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martedì 14 marzo 2023

Ly-O-Lay Ale Loya: il presunto canto new age dei nativi americani rubato alla popolazione sami


Gli anni 90 furono l'epoca d'oro della musica new age, grazie a gruppi prodotti principalmente in Europa come i Deep Forest, con la loro Sweet Lullaby del 1992, o gli Enigma che nei primi anni del decennio assestarono due importanti successi con Sadness e Return to Innocence. L'importanza della new age in quel periodo fu tale che molti altri generi musicali ne vennero contaminati, ad esempio la cantante irlandese Enya creò un'inedita mescolanza tra musica celtica e new age e verso la fine del decennio nacque anche un crossover tra new age e canto gregoriano con i tedeschi Gregorian, che reinterpretavano nel loro inedito stile alcuni dei pezzi rock e pop più famosi degli ultimi decenni. Anche Mike Oldfield, precursore di questo genere già da due decenni prima, in quel periodo si avvicinò a sonorità simili a quelle degli Enigma con l'album The Songs of Distant Earth.

All'interno del movimento new age di quel periodo nacque anche un progetto tedesco, prodotto nei Paesi Bassi, chiamato Sacred Spirit il cui primo album Chants and Dances of the Native Americans del 1994 voleva essere una raccolta di reinterpretazioni di canti dei nativi americani. Il disco, edito dalla Virgin Records, fu pubblicato in Italia con il titolo Indiani e conteneva il brano The Counterclockwise Circle Dance (Ly-O-Lay Ale Loya) che divenne celebre qualche anno dopo quando venne usata in uno spot della bevanda energetica Gatorade che narrava l'apologo africano del leone e della gazzella (evidentemente gli autori non si chiesero cosa c'entrassero i nativi americani con l'Africa).

Il pezzo ebbe notevole successo e per anni venne considerato il più iconico canto dei nativi americani, venne inserito nella compilation del 2004 Indiani Platinum Collection, edita anch'essa dalla Virgin, e in altre raccolte che lo indicavano come un canto dei Navajo. Tuttavia tredici anni dopo si scoprì che il vocalizzo era un vero e proprio furto e che non apparteneva alla tradizione dei nativi americani. Nel 2007 emerse infatti che la registrazione della linea vocale veniva da una trasmissione televisiva olandese in cui un ospite eseguì uno joik (cioè un canto tradizionale) dei sami (popolazione del nord della Scandinavia, spesso definiti in italiano lapponi) intitolato Normo Jovnna. Nonostante Channel 4, il canale televisivo olandese presso cui avvenne l'esibizione, neghi di aver venduto alla Virgin la registrazione, questa finì in qualche modo alla casa discografica che la usò per il disco. Non è ad oggi possibile verificare l'esistenza della registrazione che sarebbe stata rubata, ma che Ly-O-Lay Ale Loya non sia un canto dei nativi americani ma del popolo sami è facilmente riscontrabile perché su YouTube esistono varie versioni di Normo Jovnna e il vocalizzo è proprio lo stesso di quello di Ly-O-Lay Ale Loya.

Curiosamente quello dei Sacred Spirit non è l'unico caso di new age etnico la cui parte cantata è stata usata illecitamente, la già citata Sweet Lullaby dei Deep Forest contiene infatti una registrazione di un canto delle Isole Salomone usato senza autorizzazione.

Una volta scoperto il furto, l'organizzazione Sámikopiija, che si occupa della difesa dei diritti d'autore dei sami, ha chiesto alla Virgin il riconoscimento delle royalties per Ly-O-Lay Ale Loya; per ora non ha avuto successo e difficilmente, visto il tempo trascorso, ne avrà mai.

martedì 12 maggio 2020

La discografia degli Eagles successiva alla reunion del 1994

Gli Eagles sono una delle band più influenti degli anni 70, alcune delle loro hit come Hotel California e Tequila Sunrise sono classici senza tempo del rock e il sound della band, con le sue sonorità country rock e i cori polifonici, è tra i più riconoscibili della musica di ogni genere.

Gli Eagles interruppero l'attività nel 1980 dopo la pubblicazione del live Eagles Live e negli anni seguenti Don Henley affermò varie volte che la band si sarebbe riunita solo quando l'inferno fosse congelato. Nonostante l'evento fosse quindi ritenuto estremamente improbabile, la band si riunì davvero a metà degli anni 90, con la stessa formazione a cinque che aveva realizzato The Long Run nel 1979, e l'album frutto della reunion si intitola proprio Hell Freezes Over. Il disco contiene un live registrato nell'aprile del 1994 per uno speciale su MTV più quattro inediti: tre ballad quali The Girl From Yesterday, Love Will Keep Us Alive e Learn To Be Still, e un solo unico pezzo veloce intitolato Get Over It che rappresenta uno dei brani più energici che la band abbia mai realizzato. Nel live che compone il resto del disco la band reinterpreta undici dei propri pezzi storici, tra cui una versione acustica di Hotel California con percussioni latine che è stata pubblicata anche in singolo. La versione in DVD di Hell Freezes Over include anche i quattro inediti in versione live, oltre a tre tracce aggiuntive quali Help Me Through the Night di Joe Walsh, The Heart of the Matter di Don Henley e una versione rimasterizzata di Seven Bridges Road di Steve Young tratta da Eagles Live.

Nel 2003, dopo l'uscita dal gruppo del chitarrista Don Felder, la band ha pubblicato la compilation The Very Best Of che contiene trentadue tracce storiche tratte dagli album precedenti più l'inedito Hole in the World dedicato agli attentati dell'11 settembre 2001.

Nel 2007, a tredici anni dalla reunion, la band ha inciso quello che finora resta l'unico album in studio successivo alla reunion intitolato Long Road Out of Eden. L'album è composto da venti tracce su due dischi, tutte di alto livello al punto che viene da pensare che con il materiale pubblicato avrebbero potuto realizzare due album.

Il disco ha esattamente le sonorità che ci si aspettano da un progetto del genere, che riprende gli stilemi del passato con brani melodici e ricchi cori eseguiti da tutti i membri del gruppo che spesso fanno quattro voci diverse. Dall'album sono stati estratti cinque singoli, quali How Long (cover dell'omonimo brano di J.D. Souther dal suo primo album del 1971), Busy Being Fabulous, No More Cloudy Days, What Do I Do With My Heart, e I Don't Want to Hear Anymore.

Tra le tracce del disco spiccano anche Center of the Universe caratterizzata da un ritmo ispirato alla musica mariachi e Last Good Time in Town dalle sonorità vagamente caraibiche; la scelta stupisce solo in parte perché anche Hotel California ha influenze messicane e caraibiche al punto che nella versione demo era intitolata Mexican Reggae.

Da allora la band ha intrapreso vari tour e concerti, ma a seguito della morte di Glen Frey nel 2016 sicuramente non inciderà null'altro di inedito. Il combo californiano appartiene quindi alla storia, almeno a livello di dischi nuovi in studio, e in parte l'ha scritta, con il loro stupendo soft rock che spazia dal disco eponimo del 1972 fino a Long Road Out of Eden del 2007.

mercoledì 5 febbraio 2020

Hootie & the Blowfish - Cracked Rear Mirror

Negli anni 90 il rock alternativo era uno dei generi musicali più popolari e tra gli esponenti di questo stile c'è stato un quartetto che lo ha sapientemente mischiato con il southern rock e con il country realizzando melodie ricche di suoni morbidi e patinati. Il gruppo in questione sono gli Hootie & the Blowfish, originari del South Carolina. Il gruppo ha la peculiarità di aver avuto una formazione stabile durante tutta la propria attività discografica, con Darius Rucker alla voce, Mark Bryan alla chitarra, Dean Felber al basso e Jim Sonefeld alla batteria.

Il primo album della band si intitolata Cracked Rear Mirror ed è stato pubblicato nel 1994. L'album è composto da undici pezzi di facile presa già al primo ascolto, grazie anche alla voce singolare del vocalist e ai numerosi cori che la band esegue soprattutto sui ritornelli. Il disco parte subito forte con Hannah Jane che coniuga sapientemente ritmi veloci e melodia dando subito un buon assaggio di ciò che si troverà del resto dell'LP. Già in questo primo album troviamo alcuni dei pezzi più iconici del gruppo, come il midtempo Hold My Hand che racchiude in sé tutti le caratteristiche migliori della band, con un intro di chitarra, una melodia orecchiabile e un ritornello in cui Darius Rucker mostra il meglio della propria vocalità accompagnato da un potente coro del resto della band. Tra i pezzi migliori troviamo anche Time, che ripropone la formula collaudata del gruppo, la veloce Drowning che costituisce uno dei momenti più brillanti del disco e Only Wanna Be With You che cita nel testo Blood on the Tracks, Idiot Wind e Tangled Up in Blue di Bob Dylan.

Il disco contiene ovviamente anche un buon numero di ballad tra cui Let Her Cry e Goodbye eseguita con solo voce e piano. In due tracce, Look Away e Running From an Angel troviamo anche la presenza di un violino, suonato da Lili Haydn della Los Angeles Philharmonic Orchestra, che dona un tocco più forte di southern rock.

Giunti al termine dell'ascolto non si può che constatare che questo disco è un vero capolavoro, composto di tracce di altissimo livello, che non annoia mai e capace di regalare emozioni dall'inizio alla fine. Il gruppo ha oggi all'attivo sei album e Rucker affianca l'attività come frontman a quella di cantante solista, in cui si dedica più al country che al rock alternativo. Cracked Rear Mirror resta ad oggi uno degli album migliori degli anni 90 grazie alle sue tante suggestioni musicali e commistioni tra stili che questi quattro musicisti hanno saputo regalarci pur non godendo della fama, almeno nel nostro paese, che meriterebbero ampiamente come dimostra questo loro primo album.

venerdì 14 dicembre 2018

A.A. V.V. - Metal Christmas

Nel 1994 è stata pubblicata la compilation Metal Christmas che come suggerisce il titolo stesso è una raccolta di classici natalizi reinterpretati da alcuni dei migliori esponenti dell'hard rock e dell'heavy metal di quel periodo. Tra gli interpreti troviamo il cantante degli FM Steve Overland, John Sloman (frontman dei Lone Star e degli Uriah Heep), Kim McAuliffe delle Girlschool, il chitarrista Ray Callcut, Denny Laine dei Wings, il chitarrista spagnolo Carlos Creator e Paul Di'Anno che di certo non ha bisogno di presentazioni.

Questi straordinari musicisti si cimentano con i brani della tradizione natalizia, spesso adattandoli al proprio gusto personale, non solo nelle basi musicali ma anche nelle linee vocali che sono talvolta diverse da quelle che tutti conosciamo. Il disco è comunque un lavoro di squadra, infatti come si evince dai crediti i vocalist non impegnati nella parte principale eseguono cori e seconde voci negli altri brani

I quattro pezzi cantanti da Paul Di'Anno con il suo consueto timbro graffiante valgono da soli l'intero disco; l'ex cantante degli Iron Maiden interpreta Silent Night, White Christmas, Santa Claus is Coming to Town e Another Rock'N'Roll Christmas personalizzandole e dotandole di basi metal che si adattano perfettamente ai pezzi classici. Silent Night è forse la traccia meglio riuscita per il bellissimo connubio tra forza e tradizione e per come Paul Di'Anno personalizza la melodia vocale.

Anche Steve Overland esegue un compito magistrale reinterpretando Winter Wonderland e trasformandola in un pezzo AOR grazie alla base patinata e al suo cantato in stile ottantiano. Overland interpreta anche This Christmas, l'unico pezzo inedito del disco, una power ballad in stile natalizio. L'unica voce femminile del disco è quella di Kim McAuliffe che canta Merry Xmas Everybody degli Slade, tra l'altro Kim si cimenterà in futuro in un altro classico natalizio incidendo Auld Lang Syne (il Valzer delle Candele) per la compilation We Wish You a Metal Xmas and a Headbanging New Year.

Chiude il disco l'unico brano strumentale, Little Drummer Boy interpretata da Carlos Creator che per l'occasione suona tutti gli strumenti (tranne la batteria, affidata a Jaime Wright).

La compilation è stata ristampata nel 1996 con una copertina diversa e nel 1997 con il titolo di Rockin' Good Christmas. Purtroppo e inspiegabilmente non è tra le più note compilation natalizie in chiave heavy metal, ma resta comunque una delle migliori di questo ristretto insieme ed è sicuramente un'ottima alternativa alle incisioni più tradizionali e metterà d'accordo sia gli amanti della tradizione che quelli del metal, per un pranzo di Natale un po' più rockeggiante del solito.

lunedì 18 luglio 2016

Ossian - Keresztút

Gli ungheresi Ossian (da non confondere con l'omonima band scozzese) sono uno dei gruppi più longevi, costanti e qualitativamente migliori non solo della scena rock e metal del loro paese ma di tutta l'area dell'ex blocco sovietico. Il gruppo fu fondato nel 1986 dall'ex bassista Endre Paksi che dopo la sua breve esperienza nei Pokolgép fondò il nuovo gruppo in cui ricopre tuttora il ruolo di cantante. Da allora la band non ha mai interrotto la propria attività nonostante numerosi cambi di formazione che hanno lasciato il solo Paksi come unico membro fisso dalla nascita del gruppo fino ad oggi; l'unica sospensione nell'attività del gruppo nei tre decenni della sua carriera è avvenuta per tre anni e mezzo tra il 94 e il 98 al termine dei quali Paksi rifondò la band cambiando tutti i musicisti.

Ma nonostante queste vicissitudini nei loro trent'anni di carriera gli Ossian hanno inciso oltre venti dischi tra demo, album in studio e live e tra gli album più rappresentativi della loro carriera troviamo l'ultimo pubblicato prima della momentanea scissione nel 1994 intitolato Keresztút.

Il disco è caratterizzato da sonorità di metal classico robusto e grintoso che si basa sulla forza, sapientemente alternata alla melodia, delle chitarre e sulla voce potente di Paksi dotata di una notevole estensione sia verso l'alto che verso il basso. L'album e composto da da 10 tracce e parte fortissimo con l'energica e trascinante A Magam Útját Járom impreziosita da un poderoso coro sul ritornello. Tra i brani migliori si trova anche A Pénz Dala caratterizzata da un cantato che tende verso il post punk e Mikor Eltalál Téged che ripropone lo stille dell'inno metal del primo brano. Dei dieci brani otto sono veloci,  potenti e ricchi di assoli di chitarra di chiara ispirazione NWOBHM; a questi si aggiungono la ballad Árnyék-ember e la melodica Éjszaka che è il brano più leggero di tutto l'album. Come nella miglior tradizione delle band dell'est Europa comunque questo album non conosce un attimo di noia e offre dieci ottime tracce di sano metal energico e sanguigno.

L'Ungheria è uno dei principali produttori mondiali di musica metal ed è un vero peccato che gruppi dalla lunga carriera come gli Ossian, ma anche come i già citati Pokolgép o i Kalapacs, non varchino mai i confini nazionali perché questo gruppi possono competere a testa alta con i più grandi esponenti del metal europeo e meriterebbero di riempire le nostre classifiche. E tra questi tesori del metal sicuramente gli Ossian occupano un posto di rilievo sia per la qualità che per la longevità, il gruppo di Paksi è infatti ancora in attività e loro ultimo e ottimo album, intitolato Fényárban és Félhomályban è stato pubblicato nell'aprile dei quest'anno a conferma del fatto che l'energia e la qualità della band non accenna a diminuire.