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sabato 2 luglio 2022

Def Leppard - Diamond Star Halos


A distanza di quasi sette anni dal loro precedente lavoro, tornano i Def Leppard con un nuovo album intitolato Diamond Star Halos che rappresenta il dodicesimo lavoro in studio della band capitanata da Joe Elliott. Il nuovo album vede il gruppo in splendida forma confezionare un'opera potente e raffinata che coniuga nel migliore dei modi i proprio i stilemi classici proponendo una commistione di rock melodico ricco di cori e atmosfere patinate. La formazione che ha realizzato il disco è la stessa che forma stabilmente la band dal 1993, con Phil Collen e Vivian Campbell alle chitarre, Rick Savage al basso e l'eroico Rick Allen alla batteria.

L'album è composto da quindici tracce che partono fortissimo con Take What You Want e Kick, due pezzi energici in cui i cori che accompagnano Joe nelle linee vocali hanno un ruolo trascinante e danno subito un assaggio di ciò che seguirà nel resto del disco. Subito dopo troviamo infatti Fire It Up (curiosamente è la seconda volta dopo Dangerous del 2015 in cui i Def Leppard utilizzando un titolo usato in passato anche dal rapper Busta Rhymes, ovviamente si tratta di un caso non avendo nulla in comune) che si apre con i cori prima che sopraggiunga l'incalzante cantato di Joe Elliot. Tra i pezzi energici migliori troviamo anche la trascinante All We Need, che è forse il brano in cui le atmosfere ottantiane sono più marcate

Nonostante le tracce veloci siano la parte preponderante del disco, non mancano atmosfere diverse come nelle ballad From Here to Eternity, Open Your Eyes, Angels e nella magniloquente Goodbye for Good This Time che coniuga sapientemente atmosfere sinfoniche ricche di archi con la presenza di chitarre latineggianti. Le commistioni musicali non finiscono qui visto che nell'album troviamo anche l'onirico midtempo Liquid Dust e l'atipico groove di U Rok Mi.

Nel disco è presente come ospite Alison Krauss (in Italia conosciuta purtroppo solo per le collaborazioni con Robert Plant, nonostante abbia alle spalle una lunghissima discografia) che regala un prezioso contributo in due brani: la ballad dalle atmosfere blued This Guitar e Lifeless contaminata da suggestioni southern, la seconda è presente nella versione deluxe del disco come bonus track in una versione aggiuntiva cantata dal solo Joe.

In conclusione Diamond Star Halos è un disco solido che non vede momenti di noia ed è incredibile constatare come a quarantadue anni dall'esordio questa band sappia sfornare album di questo livello, mischiando sempre il proprio sound con elementi nuovi e non proponendo formule usurate. Diamond Star Halos non è solo un ottimo disco, ma uno dei migliori della lunga discografia della band che, partendo dalle sonorità più metal nei primi anni 80 ed approdando a quelle AOR sul finire del decennio, non sbaglia un colpo dal lontano On Through the Night.

giovedì 3 febbraio 2022

Intervista a Giacomo Voli

Per commentare il recente successo all'edizione 2021 di All Together Now su Canale 5 e per parlare del nuovo album dei Rhapsody of Fire, Glory for Salvation, il vocalist della band Giacomo Voli ha accettato la nostra proposta di un'intervista che offriamo di seguito al nostri lettori.

Ringraziamo Giacomo per la sua cortesia e disponibilità.


domenica 1 agosto 2021

Giacomo Voli - Cremona, 31/7/2021

Una delle cose che mi mancavano di più durante il periodo peggiore della pandemia è stata la possibilità di assistere a concerti dal vivo; è più di un anno che non ne vedo uno, e quindi quest'occasione di vedere un'acustico di Giacomo Voli a Cremona arriva proprio come se fosse un piccolo tassello di normalità dopo questo periodo così strano.


La location è insolita, la trattoria Antico Borgo di Cremona, ma è anche incredibilmente funzionale, con un ampio giardino all'aperto coperto da una tettoia e la serata parte benissimo perché anche il cibo è ottimo e questo proprio non guasta. Giacomo, che alterna sapientemente la propria attività solista con quella di lead singer dei Rhapsody Of Fire, apre il concerto intorno alle 21:30 accompagnandosi con chitarra e tastiera, con la quale sopperisce anche all'assenza degli altri strumenti. Chiudendo gli occhi si può infatti quasi credere di non essere di fronte all'esibizione solista ma a quella di una band al completo, perché la definizione di acustico va decisamente stretta alla straripante performance che è appena iniziata.

Si vede subito che le emozioni di un'esibizione dal vivo mancavano anche al nostro vocalist, perché l'energia che mette in campo è travolgente. Giacomo mischia le carte, e di molto: oltre al rock degli anni 70 e 80 con pezzi di Aerosmith, Queen e Led Zeppelin, aggiunge tanto altro con divagazioni nel pop di Every Breath You Take dei Police e nel funk di I Wish di Stevie Wonder oltre a tanta, tanta musica italiana che viaggia da Zucchero a Ligabue ai Matia Bazar, a conferma che i dardi nella faretra di Giacomo sono tanti e forse inesauribili.

Che al nostro Jack piacciano i Queen non è una novità, quello che forse è invece inaspettato è che durante Another One Bites The Dust il locale si trasformi in una sala da ballo. Gli avventori spostano alcuni tavoli e molti dei clienti del ristorante si scatenano improvvisando balli nella sala che proseguiranno per il tutto il resto del concerto. Non so quanti del pubblico siano venuti apposta a sentire Giacomo e quanti si siano invece trovati coinvolti in questa magia per caso: i primi probabilmente erano consapevoli, i secondi possono sicuramente considerarsi incredibilmente fortunati.

Dopo due ore, che sono letteralmente volate via, Giacomo annuncia che il concerto volge al termine, ma il pubblico ovviamente vuole un encore e il nostro vocalist concede ben più di un pezzo tra cui Radio Gaga, chiesto proprio dal pubblico, When I Was Your Man di Bruno Mars e Sally di Vasco che chiude lo spettacolo. Guardiamo l'orologio e ci chiediamo "Ma Giacomo non si stanca?", perché canta e suona da solo da due ore ma sembra fresco e carico come all'inizio della serata.

Con un giro di saluti finisce questa serata di cena e concerto e si riparte verso casa, consci che in questa nottata di fine luglio ha magicamente funzionato tutto alla grande e che è proprio così che aspettiamo che torni il mondo dopo la pandemia. E forse questo concerto è stato proprio uno degli anelli della lunga catena del ritorno al mondo che conoscevamo fino a un anno e mezzo fa.

mercoledì 12 maggio 2021

Heroes: Silencio and Rock & Roll il documentario di Netflix sugli Héroes del Silencio

É uscito ad aprile del 2021 il documentario di Netflix Heroes: Silencio and Rock & Roll che narra la storia degli Héroes del Silencio, al più famosa rock band iberica di ogni tempo, e dei quattro album che il quartetto aragonese ha composto durante la sua attività tra il 1987 e il 1995.

Il racconto del documentario copre tutte le fasi della vita del gruppo, dalla nascita come band new wave nei locali di Saragozza, alla svolta rock con i primi due album per poi approdare a un suono più hard rock con gli ultimi due. Il documentario è ricco di testimonianze dirette dei protagonisti delle vicende narrate, dai produttori ai membri della band; scopriamo così dalle voci dei testimoni quanto fu difficile l'avvio della band che non veniva dalle scene vibranti di Madrid o Barcellona ma una città considerata di minore importanza, di quanto fosse inaspettato il successo quando arrivò e molti altri aspetti umani che hanno caratterizzato gli anni della loro attività tra i quali come nacquero le tensioni interne alla band che portarono allo scioglimento dopo la pubblicazione di Avalancha e del conseguente tour. L'ultima parte del video è dedicata alla reunion del 2007 dopo la quale la band si sciolse definitivamente.

Insieme al documentario è stato pubblicato anche un doppio CD che porta lo stesso titolo e che ne fa da colonna sonora, purtroppo la compilation non contiene materiale inedito ma recupera la tracce migliori dei quattro album in studio, dei live e di Rarezas, la raccolta di inediti e b-side pubblicata nel 1998. In ogni caso tutti i dischi realizzati dagli Héroes sono composti unicamente di tracce di altissimo livello e non vi si trova un solo filler, pertanto qualunque selezione sarebbe stata ottima per questo greatest hits.

Oltre a regalare un'ora e mezza di storia del rock questo video raggiunge l'importantissimo risultato di risvegliare l'interesse su quella che può a pieno titolo essere considerata la band "più sottovalutata della storia"; la musica degli Héroes del Silencio brilla infatti per qualità e creatività, con la loro mescolanza di sonorità latine e hard rock, e non ha nulla da invidiare ai mostri sacri del rock di ogni tempo, purtroppo però al di fuori della Spagna non godono del blasone che meriterebbero. Inoltre questo documentario dimostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, che operazioni come questa in cui vengono interpellati i veri protagonisti delle vicende raccontate sono molto più meritevoli dei biopic che tanto vanno di moda negli ultimi anni e che distorcono la realtà per renderla più appetibile al grande schermo.

Non resta quindi che sperare che l'interesse risvegliato dal documentario non si fermi qui e che a breve le case discografiche recuperino qualche registrazione inedita, se ne esistono. Ed è questo il meglio che si può sperare visto che una nuova reunion appare del tutto improbabile considerando che la carriera solista di Bunbury viaggia alla grande, anche se su terreni molti lontani rispetto a quelle di questo periodo leggendario, e che quindi difficilmente sente il bisogno di un ritorno al passato.

giovedì 29 aprile 2021

Alice Cooper - Detroit Stories


Nonostante gli oltre cinquant'anni di carriera alle spalle, Alice Cooper resta uno degli artisti più prolifici della scena rock contemporanea e in questo 2021 ci regala con Detroit Stories il terzo album in pochi anni che segue i recenti Rise degli Hollywood Vampires (terzetto di cui fanno parte anche Joe Perry e Johnny Depp) del 2017 e Paranormal del 2017.

Come dice il titolo stesso l'album vuole essere un omaggio alla città di Detroit, a partire dalla copertina che mostra il Guardian Building avvolto nella nebbia. Il disco è composto da quindici tracce di puro rock and roll, grezzo, diretto e divertente di cui quattro cover e undici pezzi inediti. Le cover, come è normale aspettarsi, sono principalmente di artisti di Detroit; troviamo infatti l'allegro rock di Our Love Will Change the World degli Outrageous Cherry, Sister Ann dei pionieri dell'hard rock MC5 e East Side Story di Bob Seger. Ad esse si somma Rock & Roll dei Velvet Underground, unica band omaggiata a non avere legami con la motor city.

Il resto dell'album spazia tra i vari generi musicali che hanno contraddistinto la musica della metropoli nell'ultimo secolo, con una buona dose di hard rock e con ricchi sconfinamenti in altri campi. Il disco ha il chiaro intento di divertire, i pezzi più energici sono infatti smaccatamente festaioli come Go Man Go e Shut Up And Rock. Come anticipato l'album contiene molte sfumature musicali diverse; $1000 High Heel Shoes è infatti un chiaro omaggio al soul della Motown che vede come ospiti le Sister Sledge come coriste. Gli esperimenti in chiave black non si fermano qua, nel disco troviamo anche due brani di forte impronta blues (genere di cui Detroit è stata una delle città fondatrici) quali Drunk and in Love e Wonderful World che contiene anche forti innesti di stoner rock. Tra i brani migliori del disco troviamo anche Independence Dave che costituisce una sorta di crossover tra i generi più caratteristici degli anni cinquanta e sessanta con un connubio di rock and roll, rockabilly e punk.

Nell'album trova spazio anche Hanging On by a Thread (Don't Give Up), nuova edizione di Don't Give Up del 2020 dedicata alla pandemia da COVID-19, in questa nuova versione il testo è stato cambiato nella seconda strofa in modo da renderlo più adattabile a ogni tipo di difficoltà umana. Il disco contiene una seconda reinterpretazione di un brano del passato, Detroit City dell'album The Eyes of Alice Cooper del 2003 è infatti stata reincisa e inserita con il titolo Detroit City 2021

Detroit Stories è quindi un album valido che nonostante gli stili diversi riesce a mantenere un'identità precisa e solida. Con questo LP Alice Cooper ha realizzato proprio ciò che serviva in questo momento storico così difficile, cioè un disco intriso di forza e voglia di andare avanti, che al contempo conferma quanto questo artista sia eclettico e come sappia dare sfumature diverse a ogni stile musicale in cui si cimenta.

domenica 5 luglio 2020

Giacomo Voli - Retorbido, 4/7/2020

È il 4 luglio, il lockdown è finito da due mesi e la vita torna lentamente a essere quella di prima. A breve probabilmente il virus sarà un brutto ricordo, ma tra le cose che ancora ci mancavano c'è il ritorno della musica dal vivo. Finalmente è tornata anche quella, e quale occasione migliore per il primo concerto post-lockdown di un live acustico di Giacomo Voli al Dagda di Retorbido? Uno dei migliori cantanti al mondo fa un concerto vicino a casa, non ci sono dubbi: l'evento è imperdibile.


Il Dagda ha messo in atto le necessarie misure di sicurezza: termoscanner all'ingresso, consumazioni servite all'aperto e sedie distanziate tra il pubblico. Non danno per nulla fastidio, anzi quasi sembra tutto normale e quindi la musica è godibile al 100%.

Giacomo sale sul palco verso le 21, ma si capisce presto che quello che sta per esibirsi è in realtà un terzetto. Oltre al nostro vocalist, che suona anche la tastiera, ci sono Gianluca Molinari (che affianca Voli anche nel progetto The Voice of Rock) nel ruolo di chitarrista e la ben nota Francesca Mercury (ideatrice del progetto La Mercury racconta i Queen che vede alla voce proprio Giacomo Voli) nel ruolo inedito di intervistatrice e conduttrice.


Il concerto parte con Impressioni di Settembre e I Can't Find My Way Home, che Giacomo ha inciso come cover nel suo EP di esordio Ancora nell'Ombra. La serata ha un approccio singolare, perché Francesca tra una canzone e l'altra intervista Giacomo chiedendogli della sua vita, della sua formazione e di come è nato il suo interesse per la musica. Giacomo ci racconta quindi che il suo amore per la musica è nato da bambino grazie al nonno materno cornista e di come poi abbia scoperto l'opera, il rock melodico e il metal e di come da sempre cerchi di coniugare questi aspetti mischiando sapientemente ingredienti di musica di stili diversi. Spesso, quando Giacomo nomina un pezzo, Gianluca ne esegue il riff in sottofondo, rendendo il racconto ancora più vivido e vibrante.

Forse la serata non era partita con i migliori auspici, perché Giacomo racconta anche di essere infortunato a causa di un incidente stradale, ma se non lo avesse detto non se ne sarebbe accorto nessuno (se non fosse per le bende alle braccia) perché suona e canta come se fosse in gran forma e la precisione al piano e la potenza della voce sono sicuramente al pieno delle loro capacità; segno che neanche gli imprevisti possono fermare i migliori artisti.

La setlist della serata spazia tra il rock degli anni 70, agli anni 80 fino ai 90 pescando da un repertorio vastissimo che tocca i Led Zeppelin e i Deep Purple, l'AOR di Eye on the Tiger dei Survivor per poi passare ai Queen e ai Pink Floyd. E tra un pezzo e l'altro Giacomo narra alcuni aspetti meno noti della sua carriera: come qualche scelta bizzarra degli autori di The Voice of Italy nella selezione dei pezzi o di come sia stato contattato da Alex Staropoli per un progetto parallelo di musica barocca, per poi approdare ai Rhapsody of Fire dopo l'abbandono di Fabio Lione. Dalla discografia dei Rhapsody ci regala una versione da brividi in italiano di The Wind, the Rain and the Moon, e dalla propria produzione solista Giacomo pesca anche uno snippet della traccia di chiusura del suo ultimo album intitolata Il Libro dell'Assenza


Il tempo nella sala letteralmente vola via, e quando Francesca annuncia che siamo giunti all'ultimo pezzo mi sembra incredibile, però effettivamente l'orologio dice che è mezzanotte. Nel caldo di questa serata che ha il sapore di una rinascita Giacomo si ferma a scambiare qualche parola con i fan mostrando una vicinanza al proprio pubblico che poche star del suo livello hanno.

La serata è giunta al termine, ma tornando verso casa non si sente la sensazione che qualcosa sia finito, ma che questa sia una ripartenza perché di serate come questa ne seguiranno decine e forse centinaia. E quello che ha reso unica questa serata non è stata solo la musica e la voce di Giacomo Voli, ma anche il fatto che un grande artista abbia raccontato il proprio lato umano. Perché per sapere cantare così bisogna essere grandi cantanti, ma per sapere raccontare cosa c'è dietro e dentro bisogna essere grandi e basta.

mercoledì 25 marzo 2020

Perché i Led Zeppelin si chiamano così?

Come suggerisce la copertina del loro primo album, il nome dei Led Zeppelin è ovviamente ispirato al dirigibile LZ 129 Hindenburg, prodotto dalla Zeppelin Company, che prese fuoco e venne distrutto in fase di attracco nella stazione di Lakehurst nel New Jersey il 6 maggio del 1937. Se è ovvio e noto che il nome della band richiama quello del famoso produttore di dirigibili, è meno noto come il quartetto abbia scelto come proprio marchio la combinazione di queste due parole.


Due anni prima che il gruppo assumesse la sua formazione storica, nel 1966, Jimmy Page si unì come bassista al gruppo rock dalle influenza blues degli Yardbirds. Al tempo la band era formata da Keith Relf alla voce, Jeff Beck alla chitarra solista, Chris Dreja alla chitarra ritmica, Jim McCarthy alla batteria e Paul Samwell-Smith al basso; ovviamente Page sostituì quest'ultimo. L'idea di Page era quella di formare un supergruppo che includesse anche Keith Moon e John Entwistle degli Who, ma il progetto non si concretizzò. Dopo un breve periodo Page passò alla chitarra solista venendo sostituito al basso da Chris Dreja e formando così una coppia di valorosi chitarristi con Jeff Beck; in questo nuovo scenario Relf assunse anche il ruolo di chitarra ritmica. Tuttavia poco dopo Beck lasciò la band, che senza di lui tornò ad essere un quartetto.

Gli Yardbirds, che avevano all'attivo già quattro album in studio e un live, con la formazione a quattro tennero il proprio ultimo concerto nel luglio del 1968 all'università di Luton; poco dopo anche Relf e McCarthy abbandonarono la band lasciando come unici membri rimanenti Jimmy Page e Chris Dreja. Per impegni contrattuali il gruppo doveva comunque compiere un tour di quattordici date in Scandinavia nel settembre dello stesso anno e i membri uscenti furono sostituiti da Robert Plant alla voce e John Bonham alla batteria. In ultimo anche Chris Dreja lasciò la band per dedicarsi alla carriera da fotografo e fu sostituito da John Paul Jones, formando così per la prima volta la formazione storica dei Led Zeppelin.

Il quartetto così formato tenne i concerti previsti in Scandinavia, tra Danimarca, Svezia e Norvegia, tra il 7 e il 24 settembre del 1968 con il nome di Yardbirds, o occasionalmente New Yardbirds, perché i precedenti membri della band li avevano autorizzati ad usare il nome storico per onorare gli impegni già presi.

Al ritorno dalla tournée la band iniziò a registrare il proprio primo album e iniziò a prepararsi a un nuovo tour nel Regno Unito che li avrebbe impegnati dal 4 ottobre al 20 dicembre con il nome di New Yardbirds. Il biografo Mick Wall racconta nel suo libro When Giants Walked the Earth che quando Dreja seppe che il gruppo intendeva continuare a usare il nome precedente inviò una lettera di cease and desist (nel common law, una richiesta di cessazione immediata di un'attività ritenuta illegale) che intimava loro di non usare più il nome Yardbirds, in quanto la concessione era limitata al tour scandinavo. Jimmy Page tuttavia chiarì in un'intervista che la band aveva intenzione di cambiare nome in ogni caso.

Per la scelta del nome nuovo il quartetto attinse da un commento di Keith Moon risalente al 1966, secondo cui un gruppo con Jimmy Page e Beck sarebbe precipitato come una mongolfiera di piombo: un lead balloon, nella formulazione originale di Moon. Balloon fu sostituito con Zeppelin, che secondo quanto riportato dal il giornalista Keith Shadwick nel suo libro Led Zeppelin: the Story of a Band and Their Music: 1968-1980, dava la giusta idea del connubio tra pesantezza e luce, tra infiammabilità e grazia. La grafia di lead fu tramutata in led per evitare che venisse pronunciato come il verbo to lead, come nell'espressione lead singer. Il tour nel Regno Unito partì con il nome di New Yardbirds, ma il 14 ottobre la band ufficializzò il proprio nuovo nome e  il 25 ottobre all'Università del Surrey usò per la prima volta in pubblico il marchio Led Zeppelin.

Il nome della band avrebbe quindi dovuto indicare un clamoroso e sonoro fallimento, ma dalla scelta del loro nome definitivo i Led Zeppelin si sono affermati come una delle band più produttive, innovative e influenti della storia del rock. La scelta del quartetto fu forse scherzosa e scaramantica, e a distanza di oltre cinquant'anni possiamo sicuramente affermare che fu anche vincente.

mercoledì 18 marzo 2020

Russell Allen / Anette Olzon - Worlds Apart

A marzo di quest'anno la celeberrima etichetta italiana Frontiers Records ha pubblicato il primo album dell'inedita coppia formata da Russell Allen, vocalist tra gli altri di Symphony X e Adrenaline Mob, e Anette Olzon, frontwoman dei Dark Element e seconda cantante dei Nightwish dopo Tarja e prima di Floor Jansen. Come è evidente l'esperimento si colloca sulla scia di altre produzioni simili, come la coppia formata dallo stesso di Allen con Jørn Lande, quella composta di Michael Kiske e Amanda Somerville e il duo tutto italiano di Fabio Lione e Alessandro Conti.

Il primo album di questo inedito combo si intitola Worlds Apart ed è composto da undici tracce il cui suono è esattamente quello che ci si aspetta da un duo di vocalist di altissimo livello come questi: rock melodico che mette pienamente in luce le capacità canore dei due che al mondo hanno pochissimi eguali. Ciascuno di loro canta da solo tre dei pezzi, e nei rimanenti cinque duettano, con Anette che fa le voci alte e Russell quelle basse, e se le doti canore della Olzon sono ampiamente note va sottolineato come Allen tiri fuori aspetti più melodici e in stile power metal di quanto faccia di solito; ci troviamo, ad esempio, lontanissimi dalle sonorità aspre degli Adrenaline Mob. Le basi sono smaccatamente ispirate all'AOR ottantiano da cui questo album attinge a piene mani e proprio per questo il disco è ricco di melodia in ogni traccia con anche una buona dose di power ballad, e questa commistione di suoni morbidi e patinati rende il disco piacevole e orecchiabile già al primo giro.

Le undici tracce convincono tutte, dalla prima all'ultima, ed è molto difficile individuare momenti migliori di altri. Tra i brani cantati dal solo Allen spicca comunque Lost Soul che ha strofe veloci e ritornelli da ballad; tra quelle soliste di Anette il brano migliore è sicuramente la power ballad Cold Inside che presenta atmosfere ottantiane ancora più marcate che altrove. Tra i duetti migliori troviamo la lenta What If I Live e la grintosa No Sign Of Life che sono i due brani che mettono meglio in luce l'amalgama tra i due, che sembrano cantare insieme da anni mentre invece sono alla prima prova in studio in coppia.

È ovvio che questo tipo di esperimenti non è fatto per scrivere la storia del rock, che questo album si basa su stilemi musicali noti e non fa dell'innovazione il suo punto di forza; ma ciò non toglie che questo disco è sicuramente un momento di ottimo rock melodico, che diverte e intrattiene per tutta la sua durata e propone una prova canora stupefacente delle voci limpide e potenti di questi due interpreti. E vista la qualità della prima opera non resta che sperare che questa coppia ci regali altri album dello stesso livello.

mercoledì 4 marzo 2020

Piero Pelù - Pugili Fragili

Dopo la sua partecipazione a Sanremo, il cantante dei Litfiba Piero Pelù ha pubblicato il suo sesto album solista (ottavo, se si includono anche le compilation Presente e Identikit che contenevano comunque materiale inedito) intitolato Pugili Fragili. Il disco è stato anticipato dall'uscita di due singoli: il sorprendentemente brutto Picnic all'Inferno, dedicato a Greta Thunberg e che contiene campionamenti di un suo discorso, e il convincente pop-rock allegro di Gigante, che Piero ha portato al Teatro dell'Ariston a inizio febbraio.

Il disco è composto da dieci tracce, tra cui troviamo anche la cover in versione rock di Cuore Matto anch'essa eseguita a Sanremo nella serata dedicata alla cover, e non è la prima volta che Piero reinterpreta nel suo stile i classici della musica italiana: come b-side del suo primo singolo solista Io Ci Sarò del 2000 aveva infatti scelto Pugni Chiusi dei Ribelli e nel tributo a Lucio Battisti intitolato Innocenti Evasioni del 1993 aveva interpretato con i Litfiba Il Tempo di Morire.

Tra le altre tracce il disco contiene sicuramente dei passi falsi, Luna Nuda e Ferro Caldo suonano stranamente forzate e sembrano essere dei riempitivi per arrivare a dieci tracce, ma fortunatamente il resto dell'album funziona bene e regala una buona dose di pezzi rock di vario stile ma sempre molto godibili. La title track è un midtempo con tematiche intimistiche che Piero ha sempre tenuto solo per i suoi album solisti, e poco dopo troviamo Nata Libera che è sicuramente il pezzo migliore e più interessante dell'album con atmosfere desertiche che sembrano nate dall'incontro dei i Litfiba di Fata Morgana e Il Mio Corpo che Cambia con i Calexico.

Il disco è chiuso da un terzetto di pezzi energici che iniziano con Fossi Foco, ispirata al celebre sonetto di Cecco Angioleri, che vede Piero duettare con Appino degli Zen Circus su un testo che si scaglia contro le discriminazioni verso le minoranze. Segue Stereo Santo, un potente e grintoso inno alla musica e al rock che cita Ozzy Osbourne come mangiatore di pipistrelli. Chiude il disco il pezzo più pesante dal punto di vista musicale, intitolato Canicola, che tratta del riscaldamento globale ed è l'unico brano che sconfina dell'hard rock.

In conclusione, Pugili Fragili conferma ciò che avevamo già capito dal 2000 al 2009: cioè che Piero è sicuramente in grado di fare della buona musica lontano da Ghigo; ma se ciascuno dei due funziona bene da solo, entrambi funzionano benissimo solo insieme. Pugili Fragili è un buon disco, che contiene pezzi decisamente validi, ma i fasti di El Diablo, Spirito o del più recente Eutòpia sono molto lontani.

sabato 25 gennaio 2020

Giacomo Voli The Voice of Rock - Milano, 24/1/2020

Non avevo ancora visto The Voice of Rock, il nuovo spettacolo di Giacomo Voli dedicato ai classici del passato, ma questa volta la location scelta per l'evento, il Legend Club di Milano, è vicina a casa e quindi l'evento è imperdibile. E poi in scaletta ci sono due gruppi d'apertura tutti da scoprire: i Madhouse che nella bassa padana godono di buona notorietà e i comaschi Kreoles.


La serata inizia alle 21:30 come da programma con l'alt rock dei pavesi Madhouse guidati dalla grintosa frontwoman Federica Tringali la cui potente voce da contralto intrattiene il pubblico per più di mezz'ora. Segue l'hard rock di stampo ottantiano dei Kreoles che propongono pezzi tratti dal loro ultimo album dalle sonorità dure ma allo stesso tempo decisamente catchy, tanto che il pubblico riesce a cantare con il lead singer Ivan McSimon già al secondo ritornello.

Giacomo Voli sale sul palco poco dopo le 23 e con la sua band inizia la serata con Helter Skelter dei Beatles, forse più ispirata alla versione più energica degli U2, con cui dà subito sfoggio delle sue potenti doti canore che oggi sembrano proprio essere in grade spolvero, nonostante la stanchezza per un viaggio verso Milano pieno di imprevisti, come lo stesso Giacomo racconta al pubblico. Ma forse è proprio la voglia di dimostrare che gli imprevisti non fermano il nostro leggendario vocalist che spinge la band a tirare fuori il meglio di sé, infatti sul palco gira tutto benissimo e la serata scorre alla grande con un repertorio che spazia dagli anni 60 fino ai Muse.

Tra i primi pezzi Giacomo esegue Killing In The Name dei Rage Against the Machine e la scelta è tutt'altro che banale, perché Giacomo ci ha abituato da sempre ai propri virtuosismi vocali ma qui si trova a a dover rappare i versi di Zack de la Rocha. Comunque questo pezzo di ottimo crossover dimostra che Giacomo rappa alla grande e si muove benissimo in un terreno lontano da quelli consueti e a questo punto è lecito chiedersi quali siano i limiti di questo cantante fenomenale, ammesso che ne abbia.

La serata prosegue con quella che Giacomo definisce la sfida tra band, sfida nella quale non perde nessuno ma vincono sempre tutti; ovvero dei medley di pezzi di due band che hanno interpretato il rock e il metal con stili molto diversi tra loro. E se alcuni accostamenti, come quelli tra Metallica e Iron Maiden, possono sembrare naturali, altri come quello tra Queen e Muse sono davvero sorprendenti. E sorprende anche ascoltare come Madness cantata da Voli sia molto più emozionante e profonda della versione di Matt Bellamy, ma in realtà lo sapevamo almeno da The Voice of Italy di sei anni fa.


Il pubblico canta tutti i pezzi da sotto al palco per tutta la serata e Giacomo invita spesso a sostituire i versi originali con frasi buffe in italiano dal suono simile, e qualche volta si fa fatica a cantare perché le trovate del nostro Jack sono così divertenti che non riusciamo a cantare per via delle risa. La serata si chiude con la sfida tra i Deep Purple e Led Zeppelin, scelta quasi obbligata in una serata come questa, che dà modo al Giacomo di mostrare ancora una volta il meglio della propria vocalità; ma appena prima la band ci vuole proporre del metal in italiano e siccome ne esiste poco ne ha inventato un po' per l'occasione con un mash-up tra Franco Battiato e i Rammstein, più altri due pezzi di Battiato riarrangiati da Giacomo.

Alla fine della serata viene da chiedersi come sia possibile che Voli faccia così tante cose diverse, spaziando dagli acustici, alle cover dei Queen, ai Rhapsody of Fire fino a The Voice of Rock e forse la risposta ce l'ha data stasera: la creatività di questo straordinario artista non può incanalarsi su una strada sola e ha bisogno di tutta questa varietà per esprimersi.

Stasera ci hai regalato della bellissima musica e ci hai anche fatto ridere e divertire, e in questi tempi di follia è proprio ciò di cui abbiamo bisogno per rinsavire. Grazie Giacomo, a presto!

sabato 21 settembre 2019

Pierre Edel - Live in Moscow 2018

The original Italian text is available here.

French vocalist Pierre Edel can't be described as "former competitor of The Voice" anymore, because his musical activity proceeds both live and in studio with deserved success. On September 21, Pierre published on YouTube the video of the concert he held in September 2018 at the Mezzo Forte Club in Moscow, where he entertained the audience with rock and roll classics for over an hour.


The band led by Pierre Edel is composed by Dmitry Ursul on guitar, Kirill Zelepukhin on keyboards, Anton Chuiko on bass, Michael Sorokin on drums and two extraordinary singers such as Anna Solo and Lera Green. The team is backed by the sound engineer Igor Baidikov.

During the concert Pierre Edel performs a selection of historical pieces taken from rock and hard rock music of the 70s and 80s, from Bon Jovi to Deep Purple through Styx and David Lee Roth. The band moves perfectly on stage and in each songs Pierre shows off his unmistakable voice, powerful and able to reach very high notes. In addition to the excellent voice of the leader, the two girls also stand out and they immediately give proof of their abilities in Bad Medicine and reiterate them in Hold the Line in which each of them sings a verse leaving the chorus to Pierre.

The concert sees a predominance of fast tracks, with the only exception of Feels Good to Me by Black Sabbath, in which Pierre proves he can compare with Tony Martin. In the setlist, Pierre adds just one blues song with Joe Bonamassa's The Ballad of John Henry, leaving unaltered its psychedelic taste; thanks to the long instrumental parts the song highlights the excellent skills of all musicians, which Pierre introduces with short interviews mounted inside the video between each song and the next one.

The only new song in the setlist is the powerful Rock 'n' Roll Slave (written by Pierre Edel and Dmitry Ursul), a gritty and vibrant AOR piece in full 80's style that allows Pierre, more than the covers, to show his vocal skills. The singer closes the concert with two very strong Deep Purple tracks such as I Can't Do It Right and Burn (which in an interview he said is one of his favorite songs) that surely leave a lot of energy in the audience and a great memory.

Burn fades with the closing credits of this concert by one of the best rock voices in recent years. And at the end of the vision, this video leaves the certainty that the voice is hot, the shape is dazzling and we just have to wait for the next record of new works by this phenomenal singer.

Pierre Edel - Live in Moscow 2018

Una traduzione in inglese di questo articolo è disponibile qui.

L'etichetta di "ex concorrente di The Voice" inizia ad andare stretta al vocalist francese Pierre Edel la cui attività musicale procede sia dal vivo sia in studio con meritato successo. Il 21 settembre Pierre ha pubblicato su YouTube il video del concerto tenutosi a settembre del 2018 al Mezzo Forte Club di Mosca, dove ha intrattenuto il pubblico con i classici del rock and roll per oltre un'ora.

La band capitanata da Pierre Edel è composta da Dmitry Ursul alla chitarra, Kirill Zelepukhin alle tastiere, Anton Chuiko al basso, Michael Sorokin alla batterie e due coriste straordinarie quali Anna Solo e Lera Green. Il team è coadiuvato dietro le quinte dall'ingegnere del suono Igor Baidikov.


Durante il concerto Pierre Edel esegue una selezione di pezzi storici del rock e dell'hard rock degli anni 70 e 80 spaziando dai Bon Jovi ai Deep Purple passando per gli Styx e David Lee Roth. La band si muove sul palco alla perfezione e in ogni pezzo Pierre dà sfoggio della sua voce inconfondibile, potente e in grado di raggiungere note altissime. Oltre all'ottima voce del leader, spicca anche quella delle due ragazze, che danno subito prova delle loro capacità in Bad Medicine e che le ribadiscono in Hold the Line in cui ciascuna di loro canta una strofa lasciando a Pierre il ritornello.

Il concerto vede una predominanza di brani veloci, con l'unica eccezione di Feels Good to Me dei Black Sabbath, in cui Pierre esce a testa altissima dal confronto con Tony Martin. Nella setlist Pierre aggiunge un solo pezzo blues con The Ballad of John Henry di Joe Bonamassa di cui lascia inalterato il gusto psichedelico e che grazie alle lunghe parti strumentali mette in luce le ottime capacità di tutti i musicisti, che Pierre presenta con brevi interviste montate all'interno del video tra un pezzo e l'altro.

L'unico inedito in scaletta è il potente Rock 'n' Roll Slave (scritta da Pierre Edel e Dmitry Ursul), un grintoso e vibrante pezzo AOR in pieno stile anni 80 che consente più delle cover a Pierre di mettere in mostra le proprie capacità vocali. Il cantante chiude il concerto con due pezzi fortissimi dei Deep Purple quali I Can't Do It Right e Burn (che in un'intervista ci aveva rilevato essere uno dei suoi brani preferiti) che sicuramente lasciano nel pubblico un bel po' di energia e un ottimo ricordo.

Su Burn sfumano i titoli di coda che sanciscono la chiusura di questo concerto di una delle migliori voci del rock degli ultimi anni. E al termine della visione, questo video lascia la certezza che la voce è calda, la forma è smagliante e ora non resta che aspettare il prossimo disco di inediti di questo cantante fenomenale.

lunedì 16 settembre 2019

Black Star Riders - Another State of Grace

Il nome della band potrebbe non suonare familiare a tutti, ma a dispetto di ciò i Black Star Riders non sono una band esordiente dalla storia breve, ma un gruppo nato dalla formazione dei Thin Lizzy del 2012 che da allora ha deciso di utilizzare un nome diverso per le incisioni nuove così da non utilizzare il marchio della band storica.

Nel 2019 i Black Star Riders hanno pubblicato il loro quarto album dal titolo Another State of Grace composto da undici tracce nel puro stile tradizionale dei Thin Lizzy. Così come nei tre album precedenti, anche in questo nuovo disco la musica dei Black Star Riders è composta da un hard rock potente e diretto fatto per divertire e catturare l'ascoltatore dal primo giro nello stereo. L'album presenta ovviamente una predominanza di brani veloci in cui lo stile della storica band di Phil Lynott è perfettamente riconoscibile grazie all'uso delle cosiddette twin guitars che conferiscono ai pezzi un suono particolarmente grintoso.

L'album parte con la travolgente traccia di apertura Tonight the Moonlight Let Me Down, che dà un primo assaggio di ciò che si troverà nel resto del disco e il cui rimando alla storia Dancing in the Moonlight dei Thin Lizzy non è troppo velato, il pezzo è anche impreziosito da un assolo di sax nel finale. Tra i pezzi migliori troviamo anche la funkeggiante Soldier in the Ghetto che ricorda come i Thin Lizzy non abbiano mai rinunciato alle contaminazioni della musica nera. Ovviamente non possono mancare le influenze del folk irlandese che troviamo molto marcatamente nella title track che proprio grazie a queste risulta essere il pezzo migliore dell'album. Su undici tracce ne troviamo solo due dai ritmi più lenti, quali la ballad Why Do You Love Your Guns? e il midtempo What Will It Take?

Another State of Grace è in sintesi un disco che fa esattamente ciò che ci si aspetta debba fare, cioè diverte e intrattiene per tutta la sua durata, con una musica grezza, diretta e senza fronzoli. È ovvio che i Black Star Riders non faranno mai rivere i fasti dei Thin Lizzy perché un leader carismatico come Phil Lynott è impossibile da sostituire, e anche perché mentre la band originale attraversò vari periodi questa nuova formazione tende a mettere insieme tutti i caratteri distintivi dei Thin Lizzy producendo una musica un po' troppo uguale a sé stessa. Ma se si ascolta questo disco con le giuste aspettative non si può non considerare che l'obiettivo è centrato in pieno e che i Black Star Riders sono una delle realtà più interessanti del panorama rock degli ultimi anni.

sabato 17 agosto 2019

Giacomo Voli - Cremona, 16/8/2019

È una notte di mezza estate, una di quelle rese celebri dal famoso sogno di Shakespeare, e questa volta la location per il concerto di Giacomo Voli è decisamente insolita, perché il CRAL di una grande azienda come la Tamoil non è il posto dove ci si aspetta che si possa fermare per una sera un cantante blasonato come il nostro Giacomo. Fa caldo, ma non troppo, e quindi il viaggetto verso Cremona si affronta volentieri.


Il concerto è anticipato da una cena a base di gnocchi tricolori, e come sempre la cena è anche un momento di convivialità, per conoscere gente nuova accomunata dalla passione per la buona musica e per la voce di Giacomo. E dopo aver fatto qualche nuova amicizia, inizia il concerto con Giacomo che imbraccia la chitarra poco dopo le 21:30 e già dal primo pezzo si capisce che la serata non avrà nulla di scontato, perché la scelta dei pezzi è singolare, visto che si parte con What's Up? dei 4 Non Blondes. La voce di Linda Perry è unica, ma Giacomo riesce alla grande a interpretare il pezzo, e io che pensavo che un brano del genere fosse impossibile da rendere in acustico evidentemente mi sbagliavo.

Nella prima parte della scaletta trovano ampio spazio gli Aerosmith, e nemmeno gli acuti di Steven Tyler non sono un problema per Giacomo che regge il confronto alla grande e anche in questo caso la scelta dei pezzi non è banale perché oltre ai superclassici come Dream On e I Don't Want to Miss a Thing troviamo anche Pink che potrebbe non essere tra i pezzi più conosciuti per chi non segue il gruppo. Giacomo si accompagna alternando la chitarra e la tastiera e sopperisce con quest'ultima all'assenza della batteria e il risultato è che il suono è molto più ricco e completo di quanto ci si aspetterebbe da un acustico, così che più che a un acustico sembra di assistere al concerto di una one man band.

Nel prosieguo del concerto Giacomo esegue un buon numero di pezzi dei Queen, con il pubblico che canta i ritornelli insieme al vocalist che attinge dal repertorio degli anni 70 con Bohemian Rhapsody, Killer Queen e Somebody to Love, fino agli anni 80 di Radio Ga Ga e I Want to Break Free. Ovviamente non può mancare un omaggio ai mostri sacri del rock anni 70, come i Led Zeppelin di Whole Lotta Love e i Deep Purple con Soldier of Fortune, Hush e Smoke on the Water.

Giacomo sorprende tutti quando dice che sta per fare qualche pezzo italiano prima di chiudere il concerto. Ma come, è già tempo di salutarci? Non è iniziato da un quarto d'ora al massimo? Guardo l'orologio e, no, sono passate quasi due ore. Ma è stato tutto così divertente che il tempo è volato. Godiamoci allora gli ultimi pezzi, con Ti Sento dei Matia Bazar e Impressioni di Settembre della PFM (entrambe già incise da Voli nei suoi album solisti). E prima di chiudere non possono mancare ancora due brani dei Queen come We Are The Champions e Crazy Little Thing Called Love che Giacomo regala perché il pubblico non vuole lasciarlo andare senza un encore.

Purtroppo il concerto finisce, anche se il tempo sembra essere passato in un attimo. Sceso dal palco, Giacomo si ferma a fare qualche foto con i fans e a scambiare qualche parola con il pubblico che si complimenta per la voce e per l'esecuzione. Durante il viaggio verso casa nell'autoradio scelgo l'ultimo album dei Rhapsody of Fire, perché stasera Giacomo ci ha dato prova di uno dei lati della sua vocalità e l'occasione è buona per ripassare anche quella più metal ed epica. E mentre ripensiamo al concerto che abbiamo appena visto, resta la consapevolezza che alla fine è andato tutto bene, che abbiamo assistito a una grande prova di un polistrumentista e cantante straordinario, e che è proprio così che una notte di mezza estate dovrebbe essere per essere perfetta.

martedì 30 luglio 2019

Hollywood Vampires - Rise

Sono passati cinque anni dall'esordio discografico dello strano supergruppo formato da Alice Cooper, Joe Perry degli Aerosmith e l'attore Johnny Depp, noto con il nome di Hollywood Vampires, che nel 2014 esordì con un album di cover. Questo 2019 vede il ritorno del terzetto con un album dalle ambizioni maggiori intitolatalo Rise e composto tredici pezzi nuovi (di cui quattro interludi) più tre cover.

Il disco parte subito con forza con il potente hard rock di I Want My Now, che dura più di sette minuti. Ma la prima traccia non deve trarre in inganno, se infatti è normale aspettarsi un disco di rock massiccio da questo terzetto, il resto del disco riserverà comunque delle sorprese muovendosi tra stili diversi e alternando anche i vocalist; infatti nonostante Alice Cooper canti la maggior parte dei pezzi cede spesso il microfono agli altri due.

Nel disco troviamo infatti anche un pezzo rock and roll da sapore rétro come Welcome to Bushwackers (che vede la presenza come ospiti di Jeff Beck e dell'attore John Waters) e momenti di stoner rock come in Git from Round Me cantata dal bassista Tommy Henriksen e da Johnny Depp. Verso la chiusura del disco Alice Cooper torna anche ad atmosfere cupe e doom in Mr Spider. La traccia di apertura non è comunque l'unico pezzo energico del disco, infatti sullo stesso stile troviamo anche The Boogieman Surprise e New Threat.

Come anticipato nel disco sono presenti anche tre cover. La prima di queste è il midtempo You Can't Put Your Arms Around a Memory di Johnny Thunders del New York Dolls, qui cantata da Joe Perry che lascia la melodia inalterata ma sostituisce la voce acuta di Thunders con la propria molto più bassa e profonda. La seconda cover è Heroes di David Bowie cantata da Johnny Depp, che nonostante riesca a interpretarla in modo sicuramente dignitoso, dimostra di non essere un vero cantante visto che la parte vocale è notevolmente semplificata (e per verificarlo basta un breve confronto con la versione dei Wallflowers cantata da Jakob Dylan). La terza e ultima cover e People Who Died della Jim Carroll Band in cui al microfono troviamo di nuovo Depp. È comunque curioso constatare che Alice Cooper non canta nessuna delle tre cover e, a parte Git From Round Me, sono proprio questi gli unici pezzi che non lo vedono alla voce.

In conclusione, Rise fa esattamente ciò che ci si aspetta, regalando oltre un ora di hard rock divertente, non troppo ricercato e fatto per piacere al primo ascolto senza pretese di innovazione o sperimentazione; ovviamente va benissimo così perché è proprio questo che un supergruppo deve fare. E se Alice Cooper e Joe Perry sono musicisti esperti e navigati, un plauso particolare va a Johnny Depp che a oltre cinquant'anni grazie agli Hollywood Vampires dimostra di essere un chitarrista in grado di reggere concerti e di registrare un album di livello professionale insieme a gente che vanta oltre quattro decenni di esperienza.

mercoledì 24 luglio 2019

Gianluigi Cavallo - Base Ribelle

Sono passati quattro anni da quando la scena rock italiana è stata travolta dal ritorno discografico di Gianluigi "Cabo" Cavallo, ex frontman dei Litfiba dal 2000 al 2006, con l'album E=MC2 - Essenza di Macchina Cuore Cervello della nuova formazione denominata ilNero. E dopo un lungo tour che ha alternato performance in elettrico a altre in acustico, il 2019 vede finalmente l'uscita del nuovo album del cantante parmense, questa volta firmato con il suo solo nome e cognome e intitolato Base Ribelle.

Il disco è composto di dodici pezzi a cui ha collaborato come assistente anche il figlio Sebastiano, detto Zeb. Come suggerisce il titolo stesso, e come è normale aspettarsi dal passato di Cabo, tutte le tracce dell'album trasudano di un rock puro, genuino e diretto i cui testi parlano spesso della ribellione e del rifiuto dell'omologazione. E se questo aspetto era facilmente intuibile anche prima dell'ascolto, il disco presenta anche molti lati inattesi, come la sperimentazione e la contaminazione di musica etnica con cui Cabo ha arricchito la propria produzione.

L'uscita dell'album è stata preceduta dalla pubblicazione di due tracce che hanno dato un assaggio di quello che si trova nel disco intero con pezzi ricchi di riff di chitarra e con melodie che valorizzano appieno la straordinaria voce baritonale di Cabo. I primi due brani pubblicati sono stati Di Questo Mondo, che è il pezzo più pesante dell'intero album caratterizzato da suoni pesanti ai confini con il metal e con spruzzate di grunge nello stile di In Utero sul ritornello, e il midtempo Leggero che invece si muove su atmosfere più raccolte e distantissime da quelle del pezzo precedente.

Sonorità aggressive da heavy metal si trovano anche in Il Crocevia dei Miracoli ed E Fuoco Sia, impreziosita dai vocalizzi in stile gitano dello stesso Cabo prima e dopo l'ultimo ritornello. Tra i pezzi "d'assalto" troviamo anche Faccia al Vento, grintoso hard rock che cita anche uno stralcio di un'intervista a Giovanni Falcone sul non rimanere prigioniero della paura.


Nel disco spiccano anche alcuni pezzi influenzati dallo stoner rock dalla velocità non troppo elevata e che risultano anche essere quelli che mettono più in luce le capacità vocali di Cabo. Tra questi troviamo Destino, Sei e Orizzonte che è uno dei momenti più interessanti del disco grazie alle sua mescolanza di stoner, psichedelia e influenze mediterranee.

Come anticipato, non mancano momenti più melodici come il midtempo Quello Che Ho, anch'essa influenzata dal med rock, e l'etera Nuvole ricca di venature new wave e synth pop. Completano il disco il rock and roll della title track, introdotta da una citazione del compianto presidente Sandro Pertini sull'importanza del seguire i propri ideali per distinguersi dalla massa, e la lenta e profonda traccia di chiusura Le Nostre Verità.

In conclusione questo album è sicuramente una delle uscite migliori di questo 2019, grazie a dodici tracce ricche di spunti diversi che meriterebbero tutte una pubblicazione in singolo. Che Cabo fosse uno dei migliori autori e interpreti del rock italiano è noto fin da Elettromacumba, ma con questo album, che è il suo primo da solista, ha sicuramente alzato l'asticella dando pieno sfogo alla sua creatività. Base Ribelle è un assoluto capolavoro di rock, l'ennesimo della carriera di Cabo, e ora non resta che aspettare di poter sentire la potenza di questi pezzi deflagrare dal vivo nel prossimo tour.

lunedì 1 luglio 2019

Marko Hietala - Mustan Sydämen Rovio

Il 2019 vede l'esordio discografico da solista del bassista dei Nightwish Marko Hietala. La band finlandese è nota soprattutto per le straordinarie doti canore delle tre vocalist che si sono avvicendate come frontwoman, ma non va dimenticato che Hietala esegue tutte le voci maschili ed i cori sin da Century Child del 2002 ed è quindi l'unico e vero quarto cantante della band.

L'album solista di Hietala si intitola Mustan Sydämen Rovio ed è composto da dieci tracce cantate interamente in finlandese, aspetto che dona un tocco particolare al disco che manca alle incisioni dei Nightwish. Inoltre la musica solista di Marko si distanza notevolmente dal metal della band per assestarsi su un hard rock ricco di spunti diversi ma lontanissimo dal lirismo dei Nightwish.

L'album parte fortissimo con l'energica e maestosa Kiviä in cui Hietala dà subito una forte prova delle qualità della sua voce. Subito dopo troviamo Isäni ääni, la prima delle sei ballad del disco che rallenta i ritmi. Con la terza traccia Tähti, hiekka ja varjo troviamo marcate suggestioni elettroniche da AOR ottantiano che donano sonorità patinate molto lontane dal suono delle due tracce di apertura, ma che ritroveremo in abbondanza in altri pezzi. Sulle stesse atmosfere troviamo ad esempio Vapauden kuolinmarssi e la ballad Laulu sinulle. Come anticipato il disco è ricco di ballad e oltre a quelle già menzionate troviamo l'onirica Minä olen tie e Unelmoin öisin oltre a Kuolleiden jumalten poik che alterna strofe leggere a ritornelli più pesanti.

Completano il disco due pezzi dal sapore folk quali la grintosa Juoksen rautateitä e la ballad Totuus vapauttaa che chiude il disco.

Il primo album di Marko Hietala è in sintesi un ottimo disco che convince e intrattiene dal primo all'ultimo pezzo, ricco di contaminazioni diverse e che stupisce per quanto Hietala si sia allontanato da quanto fatto in passato. Mustan Sydämen Rovio piacerà ai fan dei Nightwish ma anche ai rocker di ogni genere e centra perfettamente l'obiettivo dei dischi solisti, cioè quello di dar modo ai musicisti di esprimersi anche in stili diversi da quelli delle loro band.

giovedì 20 giugno 2019

Def Leppard + Whitesnake - Assago, 19/6/2019

Tra i miei gruppi preferiti che non avevo mai visto dal vivo ce n'era uno che occupava un posto particolare, perché il desiderio di vedere un live del leopardo sordo guidato da Joe Elliot era veramente molto alto. E quindi appena uscito il calendario dei concerti del 2019 è partito l'assalto alla pagina web di TicketOne per assicurarsi un posto nel parterre, quello dove fa caldo e non c'è neanche un centimetro per respirare, ma da dove il concerto si vive appieno vicino al palco. La locandina riportava che ci sarebbero stati anche i Whitesnake come very special guest perché ovviamente non si tratta di un gruppo di apertura e quindi il concerto in realtà ha un doppio headliner.

Causa un incidente in tangenziale il percorso che ci conduce al Forum è particolarmente impervio tra la periferia milanese più degradata, ma poco male: arriviamo in anticipo e senza fretta. Appena entriamo ci troviamo immersi nella folla che quando alle otto precise vede i Whitesnake aprire lo spettacolo è già accalcata per accogliere i propri idoli. La band di Coverdale parte fortissimo con Bad Boys dal loro album più famoso e prosegue subito dopo con Slide It In, per poi procedere attingendo principalmente dai loro album della fase hair metal.

Coverdale esegue quasi tutta la sua performance sulla parte di palco che si estende in mezzo al pubblico, stando quindi vicino ai fan e lontano dal resto della band. Nonostante gli anni che passano il vocalist tiene la scena alla grande, e la sua voce trova riposo solo dopo mezz'ora quando i due chitarristi Reb Beach e Joel Hoekstra si cimentano in un guitar duel e quando poco dopo Tommy Aldridge regala un assolo di batteria, dapprima con le bacchette e poi a mani nude. La band esegue solo due pezzi dall'ultimo album Flesh & Blood, quali Shut Up & Kiss Me e Hey You, e tiene sapientemente le ballad come Is This Love e Here I Go Again per la chiusura dello show.

Quando Coverdale presenta la band il pubblico esulta per il nostrano Michele Luppi alle tastiere, e anche quando il sestetto saluta il pubblico prima di lasciare il palco ai Def Leppard la folla scandisce ancora il nome di Michele a rimarcare che l'eccellenza italiana va apprezzata e sostenuta.

Dopo un'ora sembra di aver appena assistito a un concerto fantastico, ma forse non sappiamo che ciò che sta per arrivare sarà ancora meglio. Perché se i Whitesnake sono grandiosi, i Def Leppard sono di un altro pianeta.

Il gruppo di Elliot parte subito con due grandi classici come Rocket e Animal e il tuffo nel passato prosegue con Let It Go e When Love and Hate Collide. Anche i Def Leppard si concentrano principalmente sulla fase AOR della loro carriera eseguendo ben sei pezzi da Hysteria e tre da High 'n' Dry.

La performance della band è stellare dall'inizio alla fine, con i quattro musicisti che non sbagliano un colpo nelle musiche e nei cori, e con le inquadrature sui maxischermi che indugiano spesso sull'eroico batterista Rick Allen che viene accolto da applausi ogni volta che appare sui video.

Joe Elliot coinvolge il pubblico tantissimo, invitandolo a cantare con lui e a eseguire i cori, tanto che non sembra di essere il pubblico che assiste a uno spettacolo, ma parte dello spettacolo stesso. La band è semplicemente perfetta per tutte le quasi due ore del concerto in cui il meglio del proprio repertorio più la cover di Rock On di David Essex e uno snippet di "Heroes" di David Bowie all'interno di Hysteria (e qualcuno accanto a noi commenta che il pezzo del Duca Bianco è talmente inflazionato che una cover di "Heroes" l'ha fatta anche mia nonna).

L'energia della musica si ferma solo per Two Steps Behind eseguita in acustico, per la quale anche Elliot imbraccia la chitarra. Il concerto termina con Pour Some Sugar on Me, Rock of Ages e Photograph e al termine dell'encore il pubblico applaude unanime la band che saluta Milano dopo un concerto strepitoso.

Mentre usciamo dal Forum e ci infiliamo nel trafficatissimo parcheggio riflettiamo sul fatto che i Def Leppard sono stati davvero fenomenali: suono pulito e potente e coinvolgenti come nessun altro. Magari qualche pezzo dal primo album On Through the Night (quello dal suono un po' più metallico degli altri) ci sarebbe stato bene, ma va bene anche così! Perché in realtà questa sera è andato bene tutto e ora on through the night ci tuffiamo davvero consapevoli che quella che abbiamo appena visto è una delle migliori band al mondo e che dal vivo sono una vera forza della natura.

sabato 18 maggio 2019

Giacomo Voli - Cremona, 17/5/2019

Data fissata in calendario già da più di un mese, appena dopo aver letto tra gli eventi di Giacomo Voli che il 18 maggio si sarebbe fermato a Cremona. Non sapevo dove fosse il Nelson Pub, per me è un po' fuori dal giro, ma imposto il navigatore e si parte tra il freddo e la pioggia di questo strano mese di presunta primavera.

Il locale è piccolo è raccolto, con un bellissimo soffitto a volta con mattoni a vista che trasuda il rock and roll delle cantine americane tanto che viene voglia di voltarsi per vedere se appoggiati al bancone a bere una birra non ci siano anche Jim Morrison e Ray Manzarek.

Prima che inizi il live Giacomo gira tra il pubblico che si fa sempre più numeroso, come se non fosse il vocalist della band metal più blasonata del nostro paese ma un amico che ha organizzato una festa e invitato un po' di altri amici. Il live inizia verso le 22:30; si parte con Don't Stop Me Now  dei Queen, si procede con Hold the Line dei Toto e Eye of the Tiger dei Survivor che lascia un po' sorpresi, non essendo uno di quei pezzi che di norma si ascoltano agli acustici, ma il Re Mida della musica che abbiamo davanti riesce alla grande ad trasformare in questo stile uno dei brani di AOR più iconici di sempre. Tra un pezzo e l'altro Giacomo condisce la musica con qualche racconto personale, spiegando perché è legato ai pezzi che esegue e proprio per Eye of the Tiger narra come il giro di chitarra così aggressivo lo abbia colpito fin da bambino.

Il nostro vocalist alterna tastiera e chitarra mentre esegue pezzi presi dal repertorio rock di ogni genere dagli anni 60 ad oggi, passando con disinvoltura dai Beatles agli U2 e dai Deep Purple a Gethsemane di Jesus Christ Superstar per la quale racconta di essere più legato alla versione di Ian Gillian che a quella più celebre di Ted Neeley

Vorrei un caffè e mi volto per vedere se riesco a chiamare il cameriere, ma il pubblico dietro di me è molto più nutrito di quanto avessi capito e forma una barriera umana. Ottimo! Questo grande talento che si sta esibendo merita un pubblico numeroso, e pazienza se il caffè dovrà aspettare. Anzi, il locale è talmente gremito che un ragazzo mi chiede se si può sedere in un posto vuoto al mio tavolo e ça va sans dire che la risposta sia positiva, perché il rock unisce, aggrega e un gesto di amicizia non si nega a nessuno.

Intanto sul palco Giacomo non sbaglia un colpo, l'esecuzione è perfetta sia musicalmente che vocalmente e ogni pezzo è condito con un po' di gusto personale del nostro Voli che adatta i brani all'acustico con grande maestria. Gli assoli vengono spesso sostituiti da vocalizzi, ed essendo Giacomo uno dei migliori vocalist del pianeta il risultato è sorprendente quanto interessante e viene da chiedersi se forse i pezzi non siano più belli così di come erano in origine.

Tra i pezzi in scaletta ne troviamo anche I Don't Want To Miss a Thing e Dream On degli Aerosmith e Black Hole Sun dei Soundgarden e Giacomo non può trattenere un ringraziamento a Steven Tyler e Chris Cornell per il loro contributo alla storia della musica e per le loro composizioni.

Circa mezzora dopo la mezzanotte il mixerista fa segno che c'è tempo solo per altri due pezzi. Peccato, dobbiamo rinunciare a Rock And Roll, il brano di Giacomo Voli di cui anche i Led Zeppelin hanno fatto una cover (...okay, forse non è proprio così, ma fa niente... o forse non era così fino a qualche anno fa e adesso sì).

Finito il concerto il pubblico ancora gremito non accenna ad allontanarsi ed attornia Giacomo per scambiare due parole o magari sentire qualche aneddoto da questo ragazzo che nonostante la giovane età ha esperienza da vendere.

Risaliamo in macchina, maltempo e freddo non se ne sono andati, ma ripartiamo con la consapevolezza che valeva la pena sfidare ogni goccia di pioggia per assistere al concerto di un grande artista, in una bellissima location e con un pubblico caldissimo che in questa serata non poteva mancare.

lunedì 11 marzo 2019

An interview with Pierre Edel

An Italian translation in available here.

French-Russian singer Pierre Edel is one of the most interesting vocalists on nowadays rock 'n'roll music. To discuss the four times he competed in the talent show The Voice and his most relevant recordings, Pierre accepted our proposal for an interview.

We would like to thank Pierre Edel for his kindness and availability.


125esima Strada: Hi Pierre and thanks for the time you are giving us. Let's talk first about your 2017 album which is on SoundCloud. I know it took you many years to write and record it. What's the story behind this album?

Pierre Edel: The album is a collection of stuff that I wrote between 2006 and 2007, over ten years of songwriting and of course I released much more stuff with different bands but these ones are so special to me I don’t even know if I would play them on stage. Of course I did just a couple of times, there’s a live version of 66Sex in Odessa on YouTube and that’s about it.

66Sex and Chemistry of Love were written in 2006, all the other songs were written a bit later and Return to the City of Love was written in 2017 because I was coming back to live in Paris. I wanted to pick some of the songs I hadn't released, or if I did release them they were not recorded properly, maybe I didn’t have the right vocal technique yet to sing these songs. There were two more songs that were supposed to be rerecorded, one of which was called Leaving the City of Love, which is of course the first part to Return to the City of Love, and the other one was called Rock ‘n’ Roll Smells Funny, and I guess I have some recordings of us playing them as a trio with me on the guitar on rehearsal or the only time the songs were played live.


125esima Strada: Is there any song of the album you like better than the others? If so, why?

Pierre Edel: The song I like most is Return to the City of Love, it works, it’s catchy. If I was to release it on a mainstream label I would simplify it a little bit, chop out some of the prog melodies in between the verses, they don’t really make sense but they are just fun to play for me and fun to listen to. It’s a Frank Zappa thing. One of my best friend, my guitarist, said “You write good songs and then you do anything you can to ruin them.” So I would chop out the stuff that is a little bit too much.


125esima Strada: Let's talk also about your collaboration with Sergey Mavrin. How did you get involved and how did you two work together?

Pierre Edel: When I was a little kid living in France I was living with a nanny, I didn’t really see my parents that much, they were divorced when I was born. So I was living with an old Russian lady I loved so much, she was a like grandmother to me, I went to see her recently in Moscow she’s almost 90 years old now. At some point her grandson, who is Russian of course, had to come over also, I was 7 years old and he was 12 or 13. We lived all together for about 5 or 6 years in Paris and London and this guy was into rock ‘n’ roll music, it was the mid-90s, so he would listen to Scorpions, Nirvana, Metallica, Guns N' Roses, all that kind of stuff. And of course he also listened to Russian music and there was this huge band, the biggest heavy metal band in Russia and in the Soviet Union: Aria. The guitarists for this band during some of their peak albums in the late 80s was a guy called Sergey Mavrin and he’s a guitar virtuoso and he wrote some beautiful songs with the first singer Valery Kipelov. Kipelov today has his own band called Kipelov, a great band also.

Growing up at a certain point I knew I wanted to play rock ‘n’ roll music and I would have never become a musician without my nanny’s grandson, we met a few weeks ago when I was in Moscow and we had a good time, he’s now 36, has a wife and two kids.

So in 2013 I thought “I should just send some emails to my favorite musicians” and I started writing emails to Steve Vai, Yngwie Malmsteen, Michael Schenker, Herman Rarebell from Scorpions, and others. I wrote an email to Sergey Mavrin and he actually replied, and I said “You know what? Let’s make an album.” And that worked for me several times in my life also with a guy called Christophe Godin in France, I did almost the same. I took one of his instrumental songs, recorded my voice over it, sent it to him and said “Let’s play on stage together.” which lead us to Birmingham in England where he introduced me to Tony Iommi.

It worked and we are still friends. Sergey is a very humble person and a great musician.


125esima Strada: What is absolutely striking in your career is that you competed in four editions of The Voice. How come? How did you decide to do something so weird?

Pierre Edel: In 2013 I was in Moscow and I received an email, it was from a headhunter for these big TV shows. Of course people apply, there were tens of thousands of people applying for each season, but there are also headhunters, people who are paid to look out for talents on the internet. We just had our video Black Dog out on YouTube and one of these headhunters for the production society that produces The Voice of France said “We found this video and you should come over to Paris for the auditions.” I didn’t even know what The Voice was because at that point there had been only two seasons in France.

I flew to Paris (I moved zillions of times from Paris to Moscow and from Moscow to Paris in my life). I did the auditions and it worked and it took almost half a year of my life. Then the same thing happened in Russia. They saw me on The Voice of France because there’s a guy who works for both the production of The Voice of France and The Voice of Russia and he recommended me and they invited me to do The Voice of Russia.

And then - believe it or not - exactly the same thing happened with The Voice of Ukraine. Actually many people from The Voice of Russia went to The Voice of Ukraine. It has become quite typical; you also have people who made The Voice of Turkey and then The Voice of Russia or The Voice of Ukraine. I guess there will be more and more people doing at least two editions of The Voice, but as far as I know four editions is unique. But the thing is the more seasons you get, the more people you get and the less incredible it becomes to participate in that show. If you think about it when we only had a couple of seasons, and they show about 60 singers in every season, you would have in a single country about 100 or 150 people who would have been shown on TV, so it was quite unique. Now that we have almost ten season you have over 1.500 people and you don’t have zillions of singers in a single country; so at some point it becomes irrelevant and it doesn’t add anything to your curriculum. But four editions is something that you do because you have to top it.


125esima Strada: On your YouTube channel there's also a cover of The Sky is Crying by Elmore James, what's the role of blues music in your musical background?

Pierre Edel: The guy who taught me the guitar when I was 13 was a big blues fan, he had an electric guitar. When I saw that electric guitar, it was a Yahama Pacifica, that was the moment I knew my life was going to change. He also had an acoustic guitar, a Seagull, but it took me a while to get interested in that, maybe a few months, because I was into the electric guitar at first which is weird because usually people start with an acoustic guitar and then move to the electric.

At some point I was really into Richie Sambora and I wanted to have a twelve-string guitar to be able to play Wanted Dead or Alive by Bon Jovi. It was all about the blues because all the solos I would learn, Steve Lukather, Richie Sambora, Stevie Ray Vaughan, that all lead me to the roots, or some of the roots because I don’t consider rock 'n' roll to have only black blues roots. So I wanted to study that and I started to listen to Willie Dixon, John Lee Hooker, Elmore James, all the kings like Albert King, Freddie King, B.B. King, and Hendrix obviously.

At the same time I really studied the history of music, because when I was a kid I was studying classical music, and I came to understand that black musicians and blues gave a lot to rock 'n' roll but it’s all with white European instruments: the cymbals, the double bass, the piano, the guitar. It’s an amazing marriage between the blues feeling and the classical instruments and also English, Irish and Scottish classical and traditional music which you can find even when you listen to the Beatles. And technology of course, like the electric guitars. So it’s just a mix of so many things that came together in the sixties and gave birth to this beautiful music that is rock 'n' roll.


125esima Strada: Another surprising thing you did is a medley of three songs by Lady Gaga with Michael Sobin. Lady Gaga seems to be so far from your style, so how was this conceived?

Pierre Edel: It is quite far but actually if you check it out we have many videos and tracks in different styles: dubstep, hip hop, ... And this is something I’ve always done. Music is fun and it’s fun to try something else, it doesn’t mean I would completely get into that but I came across so many different genres and styles throughout the 90s and early 2000s. Of course stuff like Limp Bizkit and Red Hot Chili Peppers, and this crossovers between electronic music and rock and so on. I wouldn’t really listen to it, I would just have fun with it.

Michael Sobin is an amazing guitarist, if you check out his channel, he’s a real virtuoso. We met in 2012 because there was a band called Witchcraft in Russia and they were looking for a male singer, he was playing in that band. We did four tracks in that crossover style as the Lady Gaga video: we did Michael Jackson, there’s also a cover of Cry Me a River by Justin Timberlake and The Weeknd’s Can't Feel my Face.

At some point we were asked by a talent show in Russia to come over and present this Justin Timberlake track, so we did it but they didn’t like the fact I had already been a part of The Voice because they had some administration and administrative dilemma with the guys from The Voice.

Sobin is a very good friend of mine and we also wrote a couple of original tracks together, there’s a track called Cannonball which is a quite amusing track, a crossover between dubstep, trap and rap.


125esima Strada: You come from two countries that have a very strong history of hard rock and metal music. Aria and Chorny Kofe for Russia and Trust, H-Bomb and Demon Eyes for France are just the first examples that come to my mind. So, how come you decided to sing in English instead of French or Russian?

Pierre Edel: I really think that rock 'n' roll is supposed to be sung in English. If you sing in Russian it will only work in Russia, if it works; if you sing in French it won’t work anywhere because the French don’t care about metal or rock music. There are little niches, you would always find a couple of thousand people who are into voodoo magic, a couple of thousand people who are on some kind of strange diet, you can find a couple of thousand people who want to have their tongue split. You can always find these minorities. But rock 'n' roll is not at all a trend in France and has never been. You’ll always find one or two artists who made it like Trust, but they made it in the 80s, so it’s a total different story.

I know three guys from Trust: two of the guitarists and the drummer. I’ve been on stage with them and they are really cool people but they are dinosaurs basically. No one cares for rock 'n' roll in France, there are no new rock bands. Metal is a little different, I don’t really care for metal; I used to be a metalhead when I was 16, but I don’t like the whole mythology, I don’t like the leather and spikes, it’s a little cheesy and lacks this sense of humor and the aesthetics you find in hard rock with bands like Deep Purple or Whitesnake. It’s kind of heavy metalish in some points but it’s still hard rock.

Metal lacks the sexiness, I like the sexiness of rock blues. Look at Iron Maiden and their fans, I look at the long hair and the clothes and it smells of perspiration to me. So, you’d find metalheads in France, but not old school rockers unless they are 50 years old, or 150 years old.

It’s more or less the same in Russia. You’ll find more people who are into hard rock in Russia, but it’s irrelevant.

I like to sing in the US, to sing in Great Britain, to sing in New Zealand. Who would listen to me if I was singing in French or Russian?

You could say Rammstein sing in German. Yes, cool. That’s the only band who sing in a different language. Maybe you’ll find one or two more, but Scorpions are German and they sing in English, biggest metal band in France, Gojira, sing in English.

Second, to me English is the language of rock 'n' roll. I love French, I wrote lots of songs in French and I have a SoundCloud with twenty French songs, I read a lot of poetry, I wrote a book in French. I love my native language but rock 'n' roll is meant to be sung in English. If you can’t sing in English, you do your best in your country in Italian, Spanish, Portuguese, but will only be interesting to people in that particular country.


125esima Strada: Who are the musicians or bands that influenced you most during your whole career?

Pierre Edel: Number one league would be Glenn Hughes and David Coverdale. I remember when I was 15 and I was in art school: I went to a park with a friend of mine and he had a little turntable and we played a vinyl by Deep Purple in which of course you have David Coverdale and Glenn Hughes and that was a very strong and emotional moment to me. First of all because it’s so unusual to have two singers in the same band, and it’s also unusual that the two of them would become huge rock stars. Glenn Hughes must have been the only one who had been lead singer for Deep Purple and Black Sabbath and he made some back vocals for Whitesnake. I love his voice, I love his way of everything, his way of moving, his talking, his clothes, his manners. I love his bass playing also.

Best album to me is Burning Japan, 1994. There’s Burn of course, then The Liar and third track is Muscle And Blood which is to me one of the best rock 'n' roll songs of all time. And then You Keep On Moving which he wrote with David Coverdale when he was with Deep Purple of which I made my own version on YouTube. This Time Around which he wrote with John Lord, I have a version of that too on YouTube. It is the finest of the finest of the music that was produced.

Of course I am also a fan of his solo career, his ballads are beautiful, such as Why Don’t You Stay and Lay My Body Down.

And then on the other hand you have David Coverdale and Whitesnake. I’m a huge fan of Whitesnake, I have a Whitesnake tattoo on my forearm, listening to Whitesnake is just one of the most inspiring things for rock musicians. I also like the Steve Vai era, Slip of the Tongue was heavily criticized, but I think it was great, all the songs were written by Adrian Vandenberg except Fool For Your Loving which was a rerecording of a great classic. I love Steve Vai who was one of my greatest influence as a guitarist, one of the greatest albums of all times to me is Sex and Religion by Steve Vai on which you have Devin Townsend singing, T.M. Stevens as bass player and Vinnie Colaiuta on drums.

I’m also a huge fan of Winger, Scorpions, Def Leppard, Frank Zappa, and the list goes on.


125esima Strada: And who are your favorites of today's music scene?

Pierre Edel: I guess the most modern band I would listen to would be Nirvana. Just kidding. I’ve had moments in my life when I was really into a band called Pain of Salvation. I wouldn’t say it’s today’s music scene really but it’s post 2000. And there’s a British band called Threshold, astonishing songwriting, they have a song called Pilot and the Sky of Dreams and I would say this is what Pink Floyd would have made if they were twenty into the 2000s.

Pagan’s Mind is a nice metal band, I said I don’t like the metal lifestyle, but sure I like some of metal music especially if it’s melodic. I have a Manowar tattoo.

That would be all. I don’t really listen to modern music that much.


125esima Strada: What do you think of new technologies, such as Spotify or YouTube, that allow musicians to spread their music all over the world? Are they good or bad for the music industry in your opinion?

Pierre Edel: I’m very lazy with social media and I don’t use them as much as I could and should. I like to be part of this generation that has a smartphone in its hand. I remember the 90s when I used to write letters when I was in some countries and some of my relatives were in other countries. I wasn’t bored at all and I think it was a good thing not having all these devices when I was a kid because it helped me concentrate on piano lessons, languages, sports, reading, drawing, writing. I find it harder to concentrate now than when I was a kid.

It’s a philosophical question and a political question because to say the something is good or bad is a political view of it. I listen to interviews to Steve Lukather, Steven Tyler, Steve Vai, and they always answer this question in a different manner. And the question is “If they were born the 90s or early 2000s would they be recognized for their talent?” I doubt it.

Because the worst thing about Spotify, YouTube and social media is that there’s too much garbage on it: anyone can become a musician, a photographer, a journalist, anything. At some point it becomes ridiculous because you don’t go outside and meet real people in a sports club or a music store. I remember the early 2000s when I found my first bass player in a paper magazine; I bought a magazine in a music store, I was looking for a bass player and I found there one. It was an add with no Spotify or Youtube link, it was 2003, not even a picture. But of course you lose time with that system.

So it’s a hard question to answer. There are good things and bad things about it. But the worst thing about it is that there’s absolutely no quality filter on YouTube, Facebook, Instagram, Spotify. There’s a huge pile of garbage. If you are into modern music and are looking for some quality artists, to find one you have to go through a hundred shitty artists and people who call themselves artists. That’s how I feel about it.