Dopo aver pubblicato nel 2020 una delle migliori biografie di Tupac Shakur, torna in libreria il giornalista e storico della musica rap Andrea Di Quarto con un nuovo volume dedicato questa volta alla storia dei Public Enemy, definiti a ragione dallo stesso autore nell'introduzione il più grande gruppo hip hop di sempre.
Di Quarto ripropone la propria formula vincente già utilizzata nella sopracitata biografia di Tupac e nella storia del rap pubblicata in due volumi tra il 2017 e il 2018. L'autore infatti colloca sempre con precisione gli eventi narrati nel contesto sociale e culturale in cui si svolgono e in cui sono maturati, raccontando nel dettaglio le biografie dei membri della band e spiegando in quali condizioni siano cresciuti e abbiano mosso i primi passi nel mondo della musica rap. Nello spiegare il messaggio sociopolitico della band, l'autore va anche ancora più indietro dedicando ampio spazio a spiegare come questo affondi le proprie radici nel passato risalendo fino a Malcolm X e passando per i movimenti del Black Power degli anni 70.
Il libro di Andrea Di Quarto racconta la carriera del Public Enemy dagli inizi quando si chiamavano Spectrum City fino alle stranezze più recenti, come la lite e la rapidissima riappacificazione dei due vocalist. L'autore racconta la storia e le peculiarità di ciascuno degli album del gruppo dai quattro LP più importanti che vanno da Yo! Bum Rush The Show del 1987 ad Apocalypse 91... The Enemy Strikes Black del 1991 fino al calo del successo nella seconda metà degli anni 90 con album che non hanno goduto del successo che avrebbero meritato come Muse Sick-N-Hour Mess Age e There's a Poison Going' On e ai tempi più recenti che vedono il gruppo più lontano dalle luci del successo. Come sempre l'autore attinge alle fonti più vicine ai fatti narrati risalendo ove possibile alle stesse parole dei protagonisti e affidandosi altrimenti alle testate più autorevoli.
Di Quarto inoltre non rinuncia a far notare le contraddizioni che contraddistinguono questo tipo di produzioni musicali, in cui un presunto messaggio di equità sociale viene fatto passare esibendo armi da fuoco e condendolo con messaggi misogini e antisemiti per i quali le spiegazioni proposte sono spesso grossolanamente inadeguate.
Revolution! - La vera storia dei Public Enemy è in sintesi un'ottima biografia di uno dei gruppi più influenti di ogni genere musicale che ad oggi estende la sua carriera in quattro decenni. Che li si odi o li si ami non si può negare che il gruppo capitanato da Chuck D abbia avuto una notevole influenza culturale e sociale e che rappresenti al meglio il rap precedente all'invasione del genere gangsta. Per conoscere la storia di questo singolare gruppo il libro di Andrea Di Quarto è un ottimo punto di partenza, nella speranza che dopo il volume su Tupac e questo dedicato ai Public Enemy l'autore decida di mettere le mani a un'altra biografia di altri esponenti di questo genere musicale troppo spesso snobbato.
venerdì 8 settembre 2023
venerdì 7 luglio 2023
Shut 'Em Up: il mash-up tra Prodigy e Public Enemy finito in un album ufficiale della band inglese
I mash-up sono uno dei fenomeni più divertenti della rete, nati da menti creative che trovano punti di connessione tra brani diversi e ne creano mescolanze inedite. Ne esistono moltissimi e di stili diversi, come quelli tra Donna Summer e Ozzy Osbourne, tra Tupac e Bob Marley o tra i Kiss e gli Earth Wind and Fire.
Di solito i mash-up rimangono sui canali di chi li crea e restano un divertimento per appassionati, ma esiste un unico caso in cui il mash-up realizzato da uno YouTuber è piaciuto così tanto a uno dei due artisti coinvolti da averlo inserito in un album ufficiale. Nel 2015, dopo aver letto che le due band avrebbero intrapreso un tour insieme, lo YouTuber Pony Sixfinger ha realizzato un interessante mix tra Shut 'Em Down dei Public Enemy, dall'album Apocalypse 91... The Enemy Strikes Black del 1991, e Stand Up dei Prodigy, unica traccia strumentale di Invaders Must Die del 2009. Il pezzo si intitola Shut 'Em Up, dall'unione dei due titoli, ed è accreditato a The Prodigy v Public Enemy. Pony Sixfinger ha sostanzialmente unito con grande maestria la base di Stand Up con la linea vocale di Shut 'Em Down di Chuck D e Flavor Flav.
Il pezzo è piaciuto così tanto a Liam Howlett dei Prodigy che ha contattato Pony Sixfinger su Twitter per dirgli che Shut 'Em Up sarebbe finita su un disco ufficiale del suo gruppo; infatti il brano è stato poi inserito nella versione a doppio di disco dell'album The Day Is My Enemy uscita alla fine del 2015. Nell'album il pezzo è accreditato a The Prodigy vs Public Enemy vs Manfred Mann per questioni di diritti d'autore, perché Stand Up contiene a sua volta un campionamento di One Way Glass del tastierista sudafricano Manferd Mann.
Da allora la fortuna di Shut 'Em Up non si è fermata all'inclusione in un album ufficiale, è infatti stata usata anche come sigla introduttiva dei documentari dedicati alla storia dell'NBA Shut Up And Dribble del canale televisivo Showtime, in uno spot della Nike e nella colonna sonora del film Fist Fight con Ice Cube (noto in Italia come Botte da Prof).
Quello che è nato quindi come un semplice esperimento di un appassionato ha riscosso l'apprezzamento di uno degli autori originali che lo ha strasformato in un sucesso, confermando quanto Pony Sixfinger sia stato bravo a trovare risvolti nascosti a cui né i Public Enemy né i Prodigy avevano pensato.
sabato 1 luglio 2023
L'elenco completo delle canzoni di Mike Oldfield
Dalla pubblicazione di Tubular Bells del 1973, Mike Oldfield è uno dei migliori e più influenti musicisti di ogni genere; la sua produzione è composta in gran parte da lunghe composizioni strumentali, ma deve la sua notorietà anche a un buon numero di canzoni (intese proprio come brani cantati della durata di pochi minuti) che per via del loro formato hanno potuto godere di un buon airplay televisivo e radiofonico.
Di seguito riportiamo un elenco delle canzoni di Mike Oldfield suddivise per album, indicando tra parentesi il vocalist principale. L'unico criterio che abbiamo usato per selezionarle, oltre come detto alla durata e al fatto di essere cantate, è quello di avere un testo identificabile e non dei vocalizzi; per questo motivo non compaiono nella lista i brani degli gli album QE2, Five Miles Out e The Millennium Bell.
- Non album single (1975)
- Don Alfonso (David Bedford - ne esiste anche una versione in tedesco in cui il cantante è indicato semplicemente come Paul)
- Platinum (1979)
- Into Wonderland (Wendy Roberts)
- I Got Rhythm (Wendy Roberts)
- Crises (1983 - Maggie Reilly è la vocalist principale in tre brani, ma non si tratta della prima collaborazione tra Maggie e Mike, in quanto la cantante aveva già prestato la propria voce agli album QE2 del 1980 e Five Miles Out del 1982)
- Mistake (Maggie Reilly - il brano è presente solo sul vinile stampato negli USA, è stato poi incluso nella raccolta The Platinum Collection del 2006)
- In High Places (Jon Anderson)
- Foreign Affair (Maggie Reilly)
- Shadow on the Wall (Roger Chapman)
- Moonlight Shadow (Maggie Reilly)
- Non album single (1984)
- Crime of Passion (Barry Palmer)
- Discovery (1984)
- To France (Maggie Reilly)
- Poison Arrows (Barry Palmer)
- Crystal Gazing (Maggie Reilly)
- Tricks of the Light (Barry Palmer)
- Discovery (Barry Palmer)
- Talk About Your Life (Maggie Reilly)
- Saved by a Bell (Barry Palmer)
- Non album single (1985)
- Pictures in the Dark (Anita Hegerland, Barry Palmer e Aled Jones)
- Non album single (1986)
- Shine (Jon Anderson)
- Islands (1987)
- Islands (Bonnie Tyler)
- Flying Start (Kevin Ayers)
- North Point (Anita Hegerland)
- Magic Touch (Jim Price nell'edizione UK, Max Bacon nell'edizione USA)
- The Time Has Come (Anita Hegerland)
- When the Night's on Fire (Anita Hegerland)
- Earth Moving (1989 - è il primo album di Mike Oldfield composto interamente di canzoni, senza tracce strumentali)
- Holy (Adrian Belew)
- Hostage (Max Bacon)
- Far Country (Mark Williamson)
- Innocent (Anita Hegerland)
- Runaway Son (Chris Thompson)
- See the Light (Chris Thompson)
- Earth Moving (Nikki "B" Bentley)
- Blue Night (Maggie Reilly)
- Nothing But / Bridge to Paradise (Carol Kenyon / Max Bacon - a dispetto del titolo riportato sulla copertina e della suddivisione delle tracce sul CD, si tratta di due canzoni diverse con una pausa in mezzo e cantante da due vocalist diversi)
- Heaven's Open (1991 - il nome dell'autore sul disco è ripotato come Michael Oldfield e si tratta dell'unico album in cui la voce principale è quello dello stesso Oldfield)
- Make Make (Mike Oldfield)
- No Dream (Mike Oldfield)
- Mr. Shame (Mike Oldfield)
- Gimme Back (Mike Oldfield)
- Heaven's Open (Mike Oldfield)
- Tubular Bells III (1989)
- Man in the Rain (Cara Dillon - su chi sia la vocalist di questa canzone esiste molta confusione, abbiamo già risolto il dubbio il passato con un articolo specifico sul tema)
- Man on the Rocks (2014 - secondo, e ad oggi ultimo, album di Mike Oldfield composto interamente di canzoni dopo Earth Moving, il vocalist è Luke Spiller degli Struts in tutti i brani)
- Sailing (Luke Spiller)
- Moonshine (Luke Spiller)
- Man on the Rocks (Luke Spiller)
- Castaway (Luke Spiller)
- Minutes (Luke Spiller)
- Dreaming in the Wind (Luke Spiller)
- Nuclear (Luke Spiller)
- Chariots (Luke Spiller)
- Following the Angels (Luke Spiller)
- Irene (Luke Spiller)
- I Give Myself Away (Luke Spiller)
martedì 13 giugno 2023
Qual è la canzone dello spot della Coppa del Nonno?
Dal 1995 lo spot del gelato della Coppa del Nonno è famoso per la canzone di sottofondo il cui testo canta I feel good, I feel fine 'cause I know my loving heart is all you need, it's such a joy to see. Purtroppo per anni la canzone fu oggetto di vari equivoci, molti dei quali permangono anche oggi a distanza di quasi tre decenni. Vediamo quindi qual è il vero titolo di questa canzone, chi la canta e chi ne sono gli autori.
Negli anni 90 molti credettero che il pezzo in questione fosse Circle di Edie Brickell & New Bohemians tratta dall'album Shooting Rubberbands at the Stars del 1988 perché l'attacco del ritornello è effettivamente molto simile laddove Circle inizia con I quit, I give up e la canzone della Coppa del Nonno dice I feel good, I feel fine. A metà anni 90 non c'era lo streaming e non c'era ancora neanche Napster, l'unica possibilità di ascoltare una canzone vecchia di sette anni era quindi quella di avere il CD o la cassetta, altrimenti la memoria se ne perdeva facilmente e chi non ricordava con precisione Circle poteva cadere nell'equivoco.
La canzone della pubblicità è invece Joy della cantante italoaustraliana Gisella Cozzo, scritta dalla stessa Cozzo con Luciano Ripamonti, fondatore della società di comunicazione pubblicitaria Peperoncino Studio, e da Antonello Aguzzi di Elio e le Storie Tese che al tempo lavorava anche con Ripamonti e per la sua agenzia. La versione cantata da Gisella Cozzo e registrata in studio fu pubblicata solo nel 1998, tre anni dopo la messa in onda del primo spot e sebbene la canzone sia oggi nota come I feel good, I feel fine, il titolo riportato sulla copertina del CD è Joy.
Gli equivoci su questa canzone non si fermano qui. Al tempo Gisella Cozzo cantava molte canzoni per spot televisivi, tra cui You Wanna Be Americano (cover di Tu Vuò Fà l'Americano risalente al film La Baia di Napoli del 1960) per lo spot dei pantaloni Dockers e Heaven is a Place on Earth per la pubblicità dei Kellog's Special K, e questo portò molti a credere che la versione della pubblicità della Coppa del Nonno fosse quella cantata dalla Cozzo. In realtà è abbastanza ovvio riscontrare che la voce è diversa e che la versione della pubblicità inizia dal ritornello e non dalla strofa; si tratta infatti di una registrazione apposita realizzata da Peperoncino Studio.
Nel 2018 Gisella Cozzo partecipò come concorrente alla quinta edizione di The Voice of Italy cantando la sua stessa canzone Joy. Nessuno dei coach si girò per sceglierla per la propria squadra alle Blind Auditions e al termine dell'esibizione Cristina Scabbia dei Lacuna Coil disse che la concorrente, che evidentemente non conosceva, aveva cantato Circle di Edie Brickell & New Bohemians, venendo corretta dai colleghi e confermando quanto le due canzoni possano essere scambiate.
In ogni caso Joy di Gisella Cozzo è un pezzo iconico e la pubblicità della Coppa del Nonno è più nota per la canzone di sottofondo che per il prodotto reclamizzato: una canzone che da quasi trent'anni evoca per gli spettatori italiani l'inizio dell'estate.
domenica 28 maggio 2023
Quando i Cypress Hill tentarono il nu metal
Nel 2000 il nu metal era all'apice della propria popolarità e mentre questo genere dominava le classifiche, molti gruppi hip hop provarono a scavalcare in confine concedendosi qualche contaminazione rock o metal.
Mentre il genere spopolava i californiani Cypress Hill provarono a fare un passo in più, realizzando un doppio album che conteneva sul primo disco dieci tracce di hip hop latino nel loro stile consueto e nel secondo sei tracce nu metal. L'album in questione si intitola Skull & Bones e già dal titolo vuole sottolineare come sia composto di due anime distinte. Dal disco furono estratti quattro singoli racchiusi in due 45 giri a doppio Lato-A. I primi due che uscirono furono (Rap) Superstar e (Rock) Superstar, come si può facilmente intuire si tratta in realtà della stessa canzone con due arrangiamenti diversi: il primo hip hop e il secondo rock. Per l'occasione i Cypress Hill invitarono anche ospiti illustri quali Eminem e Noreaga per (Rap) Superstar e Chino Moreno dei Deftones ed Everlast per (Rock) Superstar. Il secondo singolo a doppio Lato-A fu quello composto da Highlife, brano hip hop tratto dal disco Skull, e dalla ben più famosa Can't Get the Best of Me, tratta da Bones, che godette di un buon passaggio su MTV grazie a un video che mostrava una rissa scaturita tra due combattenti che si stanno per affrontare su un ring e che invece vengono alle mani ben prima.
Poco più di un mese dopo l'uscita di Skull & Bones, Sen Dog (uno dei due vocalist del gruppo insieme a B-Real) sfornò un altro album di nu metal con un gruppo nuovo chiamato SX-10 in cui ripropose una formula simile a quella di Bones. L'album si intitola Mad Dog American e ne venne estratto un solo singolo straordinariamente efficace intitolato Heart of a Rebel in cui compare come ospite il cantante Rey del gruppo nu metal losangelino dei Downset che esegue lo scream sul ritornello.
Grazie a Skull & Bones, i Cypress Hill iniziarono a guadagnare notorietà anche tra gli appassionati di musica rock; presero parte al tour Back 2 Basics con i Limp Bizkit e i Cold e verso la fine dell'anno arrivarono ad aprire una serie di concerti degli Offspring per il tour seguente all'album Conspiracy of One. Essendo le due anime strettamente legate, i Cypress Hill si avvalsero per le esibizioni dal vivo dei musicisti degli SX-10 e da questo connubio nacque anche il live Live at the Fillmore registrato a San Francisco nell'agosto del 2000 e pubblicato a dicembre dello stesso anno.
L'esperimento, per quanto di successo, durò poco, se non altro per il tramonto del nu metal poco dopo l'anno 2000. L'album successivo Stoned Raiders del 2001 conteneva ancora qualche traccia di rock, ma fu disastroso in termini di vendite perché i pezzi suonavano incredibilmente forzati. Per tornare al successo i Cypress Hill dovettero attendere Till Death Do Us Part del 2004 e il totale ritorno all'hip hop, il disco infatti ha un suono fresco e convincente grazie a pezzi quali Another Body Drops, What's Your Number? e Busted in the Hood che riportavano ai fasti degli anni 90.
Quello di Skull & Bones fu quindi un esperimento isolato, ma andato a buon fine. E quando si ricordano i migliori gruppi nu metal di quegli anni, forse sarebbe giusto guardare anche a over e ricordare quanto fatto nel 2000 da Sen Dog, B-Real, DJ Mugs e Bobo.
venerdì 5 maggio 2023
Stuck Mojo: nu metal da Atlanta
Tra i precursori del nu metal, prima che diventasse un fenomeno da classifica con gruppi come Korn e Limp Bizkit, si trova una band che per quanto non goda della notorietà degli altri ha prodotto musica di altissima qualità che li colloca tra i migliori esponenti del genere: si tratta degli Stuck Mojo, provenienti da Atlanta. La prima formazione degli Stuck Mojo vedeva Rich Ward (unico membro fisso della band dalle origini ad oggi) alla chitarra, Dwayne Fowler al basso, Brent Payne alla batteria e lo straordinario rapper Bonz alla voce che ne fu il vero punto di forza. Il fatto di avere un vero rapper afroamericano al microfono, infatti, fu stato uno degli elementi distintivi degli Stuck Mojo, perché ha reso il flow del cantante molto più aderente ai modelli hip hop di quanto non fossero Fred Durst o Mike Shinoda dei Linkin' Park. Da questo punto di vista, l'unica band che poteva reggere il paragone erano i Body Count di Ice-T, anch'essi mai infilatisi sulla scia del nu metal mainstream.
Il primo album della band capitanata da Ward e Bonz fu Snappin' Necks del 1995, composto da undici pezzi contraddistinti da un sound grezzo, diretto e ruspante a cui si somma l'aggressivo rap di Bonz. Nel disco si trovano solo sonorità dure vicine al metalcore, con nessuno spazio per le melodie. Dall'album è stato tratto un unico singolo dalla detonante traccia di apertura Not Promised Tomorrow, tra gli altri brani spicca anche la title track in cui Bonz dà una delle migliori prove di sé, per il resto il limite di questo disco coincide in gran parte con la propria scelta di voler combinare le estremità del rap e quelle del metal e alla fine le canzoni hanno tutte sonorità simili.
Già dopo la realizzazione del primo album, la band andò incontro ai primi cambi di formazione con l'ingresso del bassista Corey Lowery e del batterista Bud Fontsere. Il secondo album intitolato Pigwalk uscì nel 1996 guidato ancora dalla coppia Ward e Bonz. Il disco si sposta più verso sonorità da industrial metal e in generale il suono è più ricco rispetto al disco precedente grazie alla presenza di Lowery che esegue le seconde voci affiancando la propria voce a quella di Bonz in pezzi come [Here Comes] the Monster o Twisted. La ristampa di Pigwalk è impreziosita dall'aggiunta dell'EP Violated, stampato lo stesso anno solo per il mercato europeo, che contiene le cover di Wrathchild degli Iron Maiden e Shout at the Devil dei Motley Crue.
Il disco successivo venne realizzato con la stessa formazione di Pigwalk e vide la luce nel 1998, il nuovo album intitolato Rising torna parzialmente alle sonorità del primo album, ma l'arricchimento e la pulizia del suono fanno un ulteriore passo in avanti con parti suonate più lunghe e qualche sconfinamento nel grunge in pezzi come Trick che vede di nuovo Bonz e Lowery alternarsi alla voce. Il pezzo migliore del disco in questo caso è senza dubbio la dirompente title track che al tempo godette anche di buona notorietà per il fatto di essere stata utilizzata anche dalla WCW (federazione di wrestling al tempo rivale della WWE e infine acquistata da quest'ultima).
Purtroppo Rising fu anche l'ultimo grande album degli Stuck Mojo, che nel 1999 pubblicarono il live HVY1 (uno dei pochissimi album live del genere nu metal) e l'anno seguente si sciolsero dopo la pubblicazione del quarto album Declaration of a Headhunter che risente non poco delle tensioni nate tra Ward e Bonz. L'album è infatti poco a fuoco, con una mistura di generi diversi che sembrano volersi accodare alle band più blasonate del genere perdendo del tutto la propria originalità. La band si riunì nel 2007 con il solo Rich Ward tra i componenti originali; Bonz venne sostituito dal rapper Lord Nelson che impallidisce al confronto e il risultato dei due album realizzati fu molto scadente. Da allora la storia di questa band si perde tra vari cambi di formazione e la temporanea reunion della formazione di Pigwalk che durò poco senza realizzare nessun disco nuovo. Ad oggi l'ultimo album degli Stuck Mojo è Here Come The Infidels del 2016, realizzato con una lineup ancora rinnovata che vede Robby J. Fonts alla voce.
Purtroppo la notorietà degli Stuck Mojo è offuscata dal fatto di avere prodotto rap metal prima che il genere diventasse famoso, perché le loro prime incisioni sono sicuramente più d'impatto di quelle di altre gruppi nu metal venuti dopo di loro. In ogni caso nel ricordare i pionieri di questo genere, prima che i gruppi di Los Angeles arrivassero in vetta, è opportuno non trascurare la basi che sono state gettate da questo misconosciuto quartetto di Atlanta.
lunedì 24 aprile 2023
Rhapsody of Fire - Glory For Salvation Tour, Milano 23/4/2023
La data era segnata in calendario da tempo, perché se il Glory For Salvation Tour dei Rhapsody of Fire passa da vicino a casa è ovvio che si tratta di un'occasione imperdibile. Arrivo al Legend in tempo per sentire l'ultimo pezzo dell'esibizione dei Symphonity, ultimo di tre gruppi di apertura, e appena la band ceca lascia il palco mi rendo conto di quanto sia alta l'attesa e la voglia tra la gente venuta a sentire questo concerto di vedere la band fondata da Alex Staropoli e Roberto De Micheli in azione. Molti si raccontano tra di loro delle volte precedenti che hanno visto i Rhapsody live, mentre per me l'attesa ha anche un altro sapore: Giacomo Voli è il musicista che ho visto dal vivo più volte, ma l'ho sempre visto da solo o con la sua band personale e mai a guidare quello che da oltre venticinque anni è il gruppo metal più famoso d'Italia. "Vediamo come se la cava in questa veste", pensavo tra me e me.
I Rhapsody salgono sul palco intorno alle 22:30 e il Legend è strapieno: ma non per modo di dire, è talmente pieno che non si riesce ad avanzare di un passo nella folla che inneggia alla band, fortunatamente durante il concerto qualcuno va a prendere da bere e riusciamo ad avvicinarci di qualche metro. Il concerto parte fortissimo con I'll Be Your Hero e Chains of Destiny dall'ultimo album Glory for Salvation e subito ci troviamo immersi in sonorità medievali che fanno venire voglia di aprire le porte per vedere se fuori c'è ancora la metropoli di Milano o se ci troviamo tra castelli, maghi e cavalieri. Per essere fine aprile la serata fuori è fresca, ma dentro fa un caldo infernale, almeno fino a quando i gestori del locale non accendono i ventilatori a soffitto che danno un po' di refrigerio. La setlist del concerto spazia per tutta la discografia della band, attingendo dagli album da Symphony of Enchanted Lands del 1998 in avanti, ma ovviamente metà della scaletta è dedicata agli ultimi due album, The Eighth Mountain e Glory for Salvation, quelli che vedono Giacomo alla voce.
La risposta alla mia domanda iniziale arriva presto: Giacomo come frontman di una band blasonata si muove alla grande, non solo come cantante e interprete di un mondo narrativo nato tre decenni fa, ma anche nel ruolo di trascinatore che il pubblico segue sempre con entusiasmo nel fare i cori o nell'inscenare scherzose battaglie con spade di plastica portate da un appassionato follower tedesco.
Poco dopo la metà del concerto sale sul palco anche il cantante spagnolo Huecco che interpreta con la band Fuego Valyrio, nata dalla collaborazione tra queste due anime musicali all'apparenza così lontane e che coniuga sonorità latine e power metal. Lo stacco è notevole, dona una ventata di divertimento in uno stile un po' diverso e mostra come il mondo della musica sia molto più interconnesso di quanto pensiamo. Dopo questa digressione i Rhapsody ci regalano qualche pezzo più di atmosfera che culmina in Un'Ode Per l'Eroe, resa ancora più maestosa dal canto in italiano che Giacomo ci racconta fare molta presa anche sul pubblico estero. Segue la magniloquente Dawn of Victory che vede in chiusura anche i membri delle band che hanno preceduto i Rhapsody salire sul palco per il coro finale Gloria, gloria pertetua, in this dawn of victory.
L'encore inizia con Reign of Terror in cui Giacomo si cimenta anche in un growl che fa venire il dubbio se ci sia qualcosa che questo straordinario vocalist non sappia fare con la propria voce, a cui seguono Wisdom of the Kings ed Emerald Sword al termine della quale Giacomo promette che ci si vede "tra cinque minuti al merchandise". In realtà di minuti ne passano forse due e la band si mischia con il suo pubblico per foto e autografi, a dimostrazione del fatto che nonostante tutti questi anni di successi il gruppo è sempre vicino al proprio pubblico e si rende disponibile per due chiacchiere in amicizia.
Una leggera pioggia ci accompagna mentre ci allontaniamo dal Legend e alla fine fa piacere, visto il caldo patito all'interno. Il blocco dei concerti dovuto alla pandemia è oggi un ricordo brutto e lontano, la musica è ripartita e per ripartire servono serate come questa che vedono un ottimo connubio tra una band tra le migliori al mondo e un locale di meritata fama, in cui tutto è sempre semplice e ordinato, che li ospita.
Grazie Rhapsody of Fire e grazie Legend, alla prossima! Per entrambi!
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