martedì 12 febbraio 2019

La discografia solista di Freddie Mercury

Il nome di Freddie Mercury è indissolubilmente legato a quello dei Queen, eppure durante la ventennale carriera del quartetto, il vocalist riuscì a realizzare numerose incisioni soliste trovando spazio nella fitta discografia del gruppo.


In realtà la prima registrazione solista di Freddie Mercury risale a prima ancora che i Queen si formassero con il singolo I Can Hear Music realizzato con lo pseudonimo di Larry Lurex. Il 45 giri conteneva la cover dell’omonimo brano delle Ronettes (portato al successo anche dai Beach Boys) e come B-side la cover di Goin’ Back di Gerry Goffin e Carole King. Tuttavia al progetto di Larry Lurex presero parte anche Brian May e Roger Taylor ed è quindi forse più corretto considerare il disco come la prima incisione della band che si stava formando, piuttosto che un disco solista di Freddie Mercury

La prima incisione solista di Freddie Mercury dopo l’esordio discografico dei Queen risale al 1984 con il brano Love Kills realizzato per la colonna sonora di Giorgio Moroder del leggendario film muto Metropolis del 1927. L’anno seguente Freddie realizzò quello che resta tuttora il suo unico album solista dal titolo Mr. Bad Guy. L’album contiene tutti i pezzi più celebri della discografia solista del cantante, come la title track, I Was Born to Love You, Foolin’ Around e Your Kind of Lover. Ciò che distingue maggiormente questo album dalle incisioni dei Queen è che le basi sono generalmente più semplici, le chitarre hanno un ruolo meno predominante e le sonorità si allontanano dal rock per muoversi verso il pop o la disco, come testimoniato da pezzi come Let’s Turn it On o Living On My Own. Nel disco troviamo anche un esperimento di reggae con My Love Is Dangerous e non mancano ballad più tradizionali come Made in Heaven, Love Me Like There's No Tomorrow e There Must Be More To Life Than This.

Due tracce di questo album, Made in Heaven e I Was Born to Love You, furono poi inserite nell’ultimo album dei Queen con Freddie Mercury alla voce, cioè il postumo Made in Heaven del 1995. Per l’occasione la band reincise le basi rendendole più simile allo stile dei Queen grazie ad arrangiamenti più vicini al rock.

L’anno seguente Freddie prestò la voce a due tracce nel concept album Time di David Clark, la title track e In My Defence, due power ballad di ottima fattura che mettono perfettamente in luce le straordinarie doti canore del cantante. Nel 1987 Freddie Mercury realizzò un altro dei suoi singoli più celebri, la sontuosa cover di The Great Pretender dei Platters il cui B-side è l’altrettanto celebre Exercises In Free Love. Come dice il titolo stesso questa seconda traccia è un esercizio canoro in cui Freddie esegue un vocalizzo, su una base suonata al piano da Mike Moran, imitando una voce da soprano, il pezzo fu infatti immaginato per la voce di Monserrat Caballé con cui l’anno seguente avrebbe inciso Barcelona.

Barcelona resta la più celebre incisione di Freddie Mercury senza i Queen, l’album è composto da otto tracce che coniugano sapientemente le capacità vocali di questi due incredibili cantanti così diversi ma che si amalgamano benissimo. Oltre alla title track, scritta per celebrare le Olimpiadi di Barcellona del 1992, il disco contiene altri capolavori realizzati con lo stesso stile, come La Japonaise in cui i due cantano anche in giapponese, The Golden Boy impreziosita dalla presenza di un corposo coro gospel e How Can I Go On che vede la presenza di John Deacon al basso.

L’LP realizzato con Monserrat Caballé fu anche l’ultima pubblicazione di Freddie Mercury senza il resto del Queen prima della sua morte sopraggiunta nel 1991. Dopo il decesso del cantante sono state pubblicate molte compilation che raccolgono i suoi successi solisti, la prima di esse è The Freddie Mercury Album del 1992 che contiene sette remix di pezzi già editi più le versioni originali di Barcelona, Love Kills, Exercises in Free Love e The Great Pretender. Nel mercato americano la compilation fu sostituita da un’altra intitolata The Great Pretender in cui anche la title track e Love Kills sono in versioni remixate, il disco presenta anche una versione diversa di Mr. Bad Guy, manca Barcelona e al suo posto si trova un remix di My Love Is Dangerous. Inoltre vi si trovano due versioni di Living On My Own.

L’anno seguente fu pubblicata una compilation di soli sei pezzi intitolata Remixes, che come dice il titolo stesso contiene dei remix dei pezzi pubblicati da Freddie in vita. Tra le tracce del disco si trovano due versioni di Living on My Own (una delle quali è stata pubblicata anche in singolo) e una versione hard rock di My Love is Dangerous (la stessa pubblicata sulla compilation The Great Pretender) che si allontana tantissimo dalla versione contenuta su Mr Bad Guy.

Nel 2000 fu pubblicata la raccolta The Solo Collection composta da dodici dischi che contiene tutti i singoli completi di B-side, demo e versioni inedite. Nel 2006 uscì la compilation doppia Lover of Life, Singer of Songs che contiene nuove versioni di Love Kills e Living on My Own oltre a una demo di Mr. Bad Guy mai pubblicata prima. Nel 2016 fu data alle stampe quella che è ad oggi l’ultima raccolta dedicata all’attività solista di Freddie Mercury dal titolo Messenger of the Gods: The Singles che ha il merito di recuperare un altro pezzo fino ad allora inedito: la versione di Exercises in Free Love cantata da Montserrat Caballé.

Vista l’ampia mole di bootleg e la lunga lista di pezzi mai pubblicati, è molto probabile che la discografia solista di Freddie Mercury non si esaurisca qui e che in futuro possano emergere altre registrazioni. Nel frattempo non resta che ascoltare quelle pubblicate fino ad oggi, in cui Freddie Mercury ha dato più spazio alla propria creatività creando spesso sonorità molto lontane da quelle che ha realizzato con il resto del suo celebre quartetto ma ovviamente altrettanto geniali e memorabili.

lunedì 4 febbraio 2019

Intervista ai Cayne

I milanesi Cayne sono una delle realtà più interessanti del gothic metal italiano, in attività da due decenni hanno realizzato durante la loro carriera tre album e due EP. Per parlare del loro album più recente Beyond The Scars e di molto altro, i Cayne hanno accettato la nostra richiesta di un'intervista che pubblichiamo di seguito.

Ringraziamo i Cayne per la loro cortesia e disponibilità


125esima Strada: Iniziamo parlando del vostro nuovo album Beyond The Scars. Come sono nati i pezzi dell’album? Cosa c’è dietro la nascita di questo disco?

Cayne: Innanzi tutto grazie di darci la possibilità di parlare di noi e del nostro ultimo lavoro.

Questo album nasce innanzitutto dalla nostra forte passione per la musica che, complice una forte motivazione a trovare riscatto dalle molte avversità che abbiamo dovuto attraversare (come band così come nelle nostre vite private), è sfociata in una nuova fase creativa che ci ha coinvolti tutti quando ci siamo ritrovati in sala prove per lavorare sulle idee che ognuno di noi aveva preparato da solo a casa.

A differenza del passato c’è stato molto più lavoro corale sulla stesura delle parti musicali, mentre la stesura dei testi è stata affidata interamente a Giordano [Adornato, cantante dei Cayne N.d.R.]. Ci siamo presi il tempo necessario per lavorare più a lungo tutti insieme sulla maggior parte delle partiture e sugli arrangiamenti, inserendo ognuno di noi il proprio gusto e le proprie emozioni.

Se da un lato all'inizio eravamo emozionati e un po’ spaventati, devo dirti che mano a mano che il lavoro procedeva, il nostro entusiasmo cresceva sempre di più e i timori iniziali si sono subito dileguati. Tutto questo ha creato un clima di affiatamento e di intesa mai sperimentati prima (prima si lavorava molto di più stand alone, scambiandoci i file via mail).

Sembra una frase fatta ma credimi, non è così. Siamo molto soddisfatti del risultato finale, ottenuto dall'affiatamento e grazie alla produzione affidata a Diego Minach (il nostro chitarrista) che ha saputo cogliere da tutti noi il meglio, lasciandoci "sperimentare” e mettendoci a nostro completo agio durante tutte le fasi delle recording sessions. E’ stato veramente stimolante e gratificante e tutto questo è stato interamente riversato nelle tracce: credo che questo “flusso positivo” si percepisca durante l’ascolto dell’album.


125esima Strada: All'interno dell’album ci sono pezzi a cui siete più legati? Se sì, perché?

Cayne: In realtà per vari aspetti siamo ovviamente legati ad ognuno dei dodici pezzi che compongono Beyond The Scars, perché ognuno di essi racconta un po’ di noi e delle nostre “visioni”, c’è dentro tanto lavoro e molta passione. Se dovessimo però citare alcuni brani ai quali siamo più legati ti direi sicuramente la opening track, No Answers From The Sky perché lo abbiamo sviluppato partendo da un arpeggio che ci ha lasciato Claudio [Leo, ex chitarrista e fondatore della band, scomparso nel 2013 N.d.R.] e che fino ad ora non avevamo ancora trovato il giusto equilibrio emotivo per riprendere e finalmente sviluppare.

Poi senza dubbio The Asylum Of Broken Hope che è nata da Diego e che, quando ce la fece sentire la prima volta in sala prove, ci fece capire che avevamo finalmente ritrovato il giusto feeling tra di noi e che eravamo pronti per tuffarci nella meravigliosa avventura della scrittura del nuovo album.


125esima Strada: Parliamo anche di qualcosa di più vecchio. Uno dei miei pezzi preferiti dei Cayne è Little Witch; qual è la storia di questo brano?

Cayne: La parte musicale è nata da un arpeggio di Claudio Leo che è stato poi completato con tutta la band in sala prove. La melodia della parte cantata e il testo è stato scritto da Giordano (come tutti i testi dei nostri album) e parla sostanzialmente di una bellissima e morbosa “gothic girl”, una piccola irresistibile streghetta sexy che ti rende schiavo del suo fascino.


125esima Strada: Come è nata l’idea di usare il violino nel metal? Secondo me è un’ottima scelta che crea un bellissimo effetto, ma mi sembra anche una scelta molto singolare.

Cayne: Sì, è sicuramente una scelta singolare, anche se non del tutto inedita, ma le sonorità del violino che si mischiano e si contrappongono ai “classici” solo di chitarra creano una miscela sonora affascinante e che non passa certamente inosservata. Quindi direi che è nata dalla volontà di provare a creare nuove sonorità e di portare qualcosa di nuovo che esca un pochino dei soliti cliché di genere.


125esima Strada: Non avete mai pensato di cantare in italiano? Potrebbe essere un esperimento interessante, non siete d’accordo?

Cayne: In realtà non ci abbiamo mai seriamente pensato, come dici tu potrebbe forse essere un esperimento interessante… chissà magari potremmo osare in futuro e diventare, che ne so, i nuovi Litfiba o Timoria. Eheheheh.

No, a parte gli scherzi credo sia più difficile riuscire ad amalgamare il nostro sound con le sonorità tipiche della nostra lingua… per ora alcuni di noi a volte si cimentano a cantare qualcosa in italiano durante i sound check delle voci prima di un live, ma questo è solo per puro divertimento ;-)


125esima Strada: Chi sono i musicisti di ogni tempo che vi hanno influenzato di più?

Cayne: Le influenze arrivano veramente da ogni tipo di genere e da ogni tipo di musicisti: siamo tutti ovviamente fan dei classici gruppi rock, hard rock e metal che inevitabilmente ci portiamo nel nostro background, poi ognuno di noi ha le sue influenze che vanno dalla classica al prog, al metal estremo passando per elettronica, folk, pop, fusion e per qualunque tipo di buona musica esista. Ahahahah.

Ognuno di noi ha poi propri “eroi” tipo Plant, Coverdale, Steve Vai, Satriani, Paco de Lucia, Tommy Emmanuel, Marc Wood, Steve Harris, Jaco Pastorius (giusto per citarne qualcuno). Tutte queste influenze variegate e provenienti da ogni genere vengono inconsciamente rielaborate ed amalgamate insieme, contribuendo a dar vita al sound dei Cayne.


125esima Strada: E nella scena musicale attuale chi sono i vostri preferiti?

Cayne: Sono tantissimi, ci piace ascoltare qualunque nuova band che proponga buona musica e che riesca a catturare la nostra attenzione, non necessariamente dal punto di vista della tecnica, ma soprattutto che sappia trasmetterci emozioni. Se devo citarne qualcuna tra le ultime band, in senso temporale, che ci piacciono ti direi Blackberry Smoke, Katatonia, Rival Sons, Vola, Ghost, Haken, Monuments, White Lies, e un sacco d’altri, ahahahah.


125esima Strada: Cosa pensate dello stato di salute del rock in Italia al giorno d’oggi?

Cayne: Direi che il “rock” nel senso più lato del termine ancora funziona e anzi, per alcuni versi, è pure molto “di moda” (mi vengono in mente i sold out di mega band tipo AC/DC o Metallica). Se pensi alla situazione in Italia ci sono tantissime band là fuori nascoste per lo più negli scantinati e nelle sale prove, alla ricerca di una posto dove potersi esprimere e confrontarsi. La vera difficoltà che vediamo sta nella possibilità di trovare luoghi dove potersi esibire e nella difficoltà di riuscire ad arrivare al pubblico, nel senso che sembra che ci sia molto meno seguito per le realtà meno conosciute o, per così dire, dell’underground. Non sono in grado di dirti quali siano le cause, sicuramente un insieme di fattori concomitanti che limitano molto le possibilità di riuscire a farsi conoscere.


125esima Strada: Parliamo di tecnologie. Cosa pensate dell’uso di internet per diffondere la musica?

Cayne: Se da un lato la diffusione di piattaforme tipo Deezer o Spotify, giusto per citarne solo alcune, ha consentito a chiunque di poter rendere disponibile la propria musica praticamente a tutti creando “l’illusione” di poter essere visibili al mondo intero, di fatto se non ci sono a supporto campagne di marketing e targetizzazione mirate (e costose) equivale ad essere un granello di sabbia in un oceano. E’ molto difficile che qualcuno che non ti conosca direttamente o per passaparola possa arrivare alla tua musica, anche se playlist e comunanza di generi possono in piccola parte veicolare fino a te l’ascoltatore che ha gusti affini alla tua proposta.

Per non parlare poi delle royalties che sono praticamente pari a zero: a una band non mainstream (per non dire sconosciuta) queste piattaforme non restituiscono praticamente nulla in termini di proventi dovuti come diritti di copyright sulla diffusione della propria musica. Se a questo poi si aggiunge che le quote devono essere spesso ulteriormente ripartite tra editore, compositore ed autore non resta praticamente nulla.


125esima Strada: Cosa avete in serbo per il futuro? Quando potremo ascoltare il vostro prossimo album?

Cayne: Per ora vorremmo trovare nuovi canali e circuiti che ci possano far conoscere a nuovi possibili fan e continuare la promozione di Beyond The Scars. Per un nuovo album è ancora presto per dire quando sarà pronto, abbiamo da parte alcune idee che sono a livello embrionale e che svilupperemo con la dovuta calma tutti insieme in sala prove, così come abbiamo fatto con Beyond The Scars e il risultato a noi è piaciuto tanto, e speriamo sia cosi anche per chi lo ascolterà.

Grazie ancora e stay addicted to Cayne! ;-)

sabato 26 gennaio 2019

Pierre Edel: rock 'n' roll tra Parigi e Mosca

Che un cantante di valore partecipi a un talent show è un evento raro, che un cantante fenomenale ne faccia addirittura quattro è un evento unico nella storia. E’ questo il caso del vocalist francese Pierre Edel che ha partecipato a ben quattro edizioni di The Voice (in Francia nei primi mesi del 2014, in Russia nell’autunno dello stesso anno, in Ucraina nel 2016 e in Belgio nel 2018) e le sue interpretazioni di Whole Lotta Love, The House of the Rising Sun (due volte) e Sweet Child o’ Mine alle blind auditions sono tra le più apprezzate della storia di questo format. Nelle sue esibizioni al famoso talent show, Pierre ha dato ampio sfoggio della sua voce potente e della sua estensione e anche di una buona ecletticità, sapendo interpretare classici del rock, ma anche muovendosi bene in terreni più pop interpretando Bennie and the Jets di Elton John o Gimme! Gimme! Gimme! degli ABBA.


Pierre Edel è nato a Parigi nel 1987 da padre francese e madre russa e ha vissuto tra Parigi, Mosca, Londra, India e Ucraina e il contesto multiculturale in cui è vissuto influenza notevolmente la sua produzione musicale. Inoltre Pierre parla russo e francese madrelingua e questo spiega le sue connessioni con il mondo russo.

L’attività discografica di Pierre Edel ha preso le mosse ben prima della sua partecipazione a The Voice, quando nel 2013 realizzò una cover di Love Child dei Deep Purple, stampata al tempo anche su CD single. L’anno dopo Pierre Edel formò un duo con il chitarrista russo Sergey Mavrin dal nome Show Time e questa inedita accoppiata realizzò un EP dal titolo Press Your Fucking Delete Key dai suoni smaccatamente crossover, con basi vicine al metal e con Pierre alterna il canto al rap.

La collaborazione tra i due è continuata e nel 2015 quando incisero una cover di Geroy Asfalta (Герой асфальта) degli Aria, dall’album omonimo del 1987, di cui lasciano inalterata la melodia senza rinunciare a rendere più moderne le sonorità dal metal classico originale. In questa prova Pierre regge benissimo il confronto Valery Kipelov, pur avendo una voce notevolmente più acuta e molto diversa dal vocalist degli Aria. Per l’occasione il brano è stato inciso anche in francese con il titolo di Le Héros de l'Asphalte e con il testo tradotto dallo stesso Pierre. Nello stesso anno Pierre ha prestato la voce cantando in sanscrito nel brano Govinda nell’album Neotvratimoye (Неотвратимое) dei Mavrin, band fondata proprio da Sergey Mavrin.

Due anni dopo Pierre ha inciso il proprio primo album solista disponibile interamente su Soundcloud, in cui oltre a cantare con il suo timbro inconfondibile suona la chitarra, il basso e anche la tastiera in alcuni pezzi. Lo stile musicale di questo album è chiaramente ispirato ai modelli classici del rock degli anni 70 e degli anni 80 e il punto di forza di queste incisioni risiede sicuramente nelle notevoli capacità canore di Pierre, visto che il vocalist fa ampio sfoggio di acuti e di vibrato, che sono le doti migliori già messe in luce a The Voice e nelle sue produzioni precedenti.

Il disco parte alla grande con Ruins of Love il cui grintoso riff di chitarra è ispirato ai fondatori dell’hard rock come i Deep Purple o i Black Sabbath; le stesse atmosfere settantiane si trovano anche in Shower of Tears. Le influenze sulla musica di Pierre Edel non si esauriscono agli anni 70, visto che nell’album si trovano anche sonorità ottantiane e marcatamente AOR come in Snakewheel Ambustion e Return to the City of Love, dove la città dell’amore del titolo è ovviamente Parigi. Tra i pezzi dal sapore anni 80 si trova anche Chemistry of Love che di distingue per l’intro acustico dalle suggestioni caraibiche. Nell’album non manca una spruzzata di funk, con 66Sex, e nemmeno qualche momento più d’atmosfera con le power ballad Electric Bridge e Breaking Chains che chiude il disco.


Sul canale YouTube di Pierre Edel si possono trovare le versioni acustiche di Electric Bridge, Chemistry of Love oltre a un pezzo inedito intitolato Tu M’as Tout Dit, una ballad in cui troviamo il vocalist cantare in francese, dando così un tocco di originalità a questo pezzo dai ritmi lenti.

Nonostante sia poco noto al di fuori del mondo francofono e russofono, se non per le performance a The Voice, Pierre Edel è una delle realtà più interessanti del rock contemporaneo grazie a una voce singolare e molto versatile, e anche alla sua capacità compositiva riscontrabile nei suoi pezzi originali. Non resta che sperare che il grande pubblico si accorga di questo enorme talento e magari il mezzo per farsi conoscere potrebbe essere quello di allungare la lista dei talent show a cui ha partecipato.

domenica 20 gennaio 2019

La Mercury racconta i Queen - Milano, 19/1/2019

Se La Mercury racconta i Queen si ferma per una serata a Milano, l'evento è di quelli imperdibili. Lo dice il titolo stesso, la serata vedrà i classici di un quartetto leggendario del passato reinterpretati da un gruppo di musicisti leggendari di oggi. E allora vale proprio la pena di addentrarsi nel cuore del capoluogo, tra il freddo e il traffico, e sfidare il dedalo di strade tra cui la ricerca di un parcheggio sembra dover durare through the eons and on and on.


Il piano interrato del The Boss, il locale che ospita l'evento, ha una grande sala per concerti che questa sera è sold out al punto che tanta gente è costretta a seguire il concerto in piedi o seduta sui tavoli in fondo alla sala. Il trio apre lo spettacolo intorno alle 22:30, con l'ideatrice Francesca Mercury (il cui cognome d'arte rende omaggio proprio al vocalist dei Queen) nel ruolo di narratrice e corista, accompagnata da Giacomo Voli, vocalist dei Rhapsody of Fire, alle voci principali, alla tastiera e alla chitarra acustica, e Nik Messori, ex chitarrista di Gianluca Grignani, alla chitarra elettrica e alle seconde voci.

A partire dalle prime note si è capito che lo spettacolo che stava per iniziare era qualcosa di straordinario e mai visto prima, con Francesca che racconta piccoli stralci della vita dei Queen e curiosi aneddoti su Freddie Mercury e la sua band, e la narrazione di queste pillole di storia è alternata alle canzoni della band interpretate in quest'occasione in acustico. Può sembrare impossibile replicare in acustico gli arrangiamenti dei Queen così ricchi di orchestrazioni e sonorità teatrali, eppure questo terzetto ci riesce alla grande, quasi con facilità, come una macchina rodata che si muove alla perfezione, con Giacomo Voli in una serata perfetta che regala la sua ennesima interpretazione stellare. Del resto Giacomo è tra i pochissimi cantanti al mondo degni di raccogliere l'eredità del compianto Freddie e lo dimostra in tutti i pezzi, dai più semplici (ammesso che ne esistano) fino ai più difficili come Somebody to Love o Who Wants to Live Forever.

Questo inedito trio spazia attingendo i brani dalle due decadi di attività dei Queen, dal primo album che prende il nome stesso della band fino a Innuendo del 1991. Il pubblico risponde con il calore che questa iniziativa merita, cantando tutti i pezzi insieme al vocalist, scandendo il ritmo con il battito delle mani e con lo schiocco delle dita nella chiusura di Under Pressure. Tra un pezzo e l'altro Francesca racconta la genesi delle canzoni e spiega molte curiosità sulla produzione musicale del gruppo, come il fatto che It's a Hard Life contenga snippet di vari pezzi d'opera o per quale motivo One Vision si chiuda con il verso fried chicken. Nella setlist non può mancare Bohemian Rhapsody, che il terzetto la esegue in un medley con Killer Queen e The March of The Black Queen, riproponendo l'esperimento inventato proprio dai Queen a partire dal live in Hyde Park del 1976. A riprova delle incredibili capacità vocali di Giacomo Voli, il trio esegue Bohemian Rhapsody includendo anche l'intro a cappella, che nemmeno Freddie cantava dal vivo.


Purtroppo, come dice anche Francesca la cui passione per il racconto è tangibile, è impossibile eseguire tutta la discografia dei Queen in una sera, o saremmo rimasti lì fino alla mattina dopo, e quindi il concerto deve volgere al termine dopo aver ascoltato i pezzi più famosi della lunga discografia della band. In chiusura Francesca, Giacomo e Nik eseguono We Will Rock You, con il pubblico che scandisce il ritmo battendo i piedi e le mani, seguita da We Are The Champions, quasi come fossero un pezzo unico, così come si trovano anche nell'album News of the World da cui sono tratte.

E mentre usciamo di nuovo tra le strade di Milano in mezzo al viavai del capoluogo lombardo viene da chiedersi se le persone che percorrono le vie del centro hanno idea dello spettacolo a cui noi abbiamo assistito al piano interrato del The Boss. Probabilmente no, ma noi che siamo appena usciti da lì sappiamo che la musica dei Queen non smette di stupire e di unire; se poi è interpretata da alcuni tra i migliori musicisti di questa epoca che aggiungono la propria creatività a quella di Freddie e dei suoi tre soci è ancora meglio.

venerdì 4 gennaio 2019

Filippo Margheri - Indipendenza

Il 2018 ha visto il ritorno discografico del cantante fiorentino Filippo Margheri, che in passato ha ricoperto il ruolo di vocalist del gruppo underground dei MiiR e anche quello di voce e frontman dei Litfiba, il più glorioso gruppo rock del nostro paese, dopo Piero Pelù e Gianluigi Cavallo e prima del ritorno del primo.

Il nuovo album di Margheri, che tutt'ora alterna la propria attività di musicista a quella di ingegnere meccanico, si intitola Indipendenza ed è composto da undici tracce di puro rock duro, ruvido, graffiante e dai contorni gotici. Come è ovvio che sia tutte le tracce si basano sul connubio tra le basi dirette ed energiche e la straordinaria voce di Margheri che si conferma per potenza, estensione ed espressività una delle migliori realtà del rock nostrano e non solo; perché basta un ascolto di questo disco per capire che in realtà questo è uno dei migliori cantanti rock al mondo.

Il disco contiene una buona mescolanza di pezzi forti e altri più lenti e d'atmosfera. L'album parte alla grande con l'ottima Ora che si apre con un'intro di piano e voce, prima che si uniscano gli altri strumenti e che aumenti la velocità. Tra i pezzi migliori troviamo troviamo anche la ruggente Sedato, il pezzo più vicino all'hard&heavy dell'intero album, che fa riflettere su come la società moderna tenda ad appiattire i pensieri in modo da rendere i cittadini meno pericolosi e Cronico che è uno dei pezzi in cui Margheri dà miglior sfoggio delle sue capacità vocali grazie anche all'urlo che chiude le strofe.

Tra i pezzi più raccolti troviamo l'amara ballad Lei è, il midtempo Sacro e Profano e Grande che parte come una ballad per assestarsi su ritmi veloci e aggressivi nella seconda metà. Ritmi più lenti si trovano anche in Cattiva Bambina, primo singolo estratto dall'album, la cui seconda metà è impreziosita da Margheri che doppia parlando la propria voce cantata. Indipendeza contiene anche la nuova versione di Scusa Signore, sorta di preghiera salmodica la cui versione originale è stata pubblicata nel 2014.

Nel disco si trovano anche le nuove versioni di due dei pezzi migliori risalenti all'epoca in cui Filippo era il cantante dei Liftiba, quali Sepolto Vivo e La Rabbia in Testa. La melodia di entrambi resta immutata, ma l'arrangiamento viene reso più moderno, pulito e aggressivo, riuscendo così nell'incredibile compito di migliorare due pezzi che erano grandiosi già nel 2009.

Chiude il disco la cover di La Femmina di Piombino di Magnino Magni, scomparso prematuramente nel 1986 a 38 anni.

Giunti al termine dell'ascolto di Indipendenza sembra che il tempo sia trascorso troppo in fretta, perché questo disco è composto da undici tracce di altissimo livello, senza riempitivi e senza un attimo di noia. Margheri ci regala del sano rock sanguigno e diretto che colpisce dal primo all'ultimo minuto che convince sotto ogni aspetto: da quello autorale, agli arrangiamenti, fino alla realizzazione.

Indipendenza è sicuramente uno dei migliori album di rock italiano di ogni tempo ed è uno dei pochi che regge benissimo il confronto con i rocker americani o inglesi. Mentre diamo il "Bentornato" a Filippo Margheri non resta che da sperare che questo disco non resti un esperimento isolato e che questo straordinario musicista ci regali altre perle di questo valore

giovedì 27 dicembre 2018

Blackmore's Night - Winter Carols

Nel 2006 i Blackmore's Night, duo di rock rinascimentale composto dal chitarrista dei Deep Purple Ritchie Blackmore e dalla moglie Candice Night, hanno inciso il proprio primo, e fin qui unico, album di canti natalizi. Il disco si intitola Winter Carols e conserva tutte le caratteristiche distintive della musica dei Blackmore's Night basata, fin dal loro esordio discografico con Shadow of the Moon del 1997, sull'unione tra la strumentazione folk, fatta soprattutto di fiati e di strumenti a corda, e la voce angelica di Candice Night.

Per sottolineare la continuità tra questo lavoro e i precedenti, la copertina ritrae la stessa strada della città della Baviera Rothenburg ob der Tauber che compare anche sulla copertina di Shadow of the Moon e in questa seconda occasione il paesaggio è imbiancato dalla neve.

Il disco è composto da dodici tracce, prevalentemente pezzi tradizionali reinterpretati dai due nel loro stile. Ad essi si aggiungono due brani inediti, quali la strumentale Winter e la gioiosa Christmas Eve, e la cover di Wish You Were Here dei Rednex tratta dall'album di esordio dei Blackmore's Night e che è l'unica traccia che non ha nulla di natalizio.

Tra i pezzi migliori di questo album troviamo sicuramente Ma'oz Tzur, la cui prima strofa è cantata in ebraico e la seconda è presa invece dalla traduzione inglese intitolata Rock of Ages, e Ding Dong Merrily on High che è quello in cui Candice dà la miglior prova della sua vocalità grazie al celebre ritornello Gloria, Hosanna in Excelsis. Spicca anche la reinterpretazione di Good King Wencelsas in cui il canto di Candice Night è accompagnato da una ricca sezione di strumenti a corda a cui si aggiungono i fiati dalla seconda strofa.

Nell'album sono anche presenti due medley: quello tra Hark! The Herald Angels Sing e Come All Ye Faithful che apre il disco e quello tra l'inno calvinista Simple Gifts e Lord of the Dance del poeta inglese Sydney Carter, scritta proprio sulla melodia di Simple Gifts.

L'album è stato ristampato nel 2013 con un secondo disco che contiene cinque incisioni live e una nuova versione di Christmas Eve. Nel 2017 Winter Carol è stato ristampato per la seconda volta con l'aggiunta, rispetto alla versione del 2013, di altri tre classici natalizi: Deck the Halls, God Rest Ye Merry Gentlemen e Oh Christmas Tree

Winter Carols resta una delle migliori e più interessanti rivisitazioni dei canti natalizi in chiave rock, proprio per l'approccio singolare di questi due musicisti che sanno trasformare ogni brano su cui mettono le mani in qualcosa di magico e unico. Questo album di discosta, e di molto, da ogni altra registrazione rock o heavy metal dei canti natalizi, perché lo stile dei Blackmore's Night è unico e lontanissimo da quello di chiunque altro, e questa straordinaria coppia è riuscita anche in questo caso a dare un incredibile tocco di originalità e freschezza a brani vecchi di secoli.

domenica 23 dicembre 2018

Bohemian Rhapsody: il biopic sulla vita di Freddie Mercury

E’ proiettato nelle sale cinematografiche italiane in questi giorni il film Bohemian Rhapsody, il biopic che racconta la vita e la carriera musicale di Freddie Mercury dal suo ingresso nel Queen nel 1970 fino al Live Aid di Wembley nel 1985.

Il film racconta diversi aspetti della vita del cantante, dalla sua eccentricità, alla sua creatività musicale, fino alla sua controversa sessualità e al suo rapporto con Mary Austin. Bohemian Rhapsody è sicuramente godibile dal punto di vista cinematografico e le oltre due ore passate al cinema volano via come se il film durasse il tempo di un videoclip. Tuttavia purtroppo il film soffre di un evidente limite: è impossibile raccontare quindici anni in due ore. E proprio per questo la narrazione è molto superficiale, quasi irritante, per almeno tre quarti del film. Non viene approfondito nessuno dei temi proposti; ad esempio l’ingresso di Freddie nei Queen viene raccontato in modo incredibilmente frettoloso, viene completamente ignorato il fatto che la prima incisione di Mercury con May e Taylor non è il primo album dei Queen ma il singolo pubblicato con lo pseudonimo di Larry Lurex, non si capisce quasi nulla della composizione della traccia che dà il titolo al film, viene appena accennato e poi abbandonato il fatto che i Queen abbiano realizzato con Hot Space un disco volto alla disco music.

Inoltre il film contiene una serie di errori davvero notevoli di cui Rolling Stone ha fatto una lista molto ricca. Tra questi spicca il fatto che i Queen non si sono mai sciolti e non è quindi vero che il Live Aid fu una reunion. Inoltre, il disco solista di Freddie Mercury non portò alcun nervosismo nella band, né un'interruzione dell’attività della stessa e Freddie non fu il primo dei quattro a realizzare un disco in autonomia perché Roger Taylor ne registrò due tra il 1981 e il 1984 e anche Brian May realizzò un album senza il resto della band nel 1983.

Un anacronismo è scappato anche all'attenta analisi di Rolling Stone. Durante una festa a casa di Freddie ambientata poco prima che il band scrivesse We Will Rock You, si sente Super Freak di Rick James. Ma We Will Rock You è uscita nel 1977 e Super Freak nel 1981.

La parte finale del film è dedicata alla malattia di Freddie ed è questo l’unico aspetto che viene approfondito. Ma anche in questo caso è quasi tutto inventato, infatti Freddie Mercury non era a conoscenza della propria malattia prima del Live Aid e un esame svolto nel 1985 diede risultato negativo. Inoltre non è vero che i Queen furono aggiunti per ultimi alla scaletta del Live Aid, perché il loro nome compare nel primo elenco letto alla stampa da Bob Geldof.

L’unico merito di questo film è quello di aver recuperato incisioni inedite della band, tra pezzi registrati all'inizio della carriera e mai pubblicati, versioni live o arrangiamenti diversi di pezzi famosi. Tra questi spicca sicuramente l'estratto (cinque pezzi su otto) del medley di 21 minuti che il quartetto eseguì proprio al Live Aid.

In conclusione, consigliamo la visione del film? Sicuramente no, consigliamo piuttosto di ascoltarne la colonna sonora che è l'unica cosa che merita. Per il resto non resta che augurarsi che se un seguito del film verrà mai realizzato, come già ipotizzato da Brian May allo scopo di raccontare la vita del cantante dal 1985 al 1991, sia più fedele alla realtà e più rispettoso della vera vita di Freddie Mercury.