venerdì 2 ottobre 2020
Pearl Jam - Gigaton
I Pearl Jam sono gli unici sopravvissuti del Seattle sound degli anni 90; mentre altre band come gli Screaming Trees o gli Hammerbox hanno chiuso l’attività dopo pochi anni, il gruppo guidato da Eddie Vedder sforna ancora album a quasi trent’anni dall’esordio con Ten del 1991, anche se le loro uscite discografiche sono sempre più dilazionate nel tempo e da Lightning Bolt al nuovo Gigaton sono passati ben sette anni.
Il nuovo album è composto da dodici tracce in cui il grunge e la voce graffiante di Vedder fanno da condimento di base e che spaziano tra vari stili e sottogeneri del rock. Aprono il disco due pezzi dal suono classico quali Who Ever Said e Superblood Wolfmoon e già subito dopo troviamo la prima violenta sterzata con il suono post punk di Dance on the Clairvoyants. La sperimentazione sonora dei Pearl Jam in questo nuovo disco arricchisce il disco di sonorità molto diverse, con il melodico midtempo di Seven O’Clock e grazie anche alle ballad Buckle Up e Retrograde. Oltre a queste troviamo anche la ballad acustica Comes Then Goes, interpretata con solo voce e chitarre, e la straordinaria traccia di chiusura River Cross che scivola verso il gospel grazie ai cori sul ritornello.
Come è chiaro dall’immagine di copertina, che mostra un ghiacciaio che si scioglie, le tematiche del disco toccano varie volte i cambiamenti climatici con anche una critica al presidente americano Donald Trump, citato per nome in Quick Escape e attraverso il riferimento letterario di Bob Honey (personaggio di un romanzo satirico di Sean Penn) in Never Destination che è anche il brano dal sound più vicino al grunge puro di tutto il disco.
In conclusione, anche se Gigaton di certo non contiene singoli della potenza di Alive, Daughter o Just Breathe resta comunque un disco fortissimo in termini di qualità complessiva dei brani, perché tutte le dodici tracce sono di alto livello e confermano che proprio grazie alla loro capacità di essere dei rocker a 360 gradi, e non legati a una singola etichetta, i Pearl Jam sanno ancora realizzare ottima musica, in un decennio in cui purtroppo il grunge della West Coast è solo un lontano ricordo.
martedì 22 settembre 2020
Intervista ad Alessia Scolletti dei Temperance
Da tre anni Alessia Scolletti è la voce femminile dei Temperance, uno dei gruppi più importanti e interessanti del panorama metal del nostro paese. Dallo scorso anno, inoltre, Alessia è impegnata nel progetto musicale new age degli ERA, guidato dal francese Éric Levi. Per parlarci di questi due gruppi e anche un po' di sé stessa, Alessia ha accettato la nostra proposta di un'intervista che offriamo di seguito ai nostri lettori.
Ringraziamo Alessia per la sua cortesia e disponibilità.
125esima Strada: Ciao Alessia, e grazie del tempo che ci stai dedicando. Partiamo subito parlando del vostro nuovo lavoro Viridian, ci racconti come è nato questo disco?
Alessia Scolletti: Ciao, grazie a te per l'invito, è un piacere fare quattro chiacchiere con te.
Il nostro quinto album Viridian ha semplicemente raccolto il testimone passatogli dall'album precedente, Of Jupiter and Moons, e ha proseguito la staffetta: è l'immagine migliore per descrivere ciò che realmente è avvenuto nei quasi due anni che hanno separato i due lavori. La cura del dettaglio, la mescolanza di generi e influenze, la ricerca di un sound più naturale e il dare maggiore spazio a strumenti veri sono tutti elementi presenti in Of Jupiter and Moons che in Viridian sono stati ripresi e approfonditi, grazie anche all'aver avuto più tempo per lavorare insieme. Siamo molto fieri di questo album, l'unico rammarico è appunto non essere riusciti a promuoverlo come avrebbe meritato per via delle restrizioni del Coronavirus, fatto che ha penalizzato la maggior parte degli artisti e delle band che come noi si trovavano in tour nel periodo febbraio-marzo.
125esima Strada: C'è qualche pezzo dell'album a cui sei più legata? Se sì, ci spieghi perché?
Alessia Scolleti: Non ho mai nascosto quanto Nanook, il nono brano di Viridian, mi abbia saputo conquistare fin dal primo istante, quando ancora non era nient'altro che una bozza: la sua cavalcata in terzine, il meraviglioso connubio creato dall'unione del suono dell'arpa con quello della cornamusa, il climax che si protrae per tutta la durata della canzone... Tutti elementi che mi hanno fatto letteralmente innamorare di questo brano. Il coro di voci bianche nel punto centrale della canzone ha poi dato quel tocco di magia in più che l'ha resa ancora più speciale: è difficile non emozionarsi!
125esima Strada: Ciò che a me è piaciuto molto del disco è l'esperimento del crossover, con il coro dei bambini, il coro gospel e la partecipazione di Laura Macrì. Ci racconti come è nata l'idea di queste contaminazioni sonore?
Alessia Scolletti: Siamo una band di cinque elementi, ognuno con gusti e background musicali differenti... Le contaminazioni sono inevitabili! Ed è bello come riusciamo a mettere un po’ della personalità di ognuno di noi all'interno dei brani. Ci piace continuamente rinnovarci e metterci alla prova, stupire e sperimentare: si può dire che è diventato ormai un nostro marchio di fabbrica!
125esima Strada: Mi è sembrato che il disco sia anche molto influenzato dall'AOR degli anni ottanta. È stata una vostra scelta precisa? Siete molto appassionati di questo genere?
Alessia Scolletti: Ok, mi sa che ci hai “beccati”: in particolar modo io e Marco siamo molto legati a questo genere, per cui ogni tanto torna a fare capolino tra un brano e l’altro! Sarai d’accordo con me poi che con tre cantanti si possono creare un sacco di melodie intrecciate in più che tanto si sposano con il melodic rock!
Il tutto comunque avviene in maniera spontanea e naturale, non si parte mai con l’idea di dare vita a tavolino ad un brano esclusivamente AOR, metal o altro: si portano in studio le idee, si ascoltano, si rimodellano, aggiustano e assemblano e pian piano il brano prende forma.
125esima Strada: Da qualche tempo sei entrata anche negli ERA, lo stupendo progetto New Age di Eric Lévi. Come sei entrata a far parte di questo gruppo e che posto occupa la New Age nella tua vita artistica?
Alessia Scolletti: Essere entrata a far parte del progetto ERA è una delle cose più incredibili che mi sia successa negli ultimi tempi, ed il come è avvenuto è decisamente ancora più incredibile: di fatto sono stata contattata da Éric Levi in persona in seguito all’aver visto alcuni miei video sia coi Temperance che in versione solista! Ha fin da subito espresso il suo totale apprezzamento per la figura mia e di Michele [Guaitoli, voce maschile dei Temperance e compagno di Alessia nella vita, N.d.R.] e ci ha proposto di iniziare una collaborazione con lui, la quale avrebbe poi portato ad esibirci sul palco con lui per la sua prima tournée ufficiale dopo ben 25 anni di attività! Inutile dire che solo l’idea ci fece salire l’entusiasmo alle stelle!
Il vero e proprio battesimo con il genere New Age però l’ho avuto con Enigma, progetto tedesco quasi contemporaneo a ERA, il quale ha condito tanti dei miei pomeriggi da studente!
125esima Strada: Passiamo a temi più personali. Durante il lockdown tu e Michele avete lanciato l'idea delle Quarantine Songs, cioè avete registrato delle cover di altri generi musicali, per mantenere i contatti con il vostro pubblico e tra le altre avete inciso un'inedita versione di Something Stupid. Questo mi porta a chiederti: oltre al metal quali generi musicali amate e ascoltate?
Alessia Scolletti: In quel momento sia io che Michele eravamo reduci da due tournée diverse entrambe interrotte: siamo rientrati in Italia con non poca fatica e ad aspettarci c’era una situazione tutt'altro che rassicurante... Lo sconforto era tanto, non lo nascondo. Le “Quarantine Songs” sono sì stato un mezzo per restare in contatto con amici e sostenitori, ma anche un modo per infondere a noi stessi un po’ di svago e positività in un periodo davvero difficile: avremmo voluto registrarne di più! Ma scegliere era difficile.
I generi che ci influenzano, come hai già intuito da te, non si limitano al metal e al rock: personalmente mi sono sempre sentita molto legata a tutto ciò che è nato dagli anni 80 (in particolar modo new wave/post-punk e dance) e, in modo del tutto insospettabile, seguo anche molti artisti dell’odierna scena pop internazionale (da Lady Gaga a Billie Eilish, passando per Bruno Mars, One Republic, Coldplay e molti altri). In qualcosa sicuramente avrò influenzato anche Michele, ma posso svelare ad esempio che tra i suoi gruppi preferiti “non-metal” ci sono i Muse!
125esima Strada: Chi sono i cantanti e le cantanti che ti hanno più influenzato durante la tua carriera?
Alessia Scolletti: Il rock, e in particolar modo hard-rock e AOR, hanno fortemente influito sul mio modo di cantare, per cui nomi come Steve Lee (Gotthard), David Coverdale (Whitesnake), Joey Tempest (Europe), Fergie Frederiksen (Toto), Steve Overland (FM) e altri di quel filone mi hanno sempre accompagnata nel mio percorso di crescita.
Sembrerà strano, ma non ci sono state voci femminili ad aver colpito nel profondo l’Alessia che stava muovendo i primi passi nel mondo della musica!
125esima Strada: E chi sono invece i tuoi preferiti della scena attuale?
Alessia Scolletti: Nel mondo musicale attuale si può assistere a un gran numero di sfumature di colori, timbri e stili, è una cosa bellissima per chi come me ama spaziare tra i generi!
Restando nel metal, voci come quella di Russell Allen, Daniel Gildenlöw (Pain of Salvation), Mikael Åkerfeldt (Opeth), Devin Townsend - solo per citarne alcuni - restano inarrivabili: dopo tanto tempo ho anche trovato delle voci femminili che hanno saputo colpirmi nel profondo, Floor Jansen e Kobra Paige (Kobra and The Lotus) su tutte.
Al di fuori del metal invece, voci di artisti come Jessie J , Sam Smith, Bruno Mars, Lady Gaga, Fever Ray, Chris Cornell (RIP), Mike Patton e tanti altri.
Ringraziamo Alessia per la sua cortesia e disponibilità.
125esima Strada: Ciao Alessia, e grazie del tempo che ci stai dedicando. Partiamo subito parlando del vostro nuovo lavoro Viridian, ci racconti come è nato questo disco?
Alessia Scolletti: Ciao, grazie a te per l'invito, è un piacere fare quattro chiacchiere con te.
Il nostro quinto album Viridian ha semplicemente raccolto il testimone passatogli dall'album precedente, Of Jupiter and Moons, e ha proseguito la staffetta: è l'immagine migliore per descrivere ciò che realmente è avvenuto nei quasi due anni che hanno separato i due lavori. La cura del dettaglio, la mescolanza di generi e influenze, la ricerca di un sound più naturale e il dare maggiore spazio a strumenti veri sono tutti elementi presenti in Of Jupiter and Moons che in Viridian sono stati ripresi e approfonditi, grazie anche all'aver avuto più tempo per lavorare insieme. Siamo molto fieri di questo album, l'unico rammarico è appunto non essere riusciti a promuoverlo come avrebbe meritato per via delle restrizioni del Coronavirus, fatto che ha penalizzato la maggior parte degli artisti e delle band che come noi si trovavano in tour nel periodo febbraio-marzo.
125esima Strada: C'è qualche pezzo dell'album a cui sei più legata? Se sì, ci spieghi perché?
Alessia Scolleti: Non ho mai nascosto quanto Nanook, il nono brano di Viridian, mi abbia saputo conquistare fin dal primo istante, quando ancora non era nient'altro che una bozza: la sua cavalcata in terzine, il meraviglioso connubio creato dall'unione del suono dell'arpa con quello della cornamusa, il climax che si protrae per tutta la durata della canzone... Tutti elementi che mi hanno fatto letteralmente innamorare di questo brano. Il coro di voci bianche nel punto centrale della canzone ha poi dato quel tocco di magia in più che l'ha resa ancora più speciale: è difficile non emozionarsi!
125esima Strada: Ciò che a me è piaciuto molto del disco è l'esperimento del crossover, con il coro dei bambini, il coro gospel e la partecipazione di Laura Macrì. Ci racconti come è nata l'idea di queste contaminazioni sonore?
Alessia Scolletti: Siamo una band di cinque elementi, ognuno con gusti e background musicali differenti... Le contaminazioni sono inevitabili! Ed è bello come riusciamo a mettere un po’ della personalità di ognuno di noi all'interno dei brani. Ci piace continuamente rinnovarci e metterci alla prova, stupire e sperimentare: si può dire che è diventato ormai un nostro marchio di fabbrica!
125esima Strada: Mi è sembrato che il disco sia anche molto influenzato dall'AOR degli anni ottanta. È stata una vostra scelta precisa? Siete molto appassionati di questo genere?
Alessia Scolletti: Ok, mi sa che ci hai “beccati”: in particolar modo io e Marco siamo molto legati a questo genere, per cui ogni tanto torna a fare capolino tra un brano e l’altro! Sarai d’accordo con me poi che con tre cantanti si possono creare un sacco di melodie intrecciate in più che tanto si sposano con il melodic rock!
Il tutto comunque avviene in maniera spontanea e naturale, non si parte mai con l’idea di dare vita a tavolino ad un brano esclusivamente AOR, metal o altro: si portano in studio le idee, si ascoltano, si rimodellano, aggiustano e assemblano e pian piano il brano prende forma.
125esima Strada: Da qualche tempo sei entrata anche negli ERA, lo stupendo progetto New Age di Eric Lévi. Come sei entrata a far parte di questo gruppo e che posto occupa la New Age nella tua vita artistica?
Alessia Scolletti: Essere entrata a far parte del progetto ERA è una delle cose più incredibili che mi sia successa negli ultimi tempi, ed il come è avvenuto è decisamente ancora più incredibile: di fatto sono stata contattata da Éric Levi in persona in seguito all’aver visto alcuni miei video sia coi Temperance che in versione solista! Ha fin da subito espresso il suo totale apprezzamento per la figura mia e di Michele [Guaitoli, voce maschile dei Temperance e compagno di Alessia nella vita, N.d.R.] e ci ha proposto di iniziare una collaborazione con lui, la quale avrebbe poi portato ad esibirci sul palco con lui per la sua prima tournée ufficiale dopo ben 25 anni di attività! Inutile dire che solo l’idea ci fece salire l’entusiasmo alle stelle!
Il vero e proprio battesimo con il genere New Age però l’ho avuto con Enigma, progetto tedesco quasi contemporaneo a ERA, il quale ha condito tanti dei miei pomeriggi da studente!
125esima Strada: Passiamo a temi più personali. Durante il lockdown tu e Michele avete lanciato l'idea delle Quarantine Songs, cioè avete registrato delle cover di altri generi musicali, per mantenere i contatti con il vostro pubblico e tra le altre avete inciso un'inedita versione di Something Stupid. Questo mi porta a chiederti: oltre al metal quali generi musicali amate e ascoltate?
Alessia Scolletti: In quel momento sia io che Michele eravamo reduci da due tournée diverse entrambe interrotte: siamo rientrati in Italia con non poca fatica e ad aspettarci c’era una situazione tutt'altro che rassicurante... Lo sconforto era tanto, non lo nascondo. Le “Quarantine Songs” sono sì stato un mezzo per restare in contatto con amici e sostenitori, ma anche un modo per infondere a noi stessi un po’ di svago e positività in un periodo davvero difficile: avremmo voluto registrarne di più! Ma scegliere era difficile.
I generi che ci influenzano, come hai già intuito da te, non si limitano al metal e al rock: personalmente mi sono sempre sentita molto legata a tutto ciò che è nato dagli anni 80 (in particolar modo new wave/post-punk e dance) e, in modo del tutto insospettabile, seguo anche molti artisti dell’odierna scena pop internazionale (da Lady Gaga a Billie Eilish, passando per Bruno Mars, One Republic, Coldplay e molti altri). In qualcosa sicuramente avrò influenzato anche Michele, ma posso svelare ad esempio che tra i suoi gruppi preferiti “non-metal” ci sono i Muse!
125esima Strada: Chi sono i cantanti e le cantanti che ti hanno più influenzato durante la tua carriera?
Alessia Scolletti: Il rock, e in particolar modo hard-rock e AOR, hanno fortemente influito sul mio modo di cantare, per cui nomi come Steve Lee (Gotthard), David Coverdale (Whitesnake), Joey Tempest (Europe), Fergie Frederiksen (Toto), Steve Overland (FM) e altri di quel filone mi hanno sempre accompagnata nel mio percorso di crescita.
Sembrerà strano, ma non ci sono state voci femminili ad aver colpito nel profondo l’Alessia che stava muovendo i primi passi nel mondo della musica!
125esima Strada: E chi sono invece i tuoi preferiti della scena attuale?
Alessia Scolletti: Nel mondo musicale attuale si può assistere a un gran numero di sfumature di colori, timbri e stili, è una cosa bellissima per chi come me ama spaziare tra i generi!
Restando nel metal, voci come quella di Russell Allen, Daniel Gildenlöw (Pain of Salvation), Mikael Åkerfeldt (Opeth), Devin Townsend - solo per citarne alcuni - restano inarrivabili: dopo tanto tempo ho anche trovato delle voci femminili che hanno saputo colpirmi nel profondo, Floor Jansen e Kobra Paige (Kobra and The Lotus) su tutte.
Al di fuori del metal invece, voci di artisti come Jessie J , Sam Smith, Bruno Mars, Lady Gaga, Fever Ray, Chris Cornell (RIP), Mike Patton e tanti altri.
venerdì 4 settembre 2020
An American Prayer: l'ultimo album dei Doors
Sette anni dopo la morte di Jim Morrison, e dopo due album in cui alla voce di alternavano Robby Krieger e Ray Manzarek, i Doors pubblicarono il loro ultimo album intitolato An American Prayer in cui alla voce tornò proprio Morrison: il disco è stato infatti realizzato aggiungendo delle basi musicali alla voce di Jim che legge le proprie poesie. Come si può chiaramente immaginare in queste incisioni Jim Morrison non canta, ma parla, o meglio recita i propri testi; non troveremo quindi la voce grintosa e graffiante di Break On Through ma un disco unico nel suo genere, a tratti forzato ma comunque interessante.
Dal punto di vista canoro l’album è sicuramente singolare, ma da quello musicale questa composizione non ha nulla da invidiare agli album precedenti della band. Le basi musicali che i Krieger, Manzarek e Densmore hanno composto per questo atipico album costituiscono infatti una sorta di compendio degli stilemi classici dei Doors, passando dal rock psichedelico, al jazz ai suoni latini e al blues, con anche alcuni rimandi chiari a loro pezzi storici come Riders on the Storm e The End. Il risultato complessivo è una sorta di talking blues in cui le uniche parti effettivamente cantante sono uno snippet di Peace Frog e una versione live composita di Roadhouse Blues che unisce una registrazione a New York con una a Detroit del 1970.
An American Prayer non è sicuramente il disco migliore dei Doors, ma resta un album importante che mostra la straordinaria creatività della band che è riuscita a realizzare un disco di buon livello in condizioni molto particolari. Questo album è notevolmente diverso dai precedenti e richiede un’atmosfera d’ascolto altrettanto diversa: non sono pezzi fatti per essere ascoltati nelle folle di un concerto, ma piuttosto in un momento di raccoglimento e isolamento. Fatte queste premesse e approcciato con le giuste aspettative, An American Prayer si rivela un disco prezioso, per conoscere aspetti meno noti dello straripante Jim Morrison e per avere un’altra prova della ricchezza musicale di questa iconica band.
Dal punto di vista canoro l’album è sicuramente singolare, ma da quello musicale questa composizione non ha nulla da invidiare agli album precedenti della band. Le basi musicali che i Krieger, Manzarek e Densmore hanno composto per questo atipico album costituiscono infatti una sorta di compendio degli stilemi classici dei Doors, passando dal rock psichedelico, al jazz ai suoni latini e al blues, con anche alcuni rimandi chiari a loro pezzi storici come Riders on the Storm e The End. Il risultato complessivo è una sorta di talking blues in cui le uniche parti effettivamente cantante sono uno snippet di Peace Frog e una versione live composita di Roadhouse Blues che unisce una registrazione a New York con una a Detroit del 1970.
An American Prayer non è sicuramente il disco migliore dei Doors, ma resta un album importante che mostra la straordinaria creatività della band che è riuscita a realizzare un disco di buon livello in condizioni molto particolari. Questo album è notevolmente diverso dai precedenti e richiede un’atmosfera d’ascolto altrettanto diversa: non sono pezzi fatti per essere ascoltati nelle folle di un concerto, ma piuttosto in un momento di raccoglimento e isolamento. Fatte queste premesse e approcciato con le giuste aspettative, An American Prayer si rivela un disco prezioso, per conoscere aspetti meno noti dello straripante Jim Morrison e per avere un’altra prova della ricchezza musicale di questa iconica band.
giovedì 20 agosto 2020
Omicidio di Jam Master Jay: arrestati due uomini a New York
A diciotto anni dall'omicidio di Jam Master Jay, DJ e polistrumentista dei Run-DMC, due uomini sono stati arrestati a New York lo scorso 17 agosto. Il procuratore dei distretto Est di New York ha infatti depositato un'accusa contro Karl Jordan Jr, di 36 anni, e Ronald Washington, di 56.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, i due uomini insieme a Jason Mizell (vero nome di Jam Master Jay) avevano acquistato una partita di dieci chili di cocaina da un fornitore del Midwest e avrebbero dovuto venderla nel Maryland; poco prima dell'omicidio Mizell avrebbe comunicato a Washington che intendeva escluderli dalla vendita tenendosi così il completo incasso. Vedendosi tagliati fuori dall'affare, i due avrebbero cospirato per uccidere Mizell.
In caso di condanna Jordan e Washington rischiano dai vent'anni di galera alla pena capitale.
Il giorno seguente all'arresto la famiglia di Mizell ha pubblicato una dichiarazione sull'account Twitter dei Run DMC in cui dice che questo arresto è un passo importante verso la giustizia e chiede il rispetto della propria privacy durante l'iter legale.
sabato 8 agosto 2020
I venticinque anni di HIStory di Michael Jackson
Quattro anni nell'industria discografica dell'ultimo decennio dello scorso secolo erano un'eternità. Non c'erano i social network e non c'era YouTube e l'unico modo per un artista per tenere viva la propria immagine era sfornare dischi e farli seguire da dei tour, che comunque raggiungevano solo chi ci poteva andare di persona per il suddetto motivo. L'avvento del CD aveva fatto sì che i musicisti si trovassero a dover incidere dischi di almeno sessanta minuti se non settanta o oltre, contro i quarantacinque o cinquanta del vinile, dilatando così le uscite discografiche negli anni. Ma quattro anni restavano tantissimi. Ed è proprio questo il lasso temporale trascorso da Dangerous del 1991 a HIStory del 1995. A prima vista può sembrare che MJ fosse solito lasciare passare così tanto tempo tra un disco e l'altro, perché tra Thriller e Bad erano passati cinque anni e tra Bad e Dangerous quattro; ma in realtà a spezzare l'attesa nel primo caso arrivarono Victory dei Jacksons e We Are The World, nel secondo caso il film Moonwalker. Invece tra la fine del Dangerous Tour e HIStory non ci fu proprio nulla.
Nel 1995 Michael Jackson era nel pieno di una tempesta mediatica, per via delle accuse di pedofilia e del tormentato matrimonio con Lisa Marie Presley che qualcuno mormorava servisse proprio a cancellare agli occhi del pubblico le presunte accuse di devianze sessuali. Questa situazione intricata rallentò sicuramente l'attività di Jacko e quando arrivò HIStory diede proprio l'impressione di essere la sua sfida con il destino, con cui The King of Pop voleva dimostrare di essere vivo e vegeto, e di essere ancora al vertice della propria carriera.
L'uscita dell'album fu preceduta dall'uscita del video di Scream, in coppia con la sorella Janet; il pezzo ricordava un po' Jam, brano di apertura di Dangerous, ma pazienza. Alla fine era un bel pezzo che mostrava un Jackson in gran forma. Anche se internet non c'era ancora, c'era MTV Europe che trasmetteva su TELE+ (due anni prima che arrivasse MTV Italia che sancì l'inizio della fine di un glorioso network), c'era l'italianissima Videomusic e c'erano i programmi di musica sulle TV generaliste, e Scream divenne subito uno dei pezzi più trasmessi.
Per l'album, il cui titolo per intero è HIStory: Past, Present and Future, Book I, i produttori fecero una scelta che oggi appare stranissima. L'album era doppio: il primo disco era una sorta di greatest hits che attingeva da Off the Wall, Thriller, Bad e Dangerous; mentre le tracce nuove stavano sul secondo disco che era di fatto l'album nuovo. Questo comportava un problema che al tempo era piuttosto ovvio: il costo di un CD si aggirava sulle 30.000 lire, gli album doppi costavano circa 50.000, e con questa mossa MJ costringeva chiunque volesse ascoltare il disco nuovo a comprare anche le canzoni vecchie spendendo la banconota con il volto di Bernini. In realtà per quanto sembri una mossa assurda, secondo i criteri di allora lo era molto meno. Anzitutto molti fan potevano comunque non avere il materiale vecchio, perché negli anni 90 bisognava comprare il CD oppure conoscere qualcuno che lo aveva e che poteva fare una copia su cassetta, perché i masterizzatori sarebbero arrivati almeno tre anni dopo, quindi magari a molti faceva piacere acquistare insieme ai pezzi nuovi anche quelli vecchi (e uno quelli ero io). In secondo luogo era abbastanza comune al tempo che i musicisti che non avevano dischi pronti da dare alle stampe pubblicassero delle raccolte di vecchi successi con l'aggiunta di qualche pezzo nuovo per i passaggi radiofonici, e anche questa pratica costringeva all'acquisto di materiale vecchio chi voleva comprare le canzoni nuove. Lo fecero ad esempio Bryan Adams con So Far so Good o i Depeche Mode e gli U2 con le raccolte uscite in quegli anni, ma era una pratica del tutto comune.
Semmai i dubbi più grandi vennero dalla scelta dei pezzi del primo disco. Mancavano capolavori assoluti come Smooth Criminal, Dirty Diana e Will You Be There; ma quali dei pezzi presenti avrebbero potuto essere esclusi per fare spazio a questi? Nessuno. Appunto. I dischi di Michael Jackson sono ed erano raccolte di capolavori, e quindi è ovvio che non si possano inserire tutti i pezzi in una raccolta, e quindi alla fine andava bene così.
Il secondo disco confermò in parte ciò che Dangerous aveva già detto: il pop di facile presa, per quanto mai banale, targato Quincy Jones era ormai alle spalle in favore di suoni più complessi e vari e di tematiche sociali particolarmente attuali come l'inquinamento, la solitudine e l'ineguaglianza sociale. Il disco spazia infatti dal rock all'hard rock, al rap, al funk e al soul e per fare questo MJ si avvalse della collaborazione della sorella Janet, come già detto, ma anche di Shaquille O'Neal, Notorious B.I.G. e Slash.
Beh, che dire? Se il primo dei due CD conteneva capolavori del passato, il secondo conteneva i capolavori nuovi, quelli che avrebbero raggiunto i primi nell'empireo. Ciò che è rimasto poco chiaro è perché il titolo contenga le parole Book I, perché il secondo volume non si è mai visto. Due anni dopo MJ tornò con Blood on the Dance Floor: HIStory in the Mix, un altro album stellare sulla falsariga di questo, ma il Book II non è mai arrivato.
HIStory si rivelò comunque un grande successo e di pezzi che riempirono l'airplay ce ne furono molti, da They Don't Care About Us a Stranger in Moscow fino a You Are Not Alone scritta da R. Kelly, un altro artista travolto da scandali che nel 2001 scrisse anche Cry per Michael Jackson incisa nell'album Invincible. La copertina di HIStory mostrava una statua di MJ di tre metri che lo ritraeva in posa da guerriero. Il significato era chiaro: quella che MJ stava combattendo era la sua guerra personale per tornare in vetta. E con questo album la sua guerra la vinse alla grande e dopo quattro anni di assenza The King of Pop era tornato. Più forte che mai.
Nel 1995 Michael Jackson era nel pieno di una tempesta mediatica, per via delle accuse di pedofilia e del tormentato matrimonio con Lisa Marie Presley che qualcuno mormorava servisse proprio a cancellare agli occhi del pubblico le presunte accuse di devianze sessuali. Questa situazione intricata rallentò sicuramente l'attività di Jacko e quando arrivò HIStory diede proprio l'impressione di essere la sua sfida con il destino, con cui The King of Pop voleva dimostrare di essere vivo e vegeto, e di essere ancora al vertice della propria carriera.
L'uscita dell'album fu preceduta dall'uscita del video di Scream, in coppia con la sorella Janet; il pezzo ricordava un po' Jam, brano di apertura di Dangerous, ma pazienza. Alla fine era un bel pezzo che mostrava un Jackson in gran forma. Anche se internet non c'era ancora, c'era MTV Europe che trasmetteva su TELE+ (due anni prima che arrivasse MTV Italia che sancì l'inizio della fine di un glorioso network), c'era l'italianissima Videomusic e c'erano i programmi di musica sulle TV generaliste, e Scream divenne subito uno dei pezzi più trasmessi.
Per l'album, il cui titolo per intero è HIStory: Past, Present and Future, Book I, i produttori fecero una scelta che oggi appare stranissima. L'album era doppio: il primo disco era una sorta di greatest hits che attingeva da Off the Wall, Thriller, Bad e Dangerous; mentre le tracce nuove stavano sul secondo disco che era di fatto l'album nuovo. Questo comportava un problema che al tempo era piuttosto ovvio: il costo di un CD si aggirava sulle 30.000 lire, gli album doppi costavano circa 50.000, e con questa mossa MJ costringeva chiunque volesse ascoltare il disco nuovo a comprare anche le canzoni vecchie spendendo la banconota con il volto di Bernini. In realtà per quanto sembri una mossa assurda, secondo i criteri di allora lo era molto meno. Anzitutto molti fan potevano comunque non avere il materiale vecchio, perché negli anni 90 bisognava comprare il CD oppure conoscere qualcuno che lo aveva e che poteva fare una copia su cassetta, perché i masterizzatori sarebbero arrivati almeno tre anni dopo, quindi magari a molti faceva piacere acquistare insieme ai pezzi nuovi anche quelli vecchi (e uno quelli ero io). In secondo luogo era abbastanza comune al tempo che i musicisti che non avevano dischi pronti da dare alle stampe pubblicassero delle raccolte di vecchi successi con l'aggiunta di qualche pezzo nuovo per i passaggi radiofonici, e anche questa pratica costringeva all'acquisto di materiale vecchio chi voleva comprare le canzoni nuove. Lo fecero ad esempio Bryan Adams con So Far so Good o i Depeche Mode e gli U2 con le raccolte uscite in quegli anni, ma era una pratica del tutto comune.
Semmai i dubbi più grandi vennero dalla scelta dei pezzi del primo disco. Mancavano capolavori assoluti come Smooth Criminal, Dirty Diana e Will You Be There; ma quali dei pezzi presenti avrebbero potuto essere esclusi per fare spazio a questi? Nessuno. Appunto. I dischi di Michael Jackson sono ed erano raccolte di capolavori, e quindi è ovvio che non si possano inserire tutti i pezzi in una raccolta, e quindi alla fine andava bene così.
Il secondo disco confermò in parte ciò che Dangerous aveva già detto: il pop di facile presa, per quanto mai banale, targato Quincy Jones era ormai alle spalle in favore di suoni più complessi e vari e di tematiche sociali particolarmente attuali come l'inquinamento, la solitudine e l'ineguaglianza sociale. Il disco spazia infatti dal rock all'hard rock, al rap, al funk e al soul e per fare questo MJ si avvalse della collaborazione della sorella Janet, come già detto, ma anche di Shaquille O'Neal, Notorious B.I.G. e Slash.
Beh, che dire? Se il primo dei due CD conteneva capolavori del passato, il secondo conteneva i capolavori nuovi, quelli che avrebbero raggiunto i primi nell'empireo. Ciò che è rimasto poco chiaro è perché il titolo contenga le parole Book I, perché il secondo volume non si è mai visto. Due anni dopo MJ tornò con Blood on the Dance Floor: HIStory in the Mix, un altro album stellare sulla falsariga di questo, ma il Book II non è mai arrivato.
HIStory si rivelò comunque un grande successo e di pezzi che riempirono l'airplay ce ne furono molti, da They Don't Care About Us a Stranger in Moscow fino a You Are Not Alone scritta da R. Kelly, un altro artista travolto da scandali che nel 2001 scrisse anche Cry per Michael Jackson incisa nell'album Invincible. La copertina di HIStory mostrava una statua di MJ di tre metri che lo ritraeva in posa da guerriero. Il significato era chiaro: quella che MJ stava combattendo era la sua guerra personale per tornare in vetta. E con questo album la sua guerra la vinse alla grande e dopo quattro anni di assenza The King of Pop era tornato. Più forte che mai.
martedì 4 agosto 2020
Temperance - Viridian
Con il nuovo Viridian, uscito a gennaio di quest’anno, i Temperance sono giunti al loro quinto album in studio e al secondo con la nuova formazione che vede Michele Guaitoli e Alessia Scolletti alle voci, dopo Of Jupiter and Moons del 2018. In questo nuovo lavoro la band continua sulla strada tracciata dal precedente, realizzando un disco di ottimo metal melodico, intriso di AOR di stampo ottantiano, che basa la propria forza sulla positività della musica espressa e sulle ottime doti vocali dei due interpreti.
Il disco è composto da undici pezzi e parte fortissimo con la travolgente Mission Impossible chiaramente ispirata all'omonima serie cinematografica, ma l’offerta musicale non si ferma ai pezzi energici, infatti il disco vira subito verso l’AOR con pezzi melodici come I Am the Fire e Start Another Round. Atmosfere ottantiane si trovano anche in Let it Beat e nella title track Viridian che sono anche i due brani in cui Michele e Alessia tirano fuori il meglio delle proprie doti vocali, con Alessia in particolare che regala una performance magistrale nel controcanto sul ritornello finale di Viridian.
Come anticipato le atmosfere del disco sono molto varie e oltre ai pezzi energici e a una buona dose di AOR troviamo la power ballad Scent of Dye e un paio di esperimenti di crossover con The Cult of Misery, che contiene vocalizzi lirici di Laura Macrì, e Nanook impreziosita dalla presenza del coro dei bambini della scuola Sant'Angela Merici.
Chiudono il disco la speranzosa Gaia, in cui l’uomo si rivolge alla Terra su cui abita tra una richiesta di scuse e la speranza di poter cambiare il mondo per il meglio, e Catch the Dream, retta solo da un battito di mani come accompagnamento e che vede la presenza del coro gospel NuVoices Project, che inneggia all'unione dell’umanità e al superamento delle divisioni. La versione digitale del disco include Lost in the Christmas Dream, che come suggerisce il titolo stesso è un canto natalizio in stile AOR dai toni positivi e che invita a non perdere mai la speranza.
Giunti alla fine dell’ascolto ci si accorge che Viridian non contiene neanche un filler e costituisce un ottimo album di metal melodico ricco di commistioni e suggestioni diverse in cui la band dà anche una lezione tanto ovvia quanto di successo: se si ha in squadra il Dream Team del canto italiano realizzare un album di questo livello è quasi facile e naturale.
Il disco è composto da undici pezzi e parte fortissimo con la travolgente Mission Impossible chiaramente ispirata all'omonima serie cinematografica, ma l’offerta musicale non si ferma ai pezzi energici, infatti il disco vira subito verso l’AOR con pezzi melodici come I Am the Fire e Start Another Round. Atmosfere ottantiane si trovano anche in Let it Beat e nella title track Viridian che sono anche i due brani in cui Michele e Alessia tirano fuori il meglio delle proprie doti vocali, con Alessia in particolare che regala una performance magistrale nel controcanto sul ritornello finale di Viridian.
Come anticipato le atmosfere del disco sono molto varie e oltre ai pezzi energici e a una buona dose di AOR troviamo la power ballad Scent of Dye e un paio di esperimenti di crossover con The Cult of Misery, che contiene vocalizzi lirici di Laura Macrì, e Nanook impreziosita dalla presenza del coro dei bambini della scuola Sant'Angela Merici.
Chiudono il disco la speranzosa Gaia, in cui l’uomo si rivolge alla Terra su cui abita tra una richiesta di scuse e la speranza di poter cambiare il mondo per il meglio, e Catch the Dream, retta solo da un battito di mani come accompagnamento e che vede la presenza del coro gospel NuVoices Project, che inneggia all'unione dell’umanità e al superamento delle divisioni. La versione digitale del disco include Lost in the Christmas Dream, che come suggerisce il titolo stesso è un canto natalizio in stile AOR dai toni positivi e che invita a non perdere mai la speranza.
Giunti alla fine dell’ascolto ci si accorge che Viridian non contiene neanche un filler e costituisce un ottimo album di metal melodico ricco di commistioni e suggestioni diverse in cui la band dà anche una lezione tanto ovvia quanto di successo: se si ha in squadra il Dream Team del canto italiano realizzare un album di questo livello è quasi facile e naturale.
sabato 25 luglio 2020
Perché Take the "A" Train di Duke Ellington si intitola così?
Take The "A" Train è uno dei brani musicali più famosi di ogni epoca, che travalica i confini di generi ed epoche tanto che la sua melodia è nota a chiunque, anche a chi non ne conosce il titolo e non ne sa individuare lo stile.
Il brano nacque nel 1940, quando il celeberrimo jazzista Duke Ellington si trovò nella necessità di trovare un pezzo nuovo da usare come sigla di apertura delle proprie esibizioni radiofoniche dal vivo, dopo che l'ASCAP (American Society of Composers, Authors and Publishers, a cui era iscritto) aumentò le tariffe per le esecuzioni alla radio dei propri pezzi. Ellington allora chiese al figlio ventunenne Mercer e al compositore Billy Strayhorn, che erano iscritti alla BMI (Broadcast Music Incorporated) anziché all'ASCAP, di scrivere un brano apposito. Fino ad allora, infatti, Duke Ellington con la propria orchestra usava come sigla Sepia Panorama scritta proprio da lui, il cui costo di esecuzione sarebbe diventato proibitivo.
Mercer Ellington trovò allora fortuitamente in un cestino dei rifiuti un pezzo che Strayhorn aveva scritto ma che intendeva scartare, perché gli ricordava troppo gli arrangiamenti del celebre pianista Flectcher Henderson: il pezzo si intitolava Take the "A" Train e da allora divenne la nuova sigla e il pezzo più noto e distintivo di Duke Ellington che lo incise per la prima volta in studio nel 1941.
Sull'origine del titolo del brano circolano numerose leggende, e siccome la sua composizione risale agli anni quaranta è difficile districarsi su quale sia la versione corretta. Lo scrittore e storico musicale Stanley Dance lo chiese direttamente a Billy Strayhorn nel 1966 e l'intervista è pubblicata nel volume The World of Duke Ellington del 1970.
La spiegazione data da Strayhorn è che nel periodo in cui scrisse in brano la città di New York stava potenziando la propria rete metropolitana e tra le nuove linee che venivano aggiunte c'erano la "A" e la "D", entrambe le quali collegavano il quartiere Bedford-Stuyvesant di Brooklyn con Harlem a Manhattan, mettendo così in collegamento le due zone abitate prevalentemente da afroamericani. La linea "D" arrivava sulla 145esima Strada ad Harlem e proseguiva poi verso nord fino al Bronx; al contrario la linea "A" andava direttamente nel distretto di Sugar Hill, dove c'erano i migliori locali in cui veniva suonata musica jazz dal vivo.
Strayhorn era quindi solito dare indicazioni alle persone di Brooklyn dicendo "Take the A train, take the A train!" per evitare che sbagliando prendessero la "D" e finissero lontano dalla propria destinazione; prendendo spunto da questa frase decise quindi di intitolare così il proprio nuovo brano.
Furono quindi casuali sia il ritrovamento della composizione sia la scelta del titolo, ma entrambi garantirono al pezzo un successo immortale.
Il brano nacque nel 1940, quando il celeberrimo jazzista Duke Ellington si trovò nella necessità di trovare un pezzo nuovo da usare come sigla di apertura delle proprie esibizioni radiofoniche dal vivo, dopo che l'ASCAP (American Society of Composers, Authors and Publishers, a cui era iscritto) aumentò le tariffe per le esecuzioni alla radio dei propri pezzi. Ellington allora chiese al figlio ventunenne Mercer e al compositore Billy Strayhorn, che erano iscritti alla BMI (Broadcast Music Incorporated) anziché all'ASCAP, di scrivere un brano apposito. Fino ad allora, infatti, Duke Ellington con la propria orchestra usava come sigla Sepia Panorama scritta proprio da lui, il cui costo di esecuzione sarebbe diventato proibitivo.
Mercer Ellington trovò allora fortuitamente in un cestino dei rifiuti un pezzo che Strayhorn aveva scritto ma che intendeva scartare, perché gli ricordava troppo gli arrangiamenti del celebre pianista Flectcher Henderson: il pezzo si intitolava Take the "A" Train e da allora divenne la nuova sigla e il pezzo più noto e distintivo di Duke Ellington che lo incise per la prima volta in studio nel 1941.
Sull'origine del titolo del brano circolano numerose leggende, e siccome la sua composizione risale agli anni quaranta è difficile districarsi su quale sia la versione corretta. Lo scrittore e storico musicale Stanley Dance lo chiese direttamente a Billy Strayhorn nel 1966 e l'intervista è pubblicata nel volume The World of Duke Ellington del 1970.
La spiegazione data da Strayhorn è che nel periodo in cui scrisse in brano la città di New York stava potenziando la propria rete metropolitana e tra le nuove linee che venivano aggiunte c'erano la "A" e la "D", entrambe le quali collegavano il quartiere Bedford-Stuyvesant di Brooklyn con Harlem a Manhattan, mettendo così in collegamento le due zone abitate prevalentemente da afroamericani. La linea "D" arrivava sulla 145esima Strada ad Harlem e proseguiva poi verso nord fino al Bronx; al contrario la linea "A" andava direttamente nel distretto di Sugar Hill, dove c'erano i migliori locali in cui veniva suonata musica jazz dal vivo.
Strayhorn era quindi solito dare indicazioni alle persone di Brooklyn dicendo "Take the A train, take the A train!" per evitare che sbagliando prendessero la "D" e finissero lontano dalla propria destinazione; prendendo spunto da questa frase decise quindi di intitolare così il proprio nuovo brano.
Furono quindi casuali sia il ritrovamento della composizione sia la scelta del titolo, ma entrambi garantirono al pezzo un successo immortale.
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