martedì 23 giugno 2020

Imperial Age - The Legacy of Atlantis

The Legacy of Atlantis
del 2018 è il secondo album dei moscoviti Imperial Age, uscito sei anni dopo il precedente Turn the Sun Off! e a due anni di distanza dall’EP Warrior Race. L’album è composto da nove tracce che costituiscono una vera e propria metal opera che narra, attraverso il racconto di vari personaggi, di un mago proveniente dall’antica e avanzatissima società di Atlantide che rinasce nell’Europa medievale.

Anche in questo disco, come nei precedenti, la musica degli Imperial Age è contraddistinta da sonorità maestose e magniloquenti e la forza di questo gruppo sono le voci dei tre vocalist, tutti con impostazione operistica: il tenore Alexander “Aor” Osipov, il soprano Anna “Kiara” Moiseeva e il mezzo-soprano Jane “Corn” Odintsova (che nei dischi precedenti suonava anche le tastiere). Nel disco il gruppo si avvale anche del coro del Conservatorio Statale di Mosca Pëtr Il'ič Čajkovskij che conferisce uno stile operistico all’album. Il risultato di questa commistione sonora è un symphonic metal di ottimo impatto sonoro, che colpisce già al primo ascolto e che non ha bisogno di molti passaggi prima di essere apprezzato.

Trattandosi di una metal opera è difficile individuare pezzi migliori di altri, perché il suono del disco è monolitico e non si presta a essere diviso. In ogni caso la title track spicca sicuramente sia dal punto di vista musicale sia da quello canoro, con i tre vocalist e il coro che regalano la loro prova migliore. Degni di nota sono anche Domini Canes, che in un ponte contiene un estratto del Credo di Nicea, e The Escape, che presenta sonorità un po’ diverse, più leggere ed elettroniche.

The Legacy of Atlantis è in sintesi un capolavoro del symphonic metal, che mette in campo tre voci straordinarie in una mescolanza di musica classica, lirica e metal che creano una sintesi perfetta di cose apparentemente diverse. Il disco in sé è ottimo dall'inizio alla fine ed è un'ottima scoperta per chi non conosce questo singolare sestetto, e conferma anche che giunti alla loro terza prova in studio gli Imperial Age sono una delle migliori e più interessanti realtà del panorama del symphonic metal mondiale.

mercoledì 10 giugno 2020

Chi sono i primi iscritti al Club 27?

Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin e Kurt Cobain hanno una caratteristica in comune, oltre all’essere musicisti fondamentali della storia recente: sono morti a 27 anni. La lista di cantanti o strumentisti deceduti a tale età è talmente lunga che è stato coniato appositamente un termine per definirla, sono infatti noti come il Club 27 e questo atipico circolo contiene molti altri celeberrimi nomi come Brian Jones, Amy Winehouse e Kristen Pfaff.


Di norma si ritiene che il primo iscritto al Club 27 sia il leggendario chitarrista blues Robert Johnson, la cui vita è avvolta nel mistero sotto molti aspetti, ma in realtà prima di lui altri due musicisti morirono a 27 anni.

Il primo di loro è il pianista e compositore brasiliano Alexandre Levy, nato a San Paolo il 10 novembre del 1864 e morto nella stessa città il 17 gennaio del 1892. Alexandre era figlio del clarinettista francese Louis Levy, fondatore dell’azienda produttrice di pianoforti Casa Levy tuttora attiva in Brasile. Levy iniziò a studiare pianoforte a otto anni e pubblicò la sua prima opera nel 1880. Nel 1883 divenne direttore del Club Haydn, importante associazione musicale della città di San Paolo, e nel 1887 viaggiò in Europa per degli studi. Tornato in Brasile svolse anche l’attività di critico musicale scrivendo sui giornali Província de São Paulo e Correio Paulistano. La musica di Alexander Levy è caratterizzata da una forte impronta nazionalista, e mischia la musica da camera con il folk brasiliano. L’uomo morì a 27 anni nella sua città natale improvvisamente, le cause della morte sono tuttora sconosciute.

Il secondo iscritto al Club 27, dopo Levy e prima di Robert Johnson, è il pianista ragtime Louis Chauvin, nato a Saint Louis, nel Missouri, il 13 marzo del 1881; il padre era di origine mista messicana e indiana, mentre la madre era afroamericana. Nella sua vita ha pubblicato solo tre composizioni: The Moon is Shining in the Skies nel 1903, Babe, It’s Too Long Off nel 1906 e Heliotrope Bouquet nel 1907 insieme a Scott Joplin, autore del celeberrimo The Entertainer, utilizzata nel 1973 nella colonna sonora del film La Stangata. Chauvin morì a Chicago il 26 marzo del 1908. Secondo il certificato di morte sarebbe deceduto per sclerosi multipla, probabilmente sifilitica; tuttavia secondo quanto riportato nel volume Jazz and Death: Medical Profiles of Jazz Greats di Frederick Spencer oggi la causa della morte verrebbe identificata in sclerosi neurosifilitica, senza legami alla sclerosi multipla.

Dal 1908 ad oggi la lista degli iscritti al Club 27 conta innumerevoli musicisti, morti troppo presto. Al momento il più recente è il rapper Fredo Santana, scomparso nel gennaio del 2018 per problemi cardiaci. Ovviamente ogni membro del Club 27 è una drammatica morte prematura e non resta da augurarsi che la lista non si allunghi mai più.

martedì 2 giugno 2020

Stevie Wonder - Songs in the Key of Life

Il doppio album Songs in the Key of Life del 1976 occupa un posto di rilievo nella lunga discografia di Stevie Wonder, in quanto rappresenta il culmine del periodo classico delle sue produzioni; molto prima del successo commerciale di album come Hotter than July o The Woman in Red.

In Songs in the Key of Life il musicista di Detroit esplora tutti i generi della black music, passando dal soul, al funk, al gospel e al jazz, dimostrando di saperli interpretare tutti con grande maestria. Il disco contiene alcuni dei suoi più grandi capolavori, come Isn't She Lovely?, dedicata alla figlia Aisha, Love's in Need of Love Today, I Wish e Sir Duke. Oltre a questi pezzi più classici e noti, Wonder si lancia in una sperimentazione musicale in cui mischia sonorità elettroniche con la black music con l'aggiunta di strumenti etnici ispirati alla musica africana in pezzi come Black Man e Ngicuela -Es Una Historia - I Am Singing, la cui prima strofa è in zulu, la seconda in spagnolo e la terza in inglese.

Oltre ai testi spensierati che parlano di amore e famiglia, il disco contiene alcune tracce di denuncia sociale che parlano delle condizioni di vita degli afroamericani nelle metropoli, come la già citata Black Man e Village Ghetto Land. Inoltre, anche la pur gioiosa I Wish contiene un testo che parla di povertà e scarsità di mezzi economici.

Ciò che stupisce maggiormente di questo album è come le sonorità che Stevie Wonder riusciva a realizzare nel 1976 fossero decenni avanti rispetto alla musica mainstream del periodo; infatti di moltissimi pezzi di questo album sono state realizzate cover che hanno lasciato la musica originale pressoché inalterata e molti altri sono stati utilizzati come campioni per pezzi hip-hop degli anni successivi. Nel 1990 gli A Tribe Called Quest usarono un campione di Sir Duke nella loro Footprints e cinque anni dopo Coolio realizzò la celeberrima Gangsta's Paradise con un campione di Pastime Paradise, tratta proprio da questo album. Inoltre nell'estate del 1999 ben due canzoni di questo album furono portate in classifica da altrettanti artisti di livello internazionale: Will Smith utilizzò I Wish per la sua Wild Wild West e George Michael realizzò una cover di As insieme a Mary J. Blige.

Il motivo per cui Wonder ha pubblicato questo album come doppio è fin troppo ovvio: non bastava un disco solo per contenere tutta la creatività di questo straordinario musicista. Del resto alcuni outtakes sono stati pubblicati su un EP a parte intitolato Something Extra, le cui quattro tracce attualmente sono stampate su tutte le edizioni in CD.

Songs in the Key of Life è in sintesi un capolavoro, non del soul ma della musica di ogni genere, Ma è solo una delle stelle della fantastica galassia costituita dalla discografia di Stevie Wonder.