lunedì 22 maggio 2017

Taj Mahal e Keb' Mo' - TajMo

Dopo anni di collaborazioni i due leggendari chitarristi blues Taj Mahal e Keb' Mo' hanno finalmente deciso di incidere un album insieme e il lavoro nato dalla loro creatività, intitolato TajMo, è stato pubblicato il 5 maggio del 2017. Come nella migliore tradizione di entrambi le undici tracce del disco, tra inediti e cover, offrono un'ora di blues divertente e ricco di contaminazioni musicali di vari generi in cui i due vocalist si affiancano, ognuno con il proprio stile canoro, creando contrasti vocali di grande effetto tra la voce aspra di Keb' Mo' e quella più melodica di Taj Mahal.

Il disco parte con Don't Leave Me Here, pezzo blues piuttosto tradizionale e ricco di strumenti a fiato come l'armonica, tromba e sax; i due si alternano alla voce per descrivere le differenze tra due dei luoghi più iconici della musica nera americana: Chicago e lo stato del Mississippi. La seconda traccia mostra già un primo cambio di rotta con una cover dello standard rock and roll She Knows How to Rock Me, portata al successo da numerosi cantanti tra cui Little Richard e Charlie Feathers.

Tra i brani più tradizionali troviamo, oltre alla già citata Don't Leave Me Here, gli inediti Shake Me in Your Arms e Ain't Nobody Talkin' oltre alla cover di Diving Duck Blues di Sleepy John Estes del 1929 (già incisa da Taj Mahal nel suo album di esordio del 1967) qui proposta in versione lenta e melodica, più simile all'incisione di Estes piuttosto che a quella precedente di Taj Mahal che era invece molto grintosa. Come nella tradizione dei dischi di Taj Mahal troviamo una buona dose di suoni etnici con l'africaneggiante Soul impreziosita dalle conga suonate da Sheila E; ad essa si aggiungono la cover di Squeeze Box degli Who, che trasforma l'allegro rock and roll originale in un pezzo dal sapore caraibico, e All Around The World che vira verso il reggae e lo ska grazie ai fiati e ai suoni sincopati. Nel disco troviamo anche un'unica ballad intitolata Om Sweet Om che vede la presenza come ospite della cantante Lizz Wright.

Il duo si concede anche un momento di blues rock con il brano That's Who I Am che ricorda per via del suo ritmo The Joker della Steve Miller Band. Il disco si chiude con la cover di Waiting On The World To Change di John Meyer la cui melodia resta inalterata ma che aggiunge un tocco di soul al pezzo originale.

In conclusione, TajMo è una delle migliori produzioni blues degli ultimi anni; nonostante l'età avanzata (Taj Mahal viaggia verso gli 80 e Keb' Mo' verso i 70) la creatività dei due non accenna a diminuire e la loro voglia di sperimentare consente al duo di creare disco ricco, di qualità e che non annoia nemmeno al centesimo ascolto grazie alla varietà dei suoni messi in campo dai due, che a vari decenni dagli esordi hanno ancora la creatività degli anni migliori.

lunedì 15 maggio 2017

Francess - A Bit of Italiano

Due anni dopo l'album di esordio torna la cantante R&B italo-giamaicana Francess con un nuovo disco registrato in studio intitolato A Bit of Italiano. Come suggerisce il titolo stesso il disco è una raccolta di cover, più un inedito, di pezzi italiani tradotti in inglese e trasformati in brani R&B unendo così le due anime musicali a cui la cantante si ispira, la musica nera e la canzone italiana, e riprendendo anche la tradizione dei crooner degli anni 50, come Dean Martin o Al Martino, che portavano oltreoceano i brani melodici del nostro paese traducendoli nella loro lingua. L'album di Francess attinge dalla tradizione popolare, con la cover di Ma Se Ghe Penso, e da quella cantautorale spaziando in vari decenni da Fred Buscaglione fino a Neffa.

Il disco si apre con Don't Want the Moonlight, cover di Guarda Che Luna proposta anche in versione acustica in chiusura del disco, che trasforma il pezzo di Buscaglione in una ballad onirica e crepuscolare; Francess canta gli ultimi versi del pezzo in italiano passando quindi dal canto sommesso dell'R&B alla voce piena della canzone italiana dimostrando grande maestria in diversi stili e creando un contrasto di grande effetto. L'ecletticità della cantante emerge anche in tutto il resto del disco che essendo fatto di brani così diversi le dà modo di esprimersi in terreni altrettanto variegati. Si passa ad esempio dal canto lento e dalla melodia de Il Cielo in Una Stanza, notevolmente rallentata rispetto all'originale e con una base minimale che mette in risalto le doti vocali della cantante, al ritmo incalzante di Vengo Anch'io, No Tu No.

Nel disco troviamo anche una versione saltellante ed allegra di Attenti al Lupo impreziosita dai cori e dall'ottimo suono onnipresente della chitarra. Tra i brani melodici spicca anche una straordinaria versione di Vacanze Romane a cui Francess dona un groove molto nero grazie anche alla base musicale che crea la giusta atmosfera a riprova del fatto che i musicisti e i produttori di questo album sono professionisti di altissimo livello. Nel disco è presente anche una cover di Quello Che Le Donne Non Dicono intitolata What Women Never Say che trasforma il midtempo di Fiorella Mannoia in una ballad R&B. In questi ultimi due brani più melodici Francess si esprime di nuovo in un canto più potente dimostrando ancora una volta la sua notevole capacità di passare da uno stile ad un altro.

L'unico pezzo degli anni 2000 è Passione di Neffa che l'ex rapper campano aveva scritto nel 2007 con sonorità simili ai canti siciliani del dopoguerra e che Francess trasforma in uno struggente lento che vira verso il soul.

In mezzo ai classici troviamo l'inedito che si intitola Good Fella e descrive in modo scherzoso gli stereotipi sugli italiani ben noti all'estero su una base R&B più vicina a quelle del primo album della cantante.

Oltre alla musica, in questo disco deve essere lodata anche l'opera di traduzione che riesce ad adattare i testi in inglese mantenendone il significato pressoché ovunque, compito in cui hanno fallito quasi tutti i traduttori di ogni epoca.

In conclusione, con questo secondo album Francess si conferma la miglior voce dell'R&B italiano, anche perché adeguatamente supportata da un'ottima produzione. Ma soprattutto A Bit of Italiano dimostra che i grandi musicisti sanno cogliere nei classici riflessi inaspettati a cui neanche gli autori originali avevano pensato, mischiando stili diversi e trasformando opere belle in altre ancora migliori.

lunedì 8 maggio 2017

The Temptations - Meet The Temptations

Meet The Temptations è il titolo del primo 33 giri pubblicato dai Temptations nel 1964, quando la loro carriera discografica era già iniziata da tre anni. Infatti, come era abbastanza consueto al tempo, più che un LP registrato in apposite sessioni è un raccolta dei singoli e dei B-side pubblicati fino ad allora.

Il disco propone il classico suono soul e doo-wop della Motown, con le voci dei cinque interpreti e dei coristi di supporto che si alternano sia nel canto della melodia principale sia nei ricchi cori e nelle seconde voci che contraddistinguono questo genere di produzione; il gruppo dà prova delle proprie incredibili capacità canore in tutti i dodici pezzi del disco. Le voci principali del gruppo restano comunque quelle di Paul Williams, che si distingue per la pulizia dell'esecuzione, e di Eddie Kendricks, che mostra una notevole potenza anche in falsetto come nella bellissima Paradise. La voce storica dei Temptations, David Ruffin, in questo disco è presente solo come corista nella traccia di apertura The Way You Do the Things You Do che fu registrata proprio nel 1964. Tra i pezzi migliori troviamo anche Check Yourself, una delle prime incisioni del gruppo dai notevoli cambi di tempo.

Come in tutti i più importanti dischi della Motown, anche in questo caso le basi musicali sono realizzate dallo straordinario combo dei Funk Brothers che ricorre a una quantità incredibile di strumenti diversi data la ricchezza della propria formazione. Come dice il documentario Standing in the Shadows of Motown a loro dedicato, nonostante non abbiamo mai inciso un disco a loro nome hanno più primi posti in classifica dei Beatles, dei Rolling Stones, dei Beach Boys e di Elvis Presley sommati.

Il disco è stato stampato in CD solo nel 1999 con l'aggiunta di due bonus track. la prima di esse è Oh Mother of Mine, il primo singolo della carriera dei Temptations, e l'allegra e scherzosa Romance Without Finance.

Essendo una raccolta di singoli è ovvio che questo album è composto solo da brani di altissimo livello e infatti non vede un solo calo di qualità. Non sarà il miglior album dei Temptations, che solo pochi anni dopo hanno inciso il capolavoro The Temptations Sing Smokey, ma resta un capolavoro assoluto del doo-wop e del soul e una pietra miliare dell'immensa produzione della Motown che non può mancare nella discografia degli amanti della musica nera.

martedì 2 maggio 2017

Twin Turbos: il doppio album mai realizzato dei Judas Priest

A metà degli anni 80 la carriera dei Judas Priest viaggiava a gonfie vele, con i successi di British Steel, Screaming for Vengeance e Defenders of The Faith il gruppo aveva ottenuto una buona presenza nelle rotazioni delle radio, risultato non scontato per una band metal, raggiungendo anche il grande pubblico generalista. Per continuare ad ampliare il proprio seguito i Judas Priest decisero di realizzare un disco doppio che avrebbe dovuto intitolarsi Twin Turbos e che sarebbe stato composto di 18 tracce, alcune delle quali si sarebbero spostate verso il pop metal con suoni più semplici e ricchi di sintetizzatori. Al momento di realizzare il disco la Columbia Records valutò che un album doppio avrebbe avuto costi di realizzazione e trasporto troppo alti e dimezzò quindi il numero dei brani. L'album cambiò nome in Turbo e fu pubblicato nel 1986 con la track list che oggi tutti conosciamo, composta dalle tracce più accattivanti delle 18 registrate. Nonostante sia un disco contestato dai sostenitori delle frange più estreme dei fan che non hanno gradito l'allontanamento dal metal tradizionale, Turbo resta l'album più divertente, frizzante e allegro della lunga carriera dei Judas Priest.



Ma a parte le considerazioni sulla qualità, resta un importante quesito: se furono pubblicate solo nove tracce, dove sono finite le altre?

Incrociando quanto riportato nel libro The story of Judas Priest: Defenders of the Faith di Neil Daniels e quanto scritto dal sito The X Quorum, risulta che i brani scartati sono questi:

  • Heart of a Lion (pubblicata dapprima dal gruppo metal Racer X nel loro secondo album Second Heat del 1987 e poi dai Judas Priest nella compilation Metalogy del 2004)
  • Red, White & Blue (pubblicata nella versione rimasterizzata di British Steel del 2001)
  • All Fired Up (pubblicata nella versione rimasterizzata di Turbo del 2001)
  • Fight for Your Love (mai pubblicata)
  • Under the Gun (mai pubblicata)
  • Prisoner of Your Eyes (pubblicata nella versione rimasterizzata di Screaming for Vengeance del 2001)
  • Ram It Down (pubblicata su Ram It Down del 1988)
  • Hard as Iron (pubblicata su Ram It Down del 1988)
  • Love You to Death (pubblicata su Ram It Down del 1988)
  • Monsters of Rock (pubblicata su Ram It Down del 1988)

Oltre a queste, durante le sessioni di Twin Turbos fu registrato il pezzo Turn on Your Light (pubblicato nella versione rimasterizzata di Defenders of The Faith del 2001) che però non era destinato ad essere incluso nell'album. I brani scartati sono quindi dieci, e non nove come ci si aspetterebbe dovendo arrivare a diciotto pezzi partendo dai nove di Turbo. La spiegazione risiede forse nel fatto che Reckless, nona traccia di Turbo, avrebbe dovuto essere tolta dall'album e destinata alla colonna sonora del film Top Gun, ma la band rifiutò pensando che il film non avrebbe avuto successo, il brano nel film fu poi sostituito da Danger Zone di Kenny Loggins. Curiosamente, in Ram It Down (proprio l'album che raccolse la maggior parte dei brani scartati da Twin Turbos) il gruppo inserì una cover di Johnny B. Goode di Chuck Berry registrata per la colonna sonora del film Johnny Be Good che si rivelò un vero flop a differenza del leggendario Top Gun.

Non sapremo mai come sarebbe andata se Twin Turbos fosse stato stampato come album doppio e se il suo successo di vendita ne avrebbe ripagato la spese di produzione; ma sappiamo per certo che Turbo, pur menomato di metà della tracce originali, resta un grande album e anche solo con i pezzi scartati la band di Rob Halford avrebbe potuto realizzare il suo ennesimo capolavoro. A riprova dell'ecletticità di questo straordinario quintetto e del fatto che anche gli scarti dei geni della musica sono perle di grande valore.

mercoledì 26 aprile 2017

Guardians Of The Galaxy: Awesome Mix Vol. 1 e Vol. 2

Nota: questo articolo è stato scritto dal nostro guest blogger Tino che ringraziamo per il prezioso contributo.

Sono sempre stato convinto che, al completamento di un film, un regista sappia in anticipo se il film si rivelerà un flop o meno. In questo momento storico, i film sui supereroi fanno da padroni della scena; ma, forse per rivitalizzare dei personaggi meno conosciuti, può capitare di inciampare: Daredevil, Elektra e Ghost Rider ad esempio sono stati tentativi che su IMDb non arrivarono nemmeno alla sufficienza. Nel 2014 pensavo che il film sui Guardiani della Galassia fosse un altro tentativo disperato di rilanciare un franchise di supereroi oscurato dalla fama di Avengers e X-Men. Mai idea fu più sbagliata, il film infatti fu un successo grazie al sapiente mix di fantascienza, azione e sopratutto divertimento.

Senza addentrarci troppo, la trama racconta del giovane Peter Quinn, in seguito Star-Lord, che nel 1988 venne rapito da una banda di pirati alieni. Il giovane aveva con sé il suo walkman con una cassetta: The Awesome Mix Vol.1 che rappresenterà poi il suo unico legame con il pianeta d'origine. La colonna sonora parte proprio da questa cassetta, e il sottofondo, già nel primo trailer, di Hooked on a Feeling lascia intendere una selezione musicale di livello.

Una colonna sonora di grandi classici degli anni 60 e 70 dei quali magari non tutti sanno il titolo e l'artista esatto, ma sono tutti pezzi che sicuramente una volta nella vita abbiamo sentito. Partendo dalle movimentate Hooked on a Feeling, Go All The Way e Spirit in the Sky si passa al grande David Bowie con Moonage Daydream e all'allegria dei Jackson 5 con I Want you Back. Chiude il primo volume Ain't No Mountain High Enough di Marvin Gaye.

Il secondo capitolo della saga, in uscita in questi giorni, è stato preceduto dal corrispondente volume dell'Awesome Mix (la cui tracklist era trapelata un paio di giorni prima dell'uscita ufficiale). Ottima la scelta di mettere i due pezzi più forti: Fox on The Run degli Sweet e The Chain dei Fleetwood Mac nei trailer di lancio dei mesi antecedenti l'uscita.

Il resto della compilation è una bella rassegna di rock tranquillo ma mai noioso, fatta eccezione per la movimentata Surrender dei Cheap Trick, mentre il funk di Flash Light dei Parliament ci avvia verso la chiusura.

Il pezzo finale Guardians Inferno, è un inedito, scritto a quattro mani dal regista dei due film James Gunn e dal compositore Tyler Bates e tra gli interpreti figura David Hasselhoff, il quale non è nuovo nel campo della musica. Il brano è un pezzo pop dalle sonorità anni 80, perfettamente in linea con lo stile della raccolta.

Da far notare anche che oltre a una scelta musicale di livello anche gli abbinamenti del brano con la scena del film sono stati estremamente azzeccati, a differenza di altri film dove si è peccato di superficialità inserendo un brano famoso senza badare al contesto ma solo per enfatizzare alcune scene.

Un paio di curiosità: il primo volume non solo è stato edito anche in vinile, ma anche in formato cassetta, forse per usare un classico effetto nostalgia. Inoltre è stato il primo album della storia contenente canzoni non nuove a guadagnare il primo posto nella US Billboard 200 dello stesso anno.

Concludo dicendo che in entrambi i volumi la scelta dei brani è davvero ben fatta e riesce a coinvolgere in maniera molto positiva tutte le generazioni di spettatori. E ai più giovani fornisce una bella infarinata sulla musica di quattro decenni fa.

venerdì 21 aprile 2017

Deep Purple - Infinite

La band di Ian Gillan ha scelto il titolo giusto per il loro ventesimo album in studio: Infinite. Infatti la carriera dei Deep Purple sembra proprio infinita e, come dimostra questo nuovo disco, alla soglia dei 70 anni il quintetto di Hertford ha ancora voglia di incidere e sperimentare e sforna un disco di dieci tracce tutte notevolmente diverse tra loro e alcune di esse anche molto diverse da ciò che la band ha fatto in passato.

La formazione del gruppo resta la stessa degli ultimi album, da Bananas del 2003, e vede Ian Gillian alla voce e all'armonica, Tommy Bolin alla chitarra, Roger Glover al basso, Ian Paice alla batteria e Don Airey alla tastiera.

La prima cosa che si nota già da un primo ascolto è che in questo disco il suono dei Deep Purple tende fortemente verso il prog, con ricche melodie e lunghe parti strumentali in cui regnano il suono delle chitarre e quello dell'organo Hammond. Il disco parte con la sostenuta Time for Bedlam che prima di assestarsi su un prog rock piuttosto classico si apre con una voce robotica che troveremmo più consueta in un album dei Kraftwerk o dei Rockets e che per i Deep Purple rappresenta una bella innovazione. Con la seconda traccia intitolata Hip Boots troviamo già il primo energico cambio di rotta, con una pezzo vibrante dalle forti venature nere che tendono verso il funk. Nel disco troviamo anche due pezzi di chiara ispirazione rock and roll, quali One Night in Vegas, sostenuta principalmente dal suono dell'Hammond, e le più tradizionale Johnny's Band in cui sono le chitarre a reggere la base del pezzo.

Nel disco troviamo due pezzi più hard & heavy che sembrano catapultati ai giorni nostri direttamente dagli anni 70: On Top of the World contraddistinta dal suono più duro delle chitarre e Birds of Pray arricchita da una lunga parte strumentale al centro, tra la seconda strofa e il ponte che introduce alla terza. Spicca anche The Surprising che parte come una ballad per poi lasciare spazio a una lunga e complessa parte strumentale che fa da preludio a un nuovo cambio di tempo per tornare sui ritmi iniziali.

Chiude il disco una cover di Roadhouse Blues dei Doors con un riff iniziale che ricorda quello di La Grange degli ZZ Top e riproposta in chiave ancora più blues dell'originale, regalando così un nuovo omaggio alla musica nera che ha dato origine all'hard rock nei primi anni 70.

Nonostante non raggiungano più i successi di Child in Time o Smoke on The Water, i Deep Purple nel 2017 restano una delle band più interessanti del panorama rock mondiale, nella speranza che quello anticipato come ultimo tour non implichi che il gruppo intenda anche smettere di registrare album in studio e di regalare ai fan perle di assoluto valore come questa.

mercoledì 19 aprile 2017

Chris Weaver Band - Live in Brazil

L'esperienza sudamericana di cui Chris Weaver ci ha raccontato in una recente intervista ha portato il cantante e la sua band a registrare un album dal vivo proprio in Brasile, nella città di San Paolo. Durante il concerto, tenutosi il 15 maggio 2016, la band ha eseguito quindici pezzi di cui cinque nuovi, due tratti dal primo album Standing in Line, quattro tratti dal secondo American Dreamer, un medley di due pezzi dei Maroon 5, due eseguiti con il cantante brasiliano Sorocaba e una cover di Marcos & Belutti interpretata insieme al medesimo duo di San Paolo.

I suoni del disco sono molto interessanti e sperimentali. Chris Weaver gioca la carta della mescolanza tra la propria musica southern con i ritmi latinoamericani brasiliani, e l'esperimento non è solo dal punto di vista musicale ma anche canoro; infatti Chris Weaver esegue una cover in inglese di Madrid di Sorocaba e lo stesso pezzo è cantato in due lingue, inglese e portoghese, insieme allo stesso Sorocaba. I due interpretano anche California High di Chris Weaver in un'inedita versione in doppia lingua. Anche Marcos & Belutti sono presenti come ospiti nel live e con Chris Weaver interpretano il loro brano Domingo de Manhã, qui cantato in doppia lingua e intitolato Sunday Morning. Il risultato di questa mescolanza è di grande effetto e molto suggestivo, sia per l'accostamento di musicalità diverse, sia per l'accostamento del canto nelle due lingue.

Chris Weaver non perde comunque la sua impronta fortemente southern e legata alla musica degli Stati Uniti, nei vari pezzi sono infatti molto presenti anche la tromba e il sassofono a rimarcare l'origine sudista delle musica della band. Grazie a quest'ampia strumentazione, il gruppo dà un tocco di novità anche ai brani già incisi nei propri album in studio e l'effetto è particolarmente efficace nelle ballad Tear Me Up and So Damn Beautiful.

Nel complesso in disco offre un buon equilibrio tra pezzi lenti e veloci, in particolare tra questi ultimi spiccano due delle bellissime tracce nuove: la vibrante Mexico contraddistinta da un buon mix di organo, sax e chitarra che richiama ritmi caraibici, e la più tradizionale traccia iniziale Circus che si apre con un singolare assolo di organo.

Tra i brani più allegri e spensierati troviamo anche le cover dei Maroon 5 This Love e Sunday Morning (che ovviamente non ha alcun legame con l'omonimo pezzo di Marcos & Belutti pure presente nel disco), qui proposte in un medley.

Con questo album live, Chris Weaver si libera dell'etichetta di musicista southern rock e dimostra di sapersi muovere benissimo anche in altri terreni e soprattutto di saper mischiare generi diversi con grande maestria. Non resta che godersi l'ascolto di questo live, in attesa del prossimo album in studio.