venerdì 14 ottobre 2022
Xandria + Visions of Atlantis - Milano, 13/10/2022
La nuova data è il 13 ottobre 2022, la location è la stessa della pianificazione originale: il Legend di Milano che è uno di quei locali in cui funziona praticamente tutto, essendo in periferia quanto basta da non dover attraversare il traffico metropolitano, con un parcheggio poco distante e il bar appena fuori. Purtroppo mi perdo l'apertura dei Ye Banished Privateers perché essendo una giornata di lavoro non riesco ad arrivare in tempo, ma arrivo con anticipo per gli Xandria che con Ambre Vourvahis dimostrano subito di avere ancora intatta la propria potenza di fuoco. La band esegue i tre brani scritti e realizzati con la cantante nuova, uno dei quali intitolato Ghosts è ancora inedito, e completa la propria esibizione con pezzi tratti da tutta la loro discografia da Ravenheart fino a Death to The Holy dall'ultimo album Theater of Dimensions. Ambre, che si muove sul palco con la sicurezza di una diva di lunga esperienza, si confronta quindi con le tre vocalist che l'hanno preceduta e ne esce a testa altissima mostrando carisma e una notevole capacità di passare dal growl, al canto tradizionale alla lirica con una disinvoltura incredibile.
Poco dopo la band tedesca, salgono sul palco i Visions of Atlantis e se possibile l'asticella si alza ancora. La band apre la propria performance con Master the Hurricane e i due vocalist, Clémentine Delauney e Michele Guaitoli, dimostrano subito che la loro intesa è sempre più solida mentre si alternano e duettano mostrando un'amalgama perfetta. La scaletta prevede otto pezzi dall'ultimo album Pirates e il tema piratesco e del viaggio che combina speranza e incertezza contraddistingue ogni cosa: dall'abbigliamento della band, all'ambientazione, all'introduzione dei pezzi con cui i due vocalist raccontano le storie dietro a ciascuna delle loro canzoni. Questa volta però si nota qualcosa di diverso, mentre Michele in forma straripante dialoga con il pubblico in italiano non traspare solo la passione per la musica ma anche la gioia di poter tornare alla normalità dopo due anni terribili. La positività che la band vuole esprimere sprizza da ogni gesto; il sorriso non manca mai, Clémentine scherza lanciando tra il pubblico il cappello da pirata di Michele e lo stesso Michele dice chiaro che questo non è un concerto ma una festa quando invita il pubblico a saltare durante l'esecuzione di Melancholy Angel. Ovviamente tutti seguiamo l'invito e mentre salto e canto con loro mi viene un dubbio: ma come fa Clémentine a passare al registro lirico mentre salta?
Quando Clem annuncia che siamo giunti all'ultima canzone guardo l'orologio perché non ci credo, mi sembra che dall'inizio siano passati dieci minuti e invece devo riconoscere che la band suona da un'ora e mezza. Sarà che ho divorato Pirates e lo so a memoria, ma questo concerto è davvero volato. Lo show si chiude con Pirates Will Return e Legion of the Seas, ma anche quando si spengono le luci non c'è una gran fretta di andare a casa e la scelta è vincente perché la band di ferma a bere qualcosa di fresco con il pubblico e Michele e il chitarrista Christian Douscha sono anche ben disponibili per chi vuole fare una foto con loro.
La serata a questo punto volge al termine davvero, ma quello che resta mentre riprendiamo l'autostrada con Pirates nell'autoradio è una sensazione di positività che dopo un concerto non si respirava da tempo, perché la gioia che la band ha voluto trasmetterci ci ha coinvolto in pieno e ce la portiamo a casa. Ed è quello che serve per riprendere il mondo come lo conoscevamo. E alla fine non resta che ringraziare chi ha reso possibile tutto questo.
Grazie Xandria, grazie Visions of Atlantis e grazie Legend. Grazie a tutti.
sabato 16 ottobre 2021
The Unity - Pride
Uscito a marzo del 2020, Pride è il terzo album dei tedeschi The Unity, band nata per volere di Henjo Richter e Michael Ehré dei Gamma Ray e che vanta nelle proprie file anche l'italianissimo vocalist Gianbattista Manenti. Il disco è di norma etichettato come power metal, ma già da un primo ascolto si capisce come qualunque definizione vada stretta alla musica dei The Unity, perché Pride offre un caleidoscopio di suoni che spaziano tra stili e suggestioni diverse.
L'album, composto da dodici pezzi, parte con Hands of Time e Line and Singer, per le quali potrebbe essere coniato il neologismo di heavy AOR vista la sapiente combinazione di melodie vincenti di stampo ottantiano e di suoni energici, in particolare la seconda è contraddistinta da un ritornello che entra in testa come un trapano grazie alla potente esecuzione del nostro Jan. Il disco prosegue su suoni più tradizionalmente hard rock, come in Scenery of Hate o We Don't Need Them Here, e poco dopo si prendono di nuovo strade inaspettate con l'alt rock di Wave of Fear che sembra preso di peso da metà anni 90. Tra i brani più pesanti troviamo anche la teatrale Angel of Dawn in cui in canto di Gianbattista si fa più recitato, andando a creare un brano che ricorda le incisioni degli Avantasia.
Le sperimentazioni sonore non finiscono qui, il disco infatti chiude con due pezzi dalle sonorità inaspettate. È già sorprendente che in un album di power metal ci sia un pezzo intitolato Rusty Cadillac, e infatti il brano è un fresco e divertente rock and roll che si allontana da tutto il resto e ci porta con le sue atmosfere nell'America degli anni 50 a cui aggiunge un tocco di sonorità hard & heavy contemporanee. Chiude il disco la leggera You Don't Walk Alone con cui la band di concede una digressione più vicina al pop.
La forza di questo disco risiede nella straordinaria combinazione tra le melodie e la straripante voce di Gianbattista che regala una prestazione ottima in cui dimostra di sapere interpretare efficacemente praticamente ogni stile canoro in cui si cimenta. Una menzione speciale meritano i testi, mai banali e spessi impegnati, che toccano tematiche come l'ambientalismo e il razzismo. Completa l'album un secondo CD che contiene quatto registrazioni live di altrettanti pezzi tratti dai dischi precedenti, più la versione in studio della ruggente Nowhereland, pubblicata inizialmente come B-side di Never Forget.
La sfida di Pride è quindi completamente vinta, con un disco solido che convince e diverte per tutto l'ascolto e con il quale i The Unity si confermano una delle realtà più interessanti del panorama metal europeo.
mercoledì 20 gennaio 2021
John Fogerty - Fogerty's Factory
I pezzi sono stati registrati nello studio casalingo di Fogerty, ad esclusione di Centerfield tratta dall'album omonimo del 1985, registrata al Dodgers Stadium (ovviamente senza pubblico) in occasione del settantacinquesimo compleanno di John. Il disco offre un po' di sano divertimento, con i brani che mostrano chiaramente il loro lato più rustico e ruspante, anche per il fatto di essere basato interamente su solo voce, chitarre e basso, senza batteria. Sicuramente lo si ascolta volentieri ed essendo tutti brani noti scorre senza intoppi e senza annoiare. Tuttavia non si tratta certo di un capolavoro, visto che si tratta di cover acustiche di pezzi famosi la cui melodia resta inalterata e quindi non aggiunge nulla a quanto già conoscevamo.
Viene comunque da chiedersi perché dal 2007 John Fogerty sforni solo cover. A Revival del 2007 sono infatti seguiti The Blue Ridge Rangers del 2009, che conteneva cover di altri musicisti, e Wrote a Song for Everyone del 2013, album di autocover che vedeva importanti ospiti della scena rock contemporanea. E per quanto quindi Fogerty's Factory sia piacevole da ascoltare, lascia un po' la sensazione dell'occasione sprecata. Non resta che sperare che questo sia un esperimento per provare la nuova band e che Fogerty e i suoi figli ci regalino un album di inediti nei prossimi anni.
mercoledì 13 gennaio 2021
Neon Tapehead - Never Say Never
Attualmente il gruppo è composto dal fondatore Dmitry Ursul, leader del gruppo, alle chitarre e alla produzione, Maya Shonia alla voce, Dmitry Votintsev al basso e Alexandr Kovalchuk alla batteria. Già dal primo ascolto la musica dei Neon Tapehead colpisce, diverte e si lascia ascoltare con piacere. Oltre alle basi musicali realizzate con grande maestria, il punto di forza di questo gruppo è la voce di chiara ispirazione black di Maya Shonia che riesce a dare ai brani un groove incredibile cantando in stile R&B e conferendo alle cinque canzoni un'efficace mistura di leggerezza e sensualità.
Tutto il disco è pervaso da venature scintillanti e festaiole tipiche del decennio a cui si ispira, al punto che questo disco più che un omaggio agli anni 80 sembra preso di peso da allora e teletrasportato ai giorni nostri. E' difficile individuare tracce migliori di altre, perché questo EP coinvolge e intrattiene per tutta la sua durata, in ogni caso spiccano Let's Get Down in cui l'impronta della black music è più forte che altrove e la title track che è il brano più etereo del disco.
Never Say Never dei Neon Tapehead racchiude quindi proprio ciò di cui più si sente bisogno in questo momento: allegria e spensieratezza, senza rinunciare a una produzione di altissimo livello. Un ottimo disco con cui iniziare un nuovo anno.
lunedì 7 dicembre 2020
Blackmore's Night - Here We Come A-Caroling
Il 2020 vede il ritorno degli straordinari Blackmore's Night, duo composto da Ritchie Blackmore e dalla moglie Candice Night, alla musica natalizia con un EP di quattro pezzi intitolato Here We Come A-Caroling, dall'omonimo canto risalente all'epoca vittoriana. Il disco si propone come l'ideale compendio di Winter Carols, uscito originariamente nel 2006, di cui riprende gli stilemi con quattro classici della tradizione natalizia reinterpretati nello stile del rock rinascimentale tipico della coppia che fa degli strumenti classici e della voce celestiale di Candice Night il proprio punto di forza.
La scelta della coppia cade su quattro canti risalenti al diciannovesimo secolo, quali la title track, It Came Upon the Midnight Clear, O Little Town of Bethlehem e Silent Night. I primi tre colpiscono per l'atmosfera gioiosa e per la presenza preponderante della strumentazione folk, flauti e mandola su tutti; in particolare O Little Town of Bethlehem è in una versione molto più veloce della gran parte delle altre interpretazioni. Al contrario Silent Night si discosta dagli altri brani per la sua atmosfera raccolta, con la prima strofa realizzata con voce e organo e che si conclude con la sola aggiunta della chitarra.
Così come in Winter Carols l'unico difetto di questo disco è quello di essere troppo corto, perché le quattro tracce sono semplicemente perfette dal punto di vista musicale, vocale e di interpretazione. Here We Come A-Caroling è quindi un'ottima aggiunta alla discografia dei Blackmore's Night e una chicca imperdibile per gli appassionati di musica natalizia.
mercoledì 4 novembre 2020
Sandro Di Pisa - Lockdown
Il disco si apre con Svelta che come suggerisce il titolo stesso è un brano veloce ispirato ai quartetti jazz della West Coast degli anni 50 e che, come nello stile distintivo di Di Pisa, contiene uno snippet di Desafinado di Antônio Carlos Jobim. Il secondo brano dà già un'idea di quanto questo disco sia vario, con una sterzata verso il blues-rock con Le Elettriche Impazziscono (titolo ispirato a un verso della canzone Via Paolo Fabbri 43 di Francesco Guccini del 1976). L'album prosegue con La Freccia Nera, cover della sigla finale dell'omonimo sceneggiato televisivo della RAI del 1968 tratto dal romanzo di Robert Louis Stevenson; del brano originale però resta solo la melodia perché Sandro Di Pisa trasforma un brano magniloquente e dal sapore da colossal in un fresco pezzo da trio jazz.
Come anticipato Lockdown contiene anche due brani ispirati ad altrettanti pezzi storici da cui sapientemente si distaccano. Il primo di essi è Frédéric che prende spunto dal Notturno op. 9 n. 2 di Frédéric Chopin per trasformarlo in un valzer in stile be-bop. Il secondo di essi è Pierino che reinterpreta in chiave hard rock il tema di Pierino e il Lupo di Sergei Prokofiev; anche questo brano contiene alcuni snippet inaspettati, come Oh! Susanna e la filastrocca per bambini Stella Stellina. Completano il disco Big Band, ispirata alle grandi orchestre dell'epoca dello swing degli anni 30, e Il Brutto Anatroccolo, pezzo nato per caso in seguito a un esperimento con una chitarra synth che imita una voce scat. Il titolo del pezzo deriva dalla struttura musicale utilizzata, quella dei rhythm changes che in italiano sono chiamati anatole. Anche in questo caso troviamo dei divertenti e sorprendenti snippet: quali di nuovo Stella Stellina e Jingle Bells in chiusura del pezzo.
Ciò che colpisce di questo album è l'incredibile ecletticità e la capacità compositiva di Di Pisa, che riesce a spaziare tra stili diversi di jazz con grande maestria. I quattro pezzi inediti convincono e intrattengono con un suono fresco e divertente, mentre i rimanenti tre confermano come l'autore sappia trarre spunti inediti da pezzi classici, che appartengono a mondi diversissimi tra loro, trasformandoli in opere nuove percorrendo strade a cui nemmeno gli autori originali avevano pensato. Del resto gli snippet presi da repertori cosi diversi confermano che la varietà musicale da cui Di Pisa attinge è pressoché infinita. Inoltre uno dei punti di maggior forza di questo disco è che risulta di facile ascolto anche per i neofiti del jazz e questo aspetto lo rende particolarmente apprezzabile perché questo genere risulta spesso ostico per l'ascoltatore occasionale, che finisce per abbandonare l'ascolto dopo un paio di tentativi; al contrario le melodie di Lockdown si apprezzano già al primo giro ed entrano in testa come degli earworm con estrema facilità.
Lockdown è quindi una delle composizioni migliori del jazz moderno, consigliata sia a chi ama il jazz sia a chi ancora non lo conosce, perché è efficacissimo nel divulgare questa forma musicale e perché dimostra come questo genere sia ancora vivo e vegeto. Del resto Di Pisa non è sicuramente nuovo a questo tipo di capolavori e la sua produzione musicale, che affonda le sue radici in tre decenni da A Night in Viale Tunisia del 1991 conferma che i grandi compositori si trovano anche vicino a noi e che non serve attraversare l'Atlantico per trovare le più alte vette del jazz.
giovedì 8 ottobre 2020
Metallica - S&M2
Per celebrare i vent'anni di S&M, il loro primo album orchestrale, i Metallica hanno ripetuto l’esperimento con un nuovo concerto che li vede ancora una volta affiancati dalla San Francisco Symphony, che aveva preso parte anche al primo S&M, e anche questa nuova prova live ha dato vita a un album dal vivo della band di James Hetfield intitolato, come è abbastanza scontato, S&M2.
Il concerto, tenutosi a settembre 2019, è stato pubblicato ad agosto del 2020 sia in Blu-Ray sia in doppio CD. La band coadiuvata dall'orchestra ha eseguito ventidue pezzi attingendo da tutta la propria carriera con almeno un brano da ogni LP. Gli album più rappresentati sono l’ultimo Hardwired...to Self-Destruct e il black album, da cui sono tratti tre pezzi ciascuno, e Ride the Lightning rappresentato da due. Da tutti gli altri è stato preso un pezzo solo.
La formula è la stessa, già collaudata due decenni fa con S&M con la reinterpretazione in chiave sinfonica del migliori brani della discografia dei Metallica. Il live si apre con l’immancabile The Ecstasy of Gold di Ennio Morricone, scritta per la colonna sonora del film Il Buono, il Brutto, il Cattivo che il quartetto di Los Angeles utilizza come brano di apertura in versione strumentale, mentre nella versione del film contiene un vocalizzo della soprano Edda Dell’Orso, dal 1983. Circa metà della setlist era già presente nel primo live del 1999 e a questi si aggiunge la selezione dei pezzi più recenti e anche due brani di musica classica: la Suite Scita di Sergey Prokofiev, interpretata dalla sola orchestra, e la Fonderia d’Acciaio dall'opera L’officina di Aleksandr Mosolov suonata dall'orchestra e dalla band, in un esempio di crossover al contrario rispetto al resto del disco: con un pezzo classico eseguito dall'orchestra con una band metal.
Ovviamente mischiare hard rock e musica sinfonica non è un esperimento nuovo, visto che gli stessi Metallica, ma anche i Kiss, gli Scorpions e i Deep Purple (prima di tutti gli altri) lo hanno fatto in passato; ciò nonostante un disco come questo si distingue comunque da gran parte della produzione contemporanea e proprio per questo lo si ascolta con piacere. Alla band questo doppio album serve anche a tenere viva la propria immagine in un momento così difficile, agli ascoltatori serve sicuramente a ricordare che la musica non ha confini.
venerdì 2 ottobre 2020
Pearl Jam - Gigaton
I Pearl Jam sono gli unici sopravvissuti del Seattle sound degli anni 90; mentre altre band come gli Screaming Trees o gli Hammerbox hanno chiuso l’attività dopo pochi anni, il gruppo guidato da Eddie Vedder sforna ancora album a quasi trent’anni dall’esordio con Ten del 1991, anche se le loro uscite discografiche sono sempre più dilazionate nel tempo e da Lightning Bolt al nuovo Gigaton sono passati ben sette anni.
Il nuovo album è composto da dodici tracce in cui il grunge e la voce graffiante di Vedder fanno da condimento di base e che spaziano tra vari stili e sottogeneri del rock. Aprono il disco due pezzi dal suono classico quali Who Ever Said e Superblood Wolfmoon e già subito dopo troviamo la prima violenta sterzata con il suono post punk di Dance on the Clairvoyants. La sperimentazione sonora dei Pearl Jam in questo nuovo disco arricchisce il disco di sonorità molto diverse, con il melodico midtempo di Seven O’Clock e grazie anche alle ballad Buckle Up e Retrograde. Oltre a queste troviamo anche la ballad acustica Comes Then Goes, interpretata con solo voce e chitarre, e la straordinaria traccia di chiusura River Cross che scivola verso il gospel grazie ai cori sul ritornello.
Come è chiaro dall’immagine di copertina, che mostra un ghiacciaio che si scioglie, le tematiche del disco toccano varie volte i cambiamenti climatici con anche una critica al presidente americano Donald Trump, citato per nome in Quick Escape e attraverso il riferimento letterario di Bob Honey (personaggio di un romanzo satirico di Sean Penn) in Never Destination che è anche il brano dal sound più vicino al grunge puro di tutto il disco.
In conclusione, anche se Gigaton di certo non contiene singoli della potenza di Alive, Daughter o Just Breathe resta comunque un disco fortissimo in termini di qualità complessiva dei brani, perché tutte le dodici tracce sono di alto livello e confermano che proprio grazie alla loro capacità di essere dei rocker a 360 gradi, e non legati a una singola etichetta, i Pearl Jam sanno ancora realizzare ottima musica, in un decennio in cui purtroppo il grunge della West Coast è solo un lontano ricordo.
martedì 4 agosto 2020
Temperance - Viridian
Il disco è composto da undici pezzi e parte fortissimo con la travolgente Mission Impossible chiaramente ispirata all'omonima serie cinematografica, ma l’offerta musicale non si ferma ai pezzi energici, infatti il disco vira subito verso l’AOR con pezzi melodici come I Am the Fire e Start Another Round. Atmosfere ottantiane si trovano anche in Let it Beat e nella title track Viridian che sono anche i due brani in cui Michele e Alessia tirano fuori il meglio delle proprie doti vocali, con Alessia in particolare che regala una performance magistrale nel controcanto sul ritornello finale di Viridian.
Come anticipato le atmosfere del disco sono molto varie e oltre ai pezzi energici e a una buona dose di AOR troviamo la power ballad Scent of Dye e un paio di esperimenti di crossover con The Cult of Misery, che contiene vocalizzi lirici di Laura Macrì, e Nanook impreziosita dalla presenza del coro dei bambini della scuola Sant'Angela Merici.
Chiudono il disco la speranzosa Gaia, in cui l’uomo si rivolge alla Terra su cui abita tra una richiesta di scuse e la speranza di poter cambiare il mondo per il meglio, e Catch the Dream, retta solo da un battito di mani come accompagnamento e che vede la presenza del coro gospel NuVoices Project, che inneggia all'unione dell’umanità e al superamento delle divisioni. La versione digitale del disco include Lost in the Christmas Dream, che come suggerisce il titolo stesso è un canto natalizio in stile AOR dai toni positivi e che invita a non perdere mai la speranza.
Giunti alla fine dell’ascolto ci si accorge che Viridian non contiene neanche un filler e costituisce un ottimo album di metal melodico ricco di commistioni e suggestioni diverse in cui la band dà anche una lezione tanto ovvia quanto di successo: se si ha in squadra il Dream Team del canto italiano realizzare un album di questo livello è quasi facile e naturale.
domenica 5 luglio 2020
Giacomo Voli - Retorbido, 4/7/2020
Il Dagda ha messo in atto le necessarie misure di sicurezza: termoscanner all'ingresso, consumazioni servite all'aperto e sedie distanziate tra il pubblico. Non danno per nulla fastidio, anzi quasi sembra tutto normale e quindi la musica è godibile al 100%.
Giacomo sale sul palco verso le 21, ma si capisce presto che quello che sta per esibirsi è in realtà un terzetto. Oltre al nostro vocalist, che suona anche la tastiera, ci sono Gianluca Molinari (che affianca Voli anche nel progetto The Voice of Rock) nel ruolo di chitarrista e la ben nota Francesca Mercury (ideatrice del progetto La Mercury racconta i Queen che vede alla voce proprio Giacomo Voli) nel ruolo inedito di intervistatrice e conduttrice.
Il concerto parte con Impressioni di Settembre e I Can't Find My Way Home, che Giacomo ha inciso come cover nel suo EP di esordio Ancora nell'Ombra. La serata ha un approccio singolare, perché Francesca tra una canzone e l'altra intervista Giacomo chiedendogli della sua vita, della sua formazione e di come è nato il suo interesse per la musica. Giacomo ci racconta quindi che il suo amore per la musica è nato da bambino grazie al nonno materno cornista e di come poi abbia scoperto l'opera, il rock melodico e il metal e di come da sempre cerchi di coniugare questi aspetti mischiando sapientemente ingredienti di musica di stili diversi. Spesso, quando Giacomo nomina un pezzo, Gianluca ne esegue il riff in sottofondo, rendendo il racconto ancora più vivido e vibrante.
Forse la serata non era partita con i migliori auspici, perché Giacomo racconta anche di essere infortunato a causa di un incidente stradale, ma se non lo avesse detto non se ne sarebbe accorto nessuno (se non fosse per le bende alle braccia) perché suona e canta come se fosse in gran forma e la precisione al piano e la potenza della voce sono sicuramente al pieno delle loro capacità; segno che neanche gli imprevisti possono fermare i migliori artisti.
La setlist della serata spazia tra il rock degli anni 70, agli anni 80 fino ai 90 pescando da un repertorio vastissimo che tocca i Led Zeppelin e i Deep Purple, l'AOR di Eye on the Tiger dei Survivor per poi passare ai Queen e ai Pink Floyd. E tra un pezzo e l'altro Giacomo narra alcuni aspetti meno noti della sua carriera: come qualche scelta bizzarra degli autori di The Voice of Italy nella selezione dei pezzi o di come sia stato contattato da Alex Staropoli per un progetto parallelo di musica barocca, per poi approdare ai Rhapsody of Fire dopo l'abbandono di Fabio Lione. Dalla discografia dei Rhapsody ci regala una versione da brividi in italiano di The Wind, the Rain and the Moon, e dalla propria produzione solista Giacomo pesca anche uno snippet della traccia di chiusura del suo ultimo album intitolata Il Libro dell'Assenza
Il tempo nella sala letteralmente vola via, e quando Francesca annuncia che siamo giunti all'ultimo pezzo mi sembra incredibile, però effettivamente l'orologio dice che è mezzanotte. Nel caldo di questa serata che ha il sapore di una rinascita Giacomo si ferma a scambiare qualche parola con i fan mostrando una vicinanza al proprio pubblico che poche star del suo livello hanno.
La serata è giunta al termine, ma tornando verso casa non si sente la sensazione che qualcosa sia finito, ma che questa sia una ripartenza perché di serate come questa ne seguiranno decine e forse centinaia. E quello che ha reso unica questa serata non è stata solo la musica e la voce di Giacomo Voli, ma anche il fatto che un grande artista abbia raccontato il proprio lato umano. Perché per sapere cantare così bisogna essere grandi cantanti, ma per sapere raccontare cosa c'è dietro e dentro bisogna essere grandi e basta.
lunedì 27 aprile 2020
Nightwish - Human. :II: Nature.
L'album è composto da due dischi, il primo dei quali contiene nove tracce cantante, mentre il secondo ne contiene otto strumentali. I brani cantanti hanno un suono generalmente più orientato al pop e orecchiabile rispetto al passato, tuttavia i Nightwish arricchiscono il proprio sound con sonorità orchestrali (grazie alla Pale Blue Orchestra che affianca la band in tutto l'album), con suoni folk, etnici e maestosi a creare una commistione mai sentita prima. Floor alterna sapientemente, e come solo lei sa fare, il canto lirico a quello tradizionale dando vita a contrasti sonori di grande effetto.
Il disco parte forte con Music, la traccia dai suoni più duri dell'intero disco, per poi proseguire con la maestosa Noise che dà un primo assaggio dei poderosi cori che la band mette in campo in questo nuovo album. Shoemaker, dedicata allo scienziato Eugene Shoemaker come spiegato dalla stessa Floor in un video su YouTube, dà un primo serio assaggio della magia sonora che il disco ci regala, grazie a un pezzo dalla struttura completamente atipica chiuso con un vocalizzo lirico della frontwoman. La traccia successiva Harvest trova per la prima volta il chitarrista Troy Donockley alla voce principale, con Floor e Marco Hietala nell'inedito ruoli di coristi, e offre un brano leggero dalle atmosfere pop e folk di presa immediata; nel pezzo troviamo anche la presenza di Johanna Kurkela vocalist degli Auri e moglie del tastierista Tuomas Holopainen nel ruolo di narratrice.
Nella successiva Pan ritroviamo cori potenti e sonorità maestose che caratterizzano anche la traccia di chiusura Endless cantata da Marco Hietala. In How's the Heart e in Possession troviamo di nuovo sonorità tendenti al pop con Floor che esegue acuti e vocalizzi lirici di raffinata fattura. Completa il primo disco Tribal che aggiunge a questo album dei suoni tribali grazie anche alle percussioni etniche e al canto più aspro di Floor e Marco.
Il secondo disco è composto da otto pezzi di musica orchestrale, lontana dal metal e che spazia dalla classica, al folk al new age, con più di un rimando alle composizioni strumentali di Mike Oldfield; scelta che stupisce fino a un certo punto, visto che anche Èlan ricordava Man in the Rain da Tubular Bells III. Le otto tracce scorrono tra atmosfere mitologiche e oniriche, creando un disco di musica ai confini con l'ambient che può stupire, ma che resta di altissimo livello e molto efficace.
Human. :II: Nature. è quindi un album sorprendente, che rompe ogni legame con gli stilemi del passato della band. La qualità è innegabile ed è forse il migliore album che il sestetto finlandese abbia mai realizzato; le scelte stilistiche potrebbero scontentare i fan più affezionati al passato, ma anche in questo caso non si può negare che Human. :II: Nature. è sicuramente il loro disco più coraggioso e maturo.
mercoledì 1 aprile 2020
Body Count - Carnivore
Tra i pezzi migliori del disco troviamo sicuramente Colors - 2020, autocover del brano di Ice-T dalla colonna sonora del film omonimo del 1988, che è il brano in cui il flow del rapper scorre meglio ed è più convincente, anche perché è l'unico pezzo in cui il testo è ricco di rime, come si confà al rap, e che quindi mostra il miglior connubio tra stili diversi. Spicca anche il duetto con Amy Lee nella più melodica When I'm Gone che spezza il ritmo sostenuto dell'album ed offre un contrasto vocale tra i due vocalist di grande efficacia che dà i brividi quando in chiusura del pezzo Amy si lancia in un vocalizzo in stile operistico con Ice-T sotto che rappa.
Nell'album troviamo anche una cover di Ace of Spades dei Motorhead in cui Ice-T interpreta i versi di Lemmy in modo molto simile all'originale. L'album si chiude alla grande con The Critical Breakdown e The Hate is Real che mettono in campo la migliore amalgama tra rap e metal, due mondi apparentemente lontani ma vicinissimi per tematiche ed emozioni.
L'album è stato pubblicato anche in versione deluxe con l'aggiunta di tre bonus track e delle tracce strumentali sul secondo disco. Tra le bonus track troviamo in versione demo l'autocover di 6 in The Morning per cui valgono le stesse considerazioni fatte per Colors e le registrazioni dal vivo di No Lives Matter e Black Hoodie dall'album Bloodlust tratte da un live in Australia.
Carnivore dimostra, in sintesi, che anche se ha varcato la soglia dei sessant'anni Ice-T ha ancora la rabbia creativa degli esordi e poco importa se ha abbandonato la scena hip-hop per approdare del tutto a quella metal, perché come lui stesso ha sottolineato in varie occasioni la musica non ha confini ed è musica e basta. Da Rhyme Pays del 1987 Ice-T non ha mai sbagliato un disco, e con Carnivore continua l'impeccabile serie dei suoi capolavori.
mercoledì 18 marzo 2020
Russell Allen / Anette Olzon - Worlds Apart
Il primo album di questo inedito combo si intitola Worlds Apart ed è composto da undici tracce il cui suono è esattamente quello che ci si aspetta da un duo di vocalist di altissimo livello come questi: rock melodico che mette pienamente in luce le capacità canore dei due che al mondo hanno pochissimi eguali. Ciascuno di loro canta da solo tre dei pezzi, e nei rimanenti cinque duettano, con Anette che fa le voci alte e Russell quelle basse, e se le doti canore della Olzon sono ampiamente note va sottolineato come Allen tiri fuori aspetti più melodici e in stile power metal di quanto faccia di solito; ci troviamo, ad esempio, lontanissimi dalle sonorità aspre degli Adrenaline Mob. Le basi sono smaccatamente ispirate all'AOR ottantiano da cui questo album attinge a piene mani e proprio per questo il disco è ricco di melodia in ogni traccia con anche una buona dose di power ballad, e questa commistione di suoni morbidi e patinati rende il disco piacevole e orecchiabile già al primo giro.
Le undici tracce convincono tutte, dalla prima all'ultima, ed è molto difficile individuare momenti migliori di altri. Tra i brani cantati dal solo Allen spicca comunque Lost Soul che ha strofe veloci e ritornelli da ballad; tra quelle soliste di Anette il brano migliore è sicuramente la power ballad Cold Inside che presenta atmosfere ottantiane ancora più marcate che altrove. Tra i duetti migliori troviamo la lenta What If I Live e la grintosa No Sign Of Life che sono i due brani che mettono meglio in luce l'amalgama tra i due, che sembrano cantare insieme da anni mentre invece sono alla prima prova in studio in coppia.
È ovvio che questo tipo di esperimenti non è fatto per scrivere la storia del rock, che questo album si basa su stilemi musicali noti e non fa dell'innovazione il suo punto di forza; ma ciò non toglie che questo disco è sicuramente un momento di ottimo rock melodico, che diverte e intrattiene per tutta la sua durata e propone una prova canora stupefacente delle voci limpide e potenti di questi due interpreti. E vista la qualità della prima opera non resta che sperare che questa coppia ci regali altri album dello stesso livello.
mercoledì 4 marzo 2020
Piero Pelù - Pugili Fragili
Il disco è composto da dieci tracce, tra cui troviamo anche la cover in versione rock di Cuore Matto anch'essa eseguita a Sanremo nella serata dedicata alla cover, e non è la prima volta che Piero reinterpreta nel suo stile i classici della musica italiana: come b-side del suo primo singolo solista Io Ci Sarò del 2000 aveva infatti scelto Pugni Chiusi dei Ribelli e nel tributo a Lucio Battisti intitolato Innocenti Evasioni del 1993 aveva interpretato con i Litfiba Il Tempo di Morire.
Tra le altre tracce il disco contiene sicuramente dei passi falsi, Luna Nuda e Ferro Caldo suonano stranamente forzate e sembrano essere dei riempitivi per arrivare a dieci tracce, ma fortunatamente il resto dell'album funziona bene e regala una buona dose di pezzi rock di vario stile ma sempre molto godibili. La title track è un midtempo con tematiche intimistiche che Piero ha sempre tenuto solo per i suoi album solisti, e poco dopo troviamo Nata Libera che è sicuramente il pezzo migliore e più interessante dell'album con atmosfere desertiche che sembrano nate dall'incontro dei i Litfiba di Fata Morgana e Il Mio Corpo che Cambia con i Calexico.
Il disco è chiuso da un terzetto di pezzi energici che iniziano con Fossi Foco, ispirata al celebre sonetto di Cecco Angioleri, che vede Piero duettare con Appino degli Zen Circus su un testo che si scaglia contro le discriminazioni verso le minoranze. Segue Stereo Santo, un potente e grintoso inno alla musica e al rock che cita Ozzy Osbourne come mangiatore di pipistrelli. Chiude il disco il pezzo più pesante dal punto di vista musicale, intitolato Canicola, che tratta del riscaldamento globale ed è l'unico brano che sconfina dell'hard rock.
In conclusione, Pugili Fragili conferma ciò che avevamo già capito dal 2000 al 2009: cioè che Piero è sicuramente in grado di fare della buona musica lontano da Ghigo; ma se ciascuno dei due funziona bene da solo, entrambi funzionano benissimo solo insieme. Pugili Fragili è un buon disco, che contiene pezzi decisamente validi, ma i fasti di El Diablo, Spirito o del più recente Eutòpia sono molto lontani.
lunedì 17 febbraio 2020
Visions of Atlantis - Wanderers Tour, Retorbido 15/2/2020
Che i Visions of Atlantis passassero nel loro tour da così vicino a casa mi sembrava una cosa incredibile. E quindi appena vista nel calendario della band la data di Retorbido ho bloccato l'agenda segnandomi che quella sera ci sarebbe stato uno concerto imperdibile. Aggiungiamo pure che per vedere dal vivo Clémentine Delauney i trenta chilometri che mi separano dal Dagda li avrei fatti pure a piedi e la curiosità di sentire l'udinese Michele Guaitoli era davvero tanta.
Purtroppo mi sono perso le due band di apertura, che chi era presente ha poi raccontato essere di altissimo livello, ma arrivo appena in tempo per l'ingresso su palco del quintetto austro-franco-italiano con il batterista Thomas Caser (unico membro fisso del gruppo dal 2000 ad oggi) a scandire l'intro di Release My Symphony con cui i Visions of Atlantis aprono in concerto. Già dal primo pezzo si capisce che la serata ci regala una piacevole scoperta; perché se è pur vero che la star dell'evento è la regina del symphonic metal Clémentine, ci vuole ben poco a capire che Michele è assolutamente all'altezza della prova e dà subito sfoggio delle sue notevoli doti vocali che gli consentono di passare dalle tonalità basse agli acuti con grande facilità. E con il secondo pezzo New Dawn capiamo tutto: la regina resta la regina, ma qui davanti a noi abbiamo anche il nuovo re del metal sinfonico.
La setlist verte soprattutto sugli ultimi due album, quelli che vedono Clémentine alla voce, con solo tre innesti dal passato, quali la già citata New Dawn e Memento da Delta del 2011 e Passing Dead End da Trinity del 2007.
Clémentine è semplicemente meravigliosa mentre si muove sul palco con una grazia incantevole e mischia come solo lei sa fare potenza e dolcezza. Alla voce fantastica della soprano francese, che innesta spesso tocchi di lirica nel proprio canto, si unisce la potenza e le decisione vocale di Michele che dimostra di essere uno dei migliori al mondo nel suo ruolo. L'intesa tra i due vocalist è perfetta e sembra che cantino insieme da decenni, mentre in realtà hanno un solo album in coppia all'attivo; i due duettano, si amalgamo e si completano alla grande regalando al pubblico un impatto di sonoro di ottima presa.
A metà concerto Clémentine esegue da sola la title track dell'ultimo album e subito dopo questa breve pausa il resto della band risale sul palco per la seconda metà dell'esibizione costellata di pezzi tra i migliori della loro discografia recente come The Deep & The Dark e a A Journey to Remember. Dopo Passing Dead End la band saluta ed esce, ma ovviamente il pubblico raccolto ai piedi del palco chiede un encore che la band regala con In & Out of Love e Return To Lemuria che è forse il brano più noto dei dischi cantati da Clémentine.
Di solito i concerti finisco con l'ultima traccia e i saluti. Ma non questo. Sono solo le 23:30 quando l'esibizione finisce e non c'è fretta di andare via. In un corridoio che porta ai servizi incontro proprio Clémentine che gentilmente accetta di fare una foto e sono talmente shockato che mi rivolgo in inglese anche alla persona a cui chiedo di scattarla con il mio cellulare. Poco dopo anche Michele raggiunge il pubblico nel locale e si ferma a chiacchierare dimostrandosi molto vicino al suo pubblico come se non fosse il cantante di una delle band migliori del mondo ma un nuovo amico che incontri in un locale di musica dal vivo.
È molto difficile togliersi di dosso le emozioni di una serata così, che giorni dopo sono ancora vive e ben presenti. E mente torno a casa nell'autoradio girano ovviamente Wanderers e The Deep & The Dark, e mentre ascoltiamo questi capolavori non resta che sperare che Clémentine, Michele e il resto del gruppo tornino presto da queste parti.
Per ora, grazie ragazzi, un abbraccio!
venerdì 7 febbraio 2020
The Darkness - Easter is Canceled, Milano 6/2/2020
Nota: Questo articolo è stato scritto dal nostro guest blogger Tino che ringraziamo per il contributo.
"No, no, io voglio vedere com'è vestito stavolta" questa l'ultima frase che ho sentito prima che le luci di un Alcatraz di Milano stracolmo di gente si spegnessero per l'inizio del concerto dei Darkness, segno che la gente non è lì solo per l'energia della loro musica ma anche per le performance sul palco di Justin Hawkins, carismatico frontman della band famoso tanto per i suoi acuti che per le sgargianti tutine attillate.
Dopo lo spettacolare concerto del 2017 nella cornice del Rugby Sound Festival non ho avuto molti dubbi se partecipare o meno. La band però a questo giro ha provato una formula diversa, nella prima metà del concerto è stato suonato tutto il loro ultimo disco Easter is Canceled. Benché non ci sia stato il minimo dubbio sulle eccellenti performance musicali e visive non è una formula che apprezzo particolarmente, sopratutto da una band che tra alti e bassi è sulla scena dal 2000 e l'anno scorso ha sfornato il sesto lavoro in studio dal quale è tratto il nome del loro tour 2020. L'ultimo disco non è male come stile ma forse avrei dovuto ascoltarlo un po' di più per poterlo apprezzare meglio, alla fine solamente la prima traccia Rock and Roll Deserves to Die era conosciuta visto che su Virgin Radio veniva trasmesso con un po' di regolarità.
Luci giù, un po' di suspance e la mitica One Way Ticket dà il via alla seconda parte dello spettacolo con pezzi molto più conosciuti dalla platea milanese; solo due i pezzi da Pinewood Smile: Japanese Prisoner of Love e il singolo Solid Gold e poi tanto tanto dal loro album di esordio Permission to Land. Seguono Growing on Me e poi Get Your Hands Off My Woman dove l'acuto viene magistralmente tenuto per tutta la canzone. Love is only a Feeling, pezzo relativamente lento e classificato come rock ballad che arrivò al 5° posto nella classifica UK dei singoli più venduti, e il pezzo bandiera della band I Believe in a Thing Called Love chiudono un concerto a dir poco spettacolare.
I Darkness sono una garanzia, non solo come musica, ma come scenografia (gli abiti estremi di Justin avrebbero fatto invidia alle presentatrici che stavano conducendo Sanremo nella stessa serata) e come capacità di coinvolgimento del pubblico. Alla prossima, raga!
sabato 25 gennaio 2020
Giacomo Voli The Voice of Rock - Milano, 24/1/2020
La serata inizia alle 21:30 come da programma con l'alt rock dei pavesi Madhouse guidati dalla grintosa frontwoman Federica Tringali la cui potente voce da contralto intrattiene il pubblico per più di mezz'ora. Segue l'hard rock di stampo ottantiano dei Kreoles che propongono pezzi tratti dal loro ultimo album dalle sonorità dure ma allo stesso tempo decisamente catchy, tanto che il pubblico riesce a cantare con il lead singer Ivan McSimon già al secondo ritornello.
Giacomo Voli sale sul palco poco dopo le 23 e con la sua band inizia la serata con Helter Skelter dei Beatles, forse più ispirata alla versione più energica degli U2, con cui dà subito sfoggio delle sue potenti doti canore che oggi sembrano proprio essere in grade spolvero, nonostante la stanchezza per un viaggio verso Milano pieno di imprevisti, come lo stesso Giacomo racconta al pubblico. Ma forse è proprio la voglia di dimostrare che gli imprevisti non fermano il nostro leggendario vocalist che spinge la band a tirare fuori il meglio di sé, infatti sul palco gira tutto benissimo e la serata scorre alla grande con un repertorio che spazia dagli anni 60 fino ai Muse.
Tra i primi pezzi Giacomo esegue Killing In The Name dei Rage Against the Machine e la scelta è tutt'altro che banale, perché Giacomo ci ha abituato da sempre ai propri virtuosismi vocali ma qui si trova a a dover rappare i versi di Zack de la Rocha. Comunque questo pezzo di ottimo crossover dimostra che Giacomo rappa alla grande e si muove benissimo in un terreno lontano da quelli consueti e a questo punto è lecito chiedersi quali siano i limiti di questo cantante fenomenale, ammesso che ne abbia.
La serata prosegue con quella che Giacomo definisce la sfida tra band, sfida nella quale non perde nessuno ma vincono sempre tutti; ovvero dei medley di pezzi di due band che hanno interpretato il rock e il metal con stili molto diversi tra loro. E se alcuni accostamenti, come quelli tra Metallica e Iron Maiden, possono sembrare naturali, altri come quello tra Queen e Muse sono davvero sorprendenti. E sorprende anche ascoltare come Madness cantata da Voli sia molto più emozionante e profonda della versione di Matt Bellamy, ma in realtà lo sapevamo almeno da The Voice of Italy di sei anni fa.
Il pubblico canta tutti i pezzi da sotto al palco per tutta la serata e Giacomo invita spesso a sostituire i versi originali con frasi buffe in italiano dal suono simile, e qualche volta si fa fatica a cantare perché le trovate del nostro Jack sono così divertenti che non riusciamo a cantare per via delle risa. La serata si chiude con la sfida tra i Deep Purple e Led Zeppelin, scelta quasi obbligata in una serata come questa, che dà modo al Giacomo di mostrare ancora una volta il meglio della propria vocalità; ma appena prima la band ci vuole proporre del metal in italiano e siccome ne esiste poco ne ha inventato un po' per l'occasione con un mash-up tra Franco Battiato e i Rammstein, più altri due pezzi di Battiato riarrangiati da Giacomo.
Alla fine della serata viene da chiedersi come sia possibile che Voli faccia così tante cose diverse, spaziando dagli acustici, alle cover dei Queen, ai Rhapsody of Fire fino a The Voice of Rock e forse la risposta ce l'ha data stasera: la creatività di questo straordinario artista non può incanalarsi su una strada sola e ha bisogno di tutta questa varietà per esprimersi.
Stasera ci hai regalato della bellissima musica e ci hai anche fatto ridere e divertire, e in questi tempi di follia è proprio ciò di cui abbiamo bisogno per rinsavire. Grazie Giacomo, a presto!