giovedì 16 luglio 2015

Myrath - Tales of the Sands

I tunisini Myrath sono uno dei gruppi più noti del movimento oriental metal che nei primi anni del nuovo millennio è stato particolarmente florido in Israele, nella penisola arabica e nel Maghreb. Ma a differenza di tutte le altre formazioni di questo movimento musicale i Myrath affondano le proprie radici nel prog e nel power metal, anziché nel black e in altre forme più estreme; la musica che ne risulta è un meraviglioso connubio di sonorità arabe e orientali con un metal riconducibile a modelli quali i Symphony X, Kamelot e in parte anche ai Dream Theater.

Il loro terzo album intitolato Tales of the Sands pubblicato nel 2011 è il miglior esempio di quanto valida e fresca sia la musica prodotta dalla band. Ogni brano è composto da una efficace mistura di mondi musicali diversi con la componente metal della musica dei Myrath, ricca di melodia, che si mischia alla perfezione ai suoni tradizionali dei luoghi di origine della band.

Tra i brani degni di una menzione particolare troviamo Under Siege che si apre con un vocalizzo di grande effetto della soprano francese Clémentine Delauney (ex cantante dei Serenity e attuale voce dei Visions of Atlantis) che si unisce al suono della tastiera e poco dopo al resto della strumentazione. Anche la title track è tra i brani migliori e anche questa si apre con un vocalizzo particolarmente efficace ed è caratterizzata da una melodia orientale ancora più marcata che crea il pezzo di migliore impatto di tutto il disco anche grazie al ritornello cantato in lingua tunisina. Il cantante Zaher Zorgati alterna lo stile di canto tradizionale a quello arabo e dimostra di sapersi muovere bene in entrambe le tradizioni, impreziosendo così i brani con un altro tocco di unicità.

Tutti i movimenti musicali caratterizzati dalla mistura di sonorità diverse sono di norma portati avanti da pochi gruppi davvero innovativi e da un lungo stuolo di emuli; ad esempio questo è accaduto nel crossover di fine anni 90 e nel celtic rock francese dei primi anni duemila, e lo stesso è avvenuto nell'oriental metal con gruppi con gli Orphaned Land e i Narjahanam a guidare un nutrito gruppo di imitatori. Ma i Myrath si distinguono sia dai primi che dai secondi creando una musica decisamente godibile e unica e fortunatamente del tutto priva di growl, molto usato invece dagli altri gruppi e che altro non fa che rendere brutto qualcosa che sarebbe altrimenti molto bello.

giovedì 9 luglio 2015

Tang Dynasty - A Dream Return to Tang Dynasty

I pechinesi Tang Dynasty sono spesso definiti il primo gruppo metal cinese. Francamente non ci sembra che la musica dei Tang Dynasty sia annoverabile nel metal, siamo più propensi a definirlo hard rock, ma a parte le etichette quello che importa è che la musica della band è decisamente di alto livello ha portato una bella ondata di novità fin dal loro album di esordio intitolato A Dream Return to Tang Dynasty pubblicato nel 1992.

La peculiarità dei Tang Dynasty è che la loro musica fonde elementi dell'hard rock, con forti chitarre di chiara ispirazione NWOBHM, con sonorità tradizionali cinesi suonate con gli strumenti della loro terra. Ne sono ottimi esempi i brani A Dream Return to Tang Dynasty e la ballad The Sun (sulla copertina del CD i titoli dei brani sono riportati in inglese e non in ideogrammi cinesi, almeno nella copia in nostro possesso). In alcuni casi le due componenti musicali sono semplicemente accostate, mentre in altri sono proprio mischiate. Il canto di Ding Wu spazia dalla tradizione del canto cinese all'hard rock di stampo più occidentale fino a lanciarsi in acuti, come nei brani Nine Four e Dream of Doomsday, che effettivamente sono l'unica componente di questo disco che si avvicina all'heavy metal, non raggiunge di certo i livelli di Bruce Dickinson o Rob Halford (a cui comunque si ispira), ma dal punto di vista estetico l'esito è comunque molto bello da ascoltare.

Il disco offre un'ottima varietà di pezzi veloci, in cui il suono delle chitarre si fa più forte, e di ballad, come la già citata The Sun e la suggestiva The Moon Hangs High. Ma la vera perla di questo album è il brano di apertura: il famoso inno socialista Internationale qui riproposto in chiave hard rock che pur mantiene l'impatto sonoro di un inno grazie al canto corale di grande effetto. Tra i brani spicca anche Paradise dalle forti atmosfere AOR per via della melodia più marcata e del trascinante coro che chiude il brano.

Nonostante non siano molto prolifici e a volte fanno passare anni e anni tra una pubblicazione e l'altra i Tang Dynasty sono ancora in piena attività e continuano a sfornare album di buon livello sulla scia dei loro inizi e dimostrando che in ogni zona del mondo esiste buona musica, spesso impreziosita dalla tradizione locale.

giovedì 2 luglio 2015

Muddy Waters - After the Rain

Muddy Waters è un musicista coraggioso. Perché solo un musicista coraggioso avrebbe potuto incidere album come Brass and the Blues, in cui rinuncia al proprio stile per avventurarsi in una via di mezzo tra B.B. King e Otis Redding, ed Electric Mud, in cui prova a miscelare il blues e il rock psichedelico tipico degli anni in cui il disco è stato pubblicato. Ma non sempre una scelta coraggiosa corrisponde a musica di buona qualità, infatti i due album sopra citati sono ampiamente discutibili: il primo è decisamente noioso e poco efficace, il secondo confuso e poco amalgamato con gli strumenti che sembrano suonare senza coordinazione.

Ma oltre che essere coraggioso, Muddy Waters è anche un genio della musica a tuttotondo e dopo due album così sperimentali ha dimostrato di aver imparato la lezione, prendendo quanto di buono questa esperienza gli aveva lasciato e usandolo per condire quello che è il suo stile distintivo: e il risultato è stato l'ottimo album After the Rain del 1969. In questo disco Muddy Waters torna a suonare la chitarra elettrica, cosa che non faceva da Folk Singer del 1964, e mantiene quel poco di suono distorto che aveva sperimentato in Electric Mud e senza arrivare agli accessi di allora.

Tutti i brani sono caratterizzati dalla chitarra e dalla voce di Muddy Waters che danno un'impronta potente, il disco è composto da cinque pezzi nuovi e da tre standard dello stesso Muddy e tutti gli otto brani sono di ottimo livello. Spiccano sicuramente I am the Blues che apre il disco, l'onirica Bottom of the Sea e la più allegra Honey Bee.

After the Rain è caratterizzato da suoni appartenenti al delta blues, di cui Muddy Waters è un maestro indiscusso, leggermente impreziositi dal rock psichedelico senza che questa componente ne prenda il sopravvento.

Si tratta in sintesi un album di grande blues che aprì le porte al ritrovato successo commerciale per Muddy Waters nel giro di pochi anni. Del resto una delle caratteristiche dei geni della musica è anche quella di sapere imparare dai propri errori.


giovedì 25 giugno 2015

La morte di Jim Morrison

James Douglas Morrison, universalmente noto come Jim, morì a 27 anni a Parigi la mattina del 3 luglio del 1971. L'unico testimone delle ultime ore di vita del cantante è la compagna dell'ultimo periodo della sua vita, Pamela Courson che al tempo aveva 24 anni, cui con abitava nell'appartamento affittato dalla ragazza al quarto piano del numero 17 di rue Beautreillis. La sera del 2 luglio i due erano usciti per andare al cinema dove videro Pursued (che in italiano si intitola Notte senza fine) con Robert Mitchum; dopo il cinema si fermarono per la cena in un ristorante cinese su rue Saint-Antoine e all'una tornarono a casa.

Jim si sedette davanti a un blocco per appunti sperando che gli venisse un'ispirazione per scrivere qualche poesia mentre beveva whisky direttamente dalla bottiglia e mentre Pamela tagliava strisce di eroina su uno specchio usando una carta di credito. Morrison odiava l'eroina e rimproverava a Pamela la sua dipendenza da questa sostanza, ma quella notte trasgredì al suo stesso principio; forse sistemandola in strisce la ragazza riuscì a fargli credere che si trattasse di cocaina. Jim non riusciva a scrivere nulla e i due iniziarono a tirare l'eroina insieme usando delle banconote arrotolate. Per un po' guardarono alcuni filmini in Super-8 delle loro vacanze passate, mentre ascoltavano in sottofondo vecchie canzoni dei Doors. Jim era irrequieto e nonostante fosse piena notte aprì la porta di casa e uscì sul pianerottolo a schiamazzare finché Pamela non lo riportò all'interno dell'appartamento.

Andarono a dormire intorno alle tre, dopo un'altra striscia di eroina. Un'ora dopo Pamela si svegliò disturbata dai lamenti di Jim che sembrava stesse soffocando e annegando nella sua stessa saliva. Non era la prima volta che questo accadeva e la ragazza provò a svegliarlo, lo prese anche a sberle e dovette farlo più e più volte e con molta forza prima che lui rinvenisse. Jim decise quindi di farsi un bagno caldo e dopo che il cantante si stese nella vasca la ragazza tornò a dormire. Poco dopo Pamela fu svegliata di nuovo: Jim stava vomitando. La ragazza si precipitò in bagno e lo trovò che rimetteva grumi di sangue e pezzi di ananas, corse quindi in cucina a prendere una casseruola che gli portò affinché potesse vomitarci dentro anziché sporcare l'acqua della vasca. La donna quindi gettò il vomito nel lavandino e lavò la casseruola, compì questa operazione per tre volte. Intorno alle cinque Jim disse che si sentiva meglio, ma restò nella vasca mentre Pamela tornò a letto.

Circa un'ora dopo Pamela si svegliò di nuovo e notò che Jim non era tornato nel letto con lei. Corse in bagno e lo trovò ancora nella vasca in stato di incoscienza; provò a svegliarlo ma senza alcun risultato. In preda al panico e cosciente del fatto che il suo francese non era sufficiente a chiamare un'ambulanza, Pamela chiamò l'amico di Jim Alain Ronay a cui chiese, tra i singhiozzi e a voce bassa, di chiamare un'ambulanza per lei. Alain e la sua compagna Agnes Varda chiamarono quindi i vigili del fuoco che arrivarono in pochi minuti, guidati dal colonnello Alain Raisson (la cui testimonianza è stata raccolta sia dal documentario francese Gli ultimi giorni di Jim Morrison sia da Final 24: Jim Morrison), e lo trovarono immerso nell'acqua tinta di rosa dal sangue e ancora calda. I pompieri lo estrassero dalla vasca e lo stesero sul pavimento della camera da letto seguendo le indicazioni di Pamela. Raisson gli praticò un massaggio cardiaco, ma capì subito che Jim era deceduto. I due pompieri allora sollevarono il cadavere per deporlo sul letto.

Già fin qui alcune cose non sono chiare. Come abbiamo già detto secondo tutte le fonti Pamela si svegliò alle 6 e trovò Morrison in stato di incoscienza. Ciò nonostante la telefonata ai pompieri, come riferito dallo stesso Raisson, arrivò solo alle 9:20 e i pompieri arrivarono in quattro minuti. A questo punto si apre anche il quesito di a che ora Pamela abbia telefonato a Ronay, secondo il biografo Stephen Davis, autore del volume Jim Morrison: Life, Death, Legend, questa telefonata avvenne alle 7:30. Ci sono quindi due voragini temporali impossibili da spiegare.

Comunque, poco dopo l'intervento dei pompieri arrivarono anche Alain Ronay e Agnes Varda e dopo di loro, alle 9:45, arrivò anche l'ispettore di polizia Jacques Manchez che raccolse la deposizione di Pamela. Tutti e tre i presenti dichiararono alla polizia che il morto si chiamava Douglas James Morrison in modo che non venisse identificato e che non si destasse clamore e siccome neanche i pompieri lo avevano riconosciuto ancora nessuno al di fuori dei tre amici di Jim sapeva che un noto cantante rock era morto nella vasca. Poco dopo arrivò anche il medico legale che, anche grazie al lavoro di Ronay che tradusse per lui le risposte di Pamela, stabilì in pochi minuti che si era trattato di un decesso per cause naturali e lasciò loro un modulo compilato da portare all'anagrafe per ottenere il certificato di morte. Ma quello stesso pomeriggio l'ufficio dell'anagrafe rifiutò di emettere il certificato ritenendo non sufficienti le frettolose spiegazioni del medico legale.

Fu inviata una nuova squadra di polizia, questa volta guidata dall'ispettore Berry il quale sospettava che Morrison fosse morto di overdose. L'uomo interrogò Ronay e Pamela a lungo e riprese vigorosamente la ragazza per aver abbandonato Jim nella vasca per tre volte per lavare la casseruola in cui aveva vomitato. I due ammisero che Morrison aveva consumato alcol, ma tacquero riguardo alle droghe che nel frattempo avevano fatto sparire dalla casa. Berry ordinò un nuovo controllo da parte di un altro medico e il dottor Max Vassille arrivò alle 18 per constatare, di nuovo in pochi minuti, che si era trattato di arresto cardiaco per cause naturali e convinse Berry a non insistere. Il corpo rimase steso nel letto fino al 5 luglio e per due notti Pamela dormì accanto al cadavere di Jim.

Un racconto leggermente diverso su come sono andati i fatti fu raccolto da alcuni amici di Jean de Breteuil, nobile francese discendente da una famiglia di marchesi e noto spacciatore da cui si riforniva abitualmente proprio la Courson, pochi giorni dopo in Marocco. Jean raccontò che quando Pamela si svegliò alle 6 del 3 luglio trovò la porta del bagno chiusa a chiave dall'interno. La ragazza chiamò Jim e bussò con forza, ma non ottenne risposta. Alle sei e trenta Pamela chiamò quindi proprio Jean il quale si trovava a letto con la ben nota Marianne Faithfull a cui disse di dover andare via perché aveva ricevuto la telefonata di Pamela. Arrivò da lei in circa mezz'ora, ruppe il vetro della porta del bagno e finalmente i due poterono entrare e furono i primi a vedere il cadavere di Jim Morrison.

Lo trovarono senza vita mentre dal naso e dalla bocca perdeva ancora sangue e con due lividi violacei sul petto. Pamela iniziò a urlare, entrò nella vasca e prese a sberle Jim nella speranza di risvegliarlo, fin quando Jean la prelevò di forza e la portò fuori dal bagno, quindi le disse che a breve sarebbe partito per il Marocco e di chiamare Alain.

Il racconto di Jean è poco realistico per una serie di motivi. Anzitutto come si vede dal fotogramma accanto tratto da Gli ultimi giorni di Jim Morrison (che mostra le vere stanze dell'appartamento in cui è morto il cantante, al contrario di Final 24 che mostra invece una ricostruzione grossolanamente sbagliata) e considerando che, come specificato da Raisson, Morrison era steso con la testa dalla parte opposta della vasca rispetto alla porta, per chiudere a chiave Jim avrebbe dovuto alzarsi, camminare per alcuni metri fuori o dentro la vasca, girare la chiave e tornare a stendersi nella vasca. E' uno scenario poco realistico per un uomo che si sente male e che non riesce a tornare a letto. In secondo luogo pensare che Pamela da sola non fosse in grado di sfondare il vetro è semplicemente ridicolo, si trattava probabilmente di un vetro singolo che avrebbe potuto rompere a mani nude o con qualunque utensile casalingo. In ultimo Raisson nel suo racconto non menziona mai la presenza di vetri rotti a terra e se ci fossero stati sarebbero stati un dettaglio degno di menzione. Potremmo anche aggiungere che dalle immagini del documentario francese la porta in questione non ha alcun vetro, ma ovviamente negli anni le porte potrebbero essere state sostituite e quindi si tratta di una considerazione molto debole.

Secondo una ricostruzione ancora diversa Jim sarebbe invece morto intorno alle 3 di notte del 3 luglio al night club Rock'n'Roll Circus che frequentava abitualmente. Jim si sarebbe chiuso in bagno e sarebbe morto di overdose da eroina iniettata in vena nel bagno del locale e poi sarebbe stato trascinato fuori attraverso un altro locale, l'Alcazar che è collegato al Circus da un tunnel, e portato a casa dove è stato deposto nella vasca da bagno. Questa versione è sostenuta dall'ex proprietario del Circus Sam Bernett (che però ammette di non aver visto Jim e che la vicenda gli è stata raccontata) e da alcuni avventori del locale presenti quella sera. A parte l'evidente assurdità di portare fuori un cadavere da un locale gremito e trasportarlo per tre chilometri da rue Mazarine (dove si trova l'Alcazar, il Circus invece dava su rue de Seine) a rue Beautreillis senza essere visti da nessuno, se Jim avesse avuto buchi nelle braccia questi sarebbero stati notati da entrambi i medici legali e anche dai pompieri che invece non hanno ravvisato nulla di strano. Inoltre non si capisce perché Pamela avrebbe dovuto prestarsi a una simile sceneggiata. La cosa più probabile è che gli avventori del bar abbiano scambiato un altro cliente per Jim Morrison.

Nel 2014 è emersa ancora un'altra teoria sostenuta proprio da Marianne Faithfull che è in contraddizione con tutte le precedenti. Sostenne la Faithfull in un'intervista alla rivista musicale Mojo che la sera del 2 luglio Jean si recò a casa della Courson per consegnare a Morrison una dose di eroina che si rivelò fatale, il cantante morì poi nella vasca dove è stato trovato. Sebbene questa teoria sia meno folle delle altre e non prevede improbabili trasporti di cadaveri, siamo restii a prenderla per buona perché la fonte è assolutamente inattendibile. La Faithfull nella sua autobiografia uscita nel 1994 e intitolata Faithfull sostenne la prima versione secondo cui Jean andò a casa di Pamela dopo la telefonata di questa e non giustifica questo suo disinvolto cambio di versione né in base a cosa ritiene di aver individuato la causa della morte di Morrison. In ultimo di nuovo non si capisce perché Pamela avrebbe dovuto mentire e scagionare Jean.

Altre teorie sulla morte di Morrison vogliono che abbia finto la propria morte e che sia ancora vivo. Altre dicono invece che sia davvero morto e che il suo fantasma appaia magicamente nelle foto scattate sulla sua tomba. Ma si tratta di sciocchezze talmente risibili da non meritare alcuna trattazione.

Sebbene il quadro generale sia chiaro e delineato è innegabile che qualche mistero nella morte di Jim Morrison resti. Purtroppo Jean de Breteuil morì lo stesso anno a Tangeri e nel 1974 a 27 anni anche Pamela Courson morì nella sua casa di Los Angeles per overdose. I misteri sulla morte della storica voce dei Doors resteranno per sempre tali.

domenica 21 giugno 2015

The Darkness - Last of Our Kind

Il 2015 ha visto il ritorno, a tre anni dall'ultimo album, della band inglese The Darkness con il nuovo disco intitolato Last of Our Kind. L'album è stato anticipato da due ottimi singoli: Barbarian e Open Fire. Le prime due tracce pubblicate hanno dato un chiaro segnale del fatto che la band volesse continuare sulla strada già intrapresa dell'hard rock con forti influenze hair metal e AOR fatto per divertire e fare festa.

Barbarian attinge a piene mani dalle chitarre degli INXS (a chi non è venuta in mente The One Thing?) e per il ritornello dalla voce di Gene Simmons (a chi non è venuta in mente Unholy?). In modo del tutto simile Open Fire ricorda più di un brano dei The Cult, sopra a tutti Rain. Questi due brani introducono alla grande il disco che prosegue su atmosfere allegre e festaiole per tutte le 10 tracce attingendo dai grandi del passato e riportando atmosfere di gioia che sembravano perse dopo gli anni 80. Tutte le dieci tracce sono decisamente ottime, difficile scegliere quali siano le migliori oltre ai due singoli già citati; se fossimo costretti forse sceglieremmo Hammer & Tongs, in cui il cantante Justin Hawkins si lancia in una non troppo velata imitazione di Mick Jagger, e la ballad Sarah O'Sarah.

Se c'è una cosa che non manca a questo album è la varietà di suoni: ci sono brani veloci, ballate e midtempo e Hawkins dimostra di sapersi muovere bene sia con la voce piena che con il falsetto, come dimostrato tra gli altri dal brano Mighty Wings.

Se invece c'è una cosa che di sicuro manca a questo disco, e alla produzione dei The Darkness in generale, è l'originalità. Nessun suono inedito e solo tanto rock pescato dal passato. Ma considerando quanto è allegra e divertente la musica della band, questo è un aspetto trascurabile. Forse non entreranno nelle enciclopedie del rock, ma di sicuro saranno i benvenuti alle feste di chiunque o nel lettore di chi si vuole regalare un'ora di divertimento.

martedì 16 giugno 2015

L'omicidio di Jam Master Jay

Non sono solo i gangsta rapper, come Tupac o Notorious B.I.G, a incontrare la morte in conflitti a fuoco mai chiariti. La stessa sorte nel 2002 è toccata al DJ e polistrumentista dei Run-DMC, gruppo che si è sempre contraddistinto per le tematiche allegre e festaiole trattate, Jam Master Jay.

Il 30 ottobre del 2002 intorno alle 18:45 Jason Mizell, questo era il vero nome di Jam Master Jay, arrivò al proprio studio di registrazione di Merrick Boulevard, nel Queens, insieme all'amico Uriel Rincon, detto Tony, con cui si era dato appuntamento insieme ad altri amici che sarebbero arrivati più tardi. Il 24/7 Studios, così si chiamava lo studio Mizell, si trovava all'interno 3 del civico 90-10 di Merrick Boulevard, nel quartiere di Jamaica, nel Queens; attualmente lo stesso spazio è occupato dall'Hall of Fame Music Studios e purtroppo su Google Street View la visuale della porta d'ingresso è ostruita da un autobus, ma ve ne sono due buone foto sul sito Citysearch. Mizell e Rincon salirono nello studio ed entrarono in una delle sale per una partita alla Playstation prima di iniziare a lavorare. Il gioco con cui si intrattennero era Madden NFL 2002: Rincon prese la squadra dei Rams e Mizell quella dei Giants. Mizell aveva portato con sé una pistola, una calibro .45, e la appoggiò sul bracciolo del divano su cui lui e Rincon erano seduti, ma questi ricorda che non era la prima volta che ciò accadeva e non si stupì. Poco dopo arrivò allo studio anche l'assistente e receptionist di Jam Master Jay Lydia High che al contrario si mostrò irritata e chiese al DJ di farla sparire, ma lui la ignorò e lasciò la pistola dove stava.

Poco dopo arrivarono anche Randy Allen (fratello di Lydia High) e Mike B, gli altri due amici con cui Mizell e Rincon avevano appuntamento, che però si diressero subito verso una delle control room per verificare alcuni demo di un giovane cantante esordiente, lasciando così i due a giocare alla Playstation.

Meno di un'ora dopo, intorno alle 19:30, due persone vestite di nero che indossavano un copricapo che ne adombrava il volto entrarono nello studio. Uno dei due si fermò alla reception dove costrinse Lydia a stendersi al suolo. Il secondo proseguì vero la sala dove stavano Mizell e Rincon. Proprio in quell'instante il telefono di Rincon squillò e siccome lo aveva appoggiato sul pavimento accanto al divano, si volse e si abbassò per raccoglierlo. Un attimo dopo sentì dei passi, quindi Mizell salutare una persona appena entrata, poi lo sentì dire "Oh, shit!" e seguirono due colpì di pistola in rapida successione. Il primo colpì Rincon alla gamba sinistra, il secondo centrò Mizell alla testa. Rincon si girò, ma fece appena in tempo a vedere l'aggressore che indossava un maglione scuro correre via e non riuscì a vederlo in viso. Un istante dopo anche Allen e Mike uscirono dalla sala in cui si trovavano, ma gli aggressori si erano già allontanati e i due trovarono solo Rincon ferito e Jam Master Jay morto steso al suolo.

Nel corso delle indagini Lydia High identificò l'uomo che l'aveva costretta a stendersi al suolo nel noto criminale Ronald Washington, in seguito arrestato per rapina, che confidò anche alla sua fidanzata di allora di aver preso parte all'omicidio. Secondo il New York Daily News una fonte da loro intervistata avrebbe indicato l'amico di Mizell e produttore Curtis Scoon come mandante dell'omicidio, il motivo del gesto sarebbe in un debito di Mizell mai pagato all'amico. Scoon ha sempre negato il proprio coinvolgimento e gli inquirenti non hanno mai trovato indizi contro di lui.

Ma qualcosa di molto strano in questo omicidio c'è. Mizell aveva fatto installare un sistema di videosorveglianza che mostrava le immagini di chi entrava sul monitor accanto a quello collegato alla Playstation e che al contempo le registrava su VHS. Il detective Vincent Santangelo, che si è occupato del caso fin dall'inizio, ha riferito a Pix11 (il video è disponibile anche qui) che le cassette erano inservibili: forse erano vecchie oppure erano state sostituite. La causa potrebbe semplicemente essere l'incuria, forse Mizell non sostituiva i nastri con la dovuta frequenza. Ma è plausibile che un uomo che tiene alla propria sicurezza al punto di portare con sé una pistola non sottoponga l'impianto di videosorveglianza alla dovuta manutenzione? D'altro canto se qualcuno avesse fraudolentemente sostituito la cassetta perché mai avrebbe dovuto perdere tempo a inserirne un'altra nel registratore anziché limitarsi a fare sparire quella appena estratta? Questi quesiti restano insoluti.

Come succede frequentemente in questi casi i pochi testimoni vennero accusati da più parti di non collaborare adeguatamente alle indagini. Ad esempio nel 2003 la giornalista Michelle McPhee scrisse sul New York Daily News che i fratelli Randy e Lydia potrebbero sapere più di quanto hanno riferito e punta il dito particolarmente contro Lydia (di cui sbaglia il cognome chiamandola Allen anziché High) sostenendo che sia stata lei a fare entrare i due aggressori nello studio attivando il meccanismo elettronico di apertura delle porte. Ovviamente pochi giorni dopo Lydia, attraverso il sito AllHipHop smentì quanto sostenuto dalla McPhee dichiarandosi estranea all'accaduto e negando di aver aperto le porte ai due aggressori.

In seguito anche Randy Allen passò all'attacco sostenendo che la versione di Rincon secondo cui non riuscì a vedere l'aggressore deve essere falsa perché non è possibile che l'uomo seduto accanto alla vittima non abbia visto in faccia lo sparatore. In realtà guardando una foto della sala in cui è avvenuta la sparatoria, ad esempio quella accanto presa dal video di Pix11, si evince che essendo lo sparatore entrato dalla porta ed essendo Rincon chinato al suolo per raccogliere il cellulare, lo stesso Mizell gli ostruiva la vista rispetto all'uomo sulla porta (i due erano secondo ogni ricostruzione seduti sul divano a destra entrando dalla porta della stanza). Inoltre dopo essere stato colpito alla gamba può non aver avuto la freddezza di voltarsi per guardare in faccia l'uomo che aveva sparato. Questa potrebbe essere la spiegazione del perché Rincon ha sempre sostenuto di non aver visto in viso l'aggressore.

Va tuttavia sottolineato che in rete si trovano ricostruzioni grafiche della scena completamente sbagliate; ad esempio secondo questo fotogramma tratto da una galleria di immagini di MTV lo sparatore sarebbe stato in posizione quasi frontale rispetto ai due seduti sul divano e da quella posizione sarebbe stato impossibile per Rincon non vedere l'uomo armato; ma questa ricostruzione è grossolanamente sbagliata e inverte anche la posizione di Mizell e Rincon.

Alle accuse che i testimoni si scambiano tra loro si aggiungono quelle del fratello di Jam Master Jay, Marvin Thompson, che ritiene che i quattro presenti nello studio al momento della sparatoria stiano nascondendo la verità perché è secondo lui impossibile che nessuno abbia visto lo sparatore in faccia. La teoria di Thompson vuole che lo sparatore altri non sia che il fratello minore di Randy e Lydia, Teddy. Secondo Thompson si tratterebbe di una vendetta trasversale per regolare un conto in sospeso tra Teddy e il cugino di Mizell a cui solo una settimana prima lo stesso Teddy avrebbe puntato una pistola durante un litigio.

Tuttavia non vi sono prove in tal senso e al contrario tutto sembra indicare che Teddy non fosse presente nello studio al momento della sparatoria. Infatti questi arrivò allo studio a torso nudo, appena uscito dalla doccia, poco dopo l'omicidio perché attirato dal rumore degli spari.

A distanza di tredici anni l'omicidio rimane insoluto.

Oltre a quelle già citate nell'articolo, le fonti che abbiamo usato per la nostra ricerca sono gli articoli Breaking silence, witness says Jam Master Jay had a gun on night of murder del New York Daily News, Jam Master Jay’s Murder: A Timeline And The Key Players di MTV, Cops Probe Death of Jam Master Jay di Fox News, Was surveillance tape switched in the murder of Jam Master Jay? di Pix11.

venerdì 12 giugno 2015

Kiss 40th Anniversary World Tour - Verona, 11/6/2015

Io c'ero. Arena di Verona, 11/6/2015, gradinata numerata, blocco 23, Fila 16, Posto 28 al concerto dei Kiss per il 40th Anniversary World Tour.

Siamo riusciti a entrare verso le 20 e il gruppo di supporto, i bravissimi Dead Daisies, era già a metà della sua esibizione tra brani della stessa band e classici del rock che spaziavano dai Deep Purple ai Beatles.

Ma il vero show, quello per cui eravamo lì, lo hanno fatto i Kiss che hanno aperto il concerto con Detroit Rock City, Deuce e Psycho Circus. Appena il telo nero con la scritta KISS si è sollevato, l'energia della band e il suono delle esplosioni dei cannoni hanno invaso il pubblico e la serata si è magicamente trasformata. Lo spettacolo è andato avanti per quasi due ore di ininterrotta energia tra i migliori brani della band privilegiando quelli del primo decennio, ma non rinunciando a qualcuno delle decadi successive. Il tutto condito da palle di fuoco sparate dai lati del palco, fuochi d'artificio ed esplosioni di cannone in una festa di luci, colori e immagini proiettate sui maxi schermi. Tutti i pezzi dal vivo suonavano molto più energici e potenti rispetto alle incisioni da studio e il pubblico ha risposto con l'entusiasmo che il gruppo merita.

Sulle gradinate e in platea c'erano mani alzate e magliette dei Kiss a perdita d'occhio e il gruppo rispondeva all'affetto dei fans come solo i Kiss sanno fare con Paul Stanley che si avvicinava al pubblico fino a farsi toccare mentre suonava e senza togliere le mani dalla chitarra.

E' stato bellissimo vedere la festa sul palco e tra il pubblico, con famiglie con nonni e bambini con le facce dipinte a inneggiare al più grande gruppo rock della storia. Perché la musica dei Kiss esprime gioia ed è stata proprio questa ad unire il pubblico e farci alzare le mani al cielo mentre dalle gradinate cantavamo con il gruppo.

Le uniche due interruzioni al fiume di energia sono state quando dopo War Machine Gene ha sputato fuoco e quando dopo Lick It Up ha ripetuto la scena del sangue dalla bocca, per poi alzarsi in volo sul palco e ripartite con God of Thunder.

La chiusura dello show, con I Was Made for Loving You e I Wanna Rock and Roll all Nite, è stata impreziosita da spari di cannone tra il pubblico che diffondevano nell'aria pezzi di carta bianca a colorare ancora di più l'atmosfera e a dare un tocco di unicità a quei momenti conclusivi.

Se proprio si vuole trovare una critica da muovere a questo concerto si potrebbe obiettare che hanno eseguito un solo brano del periodo dell'unmasking escludendo i brani di Hot in the Shade e Revenge. Ma francamente: chissenefrega! Anche perché per aggiungere altri brani avrebbero dovuto toglierne alcuni e la scelta sarebbe stata difficilissima perché sono stati tutti ottimi. E soprattutto il concerto è stato stupendo, due ore di gioia, due ore di energia. E questa è l'unica cosa che conta.

martedì 9 giugno 2015

Musi O Tunya - Wings of Africa

I Musi O Tunya non sono i più celebri esponenti dello zamrock, perché quanto a notorietà sono superati dagli W.I.T.C.H e dagli Ngozi Family, ma sicuramente ne sono i migliori interpreti grazie alla loro creatività musicale e alle produzioni di qualità indistinguibile da quelle americane o europee.

Il loro primo album del 1975 è intitolato Wings of Africa ed è stato registrato in un solo giorno in uno studio di Nairobi, nonostante il gruppo sia dello Zambia, ed è un bellissimo connubio di rock psichedelico, funk, soul e musica etnica africana. Il disco è composto di soli sei brani, ma tutti di durata considerevole e infatti nel suo insieme supera i 40 minuti.

La titletrack che apre il disco invita all'unione dei popoli africani con un suono gioioso ricco di percussioni e fiati. Ma il vero capolavoro è la seconda traccia intitolata Dark Sunrise, in cui il leader e chitarrista Rikki Ililonga, che nei suoi dischi da solista suona quasi tutti gli strumenti, si sostituisce al microfono a Derick Mbao. Il brano parte alla grande con un riff di chitarra dello stesso Ililonga a cui si unisce il suono potente della batteria e del sax soprano di Kenny Chernoff che dà una forte impronta; la voce di Rikki fa il resto nel creare un brano rock di grande efficacia con robusti innesti di musica nera che si mescolano alla perfezione. Dark Sunrise è un brano cupo e potente che si discosta dall'allegria del resto del disco ed entra con forza nella testa di chi lo ascolta.

La terza traccia si intitola The Sun ed è la seconda e ultima cantata da Ililonga, è basata ancora su fiati e percussioni a creare un ritmo tipico dell'Africa condito con un po' di rock occidentale; il brano successivo intitolato Mpondolo, l'unico in lingua locale, prosegue sulla strada intrapresa dal precedente ed è caratterizzato dal suono del clarinetto che si esprime in una sorta di controcanto.

La penultima traccia intitolata Walk and Fight riprende in parte le atmosfere più cupe di Dark Sunrise con i fiati in controtempo rispetto alla sezione ritmica.

L'ultimo brano intitolato One Reply è ancora una volta allegro e gioioso e inverte le proporzioni degli ingredienti: un brano soul che sembra tratto dalla discografia di qualche artista americano reso più esotico dalle chitarre distorte e dal cantato tipicamente africano.

Se molti album di zamrock sono esperimenti di mescolanze musicali più interessanti che belli, non è di certo questo il caso di Wings of Africa: questo disco è un capolavoro del rock anni 70 che dimostra anche che se Rikki Ililonga avesse avuto mezzi economici adeguati oggi sarebbe ricordato come uno dei geni della musica di quel decennio.

sabato 6 giugno 2015

Tarja - Luna Park Ride

La straordinaria cantante finlandese Tarja Turunen ha da poco pubblicato il suo nuovo album live intitolato Luna Park Ride. Si tratta di un doppio album che contiene sul primo disco il concerto della cantante del 27 marzo 2011 al Luna Park di Buenos Aires e sul secondo diverse incisioni dal vivo registrate in varie occasioni tra il 2010 e il 2014.

Dal punto di vista qualitativo c'è ben poco da dire: Tarja è semplicemente perfetta. E' l'unica cantante del panorama symphonic metal in grado di tenere lo stile lirico in qualunque brano, a qualunque tonalità e velocità. Nei due dischi Tarja spazia, come sempre fa nei concerti, dal proprio repertorio solista a quello dei Nightwish risalente al periodo di quando ne era la cantante. Ad essi aggiunge la cover di Signos dei Soda Stereo, che riesce a trasformare da un pezzo new wave a uno symphonic metal, e un medley anni 80 composto da Where Were You Last Night, Heaven Is a Place on Earth e Livin' on a Prayer. Tarja interpreta ogni brano magistralmente, la sua voce non conosce sbavature e i brani suonano quasi identici alle incisioni in studio.

Se dal punto di vista qualitativo non ci sono dubbi, ce ne sono invece molti sull'opportunità di stampare nel 2015 un live risalente al 2011 e appartenente al medesimo tour del live pubblicato nel 2012 Act 1: Live in Rosario soprattutto considerando che gran parte dei brani sono stati cantati in entrambi i concerti e che Luna Park Ride era già stato stampato come disco extra dell'edizione speciale di Act: 1. Anche il secondo disco aggiunge poco a quanto già si conosceva dai live precedenti di Tarja poiché ben 7 dei 14 brani sono antecedenti al 2011.

Non ci sembra che Tarja avesse il disperato bisogno di stampare un disco nuovo per mantenere viva la propria immagine, dopo aver partecipato come coach alla quarta edizione di The Voice of Finland e dopo aver scritto sui social network di aver già altri due album in fase di lavorazione.

Luna Park Ride è in estrema sintesi un ottimo lavoro, ma purtroppo tanto valido quanto inutile.

lunedì 1 giugno 2015

L'omicidio di Notorious B.I.G.

Dopo soli sei mesi dalla sparatoria in cui perse la vita Tupac Shakur, anche il suo acerrimo rivale Notorious B.I.G. incontrò la morte in una situazione molto simile.

La sera dell'8 marzo del 1997 Notorious B.I.G aveva partecipato come ospite all'edizione di quell'anno dei Soul Train Music Awards allo Shrine Auditorium di Los Angeles. Lo staff della Bad Boy Records quella sera doveva infatti premiare la vincitrice della categoria Best R&B/Soul Single, Female; salirono sul palco il cantante Brian McKnight, il quartetto degli 112, Notorious B.I.G. e il rapper e produttore Puff Daddy. Fu proprio Puff Daddy, che in quanto CEO della Bad Boy era il leader indiscusso di quel gruppo, a iniziare la premiazione con la frase "The nominees for the best R&B/Soul Single are" e gli 112 a turno lessero i nomi delle quattro candidate alla vittoria: Mary J. Blige, Brandy (che era conduttrice della serata insieme a LL Cool J e Gladys Knight), Tony Braxton e Monica. Notorious quindi si avvicinò al microfono per leggere il nome della vincitrice, ma appena lo fece il pubblico di Los Angeles lo accolse con sonori fischi e il rapper non poté nascondere lo stupore chiedendo alla platea "What's up, Cali?" prima di annunciare il nome della vincitrice, la bella e brava Toni Braxton, che salì sul palco a ritirare il premio mentre lo staff della Bad Boy usciva dal palco dietro di lei.

Al termine della cerimonia la rivista Vibe aveva organizzato una festa al Petersen Automotive Museum che avrebbe dovuto essere privata, ma evidentemente le cose andarono diversamente e in breve tempo il museo fu sovraffollato. Notorious si divertì alla festa, nonostante dovesse rimanere per gran parte del tempo seduto a causa di un infortunio alla gamba da cui non si era ancora ripreso del tutto e che lo obbligava a camminare con una stampella. Verso le 00:30 nel museo c'erano oltre 2000 persone e il dipartimento dei pompieri decise di imporre la chiusura della festa per motivi di sicurezza legati al sovraffollamento. Notorious e il suo staff lasciarono il museo su tre autoveicoli: il primo era lo Chevrolet Suburban di Puff Daddy su cui oltre allo stesso Puff viaggiava la sua guardia del corpo Eugene Deal; dietro di loro vi era un altro Suburban guidato dalla guardia di Notorious, Gregory "G-Money" Young, su cui viaggiavano lo stesso Notorious (che curiosamente non aveva la patente) sul sedile del passeggero anteriore e i rapper Lil' Cease e D-Roc sul sedile posteriore. Dietro ai due Suburbam seguiva uno Chevrolet Blazer che portava il resto delle guardie del corpo del gruppo.

Lo scopo del gruppo era quello di proseguire la propria festa in un altro club ma a meno di 50 metri dal museo, poco prima dell'incrocio tra Fairfax Avenue e Wilshire Boulevard, una Toyota Land Cruiser bianca fece un'inversione a U costringendo il Blazer a staccarsi dall'auto di Notorious. Quando il Suburban di Puff Daddy arrivò all'incrocio superò il semaforo e l'auto di Notorious rimase ferma al rosso. Alcune ragazze che passeggiavano sul marciapiede alla sinistra di Notorious attirarono l'attenzione del rapper e proprio in quel momento una Chevrolet Impala gli si affiancò sulla destra (come nel fotogramma sopra tratto dal documentario Famous Crime Scene: The Notorious B.I.G.), il guidatore abbassò il finestrino ed estrasse una pistola con cui sparò sei colpi verso Notorious.

Lil' Cease vide in faccia lo sparatore e riportò che si trattava di un giovane afroamericano poco oltre i vent'anni vestito con abito, camicia e cravatta. D-Roc aggiunse che dall'espressione di Notorious gli parve che la vittima conoscesse il suo assassino.

Avendo sentito gli spari, Deal fece un'inversione e tornò davanti all'auto ferma di Notorious, nel fare questa manovra videro l'Impala dello sparatore voltare a destra e sparire nel traffico. Puff scese dall'auto e corse a verificare le condizioni dell'amico. Intanto Deal si lanciò all'inseguimento dell'Impala lungo Wilshire Boulevard ma l'Impala poteva viaggiare molto più veloce del Suburban a causa di un limitatore di velocità montato per legge su tutti i Suburban prodotti dal 95 al 98, tra cui quello guidato da Deal. Eugene decise tra la frustrazione di abbandonare l'inseguimento e tornò sulla scena del crimine. Nel frattempo alle 00:49 qualcuno chiamò il 911.

Deal decise a quel punto di non attendere l'ambulanza e prese il comando del veicolo di Notorious e lo portò al Cedars-Sinai Medical Center. Lil' Caese ricorda che quando il corpo di Notorious fu estratto dall'auto non sanguinava né mostrava segni di sanguinamento precedente. Probabilmente la massa grassa del corpo di Notorious aveva trattenuto il sangue in uscita. Nonostante gli sforzi dei medici per rianimarlo, Notorious B.I.G. fu dichiarato morto all'1:15.

I risultati dell'autopsia sono stati pubblicati sono nel 2012, quindici anni dopo la sparatoria, e hanno chiarito che Notorious è stato colpito da quattro dei sei colpi sparati di cui uno solo mortale.

Come in tutte le morti violente di personaggi noti, anche in questo caso sono nate una ridda di ipotesi più o meno fantasiose su chi siano i mandanti e gli esecutori dell'omicidio. La teoria più nota vuole che i mandanti dell'omicidio siano Suge Knight, CEO e fondatore della Death Row Records, e l'ex agente dell'LAPD David Mack (che di lì a poco sarebbe finito in galera per tutt'altri motivi) e che l'esecutore materiale dell'omicidio sia un associato di Mack chiamato Amir Muhammad il quale casualmente somiglia all'identikit dello sparatore fatto sulla base della testimonianza di Lil' Cease e di altri testimoni oculari. Purtroppo l'unica fonte per questa teoria è la testimonianza di un informatore dell'FBI chiamato Kevin Hackie il quale sostiene di essere stato una guardia del corpo per la Death Row Records e di avere pertanto avuto accesso a questo informazioni. Ma in seguito Hackie, come risulta della indagini del giornalista Chuck Philips, ha ammesso di avere pessima memoria, di aver mentito in questo specifico caso e si è anche autodescritto come paranoico e schizofrenico. Non un buon curriculum per chi vuole essere informatore chiave di un caso di omicidio.

A distanza di 18 anni l'omicidio rimane insoluto.

Le fonti che abbiamo usato per la nostra ricerca sono il libro The Murder of Biggie Smalls di Cathy Scott, il documentario Famous Crime Scene: The Notorious B.I.G. e gli articoli di giornale The Unsolved Mystery of the Notorious B.I.G. di Randall Sullivan, Notorious B.I.G. Autopsy Report Released di Steven Horowitz e Informant in Rap Star's Slaying Admits Hearsay e Witness in B.I.G. case says his memory's bad di Chuck Philips.

sabato 30 maggio 2015

Aria - S Kem Ty?

I moscoviti Aria (Ария, in cirillico) sono senza dubbio il gruppo di punta della scena metal della capitale russa che, con gruppi del calibro di Chorny Kofe, Krematorij e Master, non ha nulla da invidiare al Regno Unito o agli USA.

A un solo anno di distanza dal loro magistrale album di esordio intitolato Mania Velichia (Мания Величия) del 1985 il gruppo capitanato da Valery Kipelov ha pubblicato il suo secondo lavoro intitolato S Kem Ty? (С кем ты?) in cui riesce nella difficile impresa di superare i fasti del primo. Il disco parte alla grande con la travolgente Volya i Razum (Воля и Разум) e con la teatrale Vstan`, Strakh Preodolej (Встань, Страх Преодолей) e procede in tutti i suoi otto brani senza cali di qualità. La musica degli Aria si ispira chiaramente ai giganti del NWOBHM come Iron Maiden e Judas Priest grazie alle chitarre potenti alla voce tenorile di Kipelov che quanto a estensione e forza ha ben poco da invidiare a Bruce Dickinson e Rob Halford.

Il disco che ne risulta è un capolavoro del metal che trascende lingua e cultura ed è composto da sei brani veloci e trascinanti, i cui testi sono scritti dal poeta russo Alexander Yelin, più una ballad intitolata Bez Tebya (Без Тебя) e la strumentale Pamyat' O... (Память О...).

Dopo S Kem Ty? gli Aria hanno proseguito come hanno iniziato, con dei dischi di ottimo livello che dimostrano che il metal si può fare anche in lingue diverse dall'inglese che danno sfaccettature diverse alla musica per via del loro suono. La qualità della musica degli Aria è rimasta intatta fino al 2002, quando Kipelov ha lasciato il gruppo per fondarne uno che porta il suo nome (curiosamente proprio Rob Halford fece lo stesso negli anni in cui si allontanò dai Judas Priest). I cantanti che lo hanno sostituito comunque non hanno deluso le aspettative e ancora oggi gli Aria sono uno dei migliori gruppi metal a livello mondiale.

domenica 24 maggio 2015

L'omicidio di Tupac Shakur

Il 7 settembre del 1996 al MGM Grand di Las Vegas Mike Tyson sconfisse Bruce Seldon in 1 minuto e 49 per KO nell'ultimo incontro prima della famigerata doppia sfida con Evander Holyfield. Tra gli spettatori del match era seduto il rapper Tupac Shakur con il suo produttore Suge Knight, accanto a loro vi erano anche la guardia del corpo Frank Alexander e un amico di Suge chiamato Sal. I quattro assistettero all'evento circondati da altre celebrità come Charlie Sheen e Louis Gossett Jr.

Al termine dell'incontro i quattro avrebbero dovuto incontrare Tyson davanti al suo spogliatoio, ma mentre lo attendevano Suge disse qualcosa nell'orecchio a Tupac: i piani cambiavano, Iron Mike non era più disponibile a incontrarli, sarebbero andati via subito. Prima di abbandonare il palazzetto, attesero nella lobby di riunirsi con il resto dei loro amici formato dall'entourage di Suge e dalla crew che cantava con Tupac, gli Outlawz, e quando tutto il gruppo fu ricompattato si avviarono verso l'uscita. Mentre stavano abbandonando la struttura, Sal vide nella lobby il gangster Orlando Anderson, della gang dei Crips, che qualche mese prima aveva rapinato insieme ad alcuni suoi compagni di banda uno dei membri della Death Row Records, la casa discografica fondata da Suge Knight e Dr Dre per la quale incideva, tra gli altri, anche lo stesso Tupac. Sal indicò Anderson a Tupac che corse verso il gangster e gli chiese "You from the south?", quindi gli sferrò quindi un pugno al volto facendolo cadere a terra. Orlando reagì colpendo a sua volta Tupac al viso. In un attimo Alexander si precipitò addosso a Tupac per sedare la rissa e i due furono finalmente divisi grazie anche all'intervento dalla security dell'albergo.

Il gruppo di Tupac e Suge non fu fermato, né arrestato in alcun modo. Orlando non fece denuncia, né la fece la polizia. Come si può tuttora visionare dai video delle telecamere di sicurezza dell'MGM Grand Tupac e i suoi amici semplicemente lasciarono la struttura per andare a piedi al Luxor Hotel dove il rapper alloggiava. Tupac salì nella camera che condivideva con la fidanzata Kidada Jones, figlia del noto musicista e produttore Quincy Jones, per cambiarsi dagli abiti casual a quelli da strada con cui siamo abituati a vederlo nei suoi video. Poco dopo uscì da solo dalla stanza, Kidada rimase nuovamente in albergo, rinunciando eccezionalmente al giubbotto antiproiettile che spesso indossava ma che nel deserto del Nevada gli avrebbe tenuto troppo caldo. Tupac si riunì al gruppo di amici e chiese ad Alexander di non salire in macchina con lui e Suge, ma gli diede le chiavi dell'auto di Kidada e gli disse di salire in auto insieme agli Outlawz e di seguirli. Il gruppo andò a casa di Suge, a Paradise Valley, affinché anche Suge potesse cambiarsi. Quindi verso le 22 lasciarono la casa di Suge per andare al Club 662 al numero 1700 di East Flamingo Road, dove però non arriveranno mai.

Il convoglio era composto da quattro auto: la BMW 750 nera di Suge, l'auto con Alexander e gli Outlawz che li seguiva e altre due macchine con a bordo l'entourage di Suge. Sulla BMW Suge sedeva al posto del guidatore, mentre Tupac era seduto sul sedile anteriore destro. Sull'auto di Kidada, Alexander era alla guida, accanto a lui era seduto il rapper degli Outlawz Yaki Kadafi, il resto del gruppo era seduto dietro. Il convoglio percorse il Las Vegas Boulevard con il suo traffico continuamente bloccato dai semafori e intorno alle 23 l'auto di Suge fu fermata da alcuni poliziotti in bicicletta attirati dal volume eccessivamente alto dell'autoradio, inoltre l'auto di Suge non aveva la targa né davanti, né dietro. La polizia chiese ai due di scendere dall'auto e di aprire il bagagliaio, dopo una breve discussione li lasciò andare.

Il convoglio svoltò a destra su Flamingo Road e si fermò al semaforo all'incrocio con Koval Lane. Le quattro auto erano disposte come nel fotogramma sopra, tratto dal documentario 2pac Before I wake. Un attimo dopo una Chrysler berlina, inspiegabilmente assente nel fotogramma del documentario, arrivò dietro all'auto di Travon e le quattro ragazze che erano a bordo attirarono l'attenzione di Suge e Tupac. Nello stesso istante una Cadillac bianca li affiancò dall'altro lato e l'uomo seduto sul sedile posteriore sinistro abbassò il finestrino ed esplose numerosi, almeno 13, colpi di pistola verso Tupac. In diverse occasioni Alexander ha raccontato l'accaduto e lo ha sempre fatto mimando il gesto dello sparo con il braccio destro, quindi lo sparatore ha dovuto torcere il busto per girarsi verso Tupac. Il rapper tentò di sottrarsi al fuoco scappando sul sedile posteriore attraverso il varco tra i due sedili, ma rimase bloccato dalla cintura di sicurezza e fu colpito al petto, all'addome e a una mano. Anche Suge rimase colpito, ma solo di striscio, alla nuca e non al collo come spesso si legge. I colpi esplosi verso Tupac perforarono la portiera e finestrino e bucarono due delle gomme della BMW. Alcuni poliziotti in bicicletta assistettero alla sparatoria e chiamarono rinforzi oltre al soccorso medico.

La Cadillac sparì nel traffico svoltando a destra su Koval Lane, Frank Alexander scese dall'auto per avvicinarsi a quella di Knight pensando che entrambi i passeggeri fossero morti vista la moltitudine di colpi esplosi, ma Suge, nonostante fosse stato colpito e nonostante le condizioni dell'auto gravemente danneggiata, fece un'inversione a U e tornò sul Las Vegas Boulevard in direzione dell'ospedale. Alexander tornò in macchina e fece la stessa manovra di Suge per seguirlo. L'auto di Suge, che nel frattempo aveva colpito un cordolo spartitraffico e aveva una terza gomma bucata, si fermò all'incrocio tra il Las Vegas Boulevard e Harmon Avenue. Nell'immagine accanto è mostrato il tragitto percorso dalla BMW di Suge dopo la sparatoria, il punto della sparatoria è cerchiato in azzurro, il punto dell'arresto del veicolo è cerchiato in rosso.

La polizia nella confusione del momento pensò che Knight fosse uno degli aggressori e lo costrinse a sdraiarsi a terra con la faccia in giù nonostante stesse sanguinando. Alexander arrivò circa un minuto dopo e dopo essersi identificato come una delle guardie del corpo spiegò alla polizia che Knight era una delle vittime e non un aggressore. La polizia concesse a Suge di rialzarsi e tentò quindi di aprire la portiera dell'auto per far scendere Tupac ma, forse per la deformazione dovuta ai colpi, la portiera non si aprì e fu proprio Suge con la forza che riuscì ad aprirla. Knight e Alexander trassero Tupac, ancora cosciente, dall'auto e lo stesero sull'asfalto. Poco dopo fu caricato sull'ambulanza e portato all'ospedale. Solo a Suge fu concesso di salire in ambulanza con Tupac. "I'm dying, man" disse il rapper al suo produttore. Purtroppo aveva ragione, Tupac Shakur morì per emorragia interna dovuta a colpi di arma da fuoco il 13 settembre del 1996.

Dalla morte di Tupac sono scaturite innumerevoli teorie del complotto, la più celebre delle quali vuole che la sparatoria sia stata una messinscena organizzata dallo stesso Tupac per fingere la propria morte e nascondersi da qualche parte, non si capisce bene a che scopo. In rete si possono facilmente trovare le 18 argomentazioni del leader dei Public Enemy Chuck D secondo cui Tupac sarebbe ancora vivo. Francamente gli argomenti sono talmente assurdi e risibili da non meritare considerazione. Chuck D immagina scenari in cui la polizia, i paramedici e tutti i passanti sarebbero parte di un'immensa cospirazione di cui nessuno ha ancora capito lo scopo. A Chuck D ha già risposto adeguatamente il giornalista Jordan Pelaez e non intendiamo affrontare l'argomento anche noi.

Una teoria un po' meno assurda vuole che il mandante dell'omicidio sia lo stesso Suge spinto dal fatto che Tupac voleva lasciare la Death Row. Anche questa ipotesi è comunque molto fantasiosa ed è sostenuta solo dai teorici del complotto: né la polizia, né Frank Alexander hanno mai sostenuto nulla del genere. Questa teoria è spesso riproposta per il fatto che nell'intro del primo disco postumo di Tupac, intitolato The Seven Days Theory - The Don Killuminati e inciso con lo pseudonimo di Makaveli, si sente una voce, da molti attribuita a Tupac, dire qualcosa che sembra "Suge shot me". Premesso che non è chiaro a nessuno come Tupac avrebbe potuto incidere questo verso da morto, e premesso anche che questo stesso disco è stato prodotto proprio da Suge Knight, la teoria è completamente infondata perché quel breve verso e il rumore di fondo che si sente al contempo sono un campionamento dal video Da Funk dei Daft Punk uscito l'anno prima (la frase è presente solo nel video dei Daft Punk, non sul CD) e a un ascolto più attento si capisce che dice tutt'altro. Non è chiarissimo ma la versione più probabile è che in realtà la frase dica "Shoulda shot me".

In realtà basta anche il buon senso a capire che è completamente folle l'idea di commissionare l'omicidio di qualcuno che è seduto in auto accanto a sé, non a caso Suge è rimasto ferito. Se avesse voluto davvero architettare la morte di Tupac avrebbe potuto anche trovare una scusa qualunque per scendere dall'auto o fare in modo che lo sparatore si trovasse frontalmente rispetto all'auto anziché lateralmente, in modo da non rischiare di rimanere ferito o ucciso.

Un'altra teoria piuttosto nota vorrebbe che l'omicidio sia stato materialmente compiuto dai Crips e commissionato dal rapper Notorious B.I.G. che sarebbe morto sei mesi dopo in circostanze analoghe a Los Angeles. Ma anche questa è solo una chiacchiera giornalistica senza alcun sostegno fattuale.

Solo due mesi dopo, il 10 novembre, uno dei testimoni chiave, il rapper Yaki Kadafi che era seduto accanto ad Alexander, è stato ucciso con un colpo di pistola sparato accidentalmente da un amico. Tutt'oggi questa sembra solo una tragica fatalità e non ci sono elementi fattuali che colleghino i due omicidi.

A distanza di quasi vent'anni l'omicidio di Tupac Shakur è ancora insoluto e probabilmente lo resterà per sempre visto che nel 2013 anche Frank Alexander (foto accanto) è morto per un colpo di pistola autoinflitto. Ora anche l'ultimo testimone chiave non potrà più dare il proprio contributo nel dipanare la matassa della morta di Tupac.

Le fonti che abbiamo usato per la nostra ricerca sono i libri The Killing of Tupac Shakur di Cathy Scott, Suge Knight di Jake Brown e Got Your Back di Frank Alexander, i documentari Tupac Shakur Before I Wake e Famous Crime Scene: Tupac Shakur e gli articoli di giornale New Theories Stir Speculation On Rap Deaths di John Leland, Who Killed Tupac Shakur? di Chuck Philips, To Die Like A Gangsta, Witness to Rapper's Killing Is Shot to Death e Frank Alexander, Tupac Shakur's Former Bodyguard, Found Dead

mercoledì 20 maggio 2015

Ngozi Family - 45,000 Volts

Gli Ngozi Family sono uno dei gruppi più rappresentativi del cosiddetto zamrock, il movimento rock nato in Zambia negli anni 70. A dispetto del nome il gruppo fondato da Paul Ngozi non è composto da una famiglia, ma i quattro membri non sono in alcun modo legati da parentela. Del resto Ngozi non è nemmeno il vero cognome del cantante, deceduto nel 1989, che si chiamava in realtà Paul Dobson Nyirongo e il suo cognome d'arte Ngozi significa "pericolo" in lingua chichewa.

45,000 Volts, uscito nel 1977, è il loro album più celebre composto da 10 tracce che rappresentano benissimo il movimento zamrock nella sua interezza mischiando le caratteristiche tipiche del rock psichedelico di quel periodo con sonorità tipicamente nere prese dal funk e in parte anche dal reggae.

In ciascun brano il ritmo è imposto con forza dalla chitarra suonata proprio da Paul, che apre tutte le 10 tracce, a cui si sommano gli strumenti suonati dagli altri musicisti e la voce dello stesso Paul. Tra i brani spiccano l'allegra Atate (che significa "padre" in chichewa), che aggiunge sonorità caraibiche a quelle tipiche dello zamrock, e l'onirica e inquietante Night of Fear.

Come si evince chiaramente anche solo guardando la copertina (quella originale è all'inizio dell'articolo, qui a fianco quella della ristampa kenyota) i mezzi con cui è stato realizzato questo disco sono decisamente poveri e la qualità della registrazione ne risente. Gli unici suoni aggiunti in fase di post produzione sono gli echi di Night of Fear, per il resto l'intero disco è registrato in presa diretta. Va notato che questa limitazione è tipica degli Ngozi Family, ma non di tutta l'industria dello zamrock, altri musicisti come ad esempio Rikki Ililonga hanno prodotto musica di qualità indistinguibile da quella americana o europea.

Questo album non è certo un capolavoro, tra l'inglese approssimativo di Paul Ngozi e la qualità della registrazione, ma resta un esempio interessante di come i musicisti africani abbiano saputo mischiare la musica nera con la psichedelia. Non entrerà negli annali del rock, ma sicuramente merita più di un ascolto.

giovedì 14 maggio 2015

Le ultime 24 ore di Jimi Hendrix

Jimi Hendrix è un'icona mondiale della musica e la leggenda incontrastata del rock psichedelico: e su questo non ci sono dubbi. Ma al contrario sulle ultime ore della sua vita di dubbi ce ne sono parecchi e quanto accadde è ancora oggi, a 45 anni di distanza, oggetto di racconti contrastanti molto fumosi

Hendrix morì il 18 settembre del 1970 in un appartamento del Samarkand Hotel, al numero 22 di Lansdowne Crescent nel quartiere londinese di Notting Hill, preso in affitto dalla pattinatrice tedesca Monika Dannemann, la donna che Hendrix frequentava durante l'ultimo periodo della sua vita.

Intorno alle 15 del giorno precedente i due uscirono insieme dall'appartamento di Monika perché avevano necessità di prelevare dei soldi in banca. Quindi proseguirono verso il quartiere di Kennington dove Jimi acquistò una giacca di pelle e ordinò un paio di scarpe con delle decorazioni particolari fatte apposta per lui. Lì incontrò anche la sua ex ragazza Kathy Etchingham che Jimi invitò ad andare a trovarlo intorno alle 20 di quella sera, ma la ragazza declinò. Quindi la coppia si spostò al mercato di Chelsea dove il cantante comprò altri vestiti e della carta da lettere che avrebbe usato per scrivere i testi di alcune canzoni nuove. Ripresero quindi l'automobile per spostarsi al Cumberland Hotel dove Hendrix aveva una suite. Durante il tragitto incontrarono Devon Wilson, altra fiamma di Jimi che pochi giorni prima aveva manifestato al cantate la sua gelosia per il fatto che questi frequentasse altre donne, che camminava lungo King's Road; il cantante chiese a Monika di fermare l'auto per potersi fermare a parlare con Devon. Monika acconsentì riluttante mostrandosi gelosa e durante la breve conversazione lanciò alcune occhiate rabbiose a Devon. Quest'ultima invitò Jimi a una festa a casa di Pete Cameron, socio in affari di Hendrix, per quella sera.

Poco dopo, mentre l'auto di Monika e Jimi si dirigeva al Cumberland Hotel fu affiancata nella zona di Marble Arch dalla Mustang di Phillip Harvey, figlio di un Lord del Parlamento inglese, che si trovava in compagnia di due amiche. Philipp lo invitò a casa sua per un the, Jimi accettò dicendo che prima doveva passare dall'albergo per ritirare alcuni messaggi.

Nella suite Hendrix fece e ricevette numerose telefonate. Quindi dopo la sosta in albergo, verso le 17:30, Jimi e Monika andarono all'appartamento di Harvey trovandolo ancora insieme alle due amiche che erano precedentemente in auto con lui; tutti e cinque fumarono hashish e bevvero thè e vino. Intorno alle 22 Monika, ingelosita dalle attenzioni di Jimi per le due ragazze e sentendosi esclusa dalla conversazione, uscì bruscamente dall'appartamento e il cantante la rincorse per le scale. L'alterco tra i due fu molto animato e durò circa mezz'ora durante la quale Harvey si vide costretto a chiedere a entrambi di calmarsi per non attirare l'attenzione del resto del condominio. Harvey dichiarò in seguito che Monika attaccò verbalmente Jimi con molta violenza e che lui stesso temette per l'incolumità del cantante.

Poco dopo i due tornarono all'appartamento di Monika, dove consumarono una cena preparata dalla ragazza e bevvero un'altra bottiglia di vino. Poi, verso le 1:45 Monika accompagnò Jimi alla festa a cui lo aveva invitato Devon, festa alla quale Monika non era stata invitata. Alla festa Jimi discusse animatamente con Pete, il padrone di casa, riguardo ad alcuni problemi economici e assunse almeno una pasticca di anfetamine.

Mezz'ora dopo averlo lasciato, Monika (insieme ad Hendrix nell'immagine a fianco) tornò dove si stava tenendo la festa e suonò al citofono chiedendo di Jimi. Le rispose una delle ospiti, Stella Douglas, che le disse di tornare più tardi; quando Monika tornò 15 minuti dopo Stella le rispose nuovamente in malomodo chiedendole di andarsene. Alla festa era presente anche Angie Burdon, ex moglie del cantante degli Animals Eric Burdon, la quale ricorda che Jimi si lamentava del fatto che Monika non lo lasciasse in pace, alcuni ospiti a quel punto si sporsero dalla finestra per urlarle di andarsene e lasciare che il cantante si divertisse con loro. Ma viste le insistenze di Monika, Jimi uscì a parlarle e poco dopo, intorno alle 3, lasciò la festa per andare via con lei.

Jimi tornò con Monika al Samarkand; il motivò per cui non rientrò al Cumberland è forse nel fatto che una delle sue chitarre era rimasta nella suite della ragazza.

L'unico testimone delle ultime ore di vita di Hendrix è ovviamente Monika Dannemann e da qui in avanti il suo racconto è molto confuso e la donna ha cambiato versione varie volte negli anni.

Dal momento in cui tornarono all'appartamento di Monika, la ragazza preparò due sandwich al tonno di cui Hendrix mangiò solo un boccone, poi intorno alle 4 Jimi le chiese della pastiglie per dormire, forse per via delle anfetamine assunte in precedenza che non lo lasciavano prendere sonno, ma la donna lo convinse a desistere nella speranza che si addormentasse naturalmente. Verso le 6 proprio Monika assunse dei sonniferi e intorno alle 7 entrambi si addormentarono.

Secondo la prima dichiarazione della Dannemann, raccolta dalla polizia nel pomeriggio del 18 settembre, dopo essersi addormentata con in cantante Monika si svegliò alle 11 trovandolo con il volto coperto di vomito che respirava a fatica. La ragazza chiamò l'ambulanza e un attimo dopo notò che dalle sue confezioni mancavano 9 pastiglie di sonnifero.

Quando fu intervistata dagli inquirenti Monika cambiò versione. Disse di essersi svegliata intorno alle 10:20 e di aver trovato Hendrix che dormiva normalmente. Quindi uscì a comprare le sigarette a Portobello Road e al suo ritorno trovò il cantante in stato di incoscienza che non rispondeva ai suoi richiami, Monika provò ripetutamente a svegliarlo e il volto di Jimi si riempì di vomito. A quel punto la donna chiamò l'ambulanza.

L'anno seguente Monika cambiò nuovamente versione, scrisse infatti nel suo testo mai pubblicato With a Little Help From Jimi's Spirit di essersi svegliata alle 10.

Ma le contraddizioni nella versione di Monika non finiscono qui: Eric Burdon raccontò di aver ricevuto una telefonata dalla ragazza alle prime luci dell'alba che gli chiedeva il numero telefonico del medico di Hendrix. Inoltre prima di chiamare l'ambulanza la ragazza telefonò anche a due amiche, Judy Wong e Alvinia Bridges, per far loro la stessa domanda. Monika non menzionò mai nessuna di queste tre telefonate nelle interviste con gli inquirenti.

L'unica cosa certa è che Monika chiamò l'ambulanza alle 11:18 e che questa arrivò alle 11:27. Ciò che successe dopo è ancora una volta poco chiaro. Monika raccontò in ogni occasione di essere stata sull'ambulanza con Hendrix e di averlo accompagnato all'ospedale. Ma i paramedici raccontarono invece agli inquirenti che quando arrivarono nell'appartamento non trovarono nessuno oltre a Hendrix inconscio e che Monika non li seguì all'ospedale. La circostanza fu chiarita definitivamente nel 1992 dal London Ambulance Service in un comunicato ufficiale seguito a un'indagine approfondita.

I paramedici lo trovarono a letto con il volto coperto di vomito. Alle 11:30 arrivò anche la polizia, chiamata dai paramedici, e alle 11:35 l'ambulanza lasciò il Samarkand per portare Hendrix al St Mary Abbot's Hospital dove arrivò alle 11:45 già morto. I medici tentarono di rianimarlo, senza successo, per oltre mezz'ora.

Poco dopo il decesso, un portavoce dell'ospedale dichiarò alla stampa che la causa della morte fosse overdose e la notizia si sparse sui giornali. Al contrario alcuni giorni dopo il coroner, Gavin Thurston, chiarì che la causa della morte fu il soffocamento perché le vie respiratorie di Hendrix erano occluse del suo stesso vomito causato da un'intossicazione da barbiturici. Monika dichiarò che Hendrix aveva assunto a sua insaputa 9 pastiglie per dormire, mentre la dose normale era di mezza pastiglia.

Nel 1992 Kathy Etchingham (insieme ad Hendrix nell'immagine sopra) condusse un'indagine privata sulla morte di Hendrix che la portò alla conclusione che il cantante sarebbe morto nelle prime ore del mattino, e non intorno alle 11, pertanto e che quindi Monika avrebbe atteso molte ore prima di chiamare l'ambulanza. Sulla base di quanto evidenziato da Kathy, Scotland Yard riaprì il caso ma l'indagine non portò a nulla e dopo alcuni mesi fu richiusa anche perché a distanza di oltre vent'anni non sarebbe stata di alcuna utilità

Nel 1996 Monika Dannemann dopo aver perso una causa per diffamazione intentata verso di lei dalla Etchingham si suicidò con il gas di scarico della sua Mercedes portandosi così via per sempre gli ultimi segreti sulla morte di Hendrix.

Nel 2009 il medico che ricevette Hendrix all'ospedale, l'australiano John Bannister, sostenne che la quantità di vino presente nello stomaco e nei polmoni di Hendrix era tale far credere che gli sia stata fatta ingerire con la forza e che quindi è plausibile ritenere che Hendrix sia stato ucciso. Nello stesso anno il tecnico del suono James Wright, che aveva lavorato sia con Hendrix che con gli Animals, pubblicò un libro in cui asserì che il manager di Jimi, Mike Jeffery, gli avrebbe confessato di aver volontariamente ucciso in cantante proprio secondo le modalità descritte da Bannister al fine di incassare i soldi dell'assicurazione. Jeffery non poté smentire perché era morto nel 1973, ma Bob Levine, manager di Jimi per gli Stati Uniti, smentì quanto asserito da Wright sostenendo che si sia trattata solo di una trovata commerciale per vendere il libro.

Oltre alle smentite di Levine, anche il buon senso suggerisce che le cose non sono andate come sostanuto da Bannister e Wright. Anzitutto va notato che Bannister non è da ritenersi una fonte attendibile in quanto nel 1992 è stato radiato dall'ordine dei medici Australiani per condotta fraudolenta: non un buon curriculum per chi vuole essere testimone chiave di un omicidio. Inoltre Bannister trattò Hendrix al Pronto Soccorso, ma una quantità di vino ingerita sospetta avrebbe dovuto essere rilevata dal medico legale, che invece non ravvisò alcuna stranezza. Inoltre come metodo di omicidio il soffocamento con il vomito ci sembra un po' bizzarro: come avrebbero potuto gli aspiranti assassini prevedere che il vomito gli avrebbe occluso le vie respiratorie?

Le stranezze nella versione di Bannister e Wright non finiscono qui.

Hendrix era giovane e in salute e se avesse subito un tentativo di omicidio avrebbe quantomeno tentato una difesa, ma nei rapporti medici non sono menzionati segni di colluttazione.

Inoltre se Monika fossa stata parte di un complotto per eliminare Hendrix, e non è possibile immaginare una cospirazione in questo senso che non includa Monika, la ragazza avrebbe dovuto spingere Hendrix a passare la notte al Cumberland da cui avrebbe potuto fuggire senza il fardello di doversi liberare del cadavere. In ultimo la motivazione che avrebbe spinto il manager è veramente risibile: Hendrix gli sarebbe stato molto più utile e remunerativo da vivo, con la possibilità di fare dischi e concerti, che non da morto.

Con questo non vogliamo dire che non ci siano misteri in questa storia ma come in ogni morte illustre anche in questo caso le teorie del complotto appaiono fantasiose e poco fondate. Ancora non si spiega comunque perché Monika abbia cambiato versione così tante volte, ma purtroppo con la morte della donna questi misteri resteranno per sempre con lei nella tomba. Forse semplicemente aveva scarsa memoria, offuscata ancora di più dalle droghe e dallo shock.

Oltre agli articoli menzionati sopra, le fonti che abbiamo utilizzato sono i libri Jimi Hendrix: The Final Days di Tony Brown, Cross, Room Full of Mirrors: A Biography of Jimi Hendrix di Charles R. Cross e Jimi Hendrix: The Ultimate Experience di Johnny Black e il documentario Jimi Hendrix: The Last 24 Hours

venerdì 8 maggio 2015

Ringo Starr - Postcards From Paradise

Ciò che ha sempre distinto i Beatles dalla maggioranza degli altri gruppi di ogni epoca è che i Fab Four erano quattro geni della musica mentre molte altre band sono formate da alcuni musicisti di livello e da comprimari che completano la formazione. Infatti, una volta sciolto il gruppo, ciascuno dei quattro di Liverpool è stato capace di avviare una carriera solista di ottimo livello.

E se c'è una cosa che di certo non può essere rimproverata a Ringo Starr è di essere poco produttivo: l'ex-batterista dei Beatles infatti pubblica tuttora un album ogni pochi anni e a quasi 75 anni ha da poco dato alle stampe il suo nuovo lavoro intitolato Postcards From Paradise. La prima cosa che si nota prima ancora di ascoltare il CD è che rispetto agli ultimi lavori di Ringo la durata è aumentata così come il numero dei brani; se Y Not e Ringo 2012 si assestavano intorno ai 30 minuti, con Postcards From Paradise siamo a 48 minuti. Ancora pochi nell'era della musica digitale, ma tutto sommato accettabile.

L'album parte alla grande con un brano autobiografico molto veloce e divertente intitolato Rory and the Hurricanes in cui Ringo ricorda quando suonava nella band di Rory Storm prima di approdare ai Beatles; il ritornello del brano, con controcanto di voci femminili, è di grande effetto e molto trascinante.

Il resto del disco rimane su alti livelli qualitativi e su atmosfere divertenti. Un buon numero di brani (Bridges, Right Side of the Road, Bamboula e Island in the Sun) ha forti sonorità reggae e caraibiche che danno un tocco di varietà all'album. Del resto già dai tempi di Ob-La-Di Ob-La-Da i quattro di Liverpool hanno dimostrato di essere attenti alle sonorità esotiche provenienti da terre lontane che comunque in Inghilterra sono ben radicate (basti pensare che il Regno Unito è il secondo produttore mondiale di musica reggae dopo la Giamaica, che per secoli ne è stata una colonia).

L'album si chiude così come è iniziato: con brani veloci e chiaramente festaioli, come Touch and Go e Let Love Lead, quest'ultimo caratterizzato da una bella mistura di assoli di chitarra e cori. Tra i due si trova Confirmation che porta anche un po' di rock blues in questo album.

Per tutte le 11 tracce la voce di Ringo sembra proprio che non abbia subito alcun calo dai tempi di Octopus's Garden o Yellow Submarine, e ciò che veramente stupisce è che questo disco è molto migliore dei suoi precedenti lavori, che comunque erano più che buoni, sia in termini di qualità che di varietà dei suoni offerti.

Del resto Ringo Starr è un mito, uno dei migliori musicisti della storia e anche se si trova a metà strada tra i settanta e gli ottanta anni resta uno degli artisti più creativi del panorama musicale che ha ancora molto da insegnare a tanti suoi colleghi di ogni età.

sabato 2 maggio 2015

Héroes del Silencio: gli eroi del rock iberico

Gli Héroes del Silencio nacquero a Saragozza nel primi anni '80. I fratelli Pietro e Juan Valdivia fondarono insieme al cugino Javier un gruppo rock che inizialmente si chiamò Zumo de Vidrio, ma la formazione iniziale durò poco. Il gruppo conobbe Enrique Ortiz de Landazuri (che poco dopo avrebbe iniziato a usare il nome d'arte Enrique Bunbury prendendo il cognome da uno dei personaggi della commedia di William Shakespeare L'importanza di chiamarsi Ernesto) che dapprima avrebbe dovuto entrare nella band come bassista, ma dopo l'abbandono di Javier prese il posto del cantante. Nel gruppo entrarono quindi anche Joaqun Cardiel, come bassista, e Pedru Andreu che andò a sostituire Pedro Valdivia come batterista.

La nuova formazione cambiò il nome in Héroes del Silencio, tratto dal titolo di una delle canzoni già scritte, e durante un'esibizione dal vivo fu notata dal chitarrista del gruppo disco Olé Olé Gustavo Montesano che li mise in contatto con la EMI per la registrazione di un EP. L'accordo con la EMI fu che se l'EP avesse venduto almeno 5000 copie, il gruppo avrebbe potuto registrare un intero LP.

Il primo EP uscì nel 1987 e si intitolò Héroe de leyenda; vendette in breve tempo 30.000 copie e aprì le porte agli Héroes del Silencio per la registrazione del primo album nel 1988 dal titolo El mar no cesa. L'album si distinte per il suono singolare della band che mischiava una forte sezione ritmica con ricchi arpeggi di chitarra a unire suoni hard rock con una vena latina e mediterranea tipica spagnola. Il disco contiene alcuni capolavori, come No mas lascrimas e Flor venenosa, che resteranno tra i migliori brani di sempre della band. L'album raggiunse quota 150.000 copie che per una band esordiente è un ottimo risultato.

Il secondo album degli Héroes del Silencio intitolato Senderos de traiciòn uscì nel 1990. In questo secondo disco, pur continuando sulla strada intrapresa dal primo, il suono inizia a farsi leggermente più duro e tra i brani si trova Entre dos tierras che rimarrà per sempre il loro più grande successo. L'album vendette in due settimana 400.000 copie e visto il successo conseguito in patria il gruppo fu invitato a partecipare a Berlino al concerto Rock Against Racism che consentì loro finalmente di raccogliere interesse anche al di fuori dei confini spagnoli. Negli stessi mesi uscì l'album live Senda 91 registrato durante il tour seguito all'uscita del secondo album.

Nel 1992 gli Héroes del Silencio raccolsero consensi anche in Italia dove furono invitati a partecipare al Festivalbar proprio con Entre dos tierras che finì anche nella compilation della rassegna musicale di quell'anno.

Nel 1993 vide la luce anche il terzo album del gruppo intitolato El espiritu del vino in cui la band vira ancora con più decisione verso l'hard rock. Per registrare l'album la band si avvalse della collaborazione del tastierista Copi Corellano e per la prima volta incise con cinque elementi. L'album contiene altri capolavori come El camino del exceso, brano hard rock molto potente e veloce, e Bendecida e Bendecida 2 dedicate a Bendetta Mazzini, figlia della cantante Mina, che al tempo era sentimentalmente legata al cantante Enrique e che in seguito si sarebbe legata anche al rapper J-Ax. "Bendecida", infatti, significa proprio "benedetta" in spagnolo.

L'album raggiunse le 600.000 copie e portò il gruppo a un tour di 134 date. Dopo un periodo di pausa, nel primi mesi del 1995 il gruppo tornò in studio, questa volta a Los Angeles e non più in Spagna, per registrare il quarto album intitolata Avalancha e prodotto da Bob Ezrin, già produttore tra gli altri di Alice Cooper e Kiss. Il disco prosegue sulla scia del precedente e contiene altri brani storici come la title-track e La chispa adecuada (Bendecida 3), dedicata ancora a Benedetta Mazzini.

Dopo la pubblicazione dell'album, che non raggiunse il successo dei precedenti fermandosi a 200.000 copie, il gruppo intraprese un tour che li portò per la prima volta a esibirsi dal vivo in Nord America. Nel 1996 la band pubblicò anche un doppio album dal vivo, registrato per metà a Madrid e per meta a Saragozza, intitolato Parasiempre ma a dispetto del titolo fu l'ultimo lavoro realizzato dal gruppo che nel giro di poco si sciolse a causa di dissapori interni.

Nonostante di fatto gli Héroes non esistessero più, la EMI nel 1998 pubblicò l'album Rarezas contenete alcuni b-side, alcune versione inedite di brani precedentemente pubblicati e qualche pezzo nuovo. Il disco in realtà è piuttosto scadente. Dopo lo scioglimento della band Enrique Bunbury intraprese una carriera solista in cui rinunciò completamente al rock per virare verso un etnofolk cantautorale.

Nel 2007 la band si riunì per un tour in Spagna e America al termine del quale si sciolse di nuovo senza pubblicare nulla di inedito.

La fama degli Héroes del Silencio in Italia è penalizzata dall'essere troppo spesso tacciati di aver copiato i nostrani Litfiba per via di alcune sonorità simili. Effettivamente il cantato di Enrique è molto simile a quello di Piero Pelù, ma questo non implica che uno abbia copiato l'altro: si tratta semplicemente di due cantanti latini, coevi e dallo stile simile che si ispirano ad alcuni modelli, ad esempio David Bowie, in comune. Ed effettivamente alcuni brani dei Litfiba hanno sonorità mediterranee che si possono accostare a quelle degli Héroes, ad esempio Il volo, Woda woda o Cangaceiro; ma le similitudini tra i due gruppi finiscono qui. I Litfiba hanno spaziato musicalmente più degli Héroes passando dalla new wave, all'hard rock, al disco pop; mentre gli iberici sono sempre rimasti fedeli al modello iniziale. Inoltre le tematiche toccate sono notevolmente diverse: mentre i Litfiba cantano spesso di politica e problemi sociali, gli Héroes trattano temi intimistici.

In ultimo, spesso si legge in rete che gli Héroes del Silencio abbiano tratto il proprio nome da due brani dei Litfiba: Eroi nel vento e Re del silenzio. Ma Eroi nel vento è uscita lo stesso anno in cui il gruppo spagnolo ha assunto il suo nome finale, e Re del silenzio ben due anni dopo. Inoltre, come scritto prima, gli Héroes del Silencio trassero il loro nome da una canzone scritta quando ancora si chiamavano Zumo de Vidrio e che fu poi reintitolata Héroe de leyenda.

Semplicemente, in sintesi, si tratta di due grandi gruppi: ma nessuno dei due ha copiato dall'altro.

E' un vero peccato che la carriera degli Hèroes del Silencio sia durata così poco perché nonostante abbiano inciso solo quattro album sono uno dei pochi gruppi rock non anglofoni che possano competere con le leggende angloamericane. Ma forse vista la qualità della loro musica si può per una volta invertire il discorso e constatare che sono pochi i gruppi blasonati che possono reggere il confronto con gli iberici Héroes.