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martedì 30 maggio 2017

L'omicidio di Mia Zapata

Si ringraziano l'investigatrice privata Leigh Hearon, il bassista dei Gits Matt Dresdner e la batterista e cantante Maria Mabra per la consulenza fornita durante la stesura di questo articolo.

La scena musicale di Seattle nei primi anni 90 era particolarmente fervida; gruppi come i Nirvana, i Soundgarden e i Pearl Jam dominavano le classifiche e il grunge era tra i generi di maggior successo. Purtroppo uno tra i gruppi musicali più promettenti di Seattle vide la propria carriera stroncata sul nascere a cause della morte della propria cantante: il gruppo in questione sono i Gits e la loro cantante era la ventottenne dalla voce blues Mia Zapata.

La cantante fu uccisa nel quartiere di Capitol Hill nella notte tra il 6 e il 7 luglio del 1993. La ragazza abitava nella zona più a nord del quartiere di Ranier Valley e quella sera era stata in un locale chiamato Comet Tavern al numero 922 di East Pike Street che frequentava abitualmente con il resto della band. Arrivò alla taverna verso le 20:30, quella sera sicuramente consumò molti alcolici e fumò erba e qualche altra sostanza. Non era di buon umore, perché si stava separando dal fidanzato Robert Jenkins (morto nel 2012) e per combattere la tristezza si affidò all'alcol. A un certo punto lasciò la taverna con un paio di amici per andare a bere un distillato alla pizzeria Piecora's, al 1401 di East Madison Street (oggi demolito, ma ancora visibile in Google Street View nella vista del 2007), dove Mia lavorava part time come cameriera, ma poi i tre tornarono alla taverna; prima di uscire aveva anche fatto una telefonata dal telefono fisso del locale, ma non disse a nessuno chi fosse il destinatario.

Mia lasciò la taverna intorno a mezzanotte per andare allo studio di registrazione degli Hell's Smells, la band in cui suonava Robert, sperando di trovarlo ancora lì. Lo studio si trovava nel piano interrato del complesso Winston Apartments al 1019 di East Pike Street. Mia scese da una scala laterale ma risalì poco dopo, perché l'uomo non era lì. La cantante decise allora di salire al secondo piano a trovare l'amica Tracy Victoria Kenly, detta TV, che era anche la cantante degli Hell's Smells. Mentre le due donne parlavano, Mia a un certo punto uscì dalla casa senza preavviso, per poi tornare poco dopo e scusarsi per il proprio comportamento.

Mia lasciò l'appartamento di TV alle due e l'amica la vide scendere le scale interne. Da lì, Mia può essere uscita dal retro o dall'ingresso principale e non è sicuro quale strada abbia preso. Può essere andata verso ovest all'incrocio con Broadway dove c'era una stazione di servizio della Texaco (oggi distributore della Shell) che faceva anche da stazione per i taxi, per prenderne uno per tornare a casa; tuttavia nessuna delle persone che si trovavano alla stazione di servizio riferì di averla vista, né alcun tassista disse di averla incontrata. Può essere andata verso nord, verso l'appartamento dell'amica Maria Mabra, batterista degli Hell's Smells, che abitava a quindici minuti a piedi dalla casa di TV e che aveva invitato Mia a dormire da lei. Può essere andata verso est, per tornare alla pizzeria Piecora's. Può essere andata verso sud per tornare a casa a piedi, Mia abitava a 2,5 chilometri dalla casa di TV nella parte più a nord del quartiere di Rainier Valley ed essendo una buona camminatrice avrebbe potuto prendere questa decisione senza esitazione. In ultimo, potrebbe essere tornata allo studio di registrazione nel piano interrato senza uscire dall'edificio, perché il giorno seguente un'amica di Mia trovò allo studio il microfono personale della cantante da cui di rado si separava.

Rosso: Comet Tavern
Verde: Stazione di servizio della Texaco
Giallo: Winston Apartments
Blu: Piecora's

Ottanta minuti dopo essere uscita dall'appartamento di TV, alle 3:20 Mia Zapata fu trovata morta da una prostituta chiamata Charity al'incrocio di 24th South Avenue e South Washington Street. Mia era stesa sulla schiena, con le gambe stese, le caviglie incrociate e le braccia aperte come se fosse stata in croce. Charity corse a chiedere aiuto a una stazione dei pompieri poco lontano; quando arrivò sulla scena il medico legale tentò comunque di rianimarla, ma la cantante era già morta. La strada si trovava tra due edifici religiosi, la chiesa apostolica Bethel Christian Church e una sede del Catholic Community Service, e il luogo stesso e la posizione del corpo fecero dapprima pensare a un omicidio di carattere religioso. Mia era stata picchiata e strangolata con i cordini della felpa che indossava; in una delle tasche dei jeans erano infilati il portafogli, le mutande che indossava al momento dell'aggressione e il reggiseno che le era stato strappato.

Sulle prime il cadavere non fu identificato perché Mia non aveva con sé documenti; l'unico indizio poteva essere il nome della band The Gits stampato sulla felpa, ma i soccorritori non capirono chi era la donna stesa a terra. Il cadavere fu identificato solo dal medico legale dopo essere stato trasferito all'ospedale, perché il coroner era un appassionato di musica grunge e aveva visto Mia con i Gits in vari locali della zona; lo stesso medico durante l'autopsia rilevò che Mia aveva anche subito violenza sessuale e un morso sul seno sinistro. La conclusione fu che Mia fu uccisa per strangolamento, ma sarebbe comunque morta per le percosse all'addome, che le ruppero il fegato, se non fosse stata strangolata.

Giallo: Winston Apartments
Viola: luogo del ritrovamento del cadavere

Parallelamente all'indagine della polizia, la band assunse l'investigatore privato Leigh Hearon per indagare sulla morte della cantante. Per dieci anni entrambe le indagini portarono a molto poco. La Hearon trovò un unico testimone: una donna (e non un uomo come riportato erroneamente dalla puntata di Unsolved Mysteries che ha trattato di questo caso) che abitava poco lontano dalla zona del ritrovamento del cadavere sentì delle urla di una voce femminile, la testimone guardò fuori dalla finestra e vide una grossa auto allontanarsi velocemente dalla via a fondo chiuso in cui viveva verso le vie principali. Le indagini si concentrarono dapprima su Robert Jenkins, ma questi fu subito escluso dai sospettati perché aveva passato la notte con degli amici e poi con un'altra donna. L'alibi di Robert era solidissimo e l'uomo superò anche il test del poligrafo.

L'unico indizio lasciato dall'assassino era qualche traccia di saliva sul seno di Mia, ma per la tecnologia del tempo il campione era troppo ridotto per poter essere usato per l'identificazione. Il campione fu quindi congelato e per anni le indagini non fecero alcun progresso nonostante l'impegno della polizia e della Hearon nell'intervistare chiunque nella zona avesse potuto vedere o sentire qualcosa.

L'indagine rimase bloccata per nove anni, quando grazie all'analisi STR fu possibile identificare il DNA dell'assalitore separandolo da quello di Mia. Dapprima fu confrontato con il database CODIS dell'FBI che contiene il DNA di tutte le persone che abbiano commesso un reato negli USA, ma non diede alcun riscontro. Nello sconforto gli inquirenti pensarono che l'assassino di Mia non avesse mai commesso altro crimine, oppure che fosse morto.

Il confronto con il database non si arrestò e un anno dopo fu possibile trovare un riscontro: il DNA apparteneva a Jesus Mezquia, un esule cubano che viveva a Marathon, in Florida, e che nel 2002 fu arrestato per furto con scasso e violenza domestica, condanne grazie alle quali il suo DNA fu inserito nel CODIS. Gli inquirenti dello stato di Washington insieme agli U.S. Marshals della Florida cercarono Mezquia a casa sua a Marathon, ma l'uomo non era lì. Alcuni giorni dopo tornò a casa dicendo di essersi trasferito momentaneamente a Miami per lavoro; Mezquia accettò la richiesta della polizia di sottoporlo ad alcune domande, evidentemente ignorando di essere stato connesso alla morte di Mia Zapata.

A Mezquia furono mostrate alcune foto, tra cui una di Mia, e gli fu chiesto se riconosceva quelle persone; rispose negativamente e negò di aver ucciso una di queste. Tuttavia asserendo di non conoscere Mia Zapata escluse la possibilità che la sua saliva fosse sul seno della donna per motivi diversi dall'omicidio. Gli fu prelevato un nuovo campione di DNA che venne confrontato con quello prelevato dal corpo di Mia, e fu di nuovo trovata la corrispondenza.

La polizia verificò anche che Mezquia aveva vissuto per un periodo a Seattle, a soli tre isolati dal luogo del ritrovamento de cadavere. Inoltre quando la foto di Mezquia fu diffusa sui media, un'altra donna di Seattle, Valentina Dececco, chiamò la polizia per dire di aver riconosciuto in Mezquia un uomo che l'aveva molestata sei mesi prima della morte di Mia Zapata.

Jesus Mezquia era quindi l'uomo che aveva rapito, picchiato, stuprato e ucciso Mia Zapata.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti Mezquia avrebbe assalito Mia mentre questa ascoltava musica in cuffia che le impedì di sentire l'assalitore che si avvicinava. L'uomo poi la caricò in macchina dove la aggredì picchiandola e stuprandola. Dopo averla strangolata, la scaricò dalla macchina e la trascinò nel posto dove è stata trovata prendendola da sotto le braccia, e per questo motivo fu trovata con le braccia larghe come in croce.

Jesus Mezquia fu condannato nel 2004 a 37 anni di reclusione; nel 2005 l'uomo fece appello alla corte federale che annullò la condanna sostenendo che la pena in un caso del genere avrebbe dovuto arrivare al massimo a 28 anni. Tuttavia nel 2009 la corte superiore di King County (la contea in cui si trova la città di Seattle), viste le aggravanti, confermò la pena ai 36 ani di reclusione che restavano da scontare a Mezquia.


Fonti utilizzate oltre a quelle citate e linkate nell'articolo:

mercoledì 12 aprile 2017

L'omicidio di John Lennon

La vita di John Lennon finì l'8 dicembre del 1980, mentre il cantante rientrava nel suo appartamento nel complesso noto come The Dakota, raggiunto da una serie di proiettili sparati da un uomo solitario di nome Mark Chapman.


Mark Chapman, nato nel 1955, lavorava a Honolulu come guardia giurata e venerdì 5 dicembre volò a New York portando con se quattordici ore di musica dei Beatles in musicassetta. Si registrò al YMCA della 63esima strada e in un negozio di New York comprò una copia di Double Fantasy, l'ultimo disco di Lennon, e il numero di Playboy con l'ultima intervista al cantante. Chapman passò gran parte del weekend fuori dal Dakota ma senza vedere Lennon. Riuscì nella sua impresa solo domenica 7 dicembre; facendosi largo tra le groupie si avvicinò al cantante e a Yoko Ono e iniziò a scattar loro delle foto. Lennon si arrabbiò e corse verso di lui cercando di strapparli la macchina fotografica, lo fermò Yoko Ono urlandogli di lasciar stare.

La mattina dell'8 dicembre Lennon e la Ono fecero colazione al La Fortuna di Columbus Avenue, quindi Lennon andò dal barbiere per un taglio di capelli e la coppia tornò al Dakota per un servizio fotografico e per un'intervista alla RKO Radio. Secondo il biografo Philip Norman, autore del libro John Lennon: The Life, i due fecero prima l'intervista e poi le foto, secondo altre fonti (tra cui CBS News) prima vennero le foto e poi l'intervista.

Quale che sia stato l'ordine dei due eventi, la coppia uscì di nuovo dal Dakota intorno alle quattro del pomeriggio per andare agli studi Record Plant dove doveva incidere nuovi brani. Si fecero portare dalla limousine dell'RKO e appena saliti davanti al Dakota, Chapman si avvicinò loro e chiese a Lennon di autografargli la copia di Double Fantasy. Il cantante acconsentì aggiungendo Is that all you want? Di questo momento esiste anche un'iconica foto scattata dal fotografo del New Jersey Paul Goresh. Chapman in seguito dichiarò che avrebbe avuto intenzione di sparare a Lennon in quella circostanza, ma desistì disarmato dalla sua cortesia.

L'ossessione di Chapman per Lennon si era già manifestata in ottobre. L'uomo lasciò il lavoro da guardia giurata firmando il registro con il nome John Lennon, per poi cancellarlo con una croce. Quindi prese un volo per New York con l'intento di uccidere il cantante, ma non portò a termine il suo piano.

La sera dell'8 dicembre Lennon e Yoko Ono registrarono fino alle dieci e trenta; quindi, prima di uscire a cena, Lennon volle tornare al Dakota per vedere di nuovo il figlio Sean prima che si addormentasse. Arrivarono al palazzo alle 10:50 e l'autista fece scendere i due sul marciapiede; la coppia si diresse verso l'ingresso del palazzo: Chapman li attendeva sotto l'arco d'ingresso.

Lo stesso Chapman in un'intervista alla CNN ricordò che Lennon gli rivolse uno sguardo, come se si ricordasse di lui avendolo visto poche ore prima. Chapman aspettò che i due passassero, quindi chiamò sommessamente "Mr. Lennon", si mise in posa da combattimento e sparò cinque colpi nella schiena del cantante con la Charter Arms .38 che portava con sé. In seguito Chapman dichiarò alla polizia di aver sentito in quel momento una voce che gli diceva Do it! Do it! Do it! Lennon non crollò sul colpo ma riuscì a fare pochi passi verso la reception, salì alcuni gradini poi cadde dicendo I'm shot. Il concierge Jay Hastings attivò l'allarme connesso con la polizia, quindi tolse a Lennon gli occhiali e lo coprì con la sua giacca. Intanto il portiere dello stabile Jose Perdomo, con cui Chapman aveva scambiato qualche parola durante l'attesa, gli tolse la pistola dalle mani scalciandola via. Yoko Ono scoppiò a piangere urlando John's been shot, mentre Chapman si appoggiò al muro esterno del palazzo leggendo la copia di The Catcher in the Rye di J.D. Salinger (noto in italia con il titolo Il Giovane Holden) che aveva con sé.

Una prima auto della polizia arrivò poco dopo e i due agenti arrestarono Chapman che non oppose alcune resistenza, disse ai poliziotti di essere disarmato e di aver agito da solo, quindi venne dapprima immobilizzato contro il muro e poi ammanettato e condotto in macchina. Una seconda auto della polizia arrivò poco dopo, mentre i primi agenti ammanettavano Chapman; vista la gravità delle ferite gli agenti decisero di non aspettare l'ambulanza e portare Lennon al Roosvelt Hospital dove fu portato al pronto soccorso, ma poco dopo fu dichiarato morto alle 11:07.

Lennon in sintesi fu ucciso da un pazzo che agì in solitudine, ma come tutte le morti violente di persone famose anche l'omicidio dell'ex membro dei Beatles ha suscitato la fantasia di chi vuole vedere complotti ovunque. E' questo il caso ad esempio dello scrittore Phil Strongman che nel suo libro John Lennon: Life, Times and Assassination pubblicato nel 2010 sostiene che Chapman fosse stato un sicario al soldo della CIA.

L'agenzia, secondo quanto scrive Strongman, avrebbe assoldato Chapman in quanto Lennon era pericoloso per via delle sue idee sinistrorse. Secondo Strongman, ad esempio, è sospetto che Chapman avesse compito viaggi in Libano (dove la CIA era molto attiva), Giappone, UK, India e altri paesi, considerando la precaria situazione lavorativa dell'uomo. Strongman sostiene quindi che questo sia prova del fatto che Chapman riceveva finanziamenti di nascosto.

Rappresentazione grafica della polizia dell'omicidio di Lennon
Premesso che nessuno ha mai spiegato perché uno che canta delle canzoni dovrebbe essere un sobillatore (per quanto fosse un grande musicista, le idee pacifiste di Lennon altro non erano che un'accozzaglia di banalità), l'impegno antimilitarista di Lennon risale ai primi anni 70, ben dieci anni prima di essere ucciso. In secondo luogo Strongman dovrebbe spiegare perché aver viaggiato molto farebbe automaticamente di Chapman un sicario, il salto logico ci pare incolmabile: secondo Chapman chiunque fa un viaggio in più di cinque paesi in un anno è automaticamente un assassino prezzolato? In ultimo, come ammette lo stesso Strongman, i viaggi di Chapman risalgono al 1975, quindi secondo l'autore la CIA ha impiegato cinque anni a commissionare un omicidio.

Inoltre Strongman sostiene che i proiettili nei corpo di Lennon siano stati sparati da due armi diverse e quindi nel Dakota era nascosto un secondo sparatore mai identificato. Strongman ci sta quindi dicendo che la CIA ha assoldato un misterioso cecchino che è sparito nel nulla e un secondo aggressore talmente imbranato da non muoversi dopo aver ucciso Lennon. L'ipotesi di Strongman è oltre il ridicolo.

In realtà in questi quasi quarant'anni non è mai emerso nessun legame tra Chapman e ipotetici mandanti. Al contrario potremmo osservare che se la CIA avesse voluto eliminare Lennon avrebbe forse avuto a disposizione mezzi ben migliori. Avrebbe potuto eliminarlo, ad esempio, in una situazione con meno testimoni magari in un drive-by shooting. Senza voler credere alle teorie del complotto, gli assassini di Tupac Shakur o di Notorious B.I.G. sono stati molto più professionali del maldestro Mark Chapman.

Purtroppo anche in questo caso la realtà è drammatica e semplice: un uomo che agiva da solo ha ucciso John Lennon sparandogli alla schiena. Nessun complotto governativo, ma solo uno squilibrato in azione.

martedì 28 febbraio 2017

La morte di Aaliyah

Il 25 agosto del 2001 la giovanissima cantante R&B Aaliyah (il cui nome intero era Aaliyah Dana Haughton) incontrò la morte in un incidente aereo di ritorno dalle Isole Abaco, nell'arcipelago delle Bahamas, dove aveva girato il suo ultimo videoclip per Rock The Boat tratto dal suo terzo ed eponimo album. La cantante era all'apice della sua carriera, avendo riscosso grande successo anche nel mondo del cinema in cui aveva esordito con la strana rivisitazione di Romeo e Giulietta ambientata a Oakland, in California, intitolata Romeo Must Die; Aaliyah aveva anche finito le riprese del suo nuovo film, La Regina dei Dannati, che si preannunciava un grande successo nelle sale cinematografiche, successo che il film riscosse davvero ma di cui Aaliyah non poté godere. La ragazza e il suo staff erano volati alle Bahamas il 23 di agosto su un Fairchild Metro III e avrebbero dovuto tornare negli USA il 26, ma avendo terminato le riprese in anticipo decisero di rientrare il giorno prima.

Il volo avrebbe dovuto partire arrivare all'aeroporto delle Abaco alle 16:30 per partire poco dopo per Opa-locka, in Florida, ma il velivolo, un Cessna 402B, arrivò solo alle 18:15. Poco prima della partenza Aaliyah accettò la proposta di un giovane fan di scattare una foto con lei e quella fu l'ultima foto della cantante in vita. Secondo Wikipedia la medesima foto non fu scattata poco prima della morte della cantante ma al suo arrivo alle Bahamas, tuttavia non specifica da quale fonte abbia tratto questa informazione.

Insieme ad Aaliyah sarebbero saliti sull'aereo il suo truccatore Eric Foreman, il rappresentante della Virgin Records Douglas Kratz e altre due donne e tre uomini. Il pilota di un volo charter delle Bahamas, Lewis Key, riportò che il pilota del Cessna, Luis Morales, ebbe una discussione con i passeggeri a cui fece notare che l'aereo era sovraccarico per via delle nove persone a bordo e del materiale per le registrazioni e che questo avrebbe compromesso la sicurezza del volo; tuttavia Aaliyah e il suo staff insistettero sostenendo di dover rientrare a Miami entro la sera di sabato 25.

Lewis Key aggiunse che Morales ebbe problemi ad avviare uno dei motori del Cessna appena prima del decollo. L'aereo comunque si staccò dalla pista intorno alle 18:50 per schiantarsi verticalmente, scendendo con il muso, a soli 60 metri dalla fine della pista e disintegrandosi in una palla di fuoco. Un uomo sopravvisse all'impatto iniziale e fu rinvenuto la tra macerie urlante di dolore, ma morì poco dopo all'ospedale. Il libro Aaliyah: More Than a Woman di John Farley, riporta la testimonianza del pilota e pompiere Claude Sawyer che vide l'aereo alzarsi in volo per poi piegare a sinistra e schiantarsi verticalmente prima di raggiungere l'altezza di trenta metri.

Dal rapporto del coroner delle Bahamas emerse che il corpo di Aaliyah riportò gravi ustioni e un colpo alla testa e che lo shock fu tale che se la cantante fosse sopravvissuta il recupero sarebbe comunque stato quasi impossibile.

Anche l'NTSB, l'ente americano preposto a verificare le cause dei disastri nei trasporti, condusse un indagine sull'accaduto e il breve rapporto finale indicò che l'aereo superò le proprie capacità di carico per via delle persone a bordo, dei bagagli e del carburante e che il baricentro del velivolo era troppo arretrato rispetto alle specifiche. Di fatto l'NTSB confermò il sospetto che emerse già nei primi giorni dopo il disastro. Nel 2003 furono anche rivelati i risultati degli esami tossicologici sul corpo di Morales che rivelarono tracce di cocaina e alcol nel sangue dell'uomo. Poche settimane prima dello schianto mortale, Morales fu fermato alla guida della sua auto per non aver rispettato uno stop e la polizia trovò delle quantità di cocaina sulla sua auto, in quell'occasione Morales rispose che non fosse per uso personale ma per un amico. Poche settimane prima dell'incidente mortale Morales fu licenziato dalla Golden Airlines per non essersi presentato al lavoro e pochi giorni prima dello schianto fu assunto dalla Blackhawk International Airways; tuttavia l'FAA, attraverso la propria portavoce Kathleen Bergen, comunico di non aver concesso a Morales l'autorizzazione a volare negli USA e che il pilota autorizzato a condurre quel volo era una persona diversa da Morales. Infatti un articolo del Sun Sentinel pubblicato poco dopo l'incidente indicò il pilota identificato come "L. Maradel".

In rete si trovano facilmente delle teorie del complotto secondo cui Aaliyah sarebbe stata uccisa dagli Illuminati su mandato della cantante Beyoncé che voleva liberarsi della concorrente: ovviamente come tutte le teorie del complotto si basa su un'accozzaglia di scemenze senza alcuna prova.

La triste realtà è che una sequenza di errori umani, sia da parte del pilota sia da parte della stessa cantante de suo staff, ci ha tolto una delle più talentuose e promettenti cantanti della scena R&B.

venerdì 14 ottobre 2016

La morte di Kristen Pfaff

Nota: si ringraziano Gene Stout e Dan Raley per la consulenza e per aver fornito il testo integrale del loro articolo "Bassist For Band Hole Found Dead" pubblicato sul Seattle Post-Intelligencer il 17 giugno 1994 e non disponibile sull'archivio online del giornale.

Dopo soli due mesi dalla morte di Kurt Cobain un altro grave lutto colpì Courtney Love quando giovedì 16 giugno del 1994 la bassista degli Hole, Kristen Pfaff, fu trovata senza vita nella vasca da bagno di casa sua, nel quartiere di Capitol Hill di Seattle.

Kristen Pfaff era nata a Buffalo nel 1967, e aveva quindi 27 anni al momento della morte: la stessa età di Cobain e degli altri membri del celebre Club 27. Nella sua carriera aveva militato nei Janitor Joe, con cui aveva inciso un solo album nel 1993 intitolato Big Metal Birds, per poi approdare negli Hole con cui registrò l'album Live Through This nel 1994.


La ragazza abitava nel complesso chiamato Swansonia al 1017 di East Harrison Street (di cui si trovano facilmente molte immagini in rete cercando con Google "Seattle Swansonia") e il giorno della sua morte avrebbe dovuto tornare a Minneapolis, città in cui aveva vissuto a lungo prima di trasferirsi a Seattle, perché l'attività degli Hole era congelata in seguito alla morte di Cobain. La ragazza aveva quindi chiesto aiuto all'amico Paul Erickson, bassista degli Hammerhead, per il trasloco e il 15 di giugno Paul l'aveva aiutata a caricare su un camion noleggiato appositamente le sue cose e i suoi mobili di casa. Siccome la partenza era fissata per il giorno dopo, Paul si era offerto di dormire sul camion in modo da non lasciare incustoditi gli oggetti di Kristen. Verso le otto di sera, Paul lasciò Kristen da sola in modo che la ragazza potesse farsi un bagno e tornò nel camion parcheggiato in strada. Più tardi, intorno alle 9:30 secondo quanto narrato nel volume Love & Death di Max Wallace e Ian Halperin, Paul vide il chitarrista degli Hole Eric Erlandson entrare nel complesso residenziale per andare a salutare Kristen e sapendo che la ragazza era in bagno anche Paul salì con lui. I due uomini constatarono che Kristen si era addormentata nella vasca e da fuori dal bagno la sentirono russare. La ragazza a quel punto era quindi ancora viva, inoltre sia lo stesso Erickson sia il padre di Kristen confermarono in seguito che Kristen si addormentava nella vasca abitualmente e pertanto la circostanza non era strana. Eric non poté rimanere perché aveva un appuntamento con l'attrice Drew Barrymore e rimase solo fino alle 10, ma disse a Paul che se Kristen non fosse uscita dal bagno in venti minuti avrebbe dovuto chiamarlo al cellulare; questo però non avvenne mai perché Eric tornò nel camion e si addormentò.

Quando Paul si svegliò la mattina seguente intorno alle 9:30 tornò nell'appartamento per vedere se Kristen era pronta a partire, ma trovò la porta del bagno ancora chiusa a chiave. Paul abbatté la porta e trovo Kristen morta, inginocchiata nella vasca da bagno con meno di quindici centimetri di acqua e con la testa e le spalle che sporgevano dal bordo della vasca. A terra accanto alla vasca c'era una borsa per il trucco che conteneva delle siringhe e il necessario per prepararsi la dose. In bagno furono rinvenuti anche un quaderno ad anelli e due biro.

Nonostante fosse chiaro fin da subito quale fosse la causa del decesso, sulle prime le autorità furono caute. L'autopsia fu svolta il 17 di giugno, ma anche dopo l'esame autoptico il portavoce del medico legale della contea disse che le cause del decesso sarebbero state chiare solo dopo aver ottenuto l'esito dell'esame tossicologico. I dati definitivi arrivarono solo il mese dopo e il responso era proprio quello atteso dal primo giorno: Kristen Pfaff morì di overdose accidentale di oppiacei. Il portavoce specificò che non si trattò di suicidio, ma di un incidente. La cosa comunque stupì le persone più vicine a Kristen perché la ragazza soffriva di dipendenza da droga ma se n'era liberata l'inverno precedente grazie a un programma di riabilitazione.

Come molte morti premature di persone famose, anche quella di Kristen Pfaff ha scatenato una ridda di ipotesi alternative su cosa sia successo in realtà alla bassista. Le teorie del complotto più diffuse vogliono che a uccidere Kristen Pfaff sia stata proprio Courtney Love.

In questo caso però le teorie alternative sono più assurde del solito perché non propongono nessun indizio in tal senso, ma si limitano a dire che Courtney avrebbe eliminato Kristen perché questa aveva una relazione con Kurt Cobain (che però era morto da due mesi) oppure che la stessa Courtney aveva una relazione con Paul Erickson. Quest'ultima ipotesi, ad esempio, è sostenuta dal Tom Grant (noto teorico del complotto relativamente alla morte di Kurt Cobain) ed è vagamente più realistica perché un'eventuale cospirazione per uccidere Kristen doveva per forza includere anche Paul (e probabilmente anche Eric). L'unica prova portata a sostegno è che Courtney Love ha dichiarato al noto periodico Rolling Stone di essere stata all'appartamento di Kristen con Paul dopo che questi aveva trovato la ragazza morta. Ma in realtà non vi è niente di strano, è più che ragionevole che Courtney corresse dove la sua bassista era stata rinvenuta cadavere.

Anche la madre di Kristen, Janet Pfaff, non crede alla versione ufficiale e quando intervistata dagli autori di Love & Death ha dichiarato I am not convinced my daughter's overdose was accidental. E' comprensibile che una madre non accetti che la giovane figlia si sia accidentalmente tolta la vita, tuttavia secondo il medico legale della contea non ci fu alcun segno di violenza e quindi un eventuale complotto dovrebbe includere anche gli inquirenti e il medico legale. Non si capisce quando gli eventuali cospiratori avrebbero potuto aggredire Kristen, come avrebbero fatto a tenerla ferma mentre lei verosimilmente si dimenava per liberarsi, a che ora l'avrebbero eliminata e perché Eric avrebbe dovuto prestarsi a questa recita fingendo di trovarla morta. Come sempre le teorie del complotto hanno più lacune delle versioni ufficiali.

Kristen Pfaff è sepolta al Forest Lawn Cemetery di Buffalo.

sabato 23 luglio 2016

La morte di Amy Winehouse

Dal 23 luglio del 2011 il celebre Club 27, riservato ai musicisti morti a 27 anni come Jim Morrison o Jimi Hendrix, ha una nuova e illustre iscritta: la cantante soul Amy Jade Winehouse che in quella data fu trovata senza vita stesa sul letto della sua residenza al numero 30 di Camden Square, a Londra.

La cantante soffrì per molti anni di dipendenza da varie droghe quali crack, eroina, cocaina e cannabis. Dopo una lotta durata vari anni nel 2008 riuscì ad abbandonare le droghe pesanti, ma purtroppo sostituì la dipendenza dagli stupefacenti con quella dall'alcol.

Insieme a lei nella casa di Camden Square viveva la sua guardia personale Andrew Morris che abitava in una delle camere degli ospiti al piano inferiore rispetto a dove stava Amy. Negli ultimi 16 mesi della sua vita la cantante frequentava l'attore Reg Traviss che però non viveva con lei. La sera del 22 luglio Reg chiamò Amy intorno alle otto per dirle che avrebbe fatto tardi al lavoro e che sarebbe passato da lei portandole del cibo comprato in un take away così che potessero mangiare insieme, ma la ragazza non volle aspettare e chiese a Morris di ordinare del cibo indiano da asporto che Morris ordinò al telefono e che i due consumarono separatamente ognuno nella propria stanza.

Morris la sentì per ore al piano di sopra che rideva, guardava video su YouTube e in televisione. Quindi poco dopo le dieci la cantante trovò su YouTube il video di un suo ex fidanzato e scese al piano di sotto per chiedere a Morris di salire da lei a vederlo. Morris rimase con lei a guardare video per ore. Nel frattempo Reg Traviss terminò la sua giornata lavorativa e tentò di contattare Amy al telefono, sia con chiamate sia con messaggi, ma la ragazza non rispose. Reg considerò anche l'ipotesi di farsi portare da lei dal taxi, ma dopo vari ripensamenti desistette; per motivi che nemmeno lui seppe spiegare non chiamò sul telefono fissò né chiamo Morris al cellulare.

Morris rimase con lei fino alle due e mezza, quindi scese nella sua stanza dove guardò un film fino a poco prima delle quattro per poi stendersi a letto. Quando Andrew si addormentò la cantante era ancora sveglia perché Morris continuò a sentirla muoversi nell'appartamento fino a dopo essersi messo a letto. Intorno alle tre e mezza la cantante inviò un sms all'amico Kristan Marr ma curiosamente ignorò i messaggi e le chiamate di Reg.

Prima di addormentarsi andò in bagno a vomitare, forse inducendo il rigetto, per via delle bulimia di cui pure soffriva oltre alla dipendenza dall'alcol. Quindi si stese a letto prona, ancora vestita, lasciando il computer acceso e tre bottiglie di vodka Smirnoff a terra accanto al letto.

Alle dieci del mattino del giorno seguente Morris si svegliò e salì a verificare se Amy stesse bene. La trovò stesa sul letto, ma siccome la cantante era solita dormire fino a tardi non si avvicinò a toccarla e se ne andò senza preoccuparsi decidendo che fosse opportuno lasciarla riposare. Intorno alle tre e mezza Morris tornò a verificare la situazione e trovo la ragazza stesa nella stessa posizione in cui l'aveva vista prima e si allarmò. Si avvicinò tentando di svegliarla, ma il tentativo fu vano. Le sentì il polso e non poté che constatare che il battito era assente e che non respirava.

Cercò per casa se vi fossero segni di consumo di droga, ma non ne trovò: solo le tre bottiglie di vodka sul pavimento. Alle 3 e 57 chiamò l'ambulanza (secondo altre fonti alle 3:54) e il medico Andrew Cable al suo arrivo pochi minuti dopo constatò che il battito era assente e che era subentrato il rigor mortis a conferma del fatto che la cantante era morta da alcune ore.

Amy Winehouse fu dichiarata morta poco dopo le quattro a casa sua.

L'esame tossicologico del coroner fu rilasciato ad ottobre del 2011 e chiarì che Amy non aveva assunto droghe nel periodo antecedente la sua morte ma che questa era dovuto a un arresto respiratorio causato dall'intossicazione da alcol, la ragazza in sintesi si era intossicata con l'alcol fino a morire. Il medico legale Suhail Baithun constatò che la cantante aveva 416 milligrammi di alcol per 100 millilitri di sangue, oltre cinque volte il limite ammesso per potersi mettere alla guida di un autoveicolo in UK. Lo stesso medico asserì che il livello letale di alcol nel sangue è di 350 milligrammi per 100 millilitri, ben al di sotto dei valori della Winehouse. Del resto la cantante aveva consumato grandi quantità di alcol anche nei giorni precedenti alla morte, come confermato dal racconto della madre Janis che l'aveva incontrata la mattina del 22 luglio e che dichiarò in seguito che la figlia puzzava di alcol, che non riusciva a scendere le scale senza aiuto e che Morris l'aveva probabilmente aiutata a lavarsi, vestirsi e pettinarsi. Inoltre Amy assumeva regolarmente il Librium, calmante utilizzato per combattere la dipendenza dall'alcol.

L'anno dopo le autorità britanniche riaprirono le indagini sulla morte di Amy perché si scopri che il deputy coroner incaricato delle indagini Suzanne Greenaway non aveva i requisiti per ricoprire quel ruolo ma la seconda indagine portò ai medesimi risultati della prima confermando che la cantante si era avvelenata con l'alcol.

Secondo il fratello di Amy, Alex Winehouse, anche la bulimia fu uno dei fattori che contribuì alla morte della sorella, ma questa teoria è confutata dal dottor Jason Payne-James, che espresse il proprio parere nella puntata della serie televisiva Autopsy dedicata ad Amy Winehouse, secondo cui molto raramente la bulimia è causa di morte ma può essere sintomatica di altri disturbi. Al contrario, sempre secondo Payne-James, uno degli aspetti fondamentali per capire le ragione del decesso di Amy è che la cantante smise di bere alcolici del tutto per due settimane fino al 20 di luglio quando ne riprese un consumo massiccio. Resta il dubbio del perché abbia interrotto il periodo di astinenza e secondo il medico il motivo stava nel disturbo borderline di cui Amy soffriva, che induce spesso comportamenti impulsivi e pericolosi. Il fatto che Amy soffrisse di questo disturbo è confermato dal fatto che il suo medico Christina Romete le aveva prescritto la terapia dialettico-comportamentale e dal fatto che la cantante aveva spesso sulle braccia graffi netti e diritti probabilmente autoinflitti. La circostanza che Amy si procurasse ferite da sola è confermato anche da un drammatico racconto della madre.

Purtroppo Amy non volle mai intraprendere cure psichiatriche durante la sua vita per evitare che queste potessero influire sulla sua creatività e sulla capacità di scrivere musica. Purtroppo il rifiuto delle cure, cantato da Amy in Rehab, fu uno dei motivi per cui morì a soli 27 anni.

Il dottor Payne-James chiude la sua analisi con una drammatica considerazione: il fatto di essersi addormentata in posizione prona contribuì a schiacciarle il busto e a occluderle le vie respiratorie e se si fosse addormentata supina o su un fianco avrebbe probabilmente dormito tranquilla e la mattina dopo si sarebbe rialzata.

Oltre alle fonti già citate nell'ambito di questa ricerca abbiamo consultato il volume Amy, 27 di Howard Sounes e il film biografico Amy di Asif Kapadia.

mercoledì 6 luglio 2016

La morte di Little Walter

Nonostante la sua notorietà non sia all'altezza di quella di altre leggende del blues, Little Walter fu uno dei più grandi e influenti musicisti di ogni tempo; è a lui che si deve la nascita dell'harmonica blues grazie alla sua intuizione di amplificare il suono dell'armonica in modo da poter competere, quanto a volume sonoro, con i chitarristi suoi contemporanei. Marion Walter Jacobs, questo era il suo vero nome, trovò la morte il 15 febbraio del 1968 in seguito a una rissa nella periferia di Chicago.


Negli ultimi giorni della sua vita Walter viveva a casa di una donna chiamata Katherine, al numero 209 E della 54esima strada, che aveva conosciuto grazie ad Armilee Thompson (una delle ex ragazze di Walter e sedicente madre del suo unico figlio). La sera prima del giorno della sua morte Walter si esibì in un locale chiamato Theresa's Lounge all'incrocio tra la 48esima strada e South Indiana (la foto sopra mostra come appare il luogo oggi, la scala d'ingresso al locale che era al piano interrato è visibile in basso a sinistra sul marciapiede) dove suonavano regolarmente altri grandi musicisti come Buddy Guy e Junior Wells. Durante una pausa dell'esibizione Walter si spostò con altri musicisti e avventori sulla strada per una partita di dadi. L'uomo con cui Walter stava giocando lanciò i dadi, ma colpì lo stesso Walter. Cadendo, i dadi diedero la combinazione vincente; ma Walter contestò che avendo i dadi colpito proprio lui quella non poteva essere considerata una vittoria legittima. L'avversario si allungò per prendere i soldi, ma Walter lo anticipò; l'avversario allora afferrò un oggetto metallico e colpì Walter alla testa.

A distanza di quasi cinquant'anni vi sono ancora grossi dubbi su come il fatto si sia svolto e in particolare su che oggetto metallico l'uomo abbia usato per colpire Walter alla testa: secondo quando raccontato da Katherine ad Armilee lo stesso Walter le avrebbe riferito di essere stato colpito con un tubo di ferro; ma due testimoni oculari riportano versioni diverse dell'accaduto. Il primo di questi fu il bluesman Big Guitar Red, secondo cui Walter sarebbe stato colpito con un'armonica, e il secondo fu il ben più noto Junior Wells, la cui versione è riportata in modo esteso nell'autobiografia del leggendario bluesman Buddy Guy, che sostiene che Walter fu colpito con un martello, oggetto molto più simile a un tubo di ferro di quanto non lo sia un'armonica.

Wells prosegue raccontando che il colpo subito non stese Walter, che non cadde nemmeno a terra e non diede l'impressione di essere stato colpito a morte. Walter non riuscì comunque a riprendere a cantare e tornò verso casa di Katherine. Arrivato a casa intorno alle 23:30 disse a Katherine di avere un forte mal di testa; quindi telefonò all'amico musicista Sam Lay, che era abituato alle chiamate di Walter a tarda ore, a cui disse di essere stato colpito alla testa da un pugno sferratogli dal fratello di Katherine infuriato perché Walter aveva preso l'orologio della donna e lo aveva ceduto in pegno a seguito di una partita persa, Walter chiese a Sam di andare da lui perché sapeva che l'amico aveva una pistola, ma questi non poté accontentarlo perché non aveva un'automobile a disposizione. Katherine gli diede quindi un'aspirina; il musicista si stese a letto e poche ore dopo, intorno alle 3:00, la donna lo trovò morto accanto a sé.

Il certificato di morte redatto dal dottor William Monabola attribuisce la causa della morte a trombosi coronarica, non menziona la possibilità di un omicidio né visibili danni esteriori e questo unito alla testimonianza di Wells suggerisce che il colpo riportato peggiorò una situazione di salute già compromessa e non fu esso stesso la causa della morte. Il medico non ravvisò nulla che facesse pensare a un omicidio, la polizia non condusse alcuna indagine e non ci fu nessuna autopsia.

Resta il rimpianto di non sapere quanto altro blues di ottimo livello avrebbe potuto scrivere Little Walter se non fosse morto a soli trentotto anni. Probabilmente sarebbe ricordato come un musicista fondamentale come il suo mentore Muddy Waters, ma purtroppo la sua vita sregolata lo portò via prima del tempo.

Le fonti che abbiamo utilizzato per la nostra ricerca sono la biografia di Little Walter Blues with a Feeling: The Little Walter Story di Tony Glover,Scott Dirks e Ward Gaines; l'autobiografia di Buddy Guy When I Left Home: My Story; e il volume Highway 61: Crossroads on the Blues Highway di Derek Bright.

giovedì 28 aprile 2016

La morte di Elvis Presley

Il 16 agosto del 1977 segnò una data fondamentale nella storia della musica perché nel primo pomeriggio di quel martedì il re del rock and roll Elvis Presley fu trovato morto in uno dei bagni della sua residenza di Graceland ponendo così una forzata fine alla carriera di uno dei più grandi interpreti della musica di tutti i tempi.

Nell'ultimo periodo Elvis conduceva una vita sregolata e senza orari, il giorno prima della sua morte si svegliò dopo le quattro del pomeriggio e quella stessa sera volle vedere il proprio dentista, il dottor Hofman, intorno alle 22:30 perché soffriva di forte mal di denti. Insieme a lui andò anche la donna con cui visse nell'ultimo periodo della sua vita, la ventunenne Ginger Alden con cui era fidanzato da meno di un anno. Il dentista praticò la pulizia della bocca e Elvis e gli fece anche alcune otturazioni, quindi visitò anche Ginger a cui pure praticò la pulizia della bocca. In quei giorni i rapporti tra Elvis e Ginger erano molto tesi perché il 16 agosto il cantante avrebbe dovuto partire per l'ennesima tournée della sua carriera e voleva che la ragazza lo seguisse, ma Ginger sosteneva di avere degli impegni che l'avrebbero trattenuta a Memphis e che lo avrebbe raggiunto in seguito.

Elvis e Ginger tornarono a Graceland alle 00:28 dalla visita dal dentista e mentre il cantante era ancora in macchina durante il suo ultimo spostamento gli fu scattata quella che rimarrà per sempre la sua ultima foto in vita. Alle 2:15 Elvis chiamò il suo medico personale, il dottor George Nichopoulos chiedendogli un analgesico perché uno dei denti curati da Hofman gli faceva ancora male, il medico gli prescrisse il Dilaudid ed Elvis chiamò quindi il fratellastro Rick Stanely chiedendogli di ritirare la prescrizione dal medico e le medicine dalla farmacia del Baptist Memorial Hospital. In rete si trova facilmente una copia della prescrizione del dottor Nichopoulos che include degli stimolanti oltre al Dilaudid, ma si tratta di un falso che veniva venduto insieme al bootleg Elvis' Greatest Shit del 1982 che nelle intenzioni di chi lo ha realizzato doveva raccogliere il peggior materiale mai registrato da Elvis. Nel documento falso il nome del medico è scritto sbagliato, Nichopolous invece di Nichopoulos, così come è sbagliato anche il codice di avviamento postale, 34108 invece di 38104.

Dopo aver assunto le medicine portategli da Stanley. Alle 4 di notte, ancora non riuscendo a dormire, Elvis svegliò il cugino Billy Smith e la moglie Jo per una partita di racquetball (sport simile allo squash ma giocato con una palla di gomma) con lui e Ginger, pensando che l'esercizio fisico lo avrebbe aiutato a tenere il peso sotto controllo, del resto la forma fisica sarebbe tornata a essere un fattore determinante vista l'imminente tournée. Nonostante Billy e Jo fossero addormentati a casa loro, accettarono l'invito e andarono a Graceland a giocare. Giocarono dapprima le due ragazze, poi Elvis e Ginger, poi Billy e Jo e poi Billy ed Elvis ma la partita dei due uomini degenerò in fretta e i due cominciarono a tentare di colpirsi reciprocamente con la palla, finché Elvis non si fece male allo stinco con la sua stessa racchetta. La partita finì con una risata di gruppo, quindi Elvis portò Ginger, Billy e Jo nella sala dove teneva il piano e intrattenne i suoi tre ospiti suonando e cantando due brani gospel e la canzone Blue Eyes Crying in the Rain di Fred Rose che Elvis aveva inciso per il suo penultimo album From Elvis Presley Boulevard, Memphis, Tennessee e Unchained Melody che Elvis aveva inciso per il suo ultimo album Moody Blue.

Verso le cinque del mattino Elvis e Ginger tornarono e letto e mentre il cantante camminava verso la sua stanza vide la figlia Lisa Marie ancora sveglia, la rimise a letto dandole un bacio della buona notte. Arrivato in stanza chiese a Rick di portargli altri sonniferi e il fratello gli consegnò il primo pacchetto di medicine che assunse quella mattina. Non riuscendo a dormire Elvis prese altre pastiglie alle 7 e ancora altre alle 8. Purtroppo le medicine assunte non ebbero l'effetto sperato e alle 9 Elvis, in preda a dolori addominali dovuti a una grave costipazione, si alzò dal letto dicendo a Ginger che sarebbe andato in bagno a leggere portando con sé un libro.

Nel frattempo Ginger si addormentò e si svegliò tra l'una e trenta e le due del pomeriggio non trovando Elvis accanto a sé. Non si allarmò da subito ed andò dapprima a lavarsi e truccarsi in un altro bagno, quindi andò a cercare Elvis nel bagno in cui l'uomo si era chiuso dalle 9 e dopo aver bussato senza ottenere la porta entrò e trovò il cantante steso a terra sul fianco sinistro con ancora i pantaloni abbassati in stato di incoscienza e con il viso immerso in una pozza di vomito. In preda allo spavento Ginger chiamò la governante al piano di sotto con l'interfono e questa inviò Al Strada, una delle guardie di Elvis, e il suo road manager Joe Esposito (nessuna relazione con l'omonimo cantante) che arrivò di corsa dal Howard Johnson Hotel e che capendo subito della gravità della situazione chiamò il soccorso medico e subito dopo chiamò anche Nichopoulos. Ginger, Al e Joe girarono il corpo sulla schiena ma questo era già freddo e rigido, provarono comunque a praticargli la rianimazione cardio-polmonare ma per via del rigor mortis la bocca di Elvis non si aprì, segno che il cantante era già deceduto da alcune ore e quindi ogni tentativo di rianimarlo sarebbe comunque stato vano. Sopraggiunsero sulla scena anche Vernon Presley, il padre del cantante, e Lisa Marie che Ginger tenne fuori dalla stanza per non farle vedere il cadavere del padre.

I paramedici arrivarono a Graceland alle 14:33, nonostante il cadavere fosse ormai freddo provarono comunque anche loro a rianimarlo e continuarono a farlo durante in tragitto verso l'ospedale anche intubandolo e somministrandogli degli stimolanti. Nel frattempo arrivò anche Nichopoulos che salì sull'ambulanza e diede istruzioni di portare Elvis al Batpist Memorial Hospital e non al Methodist South Hospital che sebbene fosse più vicino non aveva mai avuto Elvis in cura e quindi i registri relativi al cantante si trovavano al Baptist Memorial dove inoltre Nichopoulos aveva numerose conoscenze. Ma una volta arrivato all'ospedale, alle ore 15 Elvis Presley fu dichiarato morto.

L'autopsia iniziò il giorno stesso del decesso e questa accertò che il fegato del cantante era gravemente danneggiato, il cuore ingrossato e l'intestino occluso da materiale fecale. Gli esiti degli esami furono consegnati alla famiglia solo due mesi dopo e rilevarono nel corpo di Elvis la presenza di ben 14 farmaci di cui dieci ampiamente oltre i limiti imposti dall'uso terapeutico. L'ipotesi sostenuta dai patologi fu quindi che l'abuso di farmaci causò il decesso di Elvis Presley. Tuttavia il medico legale della contea di Shelby, il dottor Jerry Francisco, sostenne da subito che si trattò invece di un problema al cuore. Tutt'ora a quasi quarantanni dalla morte di Presley il dibattito su quale fu la causa del decesso è ancora aperto tra chi sostiene che il motivo sia l'abuso di farmaci e chi sostiene un evento di tipo cardiaco causato dallo sforzo della defecazione. Di questa seconda opinione è anche il dottor Shepperd della trasmissione televisiva Autopsy trasmessa da Channel 5 che nella puntata dedicata alla morte di Elvis fa notare che prima di morire il cantante di alzò dalla toilette e fece alcuni passi allontanandosi di un metro dalla toilette stessa e facendo cadere con la mano alcuni flaconi vicino al lavello. Di norma chi muore per abuso di farmaci perde coscienza e si addormenta, ma questo non sembra essere il caso di Elvis che al contrario si alzò e probabilmente aveva intenzione di chiedere aiuto.

Come tutte le morti premature di personaggi famosi anche il decesso di Elvis Presley ha dato vita a numerose teorie alternative tra le più fantasiose. Secondo alcuni Elvis sarebbe stato ucciso dal suo manager, il Colonnello Tom Parker, il quale sarebbe stato anche un agente dell'FBI incaricato di uccidere Elvis per evitare che questi rivelasse particolari scomodi che aveva scoperto sugli omicidi dei fratelli Kennedy. Ma si tratta di una delle tante ipotesi di complotto che si basa sul nulla; non vi è prova fattiva di nulla di tutto ciò.

Una teoria più nota vuole che Elvis abbia intenzionalmente abusato dei farmaci che aveva a disposizione per suicidarsi in quanto depresso. Ma se queste fossero state davvero le intenzioni del cantante avrebbe probabilmente cercato di ingerire tutte le dosi di medicine contemporaneamente (ad esempio accumulandole per l'ultima somministrazione se non poteva averle a disposizione prima senza destare sospetti da parte di Ginger o di Rick). Inoltre Ginger nelle interviste rilasciate dopo la morte di Elvis lo descrisse come euforico ed eccitato per la tournée che stava per intraprendere e questo non sembra proprio il quadro di una persona intenta a suicidarsi.

Ma la teoria alternativa più nota è senza dubbio quella secondo cui Elvis sarebbe vivo e si nasconderebbe da qualche parte del mondo, nessuno sa né dove né perché. Francamente questa teoria è più assurda di quella del suicidio e dovrebbe prevedere un gigantesco complotto di cui farebbero parte anche Nichopoulos, Francisco e tutti i medici che hanno avuto contatti con il cadavere di Elvis da Graceland fino all'autopsia. In rete e in alcuni libri si legge che Francisco avrebbe dichiarato che il cervello e il cuore di Elvis dopo l'autopsia sono rimasti al Baptist Memorial Hospital, nell'ambito di questa ricerca non abbiamo trovato la citazione originale e forse Francisco non ha mai proferito quella frase e quindi non possiamo prendere per assodato che Elvis sia stato sepolto senza questi organi vitali. Tuttavia anche senza questa smentita è oltre il ridicolo pensare che il cantante abbia finto la propria morte e non sia stato scoperto in quasi quattro decenni.

Le fonti che abbiamo utilizzato per questa ricerca sono i libri Careless Love: The Unmasking of Elvis Presley di Peter Guralnick, The Death of Elvis di Charles C. Thompson II e James P. Cole e The King and Dr. Nick: What Really Happened to Elvis and Me del dottor George Nichopoulos, i documentari Autopsy e Elvis Presley: The Last 24 Hours e numerose interviste rilasciate poco dopo l'accaduto da Ginger Alden facilmente reperibili su YouTube.

giovedì 21 gennaio 2016

La morte di Whitney Houston

La vita di Whitney Houston si spense l'11 febbraio del 2012 nella stanza 434 del Beverly Hilton, al numero 9876 di Wilshire Boulevard a Bevery Hills dove la cantante si trovava per partecipare alla consueta festa che il produttore Clive Davis organizza annualmente la sera prima della cerimonia dei Grammy Awards. Whitney era arrivata il 6 febbraio firmandosi al check-in con il nome di Elisabeth Collins, pseudonimo ispirato al nome della nonna materna che si chiamava Sarah Elisabeth Collins Houston, inoltre la stessa Whiteny aveva Elisabeth come secondo nome. Insieme a lei viaggiavano la sua assistente Mary Jones e la guardia del corpo Ray Watson. La festa di Clive Davis si sarebbe tenuta il sabato sera, proprio il giorno della sua morte.

Whitney passò la serata precedente al bar dell'Hilton con altri ospiti dell'albergo bevendo fino a tardi. Nel primo pomeriggio di sabato 11 telefonò alla cugina, la famosa cantante Dionne Warwick, per assicurarsi che le due sarebbero state sedute allo stesso tavolo alla festa, in seguito la Warwick riportò che Whitney a quell'ora stava bene ed era di buon umore in vista della serata che le aspettava.

Poco prima delle 15 Whitney disse alla Jones di sentirsi la gola secca e di avere questa sensazione da alcuni giorni, l'assistente le consigliò di farsi un bagno per rilassarsi e di prepararsi per la serata. Quindi Mary uscì dalla stanza e alle 15:15 Whitney sentì al telefono anche la madre, la cantante Cissy Houston, che pure confermò in seguito che la figlia stava bene.

Alle 15:36, come confermato dal sistema elettronico di rilevamento delle aperture delle porte dell'albergo, la Jones tornò nella stanza, aprì con la propria chiave elettronica e non vide la cantante in giro, la cercò in bagno dove vide dapprima il pavimento bagnato e un attimo dopo la Houston priva di sensi stesa nella vasca piena a faccia in giù. Il rubinetto era comunque chiuso. L'assistente provò a estrarla dalla vasca, ma non riuscì. Chiamò quindi Watson e insieme trassero il corpo dalla vasca deponendolo sul pavimento del salotto della suite spostando il divano in modo da creare più spazio; alle 15:43 Watson chiamò la reception chiedendo di chiamare il 911. Arrivarono dapprima alcuni agenti di polizia e i paramedici dei vigili del fuoco già presenti nell'albergo per via del grosso evento che avrebbe avuto luogo la sera, i paramedici tentarono la rianimazione cardio-polmonare, ma invano. Alle 15:55 Whitney Houston fu dichiarata morta.

Il corpo rimase a lungo nella stanza 434 e il medico legale ne ordinò la rimozione solo dopo dieci ore, quando la festa di Davis. che si tenne comunque, era già abbondantemente iniziata nell'imbarazzo di molti degli ospiti. Il medico legale nel suo rapporto definitivo scrisse che la causa del decesso fu annegamento dovuto ad aterosclerosi (malattia cardiaca di cui soffriva) e uso di cocaina, sostanza che la cantante usava regolarmente come confermato dalle perforazioni nel setto nasale riscontrate dal coroner. Il medico scrisse anche di aver trovato nella stanza molte medicine, tra cui ansiolitici e miorilassanti, che le erano state prescritte, posaceneri colmi di cicche di sigarette, bottiglie di alcolici e uno specchio con della polvere bianca. In bagno sul ripiano del lavello fu trovato anche un cucchiaino con una sostanza cristallina e un foglio di carta arrotolato accanto al cucchiaio, segno che la cantante aveva assunto cocaina poco prima di immergersi nella vasca. Anche l'esame tossicologico confermò la presenza nel suo sangue di cocaina e alti livelli di benzoilecgonina, il principale metabolita della cocaina.

Del resto Whitney aveva consumato cocaina varie volte durante la sua permanenza al Beverly Hilton e non sono solo gli oggetti trovati nella sua stanza a confermarlo. Intervistato dal documentario delle serie Autopsy di Channel 5 dedicato alla morte di Whitney Houstion lo spacciatore abituale della cantante, che appare nel documentario con il viso coperto, racconta di averle consegnato cocaina all'Hilton più volte durante quei cinque giorni. L'uomo le si avvicinava fingendosi un fan e porgendole una biro come se volesse un autografo. La cantante, che conosceva la procedura, estraeva dalla borsa un quaderno in cui aveva nascosto nelle banconote e dopo averlo autografato lo porgeva all'uomo tenendosi in cambio la biro che era in realtà piena di cocaina. Inoltre secondo un'indagine di TMZ l'uomo che le fornì la cocaina in quei giorni riuscì a rimuoverne alcune quantità dalla stanza dopo la morte della cantante e prima che arrivassero le autorità, non c'è modo di verificare indipendentemente questa asserzione che in realtà appare poco credibile perché non si capisce quando l'uomo sarebbe entrato senza essere notato, come avrebbe fatto a sapere che la cantante era morta prima che ne venisse diffusa la notizia e soprattutto TMZ sostiene che nella stanza non vi fossero più tracce di cocaina quando arrivarono le autorità ma questo, come abbiamo visto, non corrisponde al vero.

Secondo quanto sostenuto da Autopsy il grave errore della cantante fu di aver riempito la vasca con acqua troppo calda, infatti quando fu misurata sei ore dopo l'incidente era ancora oltre 34 gradi. Dopo aver chiuso il rubinetto la Houston sarebbe quindi entrata in piedi nella vasca sotto l'effetto della cocaina e lo stordimento della droga le avrebbe impedito di percepire lo shock termico dell'acqua eccessivamente calda, lo shock le causò un crollo della pressione sanguigna e la conseguente perdita di sensi la fece cadere nella vasca, l'aterosclerosi e l'effetto della droga le impedirono di riprendere conoscenza e la cantante annegò nell'acqua.

Sebbene non vi siano seri motivi per dubitare della ricostruzione del medico legale, anche la morte di Whitney Houston ha generato varie teorie del complotto secondo cui la cantante sarebbe in realtà stata uccisa. E' quanto sostiene il detective privato Paul Huebl le cui motivazioni sono però piuttosto risibili. Secondo Huebl durante il periodo in cui Whitney è rimasta da sola in stanza, un gruppo di aggressori non meglio identificato sarebbe entrato nella stanza, l'avrebbe aggredita e poi tenuta con la testa sott'acqua forse solo per spaventarla e non con l'intenzione di ucciderla. L'unica motivazione addotta da Huebl sono le abrasioni trovate sul corpo della Houston e gli slittamenti della pelle rilevati dal medico legale, la causa scatenante sarebbe un debito per droga mai saldato. Ma la spiegazione data da Autopsy è molto più semplice: le abrasioni alla testa furono causate dalla caduta nella vasca, e il tentativo di estrarla a peso morto dalla vasca e la rianimazione causarono le altre. Lo slittamento della pelle è dovuto invece alla lunga permanenza nell'acqua calda.

Inoltre come tutte le teorie del complotto si basa su dettagli insignificanti e ne ignora altri ben più significativi. Huebl ad esempio non considera il fatto che la Houston è stata trovata nella vasca nuda e ci sembra piuttosto bizzarro che la cantante potesse ricevere ospiti nuda. Del resto la porta non è stata forzata, né il sistema di rilevamento elettronico delle aperture delle porte dell'albergo ha registrato un passaggio della chiave prima di quello di Mary Jones. I vestiti avrebbero comunque esserle stati strappati, anche solo un accappatoio, ma se davvero ci fosse stata una colluttazione in quella stanza il mobilio e gli oggetti di Whitney sarebbero stati in disordine ma la camera come descritta dal medico legale nel rapporto è invece ordinata con tutti gli oggetti disposti in modo coerente, questo dettagli è confermato anche dalle poche foto che sono state pubblicate in esclusiva da TMZ. Nemmeno Mary Jones ha mai riportato di aver trovato nella stanza un disordine sospetto.

In ultimo se la Houston fosse stata aggredita avrebbe verosimilmente urlato e in un hotel gremito come quello qualcuno avrebbe sentito le grida. Ma nessuno dei testimoni mai riportò nulla del genere. L'unico dettaglio sospetto è il fatto che il coroner precisa che la patente di guida di Whitney è stata sottratta dal portafogli prima del suo arrivo, ma questo non indica in alcun modo che si sia trattato di un omicidio piuttosto sembra indicare che tra le persone che sono entrate nella stanza qualcuno abbia raccolto un cimelio.

Ancora una volta anche nel caso di Whitney Houston le teorie del complotto sembrano solo il parto delle menti troppo fervide di chi intende lucrare su morti famosi.

Oltre a quelle già citate le fonti che abbiamo utilizzato per la nostra ricerca sono gli articoli di ABC News A Timeline of Whitney Houston's Final Days e Whitney Houston: 'White Powder' Found on Spoon in Hotel Room, Whitney Houston found dead in a bathtub at Beverly Hilton Hotel del New York Daily News e We'll always love you: Whitney is carried from funeral to sound of her greatest hit - but Bobby Brown storms out in row over seating del Daily Mail.


Nota: Il 19 novembre del 2014 il conduttore radiofonico Adam Corolla ha sostenuto nel suo programma The Adam Corolla Show che lo spacciatore intervistato nella puntata di Autopsy sia in realtà un attore e che l'intervista fosse quindi falsa. Il presunto attore ha partecipato alla trasmissione di Corolla, tuttavia non abbiamo potuto confrontare le voci perché il podcast della puntata non è più disponibile, ma guardando le foto pubblicate dal sito dell'Adam Corolla Show non ci sembra proprio che l'uomo intervistato da Corolla sia lo stesso apparso in Autopsy, in particolare la bocca e nello specifico il labbro superiore sembrano notevolmente diversi. Inoltre l'uomo intervistato da Corolla ha sostenuto di aver interpretato l'autista di Whitney Houston in un'intervista telefonica nella stessa puntata di Autopsy, ma questo è falso come è facilmente verificabile visionando Autopsy. L'ipotesi più probabile è che l'uomo intervistato da Corolla sia un mitomane che nulla ha in comune con lo spacciatore di Whitney Houston. Detto ciò, che la testimonianza dello spacciatore di Autopsy sia vera o meno non cambia minimamente la ricostruzione della morte della cantante.

giovedì 12 novembre 2015

L'omicidio di Peter Tosh

Peter Tosh era da poco tornato in Giamaica dopo un viaggio di lavoro negli Stati Uniti; quella sera, l'11 settembre del 1987, l'ex chitarrista degli Wailers che aveva da più di 10 anni intrapreso una carriera solista di successo si trovava nella sua casa al numero 5 di Plymouth Avenue nel quartiere Barbican di Kingston. Insieme a lui c'erano la moglie Marlene e tre amici, i musicisti Micheal Robinson, Santa Davis e Wilton "Doc" Brown. L'atmosfera in casa era molto allegra e distesa per via del freschissimo successo dell'ultimo album di Tosh No Nuclear War pubblicato proprio il giorno prima.

Peter e Marlene insieme ai loro amici si trovavano al primo piano della casa a guardare la televisione mentre aspettavano altri amici che sarebbero arrivati poco dopo. Intorno alle 20 un furgone Volkswagen guidato dal taxista Steve Russel che trasportava altre tre persone si fermò davanti alla casa di Tosh. I tre passeggeri scesero e bussarono alla porta.

Marlene, pensando che fossero arrivati gli altri due amici, chiese a Robinson di scendere ad aprire e Michael si trovò davanti Dennis Lobban, detto Leppo, amico di Peter a cui questi spesso elargiva soldi con grande generosità vista la difficile situazione economica di Leppo. Insieme a Dennis vi erano altri due uomini che Robinson non conosceva. I tre estrassero delle pistole e tenendo Micheal sotto tiro gli intimarono di non emettere suoni e chiesero se Peter fosse in casa e di condurli da lui. Robinson risalì le scale seguito dai i tre uomini, quando Marlene vide Leppo non si sorprese ma quando vide che i tre erano armati capì che qualcosa quella sera sarebbe andato storto.

Puntando la pistola al padrone di casa Leppo gli chiese dove tenesse i soldi e gli intimò di consegnargli della valuta americana che aveva portato dal suo recente viaggio, ma subito Marlene rispose che non ne avevano in casa. Uno degli assalitori colpì Tosh alla testa con il calcio della pistola e i tre ordinarono a tutti i presenti di sdraiarsi con la faccia a terra. Poco dopo arrivarono alla casa anche il dj Free I e la moglie Joy, gli altri due amici attesi da Tosh. Sulle prime nessuno rispose al campanello, quindi Free I sentì delle urla di una voce femminile provenienti dall'interno della casa e poco dopo un uomo che non conoscevano aprì loro la porta e li condusse all'interno, l'uomo che aveva aperto puntò la pistola a Joy e le ordinò di consegnargli la catena che portava al collo.

Tenendoli sotto tiro li portò nel salotto dove Tosh, Marlene e i loro amici erano stesi a faccia a terra; Joy ricorda i tre assalitori avevano già iniziato a picchiare duramente Peter il quale sanguinava dalla testa. I tre costrinsero anche Joy e Free I a mettersi a terra mentre continuavano a insistere con Tosh e Marlene affinché consegnassero loro i soldi che avevano in casa. Tosh disse agli assalitori di prendere ciò che volevano e uno dei tre spazientito iniziò a frugare le stanze in cerca di soldi e sotto il letto di Peter trovò il machete che il chitarrista teneva per difesa personale. L'assalitore minacciò Peter di tagliargli la testa se non avesse consegnato loro i soldi che aveva in casa e si avvicinò per minacciarlo con il machete. Marlene quindi balzò in piedi e si lanciò contro l'uomo con il machete che con poca fatica la ributtò a terra.

Capendo che Leppo e i suoi complici non se ne sarebbero andati a mani vuote e vedendo la situazione precipitare rapidamente, Tosh si offrì di donare loro dei soldi nei giorni successivi, appena avesse avuto modo di andare a prelevarli in banca. Per un attimo Leppo considerò l'offerta, ma subito dopo i tre aprirono il fuoco. Santa Davis ricorda di aver sentito odore di sangue e di aver capito che qualcuno era morto mentre i tre uomini sparavano all'impazzata su di loro: Marlene racconta che i colpi sparati furono circa 25, mentre secondo Joy furono più di 30.

Gli assalitori scapparono e sparirono tra le strade di Kingston. Marlene, che era stata colpita da due colpi alla testa, si finse morta e attese di sentire il rumore del motore dell'auto che si allontanava, quindi si alzò. Anche Joy si alzò nonostante fosse stata colpita al viso dal rimbalzo di uno dei proiettili sparati verso Marlene. Peter era stato colpito da due proiettili alla testa, sanguinava e respirava a fatica, ma era ancora vivo. Doc giaceva a terra morto. Anche Free I era ferito e respirava a fatica. Micheal era stato colpito a una spalla, ma stava complessivamente bene. Santa non era più nella stanza.

Marlene corse in strada a cercare aiuto, trovò Santa che disse di essere stato colpito alla spalla ma di stare bene. Dopo essersi accertato che gli assalitori erano scappati, l'uomo prese la sua Jeep e corse fino all'ospedale dove svenne addosso a un barelliere.

Davanti a casa Marlene si sbracciò per far fermare alcuni autoveicoli, se ne fermarono due e la donna chiese al guidatore del primo di portare Peter in ospedale. L'uomo acconsentì e Marlene e Michael salirono sullo stesso veicolo accompagnando Peter allo University Hospital dove fu dichiarato morto 20 minuto dopo l'arrivo.

Mentre Marlene correva giù dalle scale Joy si avvicinò al marito trovandolo ancora vivo. Poco dopo arrivò la polizia che li portò entrambi all'ospedale: Free I morì tre giorni dopo, mentre la donna non riportò gravi ferite. Doc Brown fu trovato morto a terra.

Temendo per la sua incolumità Leppo si consegnò al Jamaica Human Rights Council, ma non confessò mai i nomi dei suoi due complici che tutt'ora restano ignoti. Leppo fu condannato alla pena di morte, poi convertita in ergastolo. Il taxista Steve Russell raccontò di essere andato alla polizia dopo aver sentito la notizia della morte di Tosh e che gli fu detto di non fare denuncia e di lasciar perdere, in seguito fu comunque arrestato in relazione all'omicidio di Plymouth Avenue ma assolto in quanto non coinvolto.

Come ogni morte illustre anche l'omicidio di Peter Tosh ha stimolato la fantasia di chi vede complotti ovunque, in questo caso alcuni ritengono che Lobban non abbia agito in autonomia ma sia stato mandato dal governo giamaicano ad eliminare Tosh il quale con le sue canzoni anti-establishment era scomodo e pericoloso. Premesso che non è chiaro come un cantante che si limita a cantare delle canzoni possa essere considerato un sobillatore (non ci risulta che ad oggi nessuna rivoluzione sia stata guidata da cantanti), se Lobban fosse stato mandato dal governo avrebbe avuto mezzi migliori di un furgone VW guidato da un taxista. Inoltre se dietro alla morte di Tosh ci fosse un complotto governativo i cospiratori avrebbero realisticamente potuto mandare un killer meno imbranato di Lobban (che si è fatto ingannare dalla finta morte di Marlene) e avrebbero dato ordine di sparare subito e di uccidere tutti per non lasciare testimoni scomodi; nella realtà i tre assalitori non si sono nemmeno sincerati che lo stesso Tosh fosse morto prima di scappare, infatti il chitarrista era ancora vivo al momento della loro fuga.

L'unica motivazione addotta da chi crede al complotto è che nulla è stato rubato dalla villa, ma esiste una spiegazione molto più ovvia: Lobban e i suoi complici cercavano valuta americana (forse per scappare negli USA) e Tosh in casa non ne aveva. In ultimo, è ovvio che l'attività di un cantante di successo come Tosh abbia ripercussioni positive sull'economia della sua nazione, quindi pensare che il governo decida di eliminarlo è davvero una follia.

Le fonti che abbiamo utilizzato per la nostra ricerca sono i documentari Behind the Music: Peter Tosh e Stepping Razor: RedX, gli articoli di giornale The Night Peter Tosh Was Killed del Jamaica Observer e Gunmen Kill Peter Tosh, Reggae Star, in Jamaica del New York Times, il libro Steppin' Razor: The Life of Peter Tosh di John Masouri, un servizio della televisione Giamaicana e il breve documentario sulla morte del cantante del Jamaica Broadcast Corporation e la lunga intervista rilasciata da Marlene nel 2012.

mercoledì 9 settembre 2015

La morte di Kurt Cobain

La mattina dell'8 aprile 1994 una squadra di elettricisti della VECA Electric arrivò alla villa al numero 171 di Lake Washington Boulevard, nella città di Seattle, per installare un nuovo sistema di luci di sicurezza. Il proprietario della villa non era un cliente comune, ma il famoso cantante rock e leader dei Nirvana Kurt Cobain.

Intorno alle 8:40 Gary Smith, uno degli elettricisti, si avvicinò alle finestre della serra e vide a terra ciò che sulle prime gli sembrò un manichino. Ma guardando meglio si accorse di un rivolo di sangue che usciva dall'orecchio destro, una bionda chioma fluente, un orologio da polso e un fucile appoggiato sul petto. Chiamò il 911, quindi chiamò la sede della ditta per cui lavorava dove gli rispose il collega Bruce Williams a cui chiese che aspetto avesse Kurt Cobain per assicurarsi che l'uomo morto fosse proprio il padrone di casa; Williams non lo sapeva e chiese a sua volta a una collega poco lontano. La donna disse che Cobain aveva lunghi capelli biondi e carnagione chiara e questi pochi dettagli bastarono a Smith a capire che l'uomo morto era proprio il cantante dei Nirvana e da quanto poteva vedere sembrava che si fosse sparato.

Il 911 inviò una squadra del Seattle Police Department e una del Seattle Fire Department e come abitualmente accade i pompieri arrivarono prima. Trovarono le porte della serra chiuse dall'interno e una di esse addirittura bloccata con uno sgabello, quindi ruppero i vetri per accedere alla serra. Poco dopo arrivò anche il primo agente di Polizia, l'ufficiale Von Levandowsky, che scrisse in seguito nel suo rapporto di aver trovato il cadavere steso a terra così come aveva riferito Smith con accanto una scatola di sigari che conteneva una siringa, un cucchiaino e altri strumenti utili a iniettarsi droga in vena. Poco lontano dal cadavere su un tavolo trovò anche un messaggio di addio manoscritto infilzato con una biro in modo che non volasse via. Lewandosky omise di scrivere che la biro con il foglio era infilzata in un vaso di terriccio posto sul tavolo. Il testo della lettera diceva in sintesi che a Kurt non piaceva più la vita che faceva, non gli piaceva più scrivere musica né esibirsi davanti al pubblico e che sarebbe stato di cattivo esempio per la figlia. Prima dei saluti concluse con una frase che nel giro di poco sarebbe diventata tristemente celebre: I don’t have the passion anymore and so remember, it’s better to burn out than to fade away.

Il quadro di quanto avvenuto fu da subito piuttosto ovvio. Cobain si era sparato in bocca e nonostante avesse il viso sfigurato dall'esplosione il coroner della Contea di King, in cui si trova Seattle, poté verificarne l'identità sulla base delle impronte digitali e stimò che il decesso era avvenuto tre giorni prima, il 5 aprile. Nel pomeriggio il medico legale emise il comunicato ufficiale confermando ciò che tutti già sapevano: Kurt Cobain era morto per ferita da arma da fuoco autoinflitta.

Nonostante tutto sembrasse fin troppo chiaro, fin dalla prima settimana dopo il ritrovamento del cadavere hanno iniziato a diffondersi le prime teorie del complotto secondo cui Kurt Cobain sarebbe invece stato ucciso. I principali e più famosi esponenti di queste teorie sono il giornalista Richard Lee e l'investigatore privato Tom Grant che fu incaricato dalla cantante Courtney Love (vedova di Cobain) di far luce sull'accaduto.

La prima motivazione addotta da chi non crede al suicidio è che la lettera di Kurt trovata infilzata nel vaso non sarebbe attendibile in quanto le ultime righe sembrano scritte con una grafia notevolmente diversa dal resto del testo. Anzitutto non è chiaro cosa questa teoria vorrebbe dimostrare, quand'anche fosse vero che le ultime righe sono state scritte da un'altra mano non si capisce per quale motivo questo indicherebbe che Kurt è stato ucciso. A meno che non si voglia credere che i cospiratori siano stati talmente pasticcioni da prendere una vera lettera di Cobain, aggiungerne del pezzi scritti in modo notevolmente diverso, non accorgersi di ciò e poi avere usato il foglio come fasulla lettera di addio: francamente il tutto è oltre i limiti dell'assurdo.

Se questa considerazione non bastasse, la ricostruzione del biografo Charles Cross proposta nella volume Heavier than Heaven risolve comunque l'apparente mistero. Cobain scrisse la parte principale del testo mentre era steso a letto e con il foglio ancora attaccato al blocco, mentre le ultime righe furono aggiunte sul pavimento di linoleum della serra appoggiando il singolo foglio sul pavimento. Per via della superficie irregolare che cede sotto la pressione della penna Cobain fu costretto a tracciare lettere più ampie. In ultimo, è sufficiente verificare nella raccolta di testi manoscritti di Cobain intitolata Journals (Diari, nella traduzione italiana) pubblicata nel 2002 che Kurt abitualmente aggiungeva dopo una prima stesura frasi addizionali scritte malamente in caratteri più grandi. La lettera, così come gli altri oggetti rivenuti sulla scena, sono chiaramente visibili nella raccolta di oltre 30 foto della scena pubblicate dal Seattle Police Department nel 2014.

Un'altra argomentazione che viene spesso presentata da chi non crede al suicidio è che la dose di eroina presente nel sangue di Kurt fosse troppo alta perché se la fosse iniettato da solo. Un articolo pubblicato dal Seattle Post Intelligencer il 14 aprile del 1994 riportò che il livello di morfina fosse di 1,52 milligrammi per litro, secondo Tom Grant questo comporta che la quantità di eroina iniettata nel corpo di Cobain fosse di oltre 200mg, mentre la dose letale è intorno ai 100mg per un uomo di corporatura media. Ma a tal proposito va notato che i tossicodipendenti sviluppano livelli di tolleranza più alti, come confermato da alcuni medici interpellati sull'argomento da Dateline NBC; inoltre dopo l'iniezione lo stordimento non si verifica istantaneamente ma lascia un po' di tempo a disposizione e di poco tempo aveva bisogno Cobain per prendere il fucile e spararsi in bocca.

La tesi di Tom Grant è che l'eroina sia stata iniettata a Cobain forzatamente per poterlo uccidere ed inscenare il suicidio, ma come sempre le teorie del complotto presentano più lacune di quelle che credono di colmare. Infatti se così fosse Kurt avrebbe dovuto presentare segni di colluttazione su tutto il corpo, ma nessun rapporto ufficiale menziona la presenza di alcun segno di lotta sul cadavere.

Un'ulteriore argomentazione proposta da chi non crede al suicidio è che i rapporti della polizia riportano che sul fucile sono state trovate impronte digitali latenti e non utilizzabili. Sempre secondo la biografia di Charles Cross il coroner Nikolas Hartshorne ha spiegato che il motivo per cui le impronte non erano leggibili è che per via del rigor mortis Cobain stringeva il fucile tra le mani ed esso gli è stato strappato dalla presa. Le dita di Kurt pertanto si sono mosse sul fucile rendendo le impronte illeggibili.

Purtroppo anche in questo caso la morte prematura di una persona famosa è diventata occasione per ricercatori senza scrupoli o poco accorti di vendere libri e DVD. Ma finché le argomentazioni portate sono di questo spessore non vi è alcun motivo ragionevole per dubitare del fatto che Kurt Cobain si sia sparato. Anche la nuova indagine condotta nel 2014 dopo che il Seattle Police Department esaminò quattro filmati registrati su pellicola da 35mm sulla scena del decesso (di cui non è noto il motivo per cui non sono stati esaminati già nel 94) non ha portato ad alcuna novità ma solo alla conferma di quanto era ovvio sin dall'inizio.

Oltre a quelle citate all'interno dell'articolo, le fonti che abbiamo utilizzato per la nostra ricerca sono gli articoli Nirvana: The 1994 Cover Story on Kurt Cobain’s Death, ‘Into the Black’ di Gina Arnold pubblicato da SPIN, Kurt Cobain's death was indeed a suicide, police say di CBS News, Lawsuit to release graphic Kurt Cobain death photos thrown out di CBS News, il documentario The Last 48 Hours of Kurt Cobain e la ricchissima documentazione messa a disposizione dai siti Justice for Kurt e The Smoking Gun.