venerdì 4 settembre 2020

An American Prayer: l'ultimo album dei Doors

Sette anni dopo la morte di Jim Morrison, e dopo due album in cui alla voce di alternavano Robby Krieger e Ray Manzarek, i Doors pubblicarono il loro ultimo album intitolato An American Prayer in cui alla voce tornò proprio Morrison: il disco è stato infatti realizzato aggiungendo delle basi musicali alla voce di Jim che legge le proprie poesie. Come si può chiaramente immaginare in queste incisioni Jim Morrison non canta, ma parla, o meglio recita i propri testi; non troveremo quindi la voce grintosa e graffiante di Break On Through ma un disco unico nel suo genere, a tratti forzato ma comunque interessante.


Dal punto di vista canoro l’album è sicuramente singolare, ma da quello musicale questa composizione non ha nulla da invidiare agli album precedenti della band. Le basi musicali che i Krieger, Manzarek e Densmore hanno composto per questo atipico album costituiscono infatti una sorta di compendio degli stilemi classici dei Doors, passando dal rock psichedelico, al jazz ai suoni latini e al blues, con anche alcuni rimandi chiari a loro pezzi storici come Riders on the Storm e The End. Il risultato complessivo è una sorta di talking blues in cui le uniche parti effettivamente cantante sono uno snippet di Peace Frog e una versione live composita di Roadhouse Blues che unisce una registrazione a New York con una a Detroit del 1970.

An American Prayer non è sicuramente il disco migliore dei Doors, ma resta un album importante che mostra la straordinaria creatività della band che è riuscita a realizzare un disco di buon livello in condizioni molto particolari. Questo album è notevolmente diverso dai precedenti e richiede un’atmosfera d’ascolto altrettanto diversa: non sono pezzi fatti per essere ascoltati nelle folle di un concerto, ma piuttosto in un momento di raccoglimento e isolamento. Fatte queste premesse e approcciato con le giuste aspettative, An American Prayer si rivela un disco prezioso, per conoscere aspetti meno noti dello straripante Jim Morrison e per avere un’altra prova della ricchezza musicale di questa iconica band.

giovedì 20 agosto 2020

Omicidio di Jam Master Jay: arrestati due uomini a New York



A diciotto anni dall'omicidio di Jam Master Jay, DJ e polistrumentista dei Run-DMC, due uomini sono stati arrestati a New York lo scorso 17 agosto. Il procuratore dei distretto Est di New York ha infatti depositato un'accusa contro Karl Jordan Jr, di 36 anni, e Ronald Washington, di 56.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, i due uomini insieme a Jason Mizell (vero nome di Jam Master Jay) avevano acquistato una partita di dieci chili di cocaina da un fornitore del Midwest e avrebbero dovuto venderla nel Maryland; poco prima dell'omicidio Mizell avrebbe comunicato a Washington che intendeva escluderli dalla vendita tenendosi così il completo incasso. Vedendosi tagliati fuori dall'affare, i due avrebbero cospirato per uccidere Mizell.

In caso di condanna Jordan e Washington rischiano dai vent'anni di galera alla pena capitale.

Il giorno seguente all'arresto la famiglia di Mizell ha pubblicato una dichiarazione sull'account Twitter dei Run DMC in cui dice che questo arresto è un passo importante verso la giustizia e chiede il rispetto della propria privacy durante l'iter legale.

sabato 8 agosto 2020

I venticinque anni di HIStory di Michael Jackson

Quattro anni nell'industria discografica dell'ultimo decennio dello scorso secolo erano un'eternità. Non c'erano i social network e non c'era YouTube e l'unico modo per un artista per tenere viva la propria immagine era sfornare dischi e farli seguire da dei tour, che comunque raggiungevano solo chi ci poteva andare di persona per il suddetto motivo. L'avvento del CD aveva fatto sì che i musicisti si trovassero a dover incidere dischi di almeno sessanta minuti se non settanta o oltre, contro i quarantacinque o cinquanta del vinile, dilatando così le uscite discografiche negli anni. Ma quattro anni restavano tantissimi. Ed è proprio questo il lasso temporale trascorso da Dangerous del 1991 a HIStory del 1995. A prima vista può sembrare che MJ fosse solito lasciare passare così tanto tempo tra un disco e l'altro, perché tra Thriller e Bad erano passati cinque anni e tra Bad e Dangerous quattro; ma in realtà a spezzare l'attesa nel primo caso arrivarono Victory dei Jacksons e We Are The World, nel secondo caso il film Moonwalker. Invece tra la fine del Dangerous Tour e HIStory non ci fu proprio nulla.

Nel 1995 Michael Jackson era nel pieno di una tempesta mediatica, per via delle accuse di pedofilia e del tormentato matrimonio con Lisa Marie Presley che qualcuno mormorava servisse proprio a cancellare agli occhi del pubblico le presunte accuse di devianze sessuali. Questa situazione intricata rallentò sicuramente l'attività di Jacko e quando arrivò HIStory diede proprio l'impressione di essere la sua sfida con il destino, con cui The King of Pop voleva dimostrare di essere vivo e vegeto, e di essere ancora al vertice della propria carriera.

L'uscita dell'album fu preceduta dall'uscita del video di Scream, in coppia con la sorella Janet; il pezzo ricordava un po' Jam, brano di apertura di Dangerous, ma pazienza. Alla fine era un bel pezzo che mostrava un Jackson in gran forma. Anche se internet non c'era ancora, c'era MTV Europe che trasmetteva su TELE+ (due anni prima che arrivasse MTV Italia che sancì l'inizio della fine di un glorioso network), c'era l'italianissima Videomusic e c'erano i programmi di musica sulle TV generaliste, e Scream divenne subito uno dei pezzi più trasmessi.

Per l'album, il cui titolo per intero è HIStory: Past, Present and Future, Book I, i produttori fecero una scelta che oggi appare stranissima. L'album era doppio: il primo disco era una sorta di greatest hits che attingeva da Off the Wall, Thriller, Bad e Dangerous; mentre le tracce nuove stavano sul secondo disco che era di fatto l'album nuovo. Questo comportava un problema che al tempo era piuttosto ovvio: il costo di un CD si aggirava sulle 30.000 lire, gli album doppi costavano circa 50.000, e con questa mossa MJ costringeva chiunque volesse ascoltare il disco nuovo a comprare anche le canzoni vecchie spendendo la banconota con il volto di Bernini. In realtà per quanto sembri una mossa assurda, secondo i criteri di allora lo era molto meno. Anzitutto molti fan potevano comunque non avere il materiale vecchio, perché negli anni 90 bisognava comprare il CD oppure conoscere qualcuno che lo aveva e che poteva fare una copia su cassetta, perché i masterizzatori sarebbero arrivati almeno tre anni dopo, quindi magari a molti faceva piacere acquistare insieme ai pezzi nuovi anche quelli vecchi (e uno quelli ero io). In secondo luogo era abbastanza comune al tempo che i musicisti che non avevano dischi pronti da dare alle stampe pubblicassero delle raccolte di vecchi successi con l'aggiunta di qualche pezzo nuovo per i passaggi radiofonici, e anche questa pratica costringeva all'acquisto di materiale vecchio chi voleva comprare le canzoni nuove. Lo fecero ad esempio Bryan Adams con So Far so Good o i Depeche Mode e gli U2 con le raccolte uscite in quegli anni, ma era una pratica del tutto comune.

Semmai i dubbi più grandi vennero dalla scelta dei pezzi del primo disco. Mancavano capolavori assoluti come Smooth Criminal, Dirty Diana e Will You Be There; ma quali dei pezzi presenti avrebbero potuto essere esclusi per fare spazio a questi? Nessuno. Appunto. I dischi di Michael Jackson sono ed erano raccolte di capolavori, e quindi è ovvio che non si possano inserire tutti i pezzi in una raccolta, e quindi alla fine andava bene così.


Il secondo disco confermò in parte ciò che Dangerous aveva già detto: il pop di facile presa, per quanto mai banale, targato Quincy Jones era ormai alle spalle in favore di suoni più complessi e vari e di tematiche sociali particolarmente attuali come l'inquinamento, la solitudine e l'ineguaglianza sociale. Il disco spazia infatti dal rock all'hard rock, al rap, al funk e al soul e per fare questo MJ si avvalse della collaborazione della sorella Janet, come già detto, ma anche di Shaquille O'Neal, Notorious B.I.G. e Slash.

Beh, che dire? Se il primo dei due CD conteneva capolavori del passato, il secondo conteneva i capolavori nuovi, quelli che avrebbero raggiunto i primi nell'empireo. Ciò che è rimasto poco chiaro è perché il titolo contenga le parole Book I, perché il secondo volume non si è mai visto. Due anni dopo MJ tornò con Blood on the Dance Floor: HIStory in the Mix, un altro album stellare sulla falsariga di questo, ma il Book II non è mai arrivato.

HIStory si rivelò comunque un grande successo e di pezzi che riempirono l'airplay ce ne furono molti, da They Don't Care About Us a Stranger in Moscow fino a You Are Not Alone scritta da R. Kelly, un altro artista travolto da scandali che nel 2001 scrisse anche Cry per Michael Jackson incisa nell'album Invincible. La copertina di HIStory mostrava una statua di MJ di tre metri che lo ritraeva in posa da guerriero. Il significato era chiaro: quella che MJ stava combattendo era la sua guerra personale per tornare in vetta. E con questo album la sua guerra la vinse alla grande e dopo quattro anni di assenza The King of Pop era tornato. Più forte che mai.

martedì 4 agosto 2020

Temperance - Viridian

Con il nuovo Viridian, uscito a gennaio di quest’anno, i Temperance sono giunti al loro quinto album in studio e al secondo con la nuova formazione che vede Michele Guaitoli e Alessia Scolletti alle voci, dopo Of Jupiter and Moons del 2018. In questo nuovo lavoro la band continua sulla strada tracciata dal precedente, realizzando un disco di ottimo metal melodico, intriso di AOR di stampo ottantiano, che basa la propria forza sulla positività della musica espressa e sulle ottime doti vocali dei due interpreti.

Il disco è composto da undici pezzi e parte fortissimo con la travolgente Mission Impossible chiaramente ispirata all'omonima serie cinematografica, ma l’offerta musicale non si ferma ai pezzi energici, infatti il disco vira subito verso l’AOR con pezzi melodici come I Am the Fire e Start Another Round. Atmosfere ottantiane si trovano anche in Let it Beat e nella title track Viridian che sono anche i due brani in cui Michele e Alessia tirano fuori il meglio delle proprie doti vocali, con Alessia in particolare che regala una performance magistrale nel controcanto sul ritornello finale di Viridian.

Come anticipato le atmosfere del disco sono molto varie e oltre ai pezzi energici e a una buona dose di AOR troviamo la power ballad Scent of Dye e un paio di esperimenti di crossover con The Cult of Misery, che contiene vocalizzi lirici di Laura Macrì, e Nanook impreziosita dalla presenza del coro dei bambini della scuola Sant'Angela Merici.

Chiudono il disco la speranzosa Gaia, in cui l’uomo si rivolge alla Terra su cui abita tra una richiesta di scuse e la speranza di poter cambiare il mondo per il meglio, e Catch the Dream, retta solo da un battito di mani come accompagnamento e che vede la presenza del coro gospel NuVoices Project, che inneggia all'unione dell’umanità e al superamento delle divisioni. La versione digitale del disco include Lost in the Christmas Dream, che come suggerisce il titolo stesso è un canto natalizio in stile AOR dai toni positivi e che invita a non perdere mai la speranza.

Giunti alla fine dell’ascolto ci si accorge che Viridian non contiene neanche un filler e costituisce un ottimo album di metal melodico ricco di commistioni e suggestioni diverse in cui la band dà anche una lezione tanto ovvia quanto di successo: se si ha in squadra il Dream Team del canto italiano realizzare un album di questo livello è quasi facile e naturale.

sabato 25 luglio 2020

Perché Take the "A" Train di Duke Ellington si intitola così?

Take The "A" Train è uno dei brani musicali più famosi di ogni epoca, che travalica i confini di generi ed epoche tanto che la sua melodia è nota a chiunque, anche a chi non ne conosce il titolo e non ne sa individuare lo stile.

Il brano nacque nel 1940, quando il celeberrimo jazzista Duke Ellington si trovò nella necessità di trovare un pezzo nuovo da usare come sigla di apertura delle proprie esibizioni radiofoniche dal vivo, dopo che l'ASCAP (American Society of Composers, Authors and Publishers, a cui era iscritto) aumentò le tariffe per le esecuzioni alla radio dei propri pezzi. Ellington allora chiese al figlio ventunenne Mercer e al compositore Billy Strayhorn, che erano iscritti alla BMI (Broadcast Music Incorporated) anziché all'ASCAP, di scrivere un brano apposito. Fino ad allora, infatti, Duke Ellington con la propria orchestra usava come sigla Sepia Panorama scritta proprio da lui, il cui costo di esecuzione sarebbe diventato proibitivo.


Mercer Ellington trovò allora fortuitamente in un cestino dei rifiuti un pezzo che Strayhorn aveva scritto ma che intendeva scartare, perché gli ricordava troppo gli arrangiamenti del celebre pianista Flectcher Henderson: il pezzo si intitolava Take the "A" Train e da allora divenne la nuova sigla e il pezzo più noto e distintivo di Duke Ellington che lo incise per la prima volta in studio nel 1941.

Sull'origine del titolo del brano circolano numerose leggende, e siccome la sua composizione risale agli anni quaranta è difficile districarsi su quale sia la versione corretta. Lo scrittore e storico musicale Stanley Dance lo chiese direttamente a Billy Strayhorn nel 1966 e l'intervista è pubblicata nel volume The World of Duke Ellington del 1970.

La spiegazione data da Strayhorn è che nel periodo in cui scrisse in brano la città di New York stava potenziando la propria rete metropolitana e tra le nuove linee che venivano aggiunte c'erano la "A" e la "D", entrambe le quali collegavano il quartiere Bedford-Stuyvesant di Brooklyn con Harlem a Manhattan, mettendo così in collegamento le due zone abitate prevalentemente da afroamericani. La linea "D" arrivava sulla 145esima Strada ad Harlem e proseguiva poi verso nord fino al Bronx; al contrario la linea "A" andava direttamente nel distretto di Sugar Hill, dove c'erano i migliori locali in cui veniva suonata musica jazz dal vivo.

Strayhorn era quindi solito dare indicazioni alle persone di Brooklyn dicendo "Take the A train, take the A train!" per evitare che sbagliando prendessero la "D" e finissero lontano dalla propria destinazione; prendendo spunto da questa frase decise quindi di intitolare così il proprio nuovo brano.

Furono quindi casuali sia il ritrovamento della composizione sia la scelta del titolo, ma entrambi garantirono al pezzo un successo immortale.

venerdì 10 luglio 2020

Le colonne sonore della serie cinematografica de Il Corvo

Tratto dall'omonimo graphic novel da James O'Barr, Il Corvo fu uno dei maggiori successi cinematografici del 1994, la cui fama è anche purtroppo legata alla prematura scomparsa dell'attore protagonista Brandon Lee colpito per sbaglio da un frammento di proiettile rimasto incastrato in modo completamente fortuito in un'arma caricata a salve. Il film narra la storia di Eric Draven (il cui cognome suona molto simile a The Raven, che significa proprio il corvo ed è anche il titolo di una poesia di Edgar Allan Poe a cui è ispirata l'opera di O'Barr) che torna sulla terra ad un anno dalla sua morte per vendicarsi della gang che ha ucciso lui e la sua fidanzata durante la notte di Halloween di un anno prima. La vicenda di svolge in un'onirica Detroit cupa e tormentata dal crimine, in cui la pioggia rappresenta il tentativo della società di lavare via i propri errori, e il cui cielo è sempre nero o rosso.


Come era consueto negli anni 90, il film è stato accompagnato dall'uscita della colonna sonora in due dischi distinti: la prima di pezzi cantanti e la seconda di brani strumentali. La prima di queste si intitola The Crow: Original Motion Picture Soundtrack e contiene quattordici canzoni di alcuni tra i migliori interpreti dell'industrial rock e dell'alternative rock dell'epoca. I brani sono tutti molto cupi e ricalcano  le atmosfere dei film. Tra i pezzi principali troviamo Burn dei Cure, che apre il disco e che nel film ha il ruolo iconico di fare da sottofondo alla scena in cui Eric torna dai morti, la cover di Dead Souls dei Joy Division interpretata dai Nine Inch Nails, Snakedriver dei Jesus and the Mary Chain e Darkness dei Rage Against the Machine (che sul singolo di Killing in the Name Of come b-side è intitolata Darkness of Greed) in cui il gruppo rinuncia alle proprie sonorità aggressive per spostarsi su terreni più oscuri. Nell'album sono presenti altre due cover: Ghostrider dei Suicide, qui interpretata dai Rolling Band, e The Badge dei Poison Idea interpretata dai Pantera. Nel disco è presente anche Milktoast degli Helmet, il cui titolo è scritto Milquetoast nel loro album Betty dello stesso anno.


Il secondo album uscito in contemporanea al film è intitolato The Crow: Original Motion Picture Score e contiene le musiche strumentali che fanno da commento sonoro alle scene del film composte da Graeme Revell. Ovviamente le atmosfere di questo secondo album restano gotiche e oscure, e nell'album troviamo alcuni pezzi di notevole fattura, come Rain Forever impreziosita da un vocalizzo della cantante Darlene Koldenhoven, Pain and Retribution in cui troviamo un vocalizzo corale, e Inferno che nel film è interpretata alla chitarra dallo stesso Eric Draven.

Nel 1996 uscì il primo sequel Il Corvo 2 il cui titolo originale è The Crow: City of Angels, come dice il titolo stesso l'azione si sposta a Los Angeles; il protagonista è un meccanico motociclista di nome Ashe Corven che viene ucciso insieme al figlio e torna dall'oltretomba a vendicarsi dei propri assassini. Anche in questo caso la città è caratterizzata da atmosfere cupe, con il cielo verde, ma il film per quanto godibile ha il sapore di copia del precedente. Anche in questo caso del film sono state pubblicate due colonne sonore.


Il primo dei due dischi è intitolato The Crow: City Of Angels (Original Motion Picture Soundtrack) e ricalca l'esperimento fatto con il film precedente, anche se in questo caso le sonorità si spostano più verso l'industrial e verso l'hard rock. Nel disco troviamo una cover di Gold Dust Woman dei Fleetwood Mac interpretata dagli Hole, una cover di I'm Your Boogie Man di KC and the Sunshine Band dei White Zombie (del resto a cavallo dell'anno 2000 Rob Zombie fece più partecipazioni a colonne sonore che album in studio), entrambi i quali trasformano i brani originali, che non avevano nulla di oscuro, in pezzi energici con prominenti chitarre distorte. Nel disco troviamo un'altra cover dei Joy Division: in questo caso si tratta di In a Lonely Place interpretata dai Bush. L'album contiene anche una versione live di I Wanna be Your Dog degli Stooges interpretata dal solo Iggy Pop, l'unica spiegazione per la presenza di questo pezzo nell'album è che Iggy Pop interpreta uno degli assassini del protagonista nel film, perché per il resto non ha legami con il film. Questo album, rispetto alla colonna sonora del disco precedente, ha comunque il merito di ampliare la proposta stilistica, grazie a contributi di PJ Harvey, Linda Perry e Tricky con i Gravediggaz.

Anche in questo caso insieme alla soundtrack è stata pubblicato il disco dei pezzi strumentali, intitolato The Crow - City Of Angels (Original Score Album) che contiene le musiche composte di nuovo da Grame Revell.

Il terzo film della serie intitolato The Crow: Salvation uscì nel 2000 e questa volta gli autori cercarono di allontanarsi dalla atmosfere originali; il film è ambientato a Salt Lake City e l'ambientazione è meno sinistra rispetto ai primi due capitoli. Anche il protagonista cambia aspetto, perché il nuovo Corvo, che si chiama Alex Corvis, non ha più i capelli lunghi e una tuta aderente, ma indossa una tuta da meccanico e in alcune scene anche un cappotto. Inoltre la trama presenta notevoli deviazioni rispetto ai modelli precedenti, i cattivi non sono più gangster ma membri corrotti delle forze dell'ordine. Anche in occasione del terzo film furono pubblicati due dischi. La soundtrack con i pezzi cantati si intitola The Crow: Salvation (Original Motion Picture Soundtrack) e di nuovo vi troviamo una compilation di industrial rock. Tra gli interpreti troviamo nuovamente gli Hole, Rob Zombie e Tricky la cui Antihistamine contiene snippet di Heart of Glass dei Blondie. Nell'album spicca anche Warm Winter di Kid Rock che si cimenta con un pezzo cupo lontanissimo dal rock country e dal crossover che caratterizzano la sua produzione consueta. Il secondo album pubblicato per il terzo film si intitola The Crow: Salvation (Original Motion Picture Score) e contiene le musiche strumentali composte da Marco Beltrami.


Il quarto film della serie uscì nel 2005, il titolo originale è The Crow: Wicked Prayer ma inizialmente i distributori italiano lo distribuirono come The Cult togliendo dal titolo ogni riferimento ai film pregressi; solo in seguito è stato distribuito con il titolo originale. In questo caso le atmosfere cambiano ancora con un ambientazione desertica al confine tra Stati Uniti e Messico. Di nuovo il nome del protagonista contiene un richiamo alla parola corvo, si chiama infatti Jimmy Cuervo. Ma nel 2005 la notorietà della serie era calata e non fu pubblicata nessuna colonna sonora.

In realtà de Il Corvo esiste un quinto film intitolato The Crow: Resurrection, tradotto il italiano come Il Corvo: La Resurrezione del 1998 (cioè realizzato tra il secondo e il terzo film della serie) che è un remake del primo capitolo, con Mark Dacascos nel ruolo di Erick Draven, ed è l'episodio pilota del telefilm The Crow: Stairway to Heaven trasmesso in Italia nel 2003 semplicemente come Il Corvo. Ovviamente anche di quest'ultimo non esiste nessuna colonna sonora.

Negli anni si è parlato varie volte di possibili remake del primo film o di un eventuale Il Corvo 5. Per ora non esiste nulla di concreto, ma non è da escludere che la serie cinematografica si possa allungare, ed insieme ad essa anche quella delle sempre ottime musiche di questo altrettanto ottimo franchise.

domenica 5 luglio 2020

Giacomo Voli - Retorbido, 4/7/2020

È il 4 luglio, il lockdown è finito da due mesi e la vita torna lentamente a essere quella di prima. A breve probabilmente il virus sarà un brutto ricordo, ma tra le cose che ancora ci mancavano c'è il ritorno della musica dal vivo. Finalmente è tornata anche quella, e quale occasione migliore per il primo concerto post-lockdown di un live acustico di Giacomo Voli al Dagda di Retorbido? Uno dei migliori cantanti al mondo fa un concerto vicino a casa, non ci sono dubbi: l'evento è imperdibile.


Il Dagda ha messo in atto le necessarie misure di sicurezza: termoscanner all'ingresso, consumazioni servite all'aperto e sedie distanziate tra il pubblico. Non danno per nulla fastidio, anzi quasi sembra tutto normale e quindi la musica è godibile al 100%.

Giacomo sale sul palco verso le 21, ma si capisce presto che quello che sta per esibirsi è in realtà un terzetto. Oltre al nostro vocalist, che suona anche la tastiera, ci sono Gianluca Molinari (che affianca Voli anche nel progetto The Voice of Rock) nel ruolo di chitarrista e la ben nota Francesca Mercury (ideatrice del progetto La Mercury racconta i Queen che vede alla voce proprio Giacomo Voli) nel ruolo inedito di intervistatrice e conduttrice.


Il concerto parte con Impressioni di Settembre e I Can't Find My Way Home, che Giacomo ha inciso come cover nel suo EP di esordio Ancora nell'Ombra. La serata ha un approccio singolare, perché Francesca tra una canzone e l'altra intervista Giacomo chiedendogli della sua vita, della sua formazione e di come è nato il suo interesse per la musica. Giacomo ci racconta quindi che il suo amore per la musica è nato da bambino grazie al nonno materno cornista e di come poi abbia scoperto l'opera, il rock melodico e il metal e di come da sempre cerchi di coniugare questi aspetti mischiando sapientemente ingredienti di musica di stili diversi. Spesso, quando Giacomo nomina un pezzo, Gianluca ne esegue il riff in sottofondo, rendendo il racconto ancora più vivido e vibrante.

Forse la serata non era partita con i migliori auspici, perché Giacomo racconta anche di essere infortunato a causa di un incidente stradale, ma se non lo avesse detto non se ne sarebbe accorto nessuno (se non fosse per le bende alle braccia) perché suona e canta come se fosse in gran forma e la precisione al piano e la potenza della voce sono sicuramente al pieno delle loro capacità; segno che neanche gli imprevisti possono fermare i migliori artisti.

La setlist della serata spazia tra il rock degli anni 70, agli anni 80 fino ai 90 pescando da un repertorio vastissimo che tocca i Led Zeppelin e i Deep Purple, l'AOR di Eye on the Tiger dei Survivor per poi passare ai Queen e ai Pink Floyd. E tra un pezzo e l'altro Giacomo narra alcuni aspetti meno noti della sua carriera: come qualche scelta bizzarra degli autori di The Voice of Italy nella selezione dei pezzi o di come sia stato contattato da Alex Staropoli per un progetto parallelo di musica barocca, per poi approdare ai Rhapsody of Fire dopo l'abbandono di Fabio Lione. Dalla discografia dei Rhapsody ci regala una versione da brividi in italiano di The Wind, the Rain and the Moon, e dalla propria produzione solista Giacomo pesca anche uno snippet della traccia di chiusura del suo ultimo album intitolata Il Libro dell'Assenza


Il tempo nella sala letteralmente vola via, e quando Francesca annuncia che siamo giunti all'ultimo pezzo mi sembra incredibile, però effettivamente l'orologio dice che è mezzanotte. Nel caldo di questa serata che ha il sapore di una rinascita Giacomo si ferma a scambiare qualche parola con i fan mostrando una vicinanza al proprio pubblico che poche star del suo livello hanno.

La serata è giunta al termine, ma tornando verso casa non si sente la sensazione che qualcosa sia finito, ma che questa sia una ripartenza perché di serate come questa ne seguiranno decine e forse centinaia. E quello che ha reso unica questa serata non è stata solo la musica e la voce di Giacomo Voli, ma anche il fatto che un grande artista abbia raccontato il proprio lato umano. Perché per sapere cantare così bisogna essere grandi cantanti, ma per sapere raccontare cosa c'è dietro e dentro bisogna essere grandi e basta.