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sabato 27 aprile 2024

Back to Black: il biopic sulla vita di Amy Winehouse


Uscendo dalla sala al termine della visione del film ho chiesto a qualcuno "In base a quanto hai visto nel film, sai dire quanti album ha fatto Amy Winehouse nel periodo narrato?". Sapeva rispondere solo chi già lo sapeva di suo, gli altri hanno risposto con uno sconsolante "No", perché in questo film si parla di tutto, tranne che della musica di Amy Winehouse.

Questo è un film d'amore e non un biopic sulla vita e la carriera di una delle migliori interpreti della black music del nuovo millennio, Back to Black di Sam Taylor-Johnson (che non dirigeva un film da sei anni) parla infatti solo della storia d'amore tormentata tra Amy Winehouse e Blake Fielder-Civil, per il resto non c'è nulla e quel poco che c'è è incomprensibile. Non si parla degli album di Amy, non si sa quando escano in relazione hai fatti narrati perché sembrano non avere nessun impatto sulla trama e non si parla dei suoi tour. A metà film dal nulla Amy passa da essere una cantante che si esibisce nelle cantine a Camden Town a essere una superstar braccata da fotografi e giornalisti: peccato che il film non spieghi perché e come sia ascesa al successo così in fretta. In quell'arco è uscito Back in Black che dà il titolo al film, ma se il film non parla dell'album da cui tre il titolo di cos'altro dovrebbe parlare? Ha senso mostrare il dramma dei test di gravidanza negativi e ignorare la musica? Non doveva essere un biopic?

Si perde nel nulla anche il fatto che Amy Winehouse sia stata una voce unica in quegli anni, fuori dal tempo, che invece di inserirsi sulle tendenze del periodo decise di riscoprire il pop degli anni 50 e 60, il jazz e il soul. Anche ignorando le invenzioni narrative (di cui comunque non si capisce il senso) che sono già state analizzate da testate blasonate come Esquire o Radio Times, alcune cose rappresentate nel film rasentano l'assurdo: davvero gli autori vogliono farci credere che Amy non sapesse chi fossero le Shangri Las prima che Blake gliene parlasse? Ma c'è ben di peggio. Nel film Amy scopre le droghe da sola, nella realtà Blake ammise candidamente di essere stato lui a iniziare la cantante all'eroina. L'invenzione più grave riguardo alla veridicità della storia è conservata per la fine, quando Amy viene mostrata emotivamente distrutta perché Blake ha avuto un figlio con un'altra donna. Il figlio di Blake è nato a maggio del 2011, due mesi prima che Amy morisse, quando la cantante frequentava già da tempo l'attore Reg Traviss di cui nel film non si parla minimamente.

Questo film mette quindi un altro chiodo sulla tomba dell'industria del biopic, di cui negli ultimi anni si salvano pochissimi prodotti come Whitney Houston: I Wanna Dance with Somebody dedicato a Whitney Houston e 8 Mile in cui Eminem interpreta sé stesso, garantendo almeno il realismo della storia. Perché di film vaghi e fuori fuoco come Back to Black non si sempre proprio la necessità.

venerdì 3 marzo 2023

Una sera a Camden Town, sulle tracce di Amy Winehouse

Ero stato una volta sola a Camden Town, una fredda mattina dei primi di gennaio di ormai sei anni fa. Da allora, nonostante molti altri viaggi a Londra, non ci ero ancora tornato e, trovandomi di nuovo nella capitale del Regno Unito per tutt'altri motivi, questa volta ho deciso di tornarci. Anche perché ricordavo bene il mercato, i musicisti che vendono i propri CD lungo il marciapiede (e al tempo ne avevo anche comprato uno del rapper Terra Slim), e le folli insegne tridimensionali dei negozi, ma non ero riuscito ad andare a Camden Square, dove Amy Winehouse aveva passato l'ultimo anno della sua vita e dove è morta nel luglio del 2011.

L'atmosfera di Camden Town è sempre singolare, indescrivibile per chi non si è mai trovato in questo turbinio di suggestioni in cui la musica fa da sfondo ad ogni cosa. Esco dalla stazione della metropolitana e sento una band che suona dal vivo Jumpin' Jack Flash in un pub, cammino verso la zona del mercato e vengo sopraffatto dall'atmosfera punk e dark che diede i natali a questi generi musicali nel fermento della swinging London. Qui i segni del passaggio di Amy si vedono praticamente ovunque, non solo nei luoghi più celebri come la statua a grandezza naturale, infatti scopro anche un graffito dipinto su una serranda abbassata (che mi fa ricredere sui miei dubbi sull'opportunità di venire qui quando i negozi e il mercato sono chiusi) e un negozio di arte al numero 279 di Camden High Street (a cui purtroppo ho dimenticato di fare una foto) che espone in vetrina dei suoi ritratti.

Graffito al 269a di Camden High Street

È difficile stabilire da quanto tempo sia lì il ritratto di Amy sulla serranda dello studio di tatuaggi Boys Don't Cry, che ovviamente omaggia l'omonima canzone dei Cure nel nome, al numero 269a di Camden High Street, ma Google Street View ci viene in aiuto e ci mostra che a gennaio del 2021 il graffito non c'era, l'opera è quindi recentissima e infatti è ancora perfetta.

La prima tappa che mi ero prefissato per questo giro e è la statua di bronzo, e quando ci arrivo devo aspettare un attimo prima di scattare una foto, perché davanti a me c'è una fila di persone che vogliono fare lo stesso. La statua è bellissima come me la ricordo e fa riflettere una volta in più sul perché una ragazza al pieno del successo si sia distrutta con le sue mani. Ciò che colpisce di questa ricostruzione a grandezza naturale è quanto Amy fosse minuta e come una voce come quella potesse uscire da un corpo così ridotto; perché la statua è alta un metro e 75 centimetri, ma solo includendo la base e la folta chioma ispirata a quelle delle Ronettes a cui Amy si rifaceva nello stile. In ogni caso, è talmente realistica da sembrare vera grazie alla posa spontanea in cui la cantante è stata riprodotta e prima di fare una foto viene voglia di chiederle il permesso.


La seconda tappa è la sua casa di Camden Square, che dalla statua dista circa un chilometro e mezzo di vie interne che si dipanano in una zona residenziale. Le case di Camden Square, che sono distribuite sulle due strade che costeggiano il parco, sulle prime sembrano tutte uguali, ma quella al numero 30, dove visse Amy, è diversa per almeno due motivi. Anzitutto è l'unica con porta e finestre oscurate in modo che da fuori non si veda completamente nulla degli interni. In secondo luogo per via del memoriale nato spontaneamente su un albero di fronte all'ingresso grazie a biglietti, foto, fiori e qualunque altra cosa i fan abbiano lasciato in ricordo della cantante.

La casa al numero 30 di Camden Square dove visse e morì Amy Winehouse

Il memoriale davanti alla casa

È tempo di tornare verso la stazione della metro, ma mi accorgo che se metto Amy Winehouse su Google Maps il completamento automatico mi segnala anche un murale che dovrebbe essere vicino all'insegna di Camden Lock e che è stato realizzato dall'artista grafico JXC in occasione del decimo anniversario della morte della cantante. Decido di andarci, ma arrivato sul posto non lo trovo. Chiedo a due passanti mostrando la foto sul cellulare, ma nessuno mi sa aiutare. Lo trovo, dopo minuti di ricerca, in una strada stretta che porta a uno dei cortili del quartiere. Nonostante non si veda dalla strada principale, il murale è immenso, con il buio e lo vedo a fatica ma comunque trasmette quanto questo quartiere sia tuttora legato a lei.

Il murale di JXC

Adesso il giro è finito davvero e torno veramente verso la stazione in cerca di un pub per mangiare, e mentre mi allontano rifletto su quanto Amy Winehouse abbia influenzato Camden Town e su quanto la sua vita sia legata a doppio filo a questo quartiere dove la si vede ovunque e la si sente ovunque. Perché anche se Amy ci ha lasciato il 23 luglio del 2011 tra queste strade è ancora viva.

sabato 23 luglio 2016

La morte di Amy Winehouse

Dal 23 luglio del 2011 il celebre Club 27, riservato ai musicisti morti a 27 anni come Jim Morrison o Jimi Hendrix, ha una nuova e illustre iscritta: la cantante soul Amy Jade Winehouse che in quella data fu trovata senza vita stesa sul letto della sua residenza al numero 30 di Camden Square, a Londra.

La cantante soffrì per molti anni di dipendenza da varie droghe quali crack, eroina, cocaina e cannabis. Dopo una lotta durata vari anni nel 2008 riuscì ad abbandonare le droghe pesanti, ma purtroppo sostituì la dipendenza dagli stupefacenti con quella dall'alcol.

Insieme a lei nella casa di Camden Square viveva la sua guardia personale Andrew Morris che abitava in una delle camere degli ospiti al piano inferiore rispetto a dove stava Amy. Negli ultimi 16 mesi della sua vita la cantante frequentava l'attore Reg Traviss che però non viveva con lei. La sera del 22 luglio Reg chiamò Amy intorno alle otto per dirle che avrebbe fatto tardi al lavoro e che sarebbe passato da lei portandole del cibo comprato in un take away così che potessero mangiare insieme, ma la ragazza non volle aspettare e chiese a Morris di ordinare del cibo indiano da asporto che Morris ordinò al telefono e che i due consumarono separatamente ognuno nella propria stanza.

Morris la sentì per ore al piano di sopra che rideva, guardava video su YouTube e in televisione. Quindi poco dopo le dieci la cantante trovò su YouTube il video di un suo ex fidanzato e scese al piano di sotto per chiedere a Morris di salire da lei a vederlo. Morris rimase con lei a guardare video per ore. Nel frattempo Reg Traviss terminò la sua giornata lavorativa e tentò di contattare Amy al telefono, sia con chiamate sia con messaggi, ma la ragazza non rispose. Reg considerò anche l'ipotesi di farsi portare da lei dal taxi, ma dopo vari ripensamenti desistette; per motivi che nemmeno lui seppe spiegare non chiamò sul telefono fissò né chiamo Morris al cellulare.

Morris rimase con lei fino alle due e mezza, quindi scese nella sua stanza dove guardò un film fino a poco prima delle quattro per poi stendersi a letto. Quando Andrew si addormentò la cantante era ancora sveglia perché Morris continuò a sentirla muoversi nell'appartamento fino a dopo essersi messo a letto. Intorno alle tre e mezza la cantante inviò un sms all'amico Kristan Marr ma curiosamente ignorò i messaggi e le chiamate di Reg.

Prima di addormentarsi andò in bagno a vomitare, forse inducendo il rigetto, per via delle bulimia di cui pure soffriva oltre alla dipendenza dall'alcol. Quindi si stese a letto prona, ancora vestita, lasciando il computer acceso e tre bottiglie di vodka Smirnoff a terra accanto al letto.

Alle dieci del mattino del giorno seguente Morris si svegliò e salì a verificare se Amy stesse bene. La trovò stesa sul letto, ma siccome la cantante era solita dormire fino a tardi non si avvicinò a toccarla e se ne andò senza preoccuparsi decidendo che fosse opportuno lasciarla riposare. Intorno alle tre e mezza Morris tornò a verificare la situazione e trovo la ragazza stesa nella stessa posizione in cui l'aveva vista prima e si allarmò. Si avvicinò tentando di svegliarla, ma il tentativo fu vano. Le sentì il polso e non poté che constatare che il battito era assente e che non respirava.

Cercò per casa se vi fossero segni di consumo di droga, ma non ne trovò: solo le tre bottiglie di vodka sul pavimento. Alle 3 e 57 chiamò l'ambulanza (secondo altre fonti alle 3:54) e il medico Andrew Cable al suo arrivo pochi minuti dopo constatò che il battito era assente e che era subentrato il rigor mortis a conferma del fatto che la cantante era morta da alcune ore.

Amy Winehouse fu dichiarata morta poco dopo le quattro a casa sua.

L'esame tossicologico del coroner fu rilasciato ad ottobre del 2011 e chiarì che Amy non aveva assunto droghe nel periodo antecedente la sua morte ma che questa era dovuto a un arresto respiratorio causato dall'intossicazione da alcol, la ragazza in sintesi si era intossicata con l'alcol fino a morire. Il medico legale Suhail Baithun constatò che la cantante aveva 416 milligrammi di alcol per 100 millilitri di sangue, oltre cinque volte il limite ammesso per potersi mettere alla guida di un autoveicolo in UK. Lo stesso medico asserì che il livello letale di alcol nel sangue è di 350 milligrammi per 100 millilitri, ben al di sotto dei valori della Winehouse. Del resto la cantante aveva consumato grandi quantità di alcol anche nei giorni precedenti alla morte, come confermato dal racconto della madre Janis che l'aveva incontrata la mattina del 22 luglio e che dichiarò in seguito che la figlia puzzava di alcol, che non riusciva a scendere le scale senza aiuto e che Morris l'aveva probabilmente aiutata a lavarsi, vestirsi e pettinarsi. Inoltre Amy assumeva regolarmente il Librium, calmante utilizzato per combattere la dipendenza dall'alcol.

L'anno dopo le autorità britanniche riaprirono le indagini sulla morte di Amy perché si scopri che il deputy coroner incaricato delle indagini Suzanne Greenaway non aveva i requisiti per ricoprire quel ruolo ma la seconda indagine portò ai medesimi risultati della prima confermando che la cantante si era avvelenata con l'alcol.

Secondo il fratello di Amy, Alex Winehouse, anche la bulimia fu uno dei fattori che contribuì alla morte della sorella, ma questa teoria è confutata dal dottor Jason Payne-James, che espresse il proprio parere nella puntata della serie televisiva Autopsy dedicata ad Amy Winehouse, secondo cui molto raramente la bulimia è causa di morte ma può essere sintomatica di altri disturbi. Al contrario, sempre secondo Payne-James, uno degli aspetti fondamentali per capire le ragione del decesso di Amy è che la cantante smise di bere alcolici del tutto per due settimane fino al 20 di luglio quando ne riprese un consumo massiccio. Resta il dubbio del perché abbia interrotto il periodo di astinenza e secondo il medico il motivo stava nel disturbo borderline di cui Amy soffriva, che induce spesso comportamenti impulsivi e pericolosi. Il fatto che Amy soffrisse di questo disturbo è confermato dal fatto che il suo medico Christina Romete le aveva prescritto la terapia dialettico-comportamentale e dal fatto che la cantante aveva spesso sulle braccia graffi netti e diritti probabilmente autoinflitti. La circostanza che Amy si procurasse ferite da sola è confermato anche da un drammatico racconto della madre.

Purtroppo Amy non volle mai intraprendere cure psichiatriche durante la sua vita per evitare che queste potessero influire sulla sua creatività e sulla capacità di scrivere musica. Purtroppo il rifiuto delle cure, cantato da Amy in Rehab, fu uno dei motivi per cui morì a soli 27 anni.

Il dottor Payne-James chiude la sua analisi con una drammatica considerazione: il fatto di essersi addormentata in posizione prona contribuì a schiacciarle il busto e a occluderle le vie respiratorie e se si fosse addormentata supina o su un fianco avrebbe probabilmente dormito tranquilla e la mattina dopo si sarebbe rialzata.

Oltre alle fonti già citate nell'ambito di questa ricerca abbiamo consultato il volume Amy, 27 di Howard Sounes e il film biografico Amy di Asif Kapadia.