo di quest'anno la celeberrima etichetta italiana Frontiers Records ha pubblicato il primo album dell'inedita coppia formata da Russell Allen, vocalist tra gli altri di Symphony X e Adrenaline Mob, e Anette Olzon, frontwoman dei Dark Element e seconda cantante dei Nightwish dopo Tarja e prima di Floor Jansen. Come è evidente l'esperimento si colloca sulla scia di altre produzioni simili, come la coppia formata dallo stesso di Allen con Jørn Lande, quella composta di Michael Kiske e Amanda Somerville e il duo tutto italiano di Fabio Lione e Alessandro Conti.

Il primo album di questo inedito combo si intitola Worlds Apart ed è composto da undici tracce il cui suono è esattamente quello che ci si aspetta da un duo di vocalist di altissimo livello come questi: rock melodico che mette pienamente in luce le capacità canore dei due che al mondo hanno pochissimi eguali. Ciascuno di loro canta da solo tre dei pezzi, e nei rimanenti cinque duettano, con Anette che fa le voci alte e Russell quelle basse, e se le doti canore della Olzon sono ampiamente note va sottolineato come Allen tiri fuori aspetti più melodici e in stile power metal di quanto faccia di solito; ci troviamo, ad esempio, lontanissimi dalle sonorità aspre degli Adrenaline Mob. Le basi sono smaccatamente ispirate all'AOR ottantiano da cui questo album attinge a piene mani e proprio per questo il disco è ricco di melodia in ogni traccia con anche una buona dose di power ballad, e questa commistione di suoni morbidi e patinati rende il disco piacevole e orecchiabile già al primo giro.

Le undici tracce convincono tutte, dalla prima all'ultima, ed è molto difficile individuare momenti migliori di altri. Tra i brani cantati dal solo Allen spicca comunque Lost Soul che ha strofe veloci e ritornelli da ballad; tra quelle soliste di Anette il brano migliore è sicuramente la power ballad Cold Inside che presenta atmosfere ottantiane ancora più marcate che altrove. Tra i duetti migliori troviamo la lenta What If I Live e la grintosa No Sign Of Life che sono i due brani che mettono meglio in luce l'amalgama tra i due, che sembrano cantare insieme da anni mentre invece sono alla prima prova in studio in coppia.

È ovvio che questo tipo di esperimenti non è fatto per scrivere la storia del rock, che questo album si basa su stilemi musicali noti e non fa dell'innovazione il suo punto di forza; ma ciò non toglie che questo disco è sicuramente un momento di ottimo rock melodico, che diverte e intrattiene per tutta la sua durata e propone una prova canora stupefacente delle voci limpide e potenti di questi due interpreti. E vista la qualità della prima opera non resta che sperare che questa coppia ci regali altri album dello stesso livello.

mercoledì 11 marzo 2020

Get You In The Mood: il b-side degli Eagles mai pubblicato in un album

Nella loro carriera musicale gli Eagles hanno inciso sette album in studio e circa trenta singoli, e nella loro lunga discografia c'è un solo b-side che non è mai stato incluso in un album. Il titolo del brano è Get You In The Mood ed è stato stampato come lato B del primo singolo della band: Take It Easy dall'album Eagles del 1972.

Il brano è cantato da Glenn Frey, che è anche la voce principale di Take It Easy nonché l'autore del pezzo. Nono sono noti i motivi per cui il brano è stato scartato, la ragione è probabilmente che mal si amalgamava con il resto del disco, perché il pezzo ha marcate venature blues e psichedeliche e sembra fortemente influenzato dalle produzioni dei Doors e dei Led Zeppelin ed è molto lontano dalle atmosfere generalmente solari del resto dell'album.

Get You In The Mood è stato pubblicato su 33 giri e su CD per la prima volta solo nel 2013, nella raccolta The Studio Albums 1972-1979 che raccoglie i sei album degli anni 70, più il singolo di Take It Easy come disco bonus. Il pezzo è stato incluso anche nel cofanetto Legacy del 2018 che racchiude tutta la discografia della band.

In ogni caso, anche se non compare su nessun album ufficiale, Get You In The Mood è un brano molto interessante che mostra un lato meno noto del gruppo, che comunque non rinuncia ad alcuni dei suoi tratti distintivi come i cori sul ritornello, e che dimostra che anche i pezzi scartati di questo straordinario quartetto sono gemme di rock di grande valore.

mercoledì 4 marzo 2020

Piero Pelù - Pugili Fragili

Dopo la sua partecipazione a Sanremo, il cantante dei Litfiba Piero Pelù ha pubblicato il suo sesto album solista (ottavo, se si includono anche le compilation Presente e Identikit che contenevano comunque materiale inedito) intitolato Pugili Fragili. Il disco è stato anticipato dall'uscita di due singoli: il sorprendentemente brutto Picnic all'Inferno, dedicato a Greta Thunberg e che contiene campionamenti di un suo discorso, e il convincente pop-rock allegro di Gigante, che Piero ha portato al Teatro dell'Ariston a inizio febbraio.

Il disco è composto da dieci tracce, tra cui troviamo anche la cover in versione rock di Cuore Matto anch'essa eseguita a Sanremo nella serata dedicata alla cover, e non è la prima volta che Piero reinterpreta nel suo stile i classici della musica italiana: come b-side del suo primo singolo solista Io Ci Sarò del 2000 aveva infatti scelto Pugni Chiusi dei Ribelli e nel tributo a Lucio Battisti intitolato Innocenti Evasioni del 1993 aveva interpretato con i Litfiba Il Tempo di Morire.

Tra le altre tracce il disco contiene sicuramente dei passi falsi, Luna Nuda e Ferro Caldo suonano stranamente forzate e sembrano essere dei riempitivi per arrivare a dieci tracce, ma fortunatamente il resto dell'album funziona bene e regala una buona dose di pezzi rock di vario stile ma sempre molto godibili. La title track è un midtempo con tematiche intimistiche che Piero ha sempre tenuto solo per i suoi album solisti, e poco dopo troviamo Nata Libera che è sicuramente il pezzo migliore e più interessante dell'album con atmosfere desertiche che sembrano nate dall'incontro dei i Litfiba di Fata Morgana e Il Mio Corpo che Cambia con i Calexico.

Il disco è chiuso da un terzetto di pezzi energici che iniziano con Fossi Foco, ispirata al celebre sonetto di Cecco Angioleri, che vede Piero duettare con Appino degli Zen Circus su un testo che si scaglia contro le discriminazioni verso le minoranze. Segue Stereo Santo, un potente e grintoso inno alla musica e al rock che cita Ozzy Osbourne come mangiatore di pipistrelli. Chiude il disco il pezzo più pesante dal punto di vista musicale, intitolato Canicola, che tratta del riscaldamento globale ed è l'unico brano che sconfina dell'hard rock.

In conclusione, Pugili Fragili conferma ciò che avevamo già capito dal 2000 al 2009: cioè che Piero è sicuramente in grado di fare della buona musica lontano da Ghigo; ma se ciascuno dei due funziona bene da solo, entrambi funzionano benissimo solo insieme. Pugili Fragili è un buon disco, che contiene pezzi decisamente validi, ma i fasti di El Diablo, Spirito o del più recente Eutòpia sono molto lontani.

mercoledì 26 febbraio 2020

Intervista a Michele Guaitoli, cantante dei Visions of Atlantis e dei Temperance

Michele Guaitoli è una delle voci più interessanti del panorama symphonic metal mondiale e attualmente ricopre il ruolo di voce maschile dei Visions of Atlantis e dei Temperance. Per parlare dei suoi dischi più recenti e per raccontarci qualcosa di sé, Michele ha accettato la nostra proposta di un'intervista.

Ringraziamo Michele Guaitoli per la sua cortesia e disponibilità.


125esima Strada: Ciao Michele e grazie del tempo che ci stai dedicando. Iniziamo parlando dei Visions of Atlantis di cui sei entrato a far parte per l'ultimo album Wanderers. Che storia c'è dietro a questo album? Come sono nati i pezzi?

Michele Guaitoli: Ciao Leonardo e grazie del tempo che mi dedichi! Come sai per noi artisti è sempre un’occasione poter spendere qualche parola in più sui nostri lavori, che spesso non vengono analizzati nel contenuto concettuale ma solo dal lato prettamente musicale!


Wanderers come hai sottolineato è il primo disco in cui ho potuto partecipare come membro fisso dei Visions of Atlantis, vivendo tutta la fase di registrazione in studio e di “creazione” dei brani, tra l’altro avendo l’onore e la fortuna di avere anche due miei brani inseriti nel lotto (At the End of The World e A life of our Own). L’album è un disco che è nato con la grandissima carica data dalla nuova formazione, assieme al mio ingresso c’è stata una sorta di scarica di adrenalina nella band che ha dato nuova linfa vitale e tanta grinta a tutti, visto che sopratutto dal piano del live si sono aperte moltissime porte (per una questione di disponibilità: Siegfried nel 2018 lasciò la band perché gli impegni dei Visions of Atlantis iniziavano ad essere troppi rispetto al suo lavoro principale). Positività, forza d’animo e voglia di crescere ed esplorare il mondo insieme: da qui il nome Wanderers, da qui la “luce” e la grande carica positiva nelle liriche e nelle tematiche!


125esima Strada: C'è un brano del disco a cui sei più legato? Se sì, perché’

Michele Guaitoli: Beh senza dubbio i due brani che ho scritto io: A Life of Our Own e At the End of the World, semplicemente perché in ogni brano che compone un musicista lascia qualcosa di sé, si crea quindi una sorta di legame affettivo con ognuno dei propri pezzi. Tolti questi, ti confesso che Heroes of the Dawn è un pezzo che mi ha colpito dal primo istante. Sarà la vena leggermente celtica, sarà il ritornello che dal primo ascolto mi è iniziato a girare in testa, sarà la bella storia di fondo, ma è un brano che probabilmente anche se non fossi parte della band ascolterei a ripetizione.


125esima Strada: Com'è lavorare con un regina della musica affermata come Clémentine Dalauney? Ti ci sei trovato bene subito o è servito un po' di assestamento?

Michele Guaitoli: In realtà c’è stata una grande intesa dal primissimo istante. Clemi è una persona molto alla mano ed in generale sono stato accolto da subito non solo da lei, ma da tutta la band, con grande entusiasmo. Oggi posso dirti tranquillamente che siamo una famiglia ed il rapporto che c’è tra me e Clemi è veramente un rapporto fratello/sorella: dalle confidenze, al supporto ai piccoli bisticci che si risolvono sempre. Vocalmente poi uno dei feedback che più spesso riceviamo è che le nostre due vocalità si sposano in maniera naturale ed efficace. Sia dal lato tecnico che estetico mi trovo molto d’accordo: armonicamente ci completiamo e stilisticamente abbiamo delle caratteristiche comuni, dal vibrato alle inflessioni. Paradossalmente è stato veramente facile accostarsi l’uno all'altra musicalmente.


125esima Strada: Una cosa che colpisce dell'album è la copertina: così luminosa e che porta un messaggio di speranza con i due naufraghi che vedono da lontano un vascello che li può portare il salvo. Ci racconti che storia c'è dietro a questa copertina?

Michele Guaitoli: Come ti accennavo nella prima domanda i Visions of Atantis di oggi sono una band ricca di carica, energia e speranze, con tanta… tanta voglia di crescere ed esplorare il mondo, visto che uno dei grandissimi privilegi dati dall'essere musicista è proprio la possibilità di viaggiare e vedere il mondo grazie alla musica. Questo è quello che ci ha spinto a chiamare questo album Wanderers, ossia nomadi, esploratori, persone alla ricerca di sé stessi, curiosi di scoprire. Il tutto ruota poi attorno alla tematica marittima che da sempre pilota l’atmosfera di questa band. Il mare è il nostro ambiente, l’acqua la nostra materia e l’ambientazione “fantasy” relativa al mondo piratesco è alla base di molti pezzi e di molte nostre grafiche. Ovviamente il Kraken in copertina è il simbolo delle paure, del male che attornia la nostra esistenza, ma la luce e la forza d’animo permettono a chi ha il cuore pieno d’amore e di coraggio di potersi salvare da ogni pericolo.


125esima Strada: Parliamo anche della tua ultima fatica: Viridian dei Temperance. Come è nato questo album?

Michele Guaitoli: E’ un disco che ha avuto una gestazione di oltre un anno, anche se in realtà la fase di composizione e registrazione è stata molto più breve. Con Of Jupiter and Moons e con la nuova formazione con me ed Alessia [Scolletti, voce femminile dei Temperance, N.d.A], i Temperance hanno iniziato un nuovo capitolo della loro storia e se per Jupiter ci siamo ritrovati con i brani scritti, Viridian è il primo album dove davvero si può dire di aver lavorato con e per questa line-up. Dalle linee melodiche alla suddivisione delle parti, dalle scelte stilistiche alle scelte armoniche: tutto è nato con in mente la line-up a tre voci, cosa che in Jupiter non solo non era stata possibile, ma l’arrangiamento è stato fatto piuttosto in fretta per questioni di tempistiche. Viridian è nato nel gennaio 2019, ha visto le registrazioni sparse tra febbraio e aprile 2019 e lo sviluppo delle grafiche e del lato “gestionale”si è poi prolungato fino alla release nel gennaio 2020. È tra l’altro il primo disco dove ho avuto la possibilità di scrivere due brani “e mezzo" (Gaia, Let it Beat e Catch the Dream che è stato scritto a quattro mani con Marco).


125esima Strada: A me ha colpito molto la traccia Nanook. Come è nata l'idea di utilizzare un coro di bambini?

Michele Guaitoli: Nanook è anche una delle mie tracce preferite! Anche qui c’è una vena celtica e molta, moltissima musica. Il coro di bambini non è una novità nel mondo Temperance: in The Earth Embraces Us All era già stato usato un coro di bambini per il brano Oblivion. Poter rivivere questa esperienza in Viridian è stato magnifico anche perché per me personalmente è stata la primissima volta in un disco metal. Credimi che vedere 20 giovanissimi intonare le note di un brano della tua band è qualcosa di magnifico, magico e incredibilmente puro.


125esima Strada: Come è nata invece Mission Impossible? Siete particolarmente legati alla saga cinematografica con Tom Cruise? Se sì, perché?

Michele Guaitoli: E’ una storia piuttosto divertente: devi sapere che quando “scriviamo” i brani difficilmente incidiamo le versioni di “pre-produzione” con i testi definitivi: di solito si tende a buttare giù una bozza con parole inventate, falso inglese o addirittura usando testi di altre canzoni giusto per “cantare” qualcosa sulla linea melodica. Il testo arriva sempre in un secondo momento a pezzo finito. Nella versione di pre-produzione di questo brano Marco cantava, nel ritornello, Mission Impossibile…e la cosa ci è piaciuta al punto da voler poi sviluppare il testo finale del pezzo attorno a Mission Impossibile 2, che è un film che a tutti è piaciuto moltissimo. Anche in questo caso, non si tratta di qualcosa di insolito per i Temperance che già nel secondo album - Limitless - avevano imbastito le liriche di Mr.White basandosi sulla serie TV Breaking Bad. Consapevoli di questo trascorso e con uno spirito un po’ “nerd”, ci siamo ripetuti.


125esima Strada: Chi sono i musicisti e cantanti che ti hanno influenzati di più durante la tua carriera?

Michele Guaitoli: Ce ne sono molti, ma alcuni hanno sicuramente cambiato il mio modo di affrontare il canto in generale. Credo ci sia stata una vera e propria evoluzione stilistica in me legata ad alcune figure di rilievo!

Il primo vocalist che va citato per forza è James Hetfield, non tanto per la tecnica ma perché con la sua voce ho iniziato ad appassionarmi davvero all’heavy metal. Ricordo che i brani dei Metallica come per moltissimi musicisti, sono stati quelli che ho provato per primi nella sala prove. Guardavo i loro DVD, ascoltavo a ripetizione i loro pezzi e cercavo di imitare Hetfield nelle mie primissime esperienze canore. Poi, con un altro cliché, è arrivato Bruce Dickinson con gli Iron Maiden… e con loro ho capito l’importanza della tecnica vocale per poter reggere un repertorio impegnativo. A seguire… ma si sa che da ragazzini spesso si cade nei luoghi comuni, mi sono appassionato di Eric Adams e dei Manowar, completando quel terzetto di band per le quali ogni metallaro passa. Credo di poter dire con certezza che il mio vibrato sia figlio di Eric Adams e Bruce Dickinson. Da lì mi sono poi iniziato a “specializzare” un po’ di più, appassionandomi a voci che hanno cambiato pian piano il mio modo di affrontare il canto in maniera più dettagliata. Kai Hansen (Gamma Ray) e Hansi Kursch (Blind Guardian) sono stati due riferimenti fondamentali… poi c’è stato Michele Luppi, non solo come esempio ma anche come insegnante (e gli devo davvero tantissimo), poi Tobias Sammett con i suoi Edguy prima e gli Avantasia dopo, poi Roy Kahn e i Kamelot, Russell Allen ed i Symphony X (nonché gli Adrenaline Mob)…


125esima Strada: E chi sono invece i tuoi preferiti della scena attuale?

Michele Guaitoli: Tuttora ci sono molti vocalist che mi affascinano e da cui cerco di imparare, come si suol dire non si finisce mai di crescere ed apprendere. Russell Allen è ancora uno dei miei grandi riferimenti, ma anche Daniel Gildenlow (Pain of Salvation), Devin Townsend, Tommy Karevik (con cui ho avuto l’onore di andare in tour ben due volte a Settembre 2018 e Marzo 2019… il mondo è pieno di artisti fenomenali e voci pazzesche. La mia speranza è solo di poter un giorno essere anche io d’esempio come tanti lo sono stati per me, e di poter “influenzare” qualcuno come io sono stato influenzato da altri, continuando questa splendida catena di condivisione e passione che è la musica!

lunedì 17 febbraio 2020

Visions of Atlantis - Wanderers Tour, Retorbido 15/2/2020


Che i Visions of Atlantis passassero nel loro tour da così vicino a casa mi sembrava una cosa incredibile. E quindi appena vista nel calendario della band la data di Retorbido ho bloccato l'agenda segnandomi che quella sera ci sarebbe stato uno concerto imperdibile. Aggiungiamo pure che per vedere dal vivo Clémentine Delauney i trenta chilometri che mi separano dal Dagda li avrei fatti pure a piedi e la curiosità di sentire l'udinese Michele Guaitoli era davvero tanta.

Purtroppo mi sono perso le due band di apertura, che chi era presente ha poi raccontato essere di altissimo livello, ma arrivo appena in tempo per l'ingresso su palco del quintetto austro-franco-italiano con il batterista Thomas Caser (unico membro fisso del gruppo dal 2000 ad oggi) a scandire l'intro di Release My Symphony con cui i Visions of Atlantis aprono in concerto. Già dal primo pezzo si capisce che la serata ci regala una piacevole scoperta; perché se è pur vero che la star dell'evento è la regina del symphonic metal Clémentine, ci vuole ben poco a capire che Michele è assolutamente all'altezza della prova e dà subito sfoggio delle sue notevoli doti vocali che gli consentono di passare dalle tonalità basse agli acuti con grande facilità. E con il secondo pezzo New Dawn capiamo tutto: la regina resta la regina, ma qui davanti a noi abbiamo anche il nuovo re del metal sinfonico.

La setlist verte soprattutto sugli ultimi due album, quelli che vedono Clémentine alla voce, con solo tre innesti dal passato, quali la già citata New Dawn e Memento da Delta del 2011 e Passing Dead End da Trinity del 2007.

Clémentine è semplicemente meravigliosa mentre si muove sul palco con una grazia incantevole e mischia come solo lei sa fare potenza e dolcezza. Alla voce fantastica della soprano francese, che innesta spesso tocchi di lirica nel proprio canto, si unisce la potenza e le decisione vocale di Michele che dimostra di essere uno dei migliori al mondo nel suo ruolo. L'intesa tra i due vocalist è perfetta e sembra che cantino insieme da decenni, mentre in realtà hanno un solo album in coppia all'attivo; i due duettano, si amalgamo e si completano alla grande regalando al pubblico un impatto di sonoro di ottima presa.

A metà concerto Clémentine esegue da sola la title track dell'ultimo album e subito dopo questa breve pausa il resto della band risale sul palco per la seconda metà dell'esibizione costellata di pezzi tra i migliori della loro discografia recente come The Deep & The Dark e a A Journey to Remember. Dopo Passing Dead End la band saluta ed esce, ma ovviamente il pubblico raccolto ai piedi del palco chiede un encore che la band regala con In & Out of Love e Return To Lemuria che è forse il brano più noto dei dischi cantati da Clémentine.


Di solito i concerti finisco con l'ultima traccia e i saluti. Ma non questo. Sono solo le 23:30 quando l'esibizione finisce e non c'è fretta di andare via. In un corridoio che porta ai servizi incontro proprio Clémentine che gentilmente accetta di fare una foto e sono talmente shockato che mi rivolgo in inglese anche alla persona a cui chiedo di scattarla con il mio cellulare. Poco dopo anche Michele raggiunge il pubblico nel locale e si ferma a chiacchierare dimostrandosi molto vicino al suo pubblico come se non fosse il cantante di una delle band migliori del mondo ma un nuovo amico che incontri in un locale di musica dal vivo.

È molto difficile togliersi di dosso le emozioni di una serata così, che giorni dopo sono ancora vive e ben presenti. E mente torno a casa nell'autoradio girano ovviamente Wanderers e The Deep & The Dark, e mentre ascoltiamo questi capolavori non resta che sperare che Clémentine, Michele e il resto del gruppo tornino presto da queste parti.

Per ora, grazie ragazzi, un abbraccio!

venerdì 7 febbraio 2020

The Darkness - Easter is Canceled, Milano 6/2/2020


Nota: Questo articolo è stato scritto dal nostro guest blogger Tino che ringraziamo per il contributo.

"No, no, io voglio vedere com'è vestito stavolta" questa l'ultima frase che ho sentito prima che le luci di un Alcatraz di Milano stracolmo di gente si spegnessero per l'inizio del concerto dei Darkness, segno che la gente non è lì solo per l'energia della loro musica ma anche per le performance sul palco di Justin Hawkins, carismatico frontman della band famoso tanto per i suoi acuti che per le sgargianti tutine attillate.

Dopo lo spettacolare concerto del 2017 nella cornice del Rugby Sound Festival non ho avuto molti dubbi se partecipare o meno. La band però a questo giro ha provato una formula diversa, nella prima metà del concerto è stato suonato tutto il loro ultimo disco Easter is Canceled. Benché non ci sia stato il minimo dubbio sulle eccellenti performance musicali e visive non è una formula che apprezzo particolarmente, sopratutto da una band che tra alti e bassi è sulla scena dal 2000 e l'anno scorso ha sfornato il sesto lavoro in studio dal quale è tratto il nome del loro tour 2020. L'ultimo disco non è male come stile ma forse avrei dovuto ascoltarlo un po' di più per poterlo apprezzare meglio, alla fine solamente la prima traccia Rock and Roll Deserves to Die era conosciuta visto che su Virgin Radio veniva trasmesso con un po' di regolarità.

Luci giù, un po' di suspance e la mitica One Way Ticket dà il via alla seconda parte dello spettacolo con pezzi molto più conosciuti dalla platea milanese; solo due i pezzi da Pinewood Smile: Japanese Prisoner of Love e il singolo Solid Gold e poi tanto tanto dal loro album di esordio Permission to Land. Seguono Growing on Me e poi Get Your Hands Off My Woman dove l'acuto viene magistralmente tenuto per tutta la canzone. Love is only a Feeling, pezzo relativamente lento e classificato come rock ballad che arrivò al 5° posto nella classifica UK dei singoli più venduti, e il pezzo bandiera della band I Believe in a Thing Called Love chiudono un concerto a dir poco spettacolare.

I Darkness sono una garanzia, non solo come musica, ma come scenografia (gli abiti estremi di Justin avrebbero fatto invidia alle presentatrici che stavano conducendo Sanremo nella stessa serata) e come capacità di coinvolgimento del pubblico. Alla prossima, raga!

mercoledì 5 febbraio 2020

Hootie & the Blowfish - Cracked Rear Mirror

Negli anni 90 il rock alternativo era uno dei generi musicali più popolari e tra gli esponenti di questo stile c'è stato un quartetto che lo ha sapientemente mischiato con il southern rock e con il country realizzando melodie ricche di suoni morbidi e patinati. Il gruppo in questione sono gli Hootie & the Blowfish, originari del South Carolina. Il gruppo ha la peculiarità di aver avuto una formazione stabile durante tutta la propria attività discografica, con Darius Rucker alla voce, Mark Bryan alla chitarra, Dean Felber al basso e Jim Sonefeld alla batteria.

Il primo album della band si intitolata Cracked Rear Mirror ed è stato pubblicato nel 1994. L'album è composto da undici pezzi di facile presa già al primo ascolto, grazie anche alla voce singolare del vocalist e ai numerosi cori che la band esegue soprattutto sui ritornelli. Il disco parte subito forte con Hannah Jane che coniuga sapientemente ritmi veloci e melodia dando subito un buon assaggio di ciò che si troverà del resto dell'LP. Già in questo primo album troviamo alcuni dei pezzi più iconici del gruppo, come il midtempo Hold My Hand che racchiude in sé tutti le caratteristiche migliori della band, con un intro di chitarra, una melodia orecchiabile e un ritornello in cui Darius Rucker mostra il meglio della propria vocalità accompagnato da un potente coro del resto della band. Tra i pezzi migliori troviamo anche Time, che ripropone la formula collaudata del gruppo, la veloce Drowning che costituisce uno dei momenti più brillanti del disco e Only Wanna Be With You che cita nel testo Blood on the Tracks, Idiot Wind e Tangled Up in Blue di Bob Dylan.

Il disco contiene ovviamente anche un buon numero di ballad tra cui Let Her Cry e Goodbye eseguita con solo voce e piano. In due tracce, Look Away e Running From an Angel troviamo anche la presenza di un violino, suonato da Lili Haydn della Los Angeles Philharmonic Orchestra, che dona un tocco più forte di southern rock.

Giunti al termine dell'ascolto non si può che constatare che questo disco è un vero capolavoro, composto di tracce di altissimo livello, che non annoia mai e capace di regalare emozioni dall'inizio alla fine. Il gruppo ha oggi all'attivo sei album e Rucker affianca l'attività come frontman a quella di cantante solista, in cui si dedica più al country che al rock alternativo. Cracked Rear Mirror resta ad oggi uno degli album migliori degli anni 90 grazie alle sue tante suggestioni musicali e commistioni tra stili che questi quattro musicisti hanno saputo regalarci pur non godendo della fama, almeno nel nostro paese, che meriterebbero ampiamente come dimostra questo loro primo album.