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sabato 27 aprile 2024
Back to Black: il biopic sulla vita di Amy Winehouse
Uscendo dalla sala al termine della visione del film ho chiesto a qualcuno "In base a quanto hai visto nel film, sai dire quanti album ha fatto Amy Winehouse nel periodo narrato?". Sapeva rispondere solo chi già lo sapeva di suo, gli altri hanno risposto con uno sconsolante "No", perché in questo film si parla di tutto, tranne che della musica di Amy Winehouse.
Questo è un film d'amore e non un biopic sulla vita e la carriera di una delle migliori interpreti della black music del nuovo millennio, Back to Black di Sam Taylor-Johnson (che non dirigeva un film da sei anni) parla infatti solo della storia d'amore tormentata tra Amy Winehouse e Blake Fielder-Civil, per il resto non c'è nulla e quel poco che c'è è incomprensibile. Non si parla degli album di Amy, non si sa quando escano in relazione hai fatti narrati perché sembrano non avere nessun impatto sulla trama e non si parla dei suoi tour. A metà film dal nulla Amy passa da essere una cantante che si esibisce nelle cantine a Camden Town a essere una superstar braccata da fotografi e giornalisti: peccato che il film non spieghi perché e come sia ascesa al successo così in fretta. In quell'arco è uscito Back in Black che dà il titolo al film, ma se il film non parla dell'album da cui tre il titolo di cos'altro dovrebbe parlare? Ha senso mostrare il dramma dei test di gravidanza negativi e ignorare la musica? Non doveva essere un biopic?
Si perde nel nulla anche il fatto che Amy Winehouse sia stata una voce unica in quegli anni, fuori dal tempo, che invece di inserirsi sulle tendenze del periodo decise di riscoprire il pop degli anni 50 e 60, il jazz e il soul. Anche ignorando le invenzioni narrative (di cui comunque non si capisce il senso) che sono già state analizzate da testate blasonate come Esquire o Radio Times, alcune cose rappresentate nel film rasentano l'assurdo: davvero gli autori vogliono farci credere che Amy non sapesse chi fossero le Shangri Las prima che Blake gliene parlasse? Ma c'è ben di peggio. Nel film Amy scopre le droghe da sola, nella realtà Blake ammise candidamente di essere stato lui a iniziare la cantante all'eroina. L'invenzione più grave riguardo alla veridicità della storia è conservata per la fine, quando Amy viene mostrata emotivamente distrutta perché Blake ha avuto un figlio con un'altra donna. Il figlio di Blake è nato a maggio del 2011, due mesi prima che Amy morisse, quando la cantante frequentava già da tempo l'attore Reg Traviss di cui nel film non si parla minimamente.
Questo film mette quindi un altro chiodo sulla tomba dell'industria del biopic, di cui negli ultimi anni si salvano pochissimi prodotti come Whitney Houston: I Wanna Dance with Somebody dedicato a Whitney Houston e 8 Mile in cui Eminem interpreta sé stesso, garantendo almeno il realismo della storia. Perché di film vaghi e fuori fuoco come Back to Black non si sempre proprio la necessità.
venerdì 3 marzo 2023
Una sera a Camden Town, sulle tracce di Amy Winehouse
Ero stato una volta sola a Camden Town, una fredda mattina dei primi di gennaio di ormai sei anni fa. Da allora, nonostante molti altri viaggi a Londra, non ci ero ancora tornato e, trovandomi di nuovo nella capitale del Regno Unito per tutt'altri motivi, questa volta ho deciso di tornarci. Anche perché ricordavo bene il mercato, i musicisti che vendono i propri CD lungo il marciapiede (e al tempo ne avevo anche comprato uno del rapper Terra Slim), e le folli insegne tridimensionali dei negozi, ma non ero riuscito ad andare a Camden Square, dove Amy Winehouse aveva passato l'ultimo anno della sua vita e dove è morta nel luglio del 2011.
L'atmosfera di Camden Town è sempre singolare, indescrivibile per chi non si è mai trovato in questo turbinio di suggestioni in cui la musica fa da sfondo ad ogni cosa. Esco dalla stazione della metropolitana e sento una band che suona dal vivo Jumpin' Jack Flash in un pub, cammino verso la zona del mercato e vengo sopraffatto dall'atmosfera punk e dark che diede i natali a questi generi musicali nel fermento della swinging London. Qui i segni del passaggio di Amy si vedono praticamente ovunque, non solo nei luoghi più celebri come la statua a grandezza naturale, infatti scopro anche un graffito dipinto su una serranda abbassata (che mi fa ricredere sui miei dubbi sull'opportunità di venire qui quando i negozi e il mercato sono chiusi) e un negozio di arte al numero 279 di Camden High Street (a cui purtroppo ho dimenticato di fare una foto) che espone in vetrina dei suoi ritratti.
È difficile stabilire da quanto tempo sia lì il ritratto di Amy sulla serranda dello studio di tatuaggi Boys Don't Cry, che ovviamente omaggia l'omonima canzone dei Cure nel nome, al numero 269a di Camden High Street, ma Google Street View ci viene in aiuto e ci mostra che a gennaio del 2021 il graffito non c'era, l'opera è quindi recentissima e infatti è ancora perfetta.
La prima tappa che mi ero prefissato per questo giro e è la statua di bronzo, e quando ci arrivo devo aspettare un attimo prima di scattare una foto, perché davanti a me c'è una fila di persone che vogliono fare lo stesso. La statua è bellissima come me la ricordo e fa riflettere una volta in più sul perché una ragazza al pieno del successo si sia distrutta con le sue mani. Ciò che colpisce di questa ricostruzione a grandezza naturale è quanto Amy fosse minuta e come una voce come quella potesse uscire da un corpo così ridotto; perché la statua è alta un metro e 75 centimetri, ma solo includendo la base e la folta chioma ispirata a quelle delle Ronettes a cui Amy si rifaceva nello stile. In ogni caso, è talmente realistica da sembrare vera grazie alla posa spontanea in cui la cantante è stata riprodotta e prima di fare una foto viene voglia di chiederle il permesso.
La seconda tappa è la sua casa di Camden Square, che dalla statua dista circa un chilometro e mezzo di vie interne che si dipanano in una zona residenziale. Le case di Camden Square, che sono distribuite sulle due strade che costeggiano il parco, sulle prime sembrano tutte uguali, ma quella al numero 30, dove visse Amy, è diversa per almeno due motivi. Anzitutto è l'unica con porta e finestre oscurate in modo che da fuori non si veda completamente nulla degli interni. In secondo luogo per via del memoriale nato spontaneamente su un albero di fronte all'ingresso grazie a biglietti, foto, fiori e qualunque altra cosa i fan abbiano lasciato in ricordo della cantante.
È tempo di tornare verso la stazione della metro, ma mi accorgo che se metto Amy Winehouse su Google Maps il completamento automatico mi segnala anche un murale che dovrebbe essere vicino all'insegna di Camden Lock e che è stato realizzato dall'artista grafico JXC in occasione del decimo anniversario della morte della cantante. Decido di andarci, ma arrivato sul posto non lo trovo. Chiedo a due passanti mostrando la foto sul cellulare, ma nessuno mi sa aiutare. Lo trovo, dopo minuti di ricerca, in una strada stretta che porta a uno dei cortili del quartiere. Nonostante non si veda dalla strada principale, il murale è immenso, con il buio e lo vedo a fatica ma comunque trasmette quanto questo quartiere sia tuttora legato a lei.
Adesso il giro è finito davvero e torno veramente verso la stazione in cerca di un pub per mangiare, e mentre mi allontano rifletto su quanto Amy Winehouse abbia influenzato Camden Town e su quanto la sua vita sia legata a doppio filo a questo quartiere dove la si vede ovunque e la si sente ovunque. Perché anche se Amy ci ha lasciato il 23 luglio del 2011 tra queste strade è ancora viva.
L'atmosfera di Camden Town è sempre singolare, indescrivibile per chi non si è mai trovato in questo turbinio di suggestioni in cui la musica fa da sfondo ad ogni cosa. Esco dalla stazione della metropolitana e sento una band che suona dal vivo Jumpin' Jack Flash in un pub, cammino verso la zona del mercato e vengo sopraffatto dall'atmosfera punk e dark che diede i natali a questi generi musicali nel fermento della swinging London. Qui i segni del passaggio di Amy si vedono praticamente ovunque, non solo nei luoghi più celebri come la statua a grandezza naturale, infatti scopro anche un graffito dipinto su una serranda abbassata (che mi fa ricredere sui miei dubbi sull'opportunità di venire qui quando i negozi e il mercato sono chiusi) e un negozio di arte al numero 279 di Camden High Street (a cui purtroppo ho dimenticato di fare una foto) che espone in vetrina dei suoi ritratti.
Graffito al 269a di Camden High Street |
È difficile stabilire da quanto tempo sia lì il ritratto di Amy sulla serranda dello studio di tatuaggi Boys Don't Cry, che ovviamente omaggia l'omonima canzone dei Cure nel nome, al numero 269a di Camden High Street, ma Google Street View ci viene in aiuto e ci mostra che a gennaio del 2021 il graffito non c'era, l'opera è quindi recentissima e infatti è ancora perfetta.
La prima tappa che mi ero prefissato per questo giro e è la statua di bronzo, e quando ci arrivo devo aspettare un attimo prima di scattare una foto, perché davanti a me c'è una fila di persone che vogliono fare lo stesso. La statua è bellissima come me la ricordo e fa riflettere una volta in più sul perché una ragazza al pieno del successo si sia distrutta con le sue mani. Ciò che colpisce di questa ricostruzione a grandezza naturale è quanto Amy fosse minuta e come una voce come quella potesse uscire da un corpo così ridotto; perché la statua è alta un metro e 75 centimetri, ma solo includendo la base e la folta chioma ispirata a quelle delle Ronettes a cui Amy si rifaceva nello stile. In ogni caso, è talmente realistica da sembrare vera grazie alla posa spontanea in cui la cantante è stata riprodotta e prima di fare una foto viene voglia di chiederle il permesso.
La seconda tappa è la sua casa di Camden Square, che dalla statua dista circa un chilometro e mezzo di vie interne che si dipanano in una zona residenziale. Le case di Camden Square, che sono distribuite sulle due strade che costeggiano il parco, sulle prime sembrano tutte uguali, ma quella al numero 30, dove visse Amy, è diversa per almeno due motivi. Anzitutto è l'unica con porta e finestre oscurate in modo che da fuori non si veda completamente nulla degli interni. In secondo luogo per via del memoriale nato spontaneamente su un albero di fronte all'ingresso grazie a biglietti, foto, fiori e qualunque altra cosa i fan abbiano lasciato in ricordo della cantante.
La casa al numero 30 di Camden Square dove visse e morì Amy Winehouse |
Il memoriale davanti alla casa |
È tempo di tornare verso la stazione della metro, ma mi accorgo che se metto Amy Winehouse su Google Maps il completamento automatico mi segnala anche un murale che dovrebbe essere vicino all'insegna di Camden Lock e che è stato realizzato dall'artista grafico JXC in occasione del decimo anniversario della morte della cantante. Decido di andarci, ma arrivato sul posto non lo trovo. Chiedo a due passanti mostrando la foto sul cellulare, ma nessuno mi sa aiutare. Lo trovo, dopo minuti di ricerca, in una strada stretta che porta a uno dei cortili del quartiere. Nonostante non si veda dalla strada principale, il murale è immenso, con il buio e lo vedo a fatica ma comunque trasmette quanto questo quartiere sia tuttora legato a lei.
Il murale di JXC |
Adesso il giro è finito davvero e torno veramente verso la stazione in cerca di un pub per mangiare, e mentre mi allontano rifletto su quanto Amy Winehouse abbia influenzato Camden Town e su quanto la sua vita sia legata a doppio filo a questo quartiere dove la si vede ovunque e la si sente ovunque. Perché anche se Amy ci ha lasciato il 23 luglio del 2011 tra queste strade è ancora viva.
mercoledì 1 dicembre 2021
Stevie Wonder - Someday at Christmas
Pubblicato nel 1967 Someday at Christmas è il primo album natalizio di Stevie Wonder; il disco è composto da dodici tracce di cui cinque classici e sette inediti, tra cui la title track uscita in singolo l'anno prima.
Come in tutti i dischi di Stevie Wonder anche in questo caso si trovano un caleidoscopio di suoni e stili che si alternano e creare una composizione varia in cui non ci sono due brani che si assomiglino. Si passa dal rock and roll di What Christmas Means To Me, al ritmo da marcia marziale di The Little Drummer Boy, fino alla ballad soul The Day That Love Began. L'album è stato realizzato in collaborazione con i Funk Brother, il gruppo di turnisti che in quei decenni realizzava le basi per la Motown, e con altri due gruppi della Motown dell'epoca: le Andantes, che eseguono i cori di voci femminili, e gli Originals, che eseguono quelli maschili.
I punti di forza di questo album sono sicuramente la già citata title track, nota anche per il disincantato testo pacifista, e l'interpretazione scintillante di Silver Bells. Una menzione a parte merita anche l'interpretazione dell'Ave Maria di Franz Schubert con la quale Wonder dà sfoggio della sua capacità di passare dall'R&B alla musica classica.
Someday at Christmas è diventata negli anni un nuovo classico del Natale e vanta ad oggi innumerevoli cover tra cui quella dei Jackson 5 del 1970 e una versione rock dei Pearl Jam del 2004. Lo stesso Stevie Wonder ha reinterpretato il proprio pezzo nel 2015 in una versione più raccolta con sono piano e voce in cui duetta con la cantante soul Andra Day.
Someday at Christmas rappresenta l'ottavo album di Stevie Wonder dal suo esordio nel 1962 con The Jazz Soul of Little Stevie Wonder e quando uscì diede un assaggio del suo strabiliante talento quando la sua carriera stava decollando e non era ancora esplosa con quello che oggi definiamo il periodo classico, tra Music of My Mind del 1972 e Songs In The Key of Life del 1976. Il disco convince sotto ogni punto di vista, regalando un'ora di musica natalizia tra la migliore mai realizzata, con un buon equilibrio tra pezzi nuovi e tradizionali, che sicuramente accontenta sia gli amanti della black music che quelli della tradizione del Natale.
domenica 19 settembre 2021
Cinema e musica: Space Jam
Space Jam del 1996 è uno dei film più iconici degli anni 90, reso famoso dalla sua strana commistione di storie vere, cartoni animati, sport e umorismo. Il film vede il leggendario Micheal Jordan finire nel mondo dei Looney Tunes per aiutare Bugs Bunny e i suoi amici a vincere una partita di pallacanestro contro un gruppo di mostri alieni, chiamati Monstars, che vuole catturarli per costringerli a lavorare come attrazioni nel parco divertimenti del loro padrone. Nel film la famiglia di Michael Jordan è interpretata da degli attori, ma nel cast ci sono altre stelle dell'NBA dell'epoca come Patrick Ewing, Charles Barkley, Larry Johnson, Muggsy Bogues e Shawn Bradley che interpretano sé stessi. Il film è particolarmente efficace perché ripropone la tecnica mista di coesistenza di attori umani e cartoni animati, che era stata inaugurata nel 1988 con Chi ha incastrato Roger Rabbit, facendo incontrare i protagonisti della Warner Bros con persone esistenti nella vita reale, anziché con personaggi fittizi.
Insieme al film fu pubblicata anche la colonna sonora intitolata Space Jam: Music from and Inspired by the Motion Picture che contiene, come è abbastanza ovvio vista l'ambientazione cestistica del film, un compendio della black music dell'epoca attingendo dalla scena hip hop e R&B degli anni 90. L'album parte con la bellissima cover di Fly Like an Eagle di Steve Miller realizzata da Seal, unico interprete non americano della compilation, il cui rimando allo slogan Come Fly With Me che già da anni accompagnava il merchandising di MJ è più che evidente. Il disco prosegue con The Winner di Coolio, brano non presente nel film, che trae il suo ritornello da We're a Winner degli Impressions di Curtis Mayfield. Coolio fa una seconda apparizione in un altro brano dell'album intitolato Hit 'Em High che è il tema che accompagna l'entrata in campo dei Monstars e che è interpretato da altri quattro rapper di rilievo quali B-Real, Busta Rhymes, LL Cool J e Method Man, ognuno dei quali dà la voce a uno dei mostri. Tra i brani più famosi troviamo anche la cover di Upside Down di Diana Ross interpretata dalle Salt-N-Pepa.
Come anticipato il disco contiene anche un buon numero di brani R&B partendo da I Found My Smile Again di D'Angelo, fino alla bellissima ballad For You I Will di Monica e alla cover di Basketball Jones del duo comico Cheech & Chong qui interpretata da Barry White e Chris Rock. Nel disco è presente anche la celebre title track dei Quad City DJ's che fu praticamente il loro unico successo, perché il gruppo ha all'attivo un solo album che risale proprio all'anno del film. Nella colonna sonora di Space Jam compare un solo brano non appartenente alla black music, la cover di That's the Way (I Like It) dei KC and the Sunshine Band interpretata dagli Spin Doctors con Biz Markie.
Del film fu pubblicato anche un secondo disco che contiene le musiche strumentali a commento sonoro delle scene del film realizzate da James Newton Howard e intitolato Space Jam Motion Picture Score.
Nonostante alcuni dei brani della colonna sonora compaiano solo nei titoli di coda, e sono quindi inseriti un po' a forza nella compilation, rispecchiano tutti le atmosfere del film e costituiscono un disco efficace e divertente che offre uno dei migliori esempi della musica nera di quel periodo. Non è un caso che molti di questi pezzi siano famosissimi ancora oggi, a riprova del fatto che la squadra di musicisti messa in campo dai produttori è stata vincente come quella composta da Michael Jordan e da Looney Tunes.
mercoledì 27 gennaio 2021
The Undisputhed Truth - The Undisputed Truth
Nel 1970 il produttore dei Temptations Norman Whitfield assemblò un altro gruppo vocale con il quale sperimentare nuove commistioni e sonorità senza esporsi alla critica di pubblico e stampa che riteneva che il produttore stesse daneggiando il proprio gruppo principale distorcendone la natura a proprio piacimento. Il gruppo che prese vita da questa decisione furono gli Undispited Truth, composti da Joe "Pep" Harris, Billie Rae Calvin e Brenda Joyce Evans
L'album di esordio del gruppo porta lo stesso nome della band e fu pubblicato nel 1971. Il disco è composto da undici tracce che offrono quarantaquattro minuti di black music molto varia e di facile presa. Nel disco si trovano tutti gli stilemi delle sonorità della Motown: passando dall'R&B classico, al soul, al funk, alla psichedelia e anche qualche tocco di rock. L'unico brano inedito del disco è il divertente pezzo di apertura You Got The Love I Need, ai confini tra R&B e disco. Delle restanti tracce, quattro (Save My Love For A Rainy Day, Ball of Confusion, Smiling Faces Sometimes e Since I've Lost You) furono incise in quegli anni anche dai Temptations, sia nelle loro incisioni più vicine al Motown sound sia a quelle psichedeliche coeve di questo album. Tra le altre troviamo anche alcuni classici degli anni 60 come Aquarius, dal musical Hair, Ain't No Sun Since You've Been Gone, I Heard It Through the Grapevine, Like a Rolling Stone di Bob Dylan, California Soul, incisa in precedenza dai 5th Dimension e da Marvin Gaye e Tammi Terrell, e We've Got a Way Out Love degli Originals.
Lo schema base delle canzoni è che Harris esegue la voce principale, con gli altri due vocalist impegnati in controcanti e doppie voci (ci sono comunque un paio di eccezioni, ad esempio in Aquarius la voce principale è quella di Brenda). Alcune delle cover sono eseguite mantenendo la stessa atmosfera dei pezzi originali, mentre altre sono completamente riviste, come Like a Rolling Stone in cui la polifonia vocale trasforma il pezzo originale in uno completamente diverso. Lo stesso vale per Ball of Confusion il cui arrangiamento è completamente diverso da quello dei Temptations e per I Heard It Through the Grapevine, notevolmente accelerata e arricchita di cori e controcanti. Non mancano le ballad classiche, nello stile originale della Motown, come Ain't No Sun Since You've Been Gone e We've Got a Way Out Love.
Gli Undispited Truth danno quindi prova già da loro primo album di essere un prodotto solido, capace di reinterpretare pezzi noti in chiavi diverse. Purtroppo la vita del gruppo vide molte vicissitudini; dopo altri due album focalizzati principalmente sulla revisione di cover contemporanee, il gruppo si divise e Harris venne affiancato da nuovi vocalist. L'anno seguente gli Undisputed Truth lasciarono la Motown per la Whitfield e in breve tempo sparirono dalle scene. E' un vero peccato che la loro fama sia così limitata, perché anche se non godono del blasone dei gruppi più noti della Motown hanno comunque confezionato una buona quantità di dischi di alto livello, che meritano di essere conosciuti e ascoltati.
L'album di esordio del gruppo porta lo stesso nome della band e fu pubblicato nel 1971. Il disco è composto da undici tracce che offrono quarantaquattro minuti di black music molto varia e di facile presa. Nel disco si trovano tutti gli stilemi delle sonorità della Motown: passando dall'R&B classico, al soul, al funk, alla psichedelia e anche qualche tocco di rock. L'unico brano inedito del disco è il divertente pezzo di apertura You Got The Love I Need, ai confini tra R&B e disco. Delle restanti tracce, quattro (Save My Love For A Rainy Day, Ball of Confusion, Smiling Faces Sometimes e Since I've Lost You) furono incise in quegli anni anche dai Temptations, sia nelle loro incisioni più vicine al Motown sound sia a quelle psichedeliche coeve di questo album. Tra le altre troviamo anche alcuni classici degli anni 60 come Aquarius, dal musical Hair, Ain't No Sun Since You've Been Gone, I Heard It Through the Grapevine, Like a Rolling Stone di Bob Dylan, California Soul, incisa in precedenza dai 5th Dimension e da Marvin Gaye e Tammi Terrell, e We've Got a Way Out Love degli Originals.
Lo schema base delle canzoni è che Harris esegue la voce principale, con gli altri due vocalist impegnati in controcanti e doppie voci (ci sono comunque un paio di eccezioni, ad esempio in Aquarius la voce principale è quella di Brenda). Alcune delle cover sono eseguite mantenendo la stessa atmosfera dei pezzi originali, mentre altre sono completamente riviste, come Like a Rolling Stone in cui la polifonia vocale trasforma il pezzo originale in uno completamente diverso. Lo stesso vale per Ball of Confusion il cui arrangiamento è completamente diverso da quello dei Temptations e per I Heard It Through the Grapevine, notevolmente accelerata e arricchita di cori e controcanti. Non mancano le ballad classiche, nello stile originale della Motown, come Ain't No Sun Since You've Been Gone e We've Got a Way Out Love.
Gli Undispited Truth danno quindi prova già da loro primo album di essere un prodotto solido, capace di reinterpretare pezzi noti in chiavi diverse. Purtroppo la vita del gruppo vide molte vicissitudini; dopo altri due album focalizzati principalmente sulla revisione di cover contemporanee, il gruppo si divise e Harris venne affiancato da nuovi vocalist. L'anno seguente gli Undisputed Truth lasciarono la Motown per la Whitfield e in breve tempo sparirono dalle scene. E' un vero peccato che la loro fama sia così limitata, perché anche se non godono del blasone dei gruppi più noti della Motown hanno comunque confezionato una buona quantità di dischi di alto livello, che meritano di essere conosciuti e ascoltati.
venerdì 1 marzo 2019
Alexandra Burke - The Truth Is
Dopo due album in stile dance e dopo una lunga militanza nel mondo dei musical con The Bodyguard, Sister Act, Chicago e Chess, Alexandra Burke è tornata nel 2018 con un nuovo album di puro R&B e soul, genere che le si addice sicuramente più del dance-pop degli esordi, dal titolo The Truth Is. Questo nuovo LP vede anche il passaggio di Alexandra Burke dalla Syco Music alla storica etichetta Decca che dal 1929 produce alcuni dei migliori musicisti di ogni tempo.
L'album è composto di undici tracce contraddistinte, come è abbastanza ovvio, da sonorità eleganti e patinate che mettono in luce al meglio le straordinarie doti vocali della cantante. I pezzi che compongono il disco vedono una predominanza di brani melodici, tra cui troviamo il singolo Shadow di cui è stato realizzato un video. Il disco offre anche una notevole varietà di suoni come nell'ottima Say We'll Meet Again che vede la presenza come ospite di Ronan Keating e in cui la strumentazione abituale è sostituita da piano e archi. Sonorità più allegre e spensierate si trovano invece nell'allegra Summer e in Maybe It's Love che vira decisamente verso il reggae grazie anche alla strumentazione caraibica. Alexandra si concede anche uno sconfinamento nel gospel con You’re Worth Holding On To impreziosita da un battito di mani sulla strofa e dalla presenza del coro sul ritornello.
Tra le ballad più tradizionali troviamo anche la title track in cui Alexandra dà particolarmente sfoggio della propria estensione e del proprio vibrato, oltre a Believe e al brano di chiusura Without You che è sicuramente il pezzo del disco che più mette in luce la potenza canora di questa straordinaria vocalist. Nell'album non mancano un paio di momenti pop più veloci con la melodica traccia di apertura All The Things You Are e con l'allegra In The Rain.
Completa il disco l'onirica cover di All I Need degli Air, che Alexandra trasforma dal chillout elettronico dell'originale in un pezzo R&B nel sul stile distintivo dando ovviamente maggiore spazio alla linea vocale.
Con The Truth Is Alexandra Burke compie un notevole passo in avanti e il passaggio a un'etichetta come la Decca non può che aver giovato alla cantante britannica. Grazie a questo terzo album Alexandra riesce sicuramente ad affrancarsi dall'etichetta di "vocalist uscita da X-Factor" e dimostra di avere grandi doti compositive oltre a quelle interpretative, ed essendosi finalmente liberata di una definizione che le andava stretta da tempo si assesta senza dubbio tra le migliori voci dell'R&B contemporaneo.
L'album è composto di undici tracce contraddistinte, come è abbastanza ovvio, da sonorità eleganti e patinate che mettono in luce al meglio le straordinarie doti vocali della cantante. I pezzi che compongono il disco vedono una predominanza di brani melodici, tra cui troviamo il singolo Shadow di cui è stato realizzato un video. Il disco offre anche una notevole varietà di suoni come nell'ottima Say We'll Meet Again che vede la presenza come ospite di Ronan Keating e in cui la strumentazione abituale è sostituita da piano e archi. Sonorità più allegre e spensierate si trovano invece nell'allegra Summer e in Maybe It's Love che vira decisamente verso il reggae grazie anche alla strumentazione caraibica. Alexandra si concede anche uno sconfinamento nel gospel con You’re Worth Holding On To impreziosita da un battito di mani sulla strofa e dalla presenza del coro sul ritornello.
Tra le ballad più tradizionali troviamo anche la title track in cui Alexandra dà particolarmente sfoggio della propria estensione e del proprio vibrato, oltre a Believe e al brano di chiusura Without You che è sicuramente il pezzo del disco che più mette in luce la potenza canora di questa straordinaria vocalist. Nell'album non mancano un paio di momenti pop più veloci con la melodica traccia di apertura All The Things You Are e con l'allegra In The Rain.
Completa il disco l'onirica cover di All I Need degli Air, che Alexandra trasforma dal chillout elettronico dell'originale in un pezzo R&B nel sul stile distintivo dando ovviamente maggiore spazio alla linea vocale.
Con The Truth Is Alexandra Burke compie un notevole passo in avanti e il passaggio a un'etichetta come la Decca non può che aver giovato alla cantante britannica. Grazie a questo terzo album Alexandra riesce sicuramente ad affrancarsi dall'etichetta di "vocalist uscita da X-Factor" e dimostra di avere grandi doti compositive oltre a quelle interpretative, ed essendosi finalmente liberata di una definizione che le andava stretta da tempo si assesta senza dubbio tra le migliori voci dell'R&B contemporaneo.
martedì 15 maggio 2018
Francess - Submerge
Il 2018 vede il ritorno dell'italo-giamaicana Francess, la voce più calda dell'R&B nostrano, con un nuovo album di inediti che esce a un solo anno di distanza dal precedente A Bit of Italiano del 2017 e a tre dal precedente disco di pezzi nuovi intitolato Apnea del 2015. Il nuovo album si intitola Submerge ed è composto da dieci tracce ispirate alla black music degli anni 90, ma anche ricche di contaminazioni di altri stili, generi e decenni.
L'album si apre con la title track, pubblicata in digitale il mese prima del resto dell'album, che offre un tuffo nel passato con sonorità che richiamano gli anni d'oro dell'R&B con un midtempo patinato e d'atmosfera in cui la cantante mette in mostra da subito le straordinarie doti della sua voce. Ma basta passare al pezzo successivo per capire come questo album sia ricco di sperimentazioni in ogni angolo della musica nera e non solo. In Follow Me troviamo infatti un'ottima mescolanza di suoni e ritmi tipici della canzone italiana degli anni 50 misti al groove dell'hip hop newyorkese di fine millennio.
Submerge offre anche molte derive nella musica dance con l'energica Ready Set Go e con la successiva Evolution che mischia soul, funk e disco nello stile dei maestri del genere del Regno Unito dei primi anni 80. Sonorità ottantiane da eurodisco si trovano anche nella bellissima e ritmata Moon.
Il disco è ricco anche di momenti più raccolti e intimistici con le ballad Memory Lane e Until Dawn che sarebbero splendide già in sé stesse dal punto di vista autorale e che la suadente voce della cantante rende semplicemente mozzafiato.
Completano il disco il midtempo Ivory e The Show Must Go Wrong con delle venature pop più marcate. Menzione a parte merita il pezzo di chiusura: conclude l'album la cover di The Man I Love di George Gershwin che regala un altro stupendo viaggio nel tempo direttamente nei primi anni del dopoguerra e basta chiudere gli occhi ascoltandolo per ritrovarsi a immaginare Francess che la canta a fianco delle altre dive dell'epoca che l'hanno interpretata come Billie Holiday, Ella Fitzgerald o Sarah Vaughan.
Giunti al termine di questo ascolto l'unica considerazione che si può fare è che questa giovane cantante sforna album con una frequenza impressionante e che la qualità di tutte le sue incisioni non ha nulla da invidiare a quello delle regine del genere più blasonate. E se oltre oceano i fan e la critica si dividono su chi sia la migliore interprete dell'R&B, dalle nostre parti non serve alcuna discussione in merito: perché Francess non ha eguali, né nessuno che le si possa avvicinare.
L'album si apre con la title track, pubblicata in digitale il mese prima del resto dell'album, che offre un tuffo nel passato con sonorità che richiamano gli anni d'oro dell'R&B con un midtempo patinato e d'atmosfera in cui la cantante mette in mostra da subito le straordinarie doti della sua voce. Ma basta passare al pezzo successivo per capire come questo album sia ricco di sperimentazioni in ogni angolo della musica nera e non solo. In Follow Me troviamo infatti un'ottima mescolanza di suoni e ritmi tipici della canzone italiana degli anni 50 misti al groove dell'hip hop newyorkese di fine millennio.
Submerge offre anche molte derive nella musica dance con l'energica Ready Set Go e con la successiva Evolution che mischia soul, funk e disco nello stile dei maestri del genere del Regno Unito dei primi anni 80. Sonorità ottantiane da eurodisco si trovano anche nella bellissima e ritmata Moon.
Il disco è ricco anche di momenti più raccolti e intimistici con le ballad Memory Lane e Until Dawn che sarebbero splendide già in sé stesse dal punto di vista autorale e che la suadente voce della cantante rende semplicemente mozzafiato.
Completano il disco il midtempo Ivory e The Show Must Go Wrong con delle venature pop più marcate. Menzione a parte merita il pezzo di chiusura: conclude l'album la cover di The Man I Love di George Gershwin che regala un altro stupendo viaggio nel tempo direttamente nei primi anni del dopoguerra e basta chiudere gli occhi ascoltandolo per ritrovarsi a immaginare Francess che la canta a fianco delle altre dive dell'epoca che l'hanno interpretata come Billie Holiday, Ella Fitzgerald o Sarah Vaughan.
Giunti al termine di questo ascolto l'unica considerazione che si può fare è che questa giovane cantante sforna album con una frequenza impressionante e che la qualità di tutte le sue incisioni non ha nulla da invidiare a quello delle regine del genere più blasonate. E se oltre oceano i fan e la critica si dividono su chi sia la migliore interprete dell'R&B, dalle nostre parti non serve alcuna discussione in merito: perché Francess non ha eguali, né nessuno che le si possa avvicinare.
martedì 5 dicembre 2017
Intervista a Francess
La cantante italoamericana Francess è la migliore voce del panorama R&B del nostro paese. All'attivo ha già due album: il primo si intitola Apnea ed è stato pubblicato nel 2015, il secondo è intitolato A Bit of Italiano è stato pubblicato nel 2017 e contiene una raccolta di classici della canzone italiana reinterpretati nello stile della musica nera.
Per parlare dei suoi due album e del suo background musicale, Francess ha accettato la nostra richiesta di un'intervista, che pubblichiamo di seguito.
Ringraziamo Francess per la sua cortesia e disponibilità.
Per parlare dei suoi due album e del suo background musicale, Francess ha accettato la nostra richiesta di un'intervista, che pubblichiamo di seguito.
Ringraziamo Francess per la sua cortesia e disponibilità.
125esima Strada: Ciao Francess e grazie anzitutto per il tempo che ci stai dedicando. I nostri lettori ti conoscono già perché sul nostro blog ci sono le recensioni di entrambi i tuoi album. Nonostante ciò ti chiediamo una tua breve presentazione. Raccontaci chi sei e come è nata la tua passione per la musica.
Francess: La musica in casa mia è sempre stata presente, non ci sono musicisti ma tanti appassionati. Io ho iniziato però a cantare abbastanza tardi; ho fatto il liceo artistico, poi ho iniziato l’Accademia delle Belle Arti, ho lavorato per un periodo anche da uno scultore ed è stato lui a farmi capire che non era quella la mia strada. Ed è stato lì che ho incontrato i miei attuali produttori dell’etichetta indipendente SonicFactory, con cui ho iniziato un percorso.
Questo percorso mi ha portato a sperimentare diverse cose fino ad arrivare a oggi, a questo disco che è molto particolare ed è un lavoro che mi sta molto a cuore. Faccio una premessa: io ho il padre giamaicano, la madre italiana, sono nata a New York e cresciuta a Torino, un bel mix! Questo progetto nasce proprio dal desiderio di costruire un ponte tra le mie due culture e le mie due lingue. Quindi abbiamo fatto questo esperimento, abbiamo preso brani della tradizione musicale italiana e li abbiamo rielaborati portandoli come arrangiamento nel mio mondo sonoro che deriva dalla passione per il jazz, il blues, il soul. E soprattutto li abbiamo tradotti in inglese.
125esima Strada: Visto che hai introdotto l’argomento del tuo nuovo disco, proseguiamo pure a parlarne. Come avete scelto i pezzi? Passare da Buscaglione a Neffa è un bel salto!
Francess: Sicuramente siamo partiti da brani che ci piacevano e poi abbiamo fatto una selezione di quelli che si prestavano a una trasformazione molto radicale. Ci tenevamo a non stravolgere i brani originali nella traduzione, ma la traduzione fedele non si può fare con tutte le canzoni e quindi il campo si è ristretto e piano piano abbiamo scelto quelli che andavano meglio e che ci piacevano di più.
125esima Strada: Raccontaci come è nato l’inedito Good Fella, che racconta degli stereotipi sugli italiani all'estero. Tu che sei italoamericana sei cresciuta con questi stereotipi, immagino.
Francess: Questo brano mette insieme le mie due lingue, è scritto un po’ in inglese e un po’ in italiano. E’ molto ironico perché ci ho messo tutti gli stereotipi possibili sull’Italia. Volevo parlare del mio conflitto interiore che ho sempre avuto per via delle mie origini. Nasce così quindi, ed esprime il mio orgoglio e il mio senso di appartenenza all’Italia.
125esima Strada: In Don’t Want The Moonlight alla fine canti in italiano e questo mostra un lato della tua voce diverso da quello solito. Pensi in futuro di poter fare qualche pezzo intero o un disco intero in italiano?
Francess: Non escludo niente e sicuramente questo disco mi ha fatto riflettere su questa cosa. E’ stato un esperimento linguistico vedere che suoni potevano uscire dalle due lingue diverse. Potrebbe essere una strada interessante anche solo come esperimento per capire in che direzione mi potrebbe portare.
125esima Strada: Parliamo anche del tuo disco precedente, Apnea. Come è nato? Credo che sia molto difficile fare un disco di R&B in Italia.
Francess: Quello è stato il mio primo disco, avevo iniziato questo percorso con i miei produttori che ho avuto la fortuna di incontrare e che hanno creduto nelle mie capacità. Ma soprattutto mi hanno dato uno spazio per cercare di capire chi ero musicalmente e artisticamente seguendo i miei gusti e quello che mi piaceva. Quindi il genere nasce da questo, ci abbiamo creduto e l’abbiamo realizzato.
E’ il disco che segna il mio inizio e mi dà anche un’impronta e un’identità.
125esima Strada: C’è qualche pezzo di Apnea a cui sei particolarmente legata? Se posso dirti il mio parere personale, a me piace soprattutto Cool.
Francess: Sicuramente Cool è un pezzo che mi è sempre piaciuto anche da fare live. Mi coinvolge molto, e quindi sono d’accordo con te.
125esima Strada: Ricordo di averti sentita dire che tra i musicisti che ti hanno influenzata di più c’è Billie Holiday, oltre a lei chi sono i tuoi musicisti preferiti?
Francess: Ce ne sono tanti, ascolto tanti tipi di musica diversa. Però sicuramente ho ascoltato molto Lauryn Hill e Nina Simone che sono quelle che hanno influito di più sul mio modo di sentire o vivere la musica.
125esima Strada: Sinceramente non mi aspettavo di sentirti nominare Lauryn Hill perché i suoi dischi sono fatti spesso su basi campionate mentre tu suoni con una band. Se io dovessi consigliare una cantante R&B a un marziano, tra te e lei sceglierei te.
Francess: Beh, io crescendo e sperimentando la mia voce a livello di vocalità ho sempre ascoltato Lauryn Hill e mi è sempre piaciuta molto. Proprio a livello vocale.
125esima Strada: Chi sono invece i tuoi musicisti preferiti di oggi?
Francess: Questa è una domanda difficile perché ascolto molta musica del passato. Di oggi mi piace veramente poco. Sicuramente mi piace molto Vinicio Capossela.
125esima Strada: Ho visto i tuoi video e sono fatti con molta professionalità, non hanno nulla da invidiare a quelli delle star più blasonate. Come riuscite a raggiungere livelli così alti pur non avendo i budget delle star?
Francess: Abbiamo un’ottima squadra, il lavoro di squadra è sempre fondamentale per fare buoni prodotti. Abbiamo sempre trovato gente pronta a investire tempo e risorse per riuscire a fare un ottimo lavoro.
125esima Strada: Ti faccio una domanda che esula un po’ dal resto. Cosa pensi delle nuove tecnologie come Spotify o YouTube che consentono anche a chi è lontano e non può comprare fisicamente il disco di sentire la tua musica?
Francess: Non sono mai contraria ai cambiamenti, quindi anche le nuove piattaforme digitali come YouTube, Spotify o altri sono ottime risorse. Bisogna sfruttarle perché hanno rivoluzionato il modo di ascoltare la musica, di comprarla e di venderla. Bisogna capire come tirarne fuori il meglio, ma sono un ottimo mezzo.
lunedì 15 maggio 2017
Francess - A Bit of Italiano
Due anni dopo l'album di esordio torna la cantante R&B italo-giamaicana Francess con un nuovo disco registrato in studio intitolato A Bit of Italiano. Come suggerisce il titolo stesso il disco è una raccolta di cover, più un inedito, di pezzi italiani tradotti in inglese e trasformati in brani R&B unendo così le due anime musicali a cui la cantante si ispira, la musica nera e la canzone italiana, e riprendendo anche la tradizione dei crooner degli anni 50, come Dean Martin o Al Martino, che portavano oltreoceano i brani melodici del nostro paese traducendoli nella loro lingua. L'album di Francess attinge dalla tradizione popolare, con la cover di Ma Se Ghe Penso, e da quella cantautorale spaziando in vari decenni da Fred Buscaglione fino a Neffa.
Il disco si apre con Don't Want the Moonlight, cover di Guarda Che Luna proposta anche in versione acustica in chiusura del disco, che trasforma il pezzo di Buscaglione in una ballad onirica e crepuscolare; Francess canta gli ultimi versi del pezzo in italiano passando quindi dal canto sommesso dell'R&B alla voce piena della canzone italiana dimostrando grande maestria in diversi stili e creando un contrasto di grande effetto. L'ecletticità della cantante emerge anche in tutto il resto del disco che essendo fatto di brani così diversi le dà modo di esprimersi in terreni altrettanto variegati. Si passa ad esempio dal canto lento e dalla melodia de Il Cielo in Una Stanza, notevolmente rallentata rispetto all'originale e con una base minimale che mette in risalto le doti vocali della cantante, al ritmo incalzante di Vengo Anch'io, No Tu No.
Nel disco troviamo anche una versione saltellante ed allegra di Attenti al Lupo impreziosita dai cori e dall'ottimo suono onnipresente della chitarra. Tra i brani melodici spicca anche una straordinaria versione di Vacanze Romane a cui Francess dona un groove molto nero grazie anche alla base musicale che crea la giusta atmosfera a riprova del fatto che i musicisti e i produttori di questo album sono professionisti di altissimo livello. Nel disco è presente anche una cover di Quello Che Le Donne Non Dicono intitolata What Women Never Say che trasforma il midtempo di Fiorella Mannoia in una ballad R&B. In questi ultimi due brani più melodici Francess si esprime di nuovo in un canto più potente dimostrando ancora una volta la sua notevole capacità di passare da uno stile ad un altro.
L'unico pezzo degli anni 2000 è Passione di Neffa che l'ex rapper campano aveva scritto nel 2007 con sonorità simili ai canti siciliani del dopoguerra e che Francess trasforma in uno struggente lento che vira verso il soul.
In mezzo ai classici troviamo l'inedito che si intitola Good Fella e descrive in modo scherzoso gli stereotipi sugli italiani ben noti all'estero su una base R&B più vicina a quelle del primo album della cantante.
Oltre alla musica, in questo disco deve essere lodata anche l'opera di traduzione che riesce ad adattare i testi in inglese mantenendone il significato pressoché ovunque, compito in cui hanno fallito quasi tutti i traduttori di ogni epoca.
In conclusione, con questo secondo album Francess si conferma la miglior voce dell'R&B italiano, anche perché adeguatamente supportata da un'ottima produzione. Ma soprattutto A Bit of Italiano dimostra che i grandi musicisti sanno cogliere nei classici riflessi inaspettati a cui neanche gli autori originali avevano pensato, mischiando stili diversi e trasformando opere belle in altre ancora migliori.
Il disco si apre con Don't Want the Moonlight, cover di Guarda Che Luna proposta anche in versione acustica in chiusura del disco, che trasforma il pezzo di Buscaglione in una ballad onirica e crepuscolare; Francess canta gli ultimi versi del pezzo in italiano passando quindi dal canto sommesso dell'R&B alla voce piena della canzone italiana dimostrando grande maestria in diversi stili e creando un contrasto di grande effetto. L'ecletticità della cantante emerge anche in tutto il resto del disco che essendo fatto di brani così diversi le dà modo di esprimersi in terreni altrettanto variegati. Si passa ad esempio dal canto lento e dalla melodia de Il Cielo in Una Stanza, notevolmente rallentata rispetto all'originale e con una base minimale che mette in risalto le doti vocali della cantante, al ritmo incalzante di Vengo Anch'io, No Tu No.
Nel disco troviamo anche una versione saltellante ed allegra di Attenti al Lupo impreziosita dai cori e dall'ottimo suono onnipresente della chitarra. Tra i brani melodici spicca anche una straordinaria versione di Vacanze Romane a cui Francess dona un groove molto nero grazie anche alla base musicale che crea la giusta atmosfera a riprova del fatto che i musicisti e i produttori di questo album sono professionisti di altissimo livello. Nel disco è presente anche una cover di Quello Che Le Donne Non Dicono intitolata What Women Never Say che trasforma il midtempo di Fiorella Mannoia in una ballad R&B. In questi ultimi due brani più melodici Francess si esprime di nuovo in un canto più potente dimostrando ancora una volta la sua notevole capacità di passare da uno stile ad un altro.
L'unico pezzo degli anni 2000 è Passione di Neffa che l'ex rapper campano aveva scritto nel 2007 con sonorità simili ai canti siciliani del dopoguerra e che Francess trasforma in uno struggente lento che vira verso il soul.
In mezzo ai classici troviamo l'inedito che si intitola Good Fella e descrive in modo scherzoso gli stereotipi sugli italiani ben noti all'estero su una base R&B più vicina a quelle del primo album della cantante.
Oltre alla musica, in questo disco deve essere lodata anche l'opera di traduzione che riesce ad adattare i testi in inglese mantenendone il significato pressoché ovunque, compito in cui hanno fallito quasi tutti i traduttori di ogni epoca.
In conclusione, con questo secondo album Francess si conferma la miglior voce dell'R&B italiano, anche perché adeguatamente supportata da un'ottima produzione. Ma soprattutto A Bit of Italiano dimostra che i grandi musicisti sanno cogliere nei classici riflessi inaspettati a cui neanche gli autori originali avevano pensato, mischiando stili diversi e trasformando opere belle in altre ancora migliori.
martedì 28 febbraio 2017
La morte di Aaliyah
Il 25 agosto del 2001 la giovanissima cantante R&B Aaliyah (il cui nome intero era Aaliyah Dana Haughton) incontrò la morte in un incidente aereo di ritorno dalle Isole Abaco, nell'arcipelago delle Bahamas, dove aveva girato il suo ultimo videoclip per Rock The Boat tratto dal suo terzo ed eponimo album. La cantante era all'apice della sua carriera, avendo riscosso grande successo anche nel mondo del cinema in cui aveva esordito con la strana rivisitazione di Romeo e Giulietta ambientata a Oakland, in California, intitolata Romeo Must Die; Aaliyah aveva anche finito le riprese del suo nuovo film, La Regina dei Dannati, che si preannunciava un grande successo nelle sale cinematografiche, successo che il film riscosse davvero ma di cui Aaliyah non poté godere. La ragazza e il suo staff erano volati alle Bahamas il 23 di agosto su un Fairchild Metro III e avrebbero dovuto tornare negli USA il 26, ma avendo terminato le riprese in anticipo decisero di rientrare il giorno prima.
Il volo avrebbe dovuto partire arrivare all'aeroporto delle Abaco alle 16:30 per partire poco dopo per Opa-locka, in Florida, ma il velivolo, un Cessna 402B, arrivò solo alle 18:15. Poco prima della partenza Aaliyah accettò la proposta di un giovane fan di scattare una foto con lei e quella fu l'ultima foto della cantante in vita. Secondo Wikipedia la medesima foto non fu scattata poco prima della morte della cantante ma al suo arrivo alle Bahamas, tuttavia non specifica da quale fonte abbia tratto questa informazione.
Insieme ad Aaliyah sarebbero saliti sull'aereo il suo truccatore Eric Foreman, il rappresentante della Virgin Records Douglas Kratz e altre due donne e tre uomini. Il pilota di un volo charter delle Bahamas, Lewis Key, riportò che il pilota del Cessna, Luis Morales, ebbe una discussione con i passeggeri a cui fece notare che l'aereo era sovraccarico per via delle nove persone a bordo e del materiale per le registrazioni e che questo avrebbe compromesso la sicurezza del volo; tuttavia Aaliyah e il suo staff insistettero sostenendo di dover rientrare a Miami entro la sera di sabato 25.
Lewis Key aggiunse che Morales ebbe problemi ad avviare uno dei motori del Cessna appena prima del decollo. L'aereo comunque si staccò dalla pista intorno alle 18:50 per schiantarsi verticalmente, scendendo con il muso, a soli 60 metri dalla fine della pista e disintegrandosi in una palla di fuoco. Un uomo sopravvisse all'impatto iniziale e fu rinvenuto la tra macerie urlante di dolore, ma morì poco dopo all'ospedale. Il libro Aaliyah: More Than a Woman di John Farley, riporta la testimonianza del pilota e pompiere Claude Sawyer che vide l'aereo alzarsi in volo per poi piegare a sinistra e schiantarsi verticalmente prima di raggiungere l'altezza di trenta metri.
Dal rapporto del coroner delle Bahamas emerse che il corpo di Aaliyah riportò gravi ustioni e un colpo alla testa e che lo shock fu tale che se la cantante fosse sopravvissuta il recupero sarebbe comunque stato quasi impossibile.
Anche l'NTSB, l'ente americano preposto a verificare le cause dei disastri nei trasporti, condusse un indagine sull'accaduto e il breve rapporto finale indicò che l'aereo superò le proprie capacità di carico per via delle persone a bordo, dei bagagli e del carburante e che il baricentro del velivolo era troppo arretrato rispetto alle specifiche. Di fatto l'NTSB confermò il sospetto che emerse già nei primi giorni dopo il disastro. Nel 2003 furono anche rivelati i risultati degli esami tossicologici sul corpo di Morales che rivelarono tracce di cocaina e alcol nel sangue dell'uomo. Poche settimane prima dello schianto mortale, Morales fu fermato alla guida della sua auto per non aver rispettato uno stop e la polizia trovò delle quantità di cocaina sulla sua auto, in quell'occasione Morales rispose che non fosse per uso personale ma per un amico. Poche settimane prima dell'incidente mortale Morales fu licenziato dalla Golden Airlines per non essersi presentato al lavoro e pochi giorni prima dello schianto fu assunto dalla Blackhawk International Airways; tuttavia l'FAA, attraverso la propria portavoce Kathleen Bergen, comunico di non aver concesso a Morales l'autorizzazione a volare negli USA e che il pilota autorizzato a condurre quel volo era una persona diversa da Morales. Infatti un articolo del Sun Sentinel pubblicato poco dopo l'incidente indicò il pilota identificato come "L. Maradel".
In rete si trovano facilmente delle teorie del complotto secondo cui Aaliyah sarebbe stata uccisa dagli Illuminati su mandato della cantante Beyoncé che voleva liberarsi della concorrente: ovviamente come tutte le teorie del complotto si basa su un'accozzaglia di scemenze senza alcuna prova.
La triste realtà è che una sequenza di errori umani, sia da parte del pilota sia da parte della stessa cantante de suo staff, ci ha tolto una delle più talentuose e promettenti cantanti della scena R&B.
Il volo avrebbe dovuto partire arrivare all'aeroporto delle Abaco alle 16:30 per partire poco dopo per Opa-locka, in Florida, ma il velivolo, un Cessna 402B, arrivò solo alle 18:15. Poco prima della partenza Aaliyah accettò la proposta di un giovane fan di scattare una foto con lei e quella fu l'ultima foto della cantante in vita. Secondo Wikipedia la medesima foto non fu scattata poco prima della morte della cantante ma al suo arrivo alle Bahamas, tuttavia non specifica da quale fonte abbia tratto questa informazione.
Insieme ad Aaliyah sarebbero saliti sull'aereo il suo truccatore Eric Foreman, il rappresentante della Virgin Records Douglas Kratz e altre due donne e tre uomini. Il pilota di un volo charter delle Bahamas, Lewis Key, riportò che il pilota del Cessna, Luis Morales, ebbe una discussione con i passeggeri a cui fece notare che l'aereo era sovraccarico per via delle nove persone a bordo e del materiale per le registrazioni e che questo avrebbe compromesso la sicurezza del volo; tuttavia Aaliyah e il suo staff insistettero sostenendo di dover rientrare a Miami entro la sera di sabato 25.
Lewis Key aggiunse che Morales ebbe problemi ad avviare uno dei motori del Cessna appena prima del decollo. L'aereo comunque si staccò dalla pista intorno alle 18:50 per schiantarsi verticalmente, scendendo con il muso, a soli 60 metri dalla fine della pista e disintegrandosi in una palla di fuoco. Un uomo sopravvisse all'impatto iniziale e fu rinvenuto la tra macerie urlante di dolore, ma morì poco dopo all'ospedale. Il libro Aaliyah: More Than a Woman di John Farley, riporta la testimonianza del pilota e pompiere Claude Sawyer che vide l'aereo alzarsi in volo per poi piegare a sinistra e schiantarsi verticalmente prima di raggiungere l'altezza di trenta metri.
Dal rapporto del coroner delle Bahamas emerse che il corpo di Aaliyah riportò gravi ustioni e un colpo alla testa e che lo shock fu tale che se la cantante fosse sopravvissuta il recupero sarebbe comunque stato quasi impossibile.
Anche l'NTSB, l'ente americano preposto a verificare le cause dei disastri nei trasporti, condusse un indagine sull'accaduto e il breve rapporto finale indicò che l'aereo superò le proprie capacità di carico per via delle persone a bordo, dei bagagli e del carburante e che il baricentro del velivolo era troppo arretrato rispetto alle specifiche. Di fatto l'NTSB confermò il sospetto che emerse già nei primi giorni dopo il disastro. Nel 2003 furono anche rivelati i risultati degli esami tossicologici sul corpo di Morales che rivelarono tracce di cocaina e alcol nel sangue dell'uomo. Poche settimane prima dello schianto mortale, Morales fu fermato alla guida della sua auto per non aver rispettato uno stop e la polizia trovò delle quantità di cocaina sulla sua auto, in quell'occasione Morales rispose che non fosse per uso personale ma per un amico. Poche settimane prima dell'incidente mortale Morales fu licenziato dalla Golden Airlines per non essersi presentato al lavoro e pochi giorni prima dello schianto fu assunto dalla Blackhawk International Airways; tuttavia l'FAA, attraverso la propria portavoce Kathleen Bergen, comunico di non aver concesso a Morales l'autorizzazione a volare negli USA e che il pilota autorizzato a condurre quel volo era una persona diversa da Morales. Infatti un articolo del Sun Sentinel pubblicato poco dopo l'incidente indicò il pilota identificato come "L. Maradel".
In rete si trovano facilmente delle teorie del complotto secondo cui Aaliyah sarebbe stata uccisa dagli Illuminati su mandato della cantante Beyoncé che voleva liberarsi della concorrente: ovviamente come tutte le teorie del complotto si basa su un'accozzaglia di scemenze senza alcuna prova.
La triste realtà è che una sequenza di errori umani, sia da parte del pilota sia da parte della stessa cantante de suo staff, ci ha tolto una delle più talentuose e promettenti cantanti della scena R&B.
mercoledì 9 novembre 2016
Alicia Keys - Here
Il suono del nuovo album di Alicia Keys rispecchia perfettamente la foto in copertina della cantante, che alcuni mesi fa ha lanciato la campagna #nomakeup dopo essere apparsa senza trucco ai Video Music Awards di MTV: struccata, spettinata e senza abiti o gioielli di lusso, ma pur sempre bellissima. La musica contenuta nell'album è altrettanto grezza, diretta e a tratti ruvida, e anche in questo caso Alicia Keys riesce nel compito di realizzare un ottimo album in cui dimostra di sapersi muovere bene anche in terreni diversi da quelli percorsi fin'ora.
L'album si intitola Here ed è stato pubblicato il 4 novembre di quest'anno. E' composto da 18 brani nella versione deluxe, 16 in quella standard, di cui cinque interludi. Ciò che si nota già dal primo ascolto è che i pezzi non sono più retti solo dal suono del piano suonato dalla stessa Alicia, ma questo lascia molto spazio alle chitarre e alle percussioni risultando così in un suono più duro. L'album si apre con The Gospel che narra uno spaccato di vita del ghetto e la cui base è fatta da uno staccato al pianoforte e dal suono ossessivo della batteria. La tematica della vita del ghetto e delle sue difficoltà è ripresa anche in Blended Family, che vede la presenza come ospite del rapper A$AP Rocky, la cui musica si basa invece fortemente sulle chitarre. Tra gli altri pezzi in cui le chitarre dominano troviamo l'ecologista Kill Your Mother, composto solo di chitarra e voce, che è il pezzo più aspro e ruvido dell'intero disco. Di tutt'altro genere è Girl Can't Be Herself che pur essendo anch'essa retta delle chitarre tende fortemente verso il reggae (campo in cui Alicia si era già avventurata con un celeberrimo remix di You Don't Know My Name) e tratta proprio della scelta di rinunciare al trucco per esporre la propria vera personalità. Anche Holy War, in cui la cantante si chiede perché parlare di sesso sia osceno mentre parlare di guerra è accettato, è basata su chitarra e percussione, anche se il pezzo ha la struttura di una ballad e dal punto di vista canoro da modo ad Alicia di mostrare almeno in parte la sua estensione vocale.
Come anticipato, il pianoforte non viene comunque abbandonato e troviamo dei pezzi più vicini al repertorio passato di Alicia come Pawn It All (il cui sono tende fortemente verso l'hip hop) e la melodica Where Do We Begin Now. Nel disco è presente un secondo pezzo decisamenrte hip hop intitolato She Don't Really Care_1 Luv (che contiene un campionamento di One Love di Nas) in cui Alicia descrive come esistano forti connessioni tra le donne nere nate nei cinque distretti di New York e quelle nate in Africa. Merita una menzione particolare anche la lenta e rabbiosa Illusion of Bliss che narra della difficoltà dell'uscire dal tunnel della droga.
Rispetto all'edizione standard, la versione deluxe contiene due tracce in più. La prima di esse si intitola Hallelujah ed è di nuovo piuttosto vicina alle produzioni passate di Alicia, con un cantato morbido sulla base del piano. Il secondo si intitola In Common e vira con forza verso atmosfere ambient e dance, il pezzo era stato pubblicato a maggio come singolo e la scelta è davvero incomprensibile perché si tratta del più debole dell'intero disco.
Alcuni critici hanno paragonato questo album a The Miseducation of Lauryn Hill, ma il paragone è assolutamente ingiusto nei confronti di Alicia. Anzitutto la Keys ha registrato molti più album di Lauryn Hill (anche includendo quelli dei Fugees), in secondo luogo The Miseducation è ricchissimo di campionamenti, mentre le basi di Here (ad esclusione della già citata She Don't Really Care_1 Luv) sono suonate interamente dai musicisti reclutati dalla cantante. Lauryn Hill esce irrimediabilmente sconfitta da questo confronto.
Dopo aver ascoltato questo album ciò che emerge con forza è la prova di grandissima ecletticità di Alicia Keys, il cui sesto album è un altro grande capolavoro dell'R&B e del soul con il quale dimostra che, con o senza trucco, resta la regina incontrastata della musica nera.
L'album si intitola Here ed è stato pubblicato il 4 novembre di quest'anno. E' composto da 18 brani nella versione deluxe, 16 in quella standard, di cui cinque interludi. Ciò che si nota già dal primo ascolto è che i pezzi non sono più retti solo dal suono del piano suonato dalla stessa Alicia, ma questo lascia molto spazio alle chitarre e alle percussioni risultando così in un suono più duro. L'album si apre con The Gospel che narra uno spaccato di vita del ghetto e la cui base è fatta da uno staccato al pianoforte e dal suono ossessivo della batteria. La tematica della vita del ghetto e delle sue difficoltà è ripresa anche in Blended Family, che vede la presenza come ospite del rapper A$AP Rocky, la cui musica si basa invece fortemente sulle chitarre. Tra gli altri pezzi in cui le chitarre dominano troviamo l'ecologista Kill Your Mother, composto solo di chitarra e voce, che è il pezzo più aspro e ruvido dell'intero disco. Di tutt'altro genere è Girl Can't Be Herself che pur essendo anch'essa retta delle chitarre tende fortemente verso il reggae (campo in cui Alicia si era già avventurata con un celeberrimo remix di You Don't Know My Name) e tratta proprio della scelta di rinunciare al trucco per esporre la propria vera personalità. Anche Holy War, in cui la cantante si chiede perché parlare di sesso sia osceno mentre parlare di guerra è accettato, è basata su chitarra e percussione, anche se il pezzo ha la struttura di una ballad e dal punto di vista canoro da modo ad Alicia di mostrare almeno in parte la sua estensione vocale.
Come anticipato, il pianoforte non viene comunque abbandonato e troviamo dei pezzi più vicini al repertorio passato di Alicia come Pawn It All (il cui sono tende fortemente verso l'hip hop) e la melodica Where Do We Begin Now. Nel disco è presente un secondo pezzo decisamenrte hip hop intitolato She Don't Really Care_1 Luv (che contiene un campionamento di One Love di Nas) in cui Alicia descrive come esistano forti connessioni tra le donne nere nate nei cinque distretti di New York e quelle nate in Africa. Merita una menzione particolare anche la lenta e rabbiosa Illusion of Bliss che narra della difficoltà dell'uscire dal tunnel della droga.
Rispetto all'edizione standard, la versione deluxe contiene due tracce in più. La prima di esse si intitola Hallelujah ed è di nuovo piuttosto vicina alle produzioni passate di Alicia, con un cantato morbido sulla base del piano. Il secondo si intitola In Common e vira con forza verso atmosfere ambient e dance, il pezzo era stato pubblicato a maggio come singolo e la scelta è davvero incomprensibile perché si tratta del più debole dell'intero disco.
Alcuni critici hanno paragonato questo album a The Miseducation of Lauryn Hill, ma il paragone è assolutamente ingiusto nei confronti di Alicia. Anzitutto la Keys ha registrato molti più album di Lauryn Hill (anche includendo quelli dei Fugees), in secondo luogo The Miseducation è ricchissimo di campionamenti, mentre le basi di Here (ad esclusione della già citata She Don't Really Care_1 Luv) sono suonate interamente dai musicisti reclutati dalla cantante. Lauryn Hill esce irrimediabilmente sconfitta da questo confronto.
Dopo aver ascoltato questo album ciò che emerge con forza è la prova di grandissima ecletticità di Alicia Keys, il cui sesto album è un altro grande capolavoro dell'R&B e del soul con il quale dimostra che, con o senza trucco, resta la regina incontrastata della musica nera.
sabato 23 luglio 2016
La morte di Amy Winehouse
Dal 23 luglio del 2011 il celebre Club 27, riservato ai musicisti morti a 27 anni come Jim Morrison o Jimi Hendrix, ha una nuova e illustre iscritta: la cantante soul Amy Jade Winehouse che in quella data fu trovata senza vita stesa sul letto della sua residenza al numero 30 di Camden Square, a Londra.
La cantante soffrì per molti anni di dipendenza da varie droghe quali crack, eroina, cocaina e cannabis. Dopo una lotta durata vari anni nel 2008 riuscì ad abbandonare le droghe pesanti, ma purtroppo sostituì la dipendenza dagli stupefacenti con quella dall'alcol.
Insieme a lei nella casa di Camden Square viveva la sua guardia personale Andrew Morris che abitava in una delle camere degli ospiti al piano inferiore rispetto a dove stava Amy. Negli ultimi 16 mesi della sua vita la cantante frequentava l'attore Reg Traviss che però non viveva con lei. La sera del 22 luglio Reg chiamò Amy intorno alle otto per dirle che avrebbe fatto tardi al lavoro e che sarebbe passato da lei portandole del cibo comprato in un take away così che potessero mangiare insieme, ma la ragazza non volle aspettare e chiese a Morris di ordinare del cibo indiano da asporto che Morris ordinò al telefono e che i due consumarono separatamente ognuno nella propria stanza.
Morris la sentì per ore al piano di sopra che rideva, guardava video su YouTube e in televisione. Quindi poco dopo le dieci la cantante trovò su YouTube il video di un suo ex fidanzato e scese al piano di sotto per chiedere a Morris di salire da lei a vederlo. Morris rimase con lei a guardare video per ore. Nel frattempo Reg Traviss terminò la sua giornata lavorativa e tentò di contattare Amy al telefono, sia con chiamate sia con messaggi, ma la ragazza non rispose. Reg considerò anche l'ipotesi di farsi portare da lei dal taxi, ma dopo vari ripensamenti desistette; per motivi che nemmeno lui seppe spiegare non chiamò sul telefono fissò né chiamo Morris al cellulare.
Morris rimase con lei fino alle due e mezza, quindi scese nella sua stanza dove guardò un film fino a poco prima delle quattro per poi stendersi a letto. Quando Andrew si addormentò la cantante era ancora sveglia perché Morris continuò a sentirla muoversi nell'appartamento fino a dopo essersi messo a letto. Intorno alle tre e mezza la cantante inviò un sms all'amico Kristan Marr ma curiosamente ignorò i messaggi e le chiamate di Reg.
Prima di addormentarsi andò in bagno a vomitare, forse inducendo il rigetto, per via delle bulimia di cui pure soffriva oltre alla dipendenza dall'alcol. Quindi si stese a letto prona, ancora vestita, lasciando il computer acceso e tre bottiglie di vodka Smirnoff a terra accanto al letto.
Alle dieci del mattino del giorno seguente Morris si svegliò e salì a verificare se Amy stesse bene. La trovò stesa sul letto, ma siccome la cantante era solita dormire fino a tardi non si avvicinò a toccarla e se ne andò senza preoccuparsi decidendo che fosse opportuno lasciarla riposare. Intorno alle tre e mezza Morris tornò a verificare la situazione e trovo la ragazza stesa nella stessa posizione in cui l'aveva vista prima e si allarmò. Si avvicinò tentando di svegliarla, ma il tentativo fu vano. Le sentì il polso e non poté che constatare che il battito era assente e che non respirava.
Cercò per casa se vi fossero segni di consumo di droga, ma non ne trovò: solo le tre bottiglie di vodka sul pavimento. Alle 3 e 57 chiamò l'ambulanza (secondo altre fonti alle 3:54) e il medico Andrew Cable al suo arrivo pochi minuti dopo constatò che il battito era assente e che era subentrato il rigor mortis a conferma del fatto che la cantante era morta da alcune ore.
Amy Winehouse fu dichiarata morta poco dopo le quattro a casa sua.
L'esame tossicologico del coroner fu rilasciato ad ottobre del 2011 e chiarì che Amy non aveva assunto droghe nel periodo antecedente la sua morte ma che questa era dovuto a un arresto respiratorio causato dall'intossicazione da alcol, la ragazza in sintesi si era intossicata con l'alcol fino a morire. Il medico legale Suhail Baithun constatò che la cantante aveva 416 milligrammi di alcol per 100 millilitri di sangue, oltre cinque volte il limite ammesso per potersi mettere alla guida di un autoveicolo in UK. Lo stesso medico asserì che il livello letale di alcol nel sangue è di 350 milligrammi per 100 millilitri, ben al di sotto dei valori della Winehouse. Del resto la cantante aveva consumato grandi quantità di alcol anche nei giorni precedenti alla morte, come confermato dal racconto della madre Janis che l'aveva incontrata la mattina del 22 luglio e che dichiarò in seguito che la figlia puzzava di alcol, che non riusciva a scendere le scale senza aiuto e che Morris l'aveva probabilmente aiutata a lavarsi, vestirsi e pettinarsi. Inoltre Amy assumeva regolarmente il Librium, calmante utilizzato per combattere la dipendenza dall'alcol.
L'anno dopo le autorità britanniche riaprirono le indagini sulla morte di Amy perché si scopri che il deputy coroner incaricato delle indagini Suzanne Greenaway non aveva i requisiti per ricoprire quel ruolo ma la seconda indagine portò ai medesimi risultati della prima confermando che la cantante si era avvelenata con l'alcol.
Secondo il fratello di Amy, Alex Winehouse, anche la bulimia fu uno dei fattori che contribuì alla morte della sorella, ma questa teoria è confutata dal dottor Jason Payne-James, che espresse il proprio parere nella puntata della serie televisiva Autopsy dedicata ad Amy Winehouse, secondo cui molto raramente la bulimia è causa di morte ma può essere sintomatica di altri disturbi. Al contrario, sempre secondo Payne-James, uno degli aspetti fondamentali per capire le ragione del decesso di Amy è che la cantante smise di bere alcolici del tutto per due settimane fino al 20 di luglio quando ne riprese un consumo massiccio. Resta il dubbio del perché abbia interrotto il periodo di astinenza e secondo il medico il motivo stava nel disturbo borderline di cui Amy soffriva, che induce spesso comportamenti impulsivi e pericolosi. Il fatto che Amy soffrisse di questo disturbo è confermato dal fatto che il suo medico Christina Romete le aveva prescritto la terapia dialettico-comportamentale e dal fatto che la cantante aveva spesso sulle braccia graffi netti e diritti probabilmente autoinflitti. La circostanza che Amy si procurasse ferite da sola è confermato anche da un drammatico racconto della madre.
Purtroppo Amy non volle mai intraprendere cure psichiatriche durante la sua vita per evitare che queste potessero influire sulla sua creatività e sulla capacità di scrivere musica. Purtroppo il rifiuto delle cure, cantato da Amy in Rehab, fu uno dei motivi per cui morì a soli 27 anni.
Il dottor Payne-James chiude la sua analisi con una drammatica considerazione: il fatto di essersi addormentata in posizione prona contribuì a schiacciarle il busto e a occluderle le vie respiratorie e se si fosse addormentata supina o su un fianco avrebbe probabilmente dormito tranquilla e la mattina dopo si sarebbe rialzata.
Oltre alle fonti già citate nell'ambito di questa ricerca abbiamo consultato il volume Amy, 27 di Howard Sounes e il film biografico Amy di Asif Kapadia.
La cantante soffrì per molti anni di dipendenza da varie droghe quali crack, eroina, cocaina e cannabis. Dopo una lotta durata vari anni nel 2008 riuscì ad abbandonare le droghe pesanti, ma purtroppo sostituì la dipendenza dagli stupefacenti con quella dall'alcol.
Insieme a lei nella casa di Camden Square viveva la sua guardia personale Andrew Morris che abitava in una delle camere degli ospiti al piano inferiore rispetto a dove stava Amy. Negli ultimi 16 mesi della sua vita la cantante frequentava l'attore Reg Traviss che però non viveva con lei. La sera del 22 luglio Reg chiamò Amy intorno alle otto per dirle che avrebbe fatto tardi al lavoro e che sarebbe passato da lei portandole del cibo comprato in un take away così che potessero mangiare insieme, ma la ragazza non volle aspettare e chiese a Morris di ordinare del cibo indiano da asporto che Morris ordinò al telefono e che i due consumarono separatamente ognuno nella propria stanza.
Morris la sentì per ore al piano di sopra che rideva, guardava video su YouTube e in televisione. Quindi poco dopo le dieci la cantante trovò su YouTube il video di un suo ex fidanzato e scese al piano di sotto per chiedere a Morris di salire da lei a vederlo. Morris rimase con lei a guardare video per ore. Nel frattempo Reg Traviss terminò la sua giornata lavorativa e tentò di contattare Amy al telefono, sia con chiamate sia con messaggi, ma la ragazza non rispose. Reg considerò anche l'ipotesi di farsi portare da lei dal taxi, ma dopo vari ripensamenti desistette; per motivi che nemmeno lui seppe spiegare non chiamò sul telefono fissò né chiamo Morris al cellulare.
Morris rimase con lei fino alle due e mezza, quindi scese nella sua stanza dove guardò un film fino a poco prima delle quattro per poi stendersi a letto. Quando Andrew si addormentò la cantante era ancora sveglia perché Morris continuò a sentirla muoversi nell'appartamento fino a dopo essersi messo a letto. Intorno alle tre e mezza la cantante inviò un sms all'amico Kristan Marr ma curiosamente ignorò i messaggi e le chiamate di Reg.
Prima di addormentarsi andò in bagno a vomitare, forse inducendo il rigetto, per via delle bulimia di cui pure soffriva oltre alla dipendenza dall'alcol. Quindi si stese a letto prona, ancora vestita, lasciando il computer acceso e tre bottiglie di vodka Smirnoff a terra accanto al letto.
Alle dieci del mattino del giorno seguente Morris si svegliò e salì a verificare se Amy stesse bene. La trovò stesa sul letto, ma siccome la cantante era solita dormire fino a tardi non si avvicinò a toccarla e se ne andò senza preoccuparsi decidendo che fosse opportuno lasciarla riposare. Intorno alle tre e mezza Morris tornò a verificare la situazione e trovo la ragazza stesa nella stessa posizione in cui l'aveva vista prima e si allarmò. Si avvicinò tentando di svegliarla, ma il tentativo fu vano. Le sentì il polso e non poté che constatare che il battito era assente e che non respirava.
Cercò per casa se vi fossero segni di consumo di droga, ma non ne trovò: solo le tre bottiglie di vodka sul pavimento. Alle 3 e 57 chiamò l'ambulanza (secondo altre fonti alle 3:54) e il medico Andrew Cable al suo arrivo pochi minuti dopo constatò che il battito era assente e che era subentrato il rigor mortis a conferma del fatto che la cantante era morta da alcune ore.
Amy Winehouse fu dichiarata morta poco dopo le quattro a casa sua.
L'esame tossicologico del coroner fu rilasciato ad ottobre del 2011 e chiarì che Amy non aveva assunto droghe nel periodo antecedente la sua morte ma che questa era dovuto a un arresto respiratorio causato dall'intossicazione da alcol, la ragazza in sintesi si era intossicata con l'alcol fino a morire. Il medico legale Suhail Baithun constatò che la cantante aveva 416 milligrammi di alcol per 100 millilitri di sangue, oltre cinque volte il limite ammesso per potersi mettere alla guida di un autoveicolo in UK. Lo stesso medico asserì che il livello letale di alcol nel sangue è di 350 milligrammi per 100 millilitri, ben al di sotto dei valori della Winehouse. Del resto la cantante aveva consumato grandi quantità di alcol anche nei giorni precedenti alla morte, come confermato dal racconto della madre Janis che l'aveva incontrata la mattina del 22 luglio e che dichiarò in seguito che la figlia puzzava di alcol, che non riusciva a scendere le scale senza aiuto e che Morris l'aveva probabilmente aiutata a lavarsi, vestirsi e pettinarsi. Inoltre Amy assumeva regolarmente il Librium, calmante utilizzato per combattere la dipendenza dall'alcol.
L'anno dopo le autorità britanniche riaprirono le indagini sulla morte di Amy perché si scopri che il deputy coroner incaricato delle indagini Suzanne Greenaway non aveva i requisiti per ricoprire quel ruolo ma la seconda indagine portò ai medesimi risultati della prima confermando che la cantante si era avvelenata con l'alcol.
Secondo il fratello di Amy, Alex Winehouse, anche la bulimia fu uno dei fattori che contribuì alla morte della sorella, ma questa teoria è confutata dal dottor Jason Payne-James, che espresse il proprio parere nella puntata della serie televisiva Autopsy dedicata ad Amy Winehouse, secondo cui molto raramente la bulimia è causa di morte ma può essere sintomatica di altri disturbi. Al contrario, sempre secondo Payne-James, uno degli aspetti fondamentali per capire le ragione del decesso di Amy è che la cantante smise di bere alcolici del tutto per due settimane fino al 20 di luglio quando ne riprese un consumo massiccio. Resta il dubbio del perché abbia interrotto il periodo di astinenza e secondo il medico il motivo stava nel disturbo borderline di cui Amy soffriva, che induce spesso comportamenti impulsivi e pericolosi. Il fatto che Amy soffrisse di questo disturbo è confermato dal fatto che il suo medico Christina Romete le aveva prescritto la terapia dialettico-comportamentale e dal fatto che la cantante aveva spesso sulle braccia graffi netti e diritti probabilmente autoinflitti. La circostanza che Amy si procurasse ferite da sola è confermato anche da un drammatico racconto della madre.
Purtroppo Amy non volle mai intraprendere cure psichiatriche durante la sua vita per evitare che queste potessero influire sulla sua creatività e sulla capacità di scrivere musica. Purtroppo il rifiuto delle cure, cantato da Amy in Rehab, fu uno dei motivi per cui morì a soli 27 anni.
Il dottor Payne-James chiude la sua analisi con una drammatica considerazione: il fatto di essersi addormentata in posizione prona contribuì a schiacciarle il busto e a occluderle le vie respiratorie e se si fosse addormentata supina o su un fianco avrebbe probabilmente dormito tranquilla e la mattina dopo si sarebbe rialzata.
Oltre alle fonti già citate nell'ambito di questa ricerca abbiamo consultato il volume Amy, 27 di Howard Sounes e il film biografico Amy di Asif Kapadia.
giovedì 7 aprile 2016
Francess - Apnea
Il 2015 ha visto il debutto discografico della della giovanissima cantante italiana Francess, all'anagrafe Francesca English nata a New York nel 1989 da padre giamaicano e madre italiana, con il suo primo album intitolato Apnea. Nonostante la nota biografica sulla pagina di Facebook della cantante descriva la sua musica come soul, blues e jazz a noi sembra invece che questa afferisca all'R&B e sia più vicina a modelli come Erikah Badu, Monica o Blu Cantrell piuttosto che ad Alicia Keys o Norah Jones.
Ma a parte le etichette quello che importa è la caldissima voce di Francess offre dell'ottima musica di grande qualità e porta una ventata di sonorità nere in un paese che troppo spesso si ferma al pop di facile consumo. Di norma i dischi R&B presentano una predominanza di brani lenti, ma Apnea contrariamente alle aspettative offre un buon equilibrio tra brani lenti e altri più energici. L'album parte alla grande con la bellissima traccia di apertura intitolata Cool, proposta anche in chiusura in versione acustica, sostenuta dal forte giro di basso e di tastiere; anche il secondo brano In My Veins è piuttosto energico ed in questo sono i fiati ad avere il ruolo principale nell'accompagnare la voce di Francess.
Tra i brani lenti spiccano le bellissime Ashes Flesh and Bones, No Hero e The Other Half of Me affidate alla voce sensuale della cantante che riesce a creare l'atmosfera con grande efficacia. Mentre tra i pezzi più veloci meritano una menzione particolare anche le allegre e trascinanti Notes and Words, che chiude il disco prima della versione acustica di Cool, e Holding Your Breath. Tra gli altri brani veloci troviamo Never Know, caratterizzata da un insolito ritmo sincopato, e Upside Down, uptempo piuttosto tradizionale.
Tutte le undici tracce del disco sono comunque di altissimo livello, l'album non conosce un attimo di noia e offre oltre un'ora di R&B che mette in mostra il raro talento della cantante e della sua voce suadente che si dimostra all'altezza sia dei pezzi più trascinanti che di quelli più intimistici.
La voce e lo stile di Francess non hanno eguali nel nostro paese. Mentre in UK cantanti R&B come Shola Ama, Ms. Dynamite o Jamelia (che in realtà mancano dalle classifiche da almeno un decennio, lasciando il posto a cantanti bianchi che interpretano gli stessi stili) hanno portato l'R&B nel vecchio continente e in Germania Xavier Naidoo ha tradotto questo stile nella propria lingua così come ha fatto Nell Evans in Francia, in Italia l'R&B è stato interpretato poche volte e da musicisti e vocalist ben sotto il livello dei colleghi esteri che spesso sfiorano il ridicolo e alle volte lo centrano in pieno. Francess al contrario esce a testa alta dal confronto con gli interpreti migliori, ma purtroppo la musica di qualità nel nostro paese quasi mai affiora in superficie.
Ma a parte le etichette quello che importa è la caldissima voce di Francess offre dell'ottima musica di grande qualità e porta una ventata di sonorità nere in un paese che troppo spesso si ferma al pop di facile consumo. Di norma i dischi R&B presentano una predominanza di brani lenti, ma Apnea contrariamente alle aspettative offre un buon equilibrio tra brani lenti e altri più energici. L'album parte alla grande con la bellissima traccia di apertura intitolata Cool, proposta anche in chiusura in versione acustica, sostenuta dal forte giro di basso e di tastiere; anche il secondo brano In My Veins è piuttosto energico ed in questo sono i fiati ad avere il ruolo principale nell'accompagnare la voce di Francess.
Tra i brani lenti spiccano le bellissime Ashes Flesh and Bones, No Hero e The Other Half of Me affidate alla voce sensuale della cantante che riesce a creare l'atmosfera con grande efficacia. Mentre tra i pezzi più veloci meritano una menzione particolare anche le allegre e trascinanti Notes and Words, che chiude il disco prima della versione acustica di Cool, e Holding Your Breath. Tra gli altri brani veloci troviamo Never Know, caratterizzata da un insolito ritmo sincopato, e Upside Down, uptempo piuttosto tradizionale.
Tutte le undici tracce del disco sono comunque di altissimo livello, l'album non conosce un attimo di noia e offre oltre un'ora di R&B che mette in mostra il raro talento della cantante e della sua voce suadente che si dimostra all'altezza sia dei pezzi più trascinanti che di quelli più intimistici.
La voce e lo stile di Francess non hanno eguali nel nostro paese. Mentre in UK cantanti R&B come Shola Ama, Ms. Dynamite o Jamelia (che in realtà mancano dalle classifiche da almeno un decennio, lasciando il posto a cantanti bianchi che interpretano gli stessi stili) hanno portato l'R&B nel vecchio continente e in Germania Xavier Naidoo ha tradotto questo stile nella propria lingua così come ha fatto Nell Evans in Francia, in Italia l'R&B è stato interpretato poche volte e da musicisti e vocalist ben sotto il livello dei colleghi esteri che spesso sfiorano il ridicolo e alle volte lo centrano in pieno. Francess al contrario esce a testa alta dal confronto con gli interpreti migliori, ma purtroppo la musica di qualità nel nostro paese quasi mai affiora in superficie.
giovedì 21 gennaio 2016
La morte di Whitney Houston
La vita di Whitney Houston si spense l'11 febbraio del 2012 nella stanza 434 del Beverly Hilton, al numero 9876 di Wilshire Boulevard a Bevery Hills dove la cantante si trovava per partecipare alla consueta festa che il produttore Clive Davis organizza annualmente la sera prima della cerimonia dei Grammy Awards. Whitney era arrivata il 6 febbraio firmandosi al check-in con il nome di Elisabeth Collins, pseudonimo ispirato al nome della nonna materna che si chiamava Sarah Elisabeth Collins Houston, inoltre la stessa Whiteny aveva Elisabeth come secondo nome. Insieme a lei viaggiavano la sua assistente Mary Jones e la guardia del corpo Ray Watson. La festa di Clive Davis si sarebbe tenuta il sabato sera, proprio il giorno della sua morte.
Whitney passò la serata precedente al bar dell'Hilton con altri ospiti dell'albergo bevendo fino a tardi. Nel primo pomeriggio di sabato 11 telefonò alla cugina, la famosa cantante Dionne Warwick, per assicurarsi che le due sarebbero state sedute allo stesso tavolo alla festa, in seguito la Warwick riportò che Whitney a quell'ora stava bene ed era di buon umore in vista della serata che le aspettava.
Poco prima delle 15 Whitney disse alla Jones di sentirsi la gola secca e di avere questa sensazione da alcuni giorni, l'assistente le consigliò di farsi un bagno per rilassarsi e di prepararsi per la serata. Quindi Mary uscì dalla stanza e alle 15:15 Whitney sentì al telefono anche la madre, la cantante Cissy Houston, che pure confermò in seguito che la figlia stava bene.
Alle 15:36, come confermato dal sistema elettronico di rilevamento delle aperture delle porte dell'albergo, la Jones tornò nella stanza, aprì con la propria chiave elettronica e non vide la cantante in giro, la cercò in bagno dove vide dapprima il pavimento bagnato e un attimo dopo la Houston priva di sensi stesa nella vasca piena a faccia in giù. Il rubinetto era comunque chiuso. L'assistente provò a estrarla dalla vasca, ma non riuscì. Chiamò quindi Watson e insieme trassero il corpo dalla vasca deponendolo sul pavimento del salotto della suite spostando il divano in modo da creare più spazio; alle 15:43 Watson chiamò la reception chiedendo di chiamare il 911. Arrivarono dapprima alcuni agenti di polizia e i paramedici dei vigili del fuoco già presenti nell'albergo per via del grosso evento che avrebbe avuto luogo la sera, i paramedici tentarono la rianimazione cardio-polmonare, ma invano. Alle 15:55 Whitney Houston fu dichiarata morta.
Il corpo rimase a lungo nella stanza 434 e il medico legale ne ordinò la rimozione solo dopo dieci ore, quando la festa di Davis. che si tenne comunque, era già abbondantemente iniziata nell'imbarazzo di molti degli ospiti. Il medico legale nel suo rapporto definitivo scrisse che la causa del decesso fu annegamento dovuto ad aterosclerosi (malattia cardiaca di cui soffriva) e uso di cocaina, sostanza che la cantante usava regolarmente come confermato dalle perforazioni nel setto nasale riscontrate dal coroner. Il medico scrisse anche di aver trovato nella stanza molte medicine, tra cui ansiolitici e miorilassanti, che le erano state prescritte, posaceneri colmi di cicche di sigarette, bottiglie di alcolici e uno specchio con della polvere bianca. In bagno sul ripiano del lavello fu trovato anche un cucchiaino con una sostanza cristallina e un foglio di carta arrotolato accanto al cucchiaio, segno che la cantante aveva assunto cocaina poco prima di immergersi nella vasca. Anche l'esame tossicologico confermò la presenza nel suo sangue di cocaina e alti livelli di benzoilecgonina, il principale metabolita della cocaina.
Del resto Whitney aveva consumato cocaina varie volte durante la sua permanenza al Beverly Hilton e non sono solo gli oggetti trovati nella sua stanza a confermarlo. Intervistato dal documentario delle serie Autopsy di Channel 5 dedicato alla morte di Whitney Houstion lo spacciatore abituale della cantante, che appare nel documentario con il viso coperto, racconta di averle consegnato cocaina all'Hilton più volte durante quei cinque giorni. L'uomo le si avvicinava fingendosi un fan e porgendole una biro come se volesse un autografo. La cantante, che conosceva la procedura, estraeva dalla borsa un quaderno in cui aveva nascosto nelle banconote e dopo averlo autografato lo porgeva all'uomo tenendosi in cambio la biro che era in realtà piena di cocaina. Inoltre secondo un'indagine di TMZ l'uomo che le fornì la cocaina in quei giorni riuscì a rimuoverne alcune quantità dalla stanza dopo la morte della cantante e prima che arrivassero le autorità, non c'è modo di verificare indipendentemente questa asserzione che in realtà appare poco credibile perché non si capisce quando l'uomo sarebbe entrato senza essere notato, come avrebbe fatto a sapere che la cantante era morta prima che ne venisse diffusa la notizia e soprattutto TMZ sostiene che nella stanza non vi fossero più tracce di cocaina quando arrivarono le autorità ma questo, come abbiamo visto, non corrisponde al vero.
Secondo quanto sostenuto da Autopsy il grave errore della cantante fu di aver riempito la vasca con acqua troppo calda, infatti quando fu misurata sei ore dopo l'incidente era ancora oltre 34 gradi. Dopo aver chiuso il rubinetto la Houston sarebbe quindi entrata in piedi nella vasca sotto l'effetto della cocaina e lo stordimento della droga le avrebbe impedito di percepire lo shock termico dell'acqua eccessivamente calda, lo shock le causò un crollo della pressione sanguigna e la conseguente perdita di sensi la fece cadere nella vasca, l'aterosclerosi e l'effetto della droga le impedirono di riprendere conoscenza e la cantante annegò nell'acqua.
Sebbene non vi siano seri motivi per dubitare della ricostruzione del medico legale, anche la morte di Whitney Houston ha generato varie teorie del complotto secondo cui la cantante sarebbe in realtà stata uccisa. E' quanto sostiene il detective privato Paul Huebl le cui motivazioni sono però piuttosto risibili. Secondo Huebl durante il periodo in cui Whitney è rimasta da sola in stanza, un gruppo di aggressori non meglio identificato sarebbe entrato nella stanza, l'avrebbe aggredita e poi tenuta con la testa sott'acqua forse solo per spaventarla e non con l'intenzione di ucciderla. L'unica motivazione addotta da Huebl sono le abrasioni trovate sul corpo della Houston e gli slittamenti della pelle rilevati dal medico legale, la causa scatenante sarebbe un debito per droga mai saldato. Ma la spiegazione data da Autopsy è molto più semplice: le abrasioni alla testa furono causate dalla caduta nella vasca, e il tentativo di estrarla a peso morto dalla vasca e la rianimazione causarono le altre. Lo slittamento della pelle è dovuto invece alla lunga permanenza nell'acqua calda.
Inoltre come tutte le teorie del complotto si basa su dettagli insignificanti e ne ignora altri ben più significativi. Huebl ad esempio non considera il fatto che la Houston è stata trovata nella vasca nuda e ci sembra piuttosto bizzarro che la cantante potesse ricevere ospiti nuda. Del resto la porta non è stata forzata, né il sistema di rilevamento elettronico delle aperture delle porte dell'albergo ha registrato un passaggio della chiave prima di quello di Mary Jones. I vestiti avrebbero comunque esserle stati strappati, anche solo un accappatoio, ma se davvero ci fosse stata una colluttazione in quella stanza il mobilio e gli oggetti di Whitney sarebbero stati in disordine ma la camera come descritta dal medico legale nel rapporto è invece ordinata con tutti gli oggetti disposti in modo coerente, questo dettagli è confermato anche dalle poche foto che sono state pubblicate in esclusiva da TMZ. Nemmeno Mary Jones ha mai riportato di aver trovato nella stanza un disordine sospetto.
In ultimo se la Houston fosse stata aggredita avrebbe verosimilmente urlato e in un hotel gremito come quello qualcuno avrebbe sentito le grida. Ma nessuno dei testimoni mai riportò nulla del genere. L'unico dettaglio sospetto è il fatto che il coroner precisa che la patente di guida di Whitney è stata sottratta dal portafogli prima del suo arrivo, ma questo non indica in alcun modo che si sia trattato di un omicidio piuttosto sembra indicare che tra le persone che sono entrate nella stanza qualcuno abbia raccolto un cimelio.
Ancora una volta anche nel caso di Whitney Houston le teorie del complotto sembrano solo il parto delle menti troppo fervide di chi intende lucrare su morti famosi.
Oltre a quelle già citate le fonti che abbiamo utilizzato per la nostra ricerca sono gli articoli di ABC News A Timeline of Whitney Houston's Final Days e Whitney Houston: 'White Powder' Found on Spoon in Hotel Room, Whitney Houston found dead in a bathtub at Beverly Hilton Hotel del New York Daily News e We'll always love you: Whitney is carried from funeral to sound of her greatest hit - but Bobby Brown storms out in row over seating del Daily Mail.
Nota: Il 19 novembre del 2014 il conduttore radiofonico Adam Corolla ha sostenuto nel suo programma The Adam Corolla Show che lo spacciatore intervistato nella puntata di Autopsy sia in realtà un attore e che l'intervista fosse quindi falsa. Il presunto attore ha partecipato alla trasmissione di Corolla, tuttavia non abbiamo potuto confrontare le voci perché il podcast della puntata non è più disponibile, ma guardando le foto pubblicate dal sito dell'Adam Corolla Show non ci sembra proprio che l'uomo intervistato da Corolla sia lo stesso apparso in Autopsy, in particolare la bocca e nello specifico il labbro superiore sembrano notevolmente diversi. Inoltre l'uomo intervistato da Corolla ha sostenuto di aver interpretato l'autista di Whitney Houston in un'intervista telefonica nella stessa puntata di Autopsy, ma questo è falso come è facilmente verificabile visionando Autopsy. L'ipotesi più probabile è che l'uomo intervistato da Corolla sia un mitomane che nulla ha in comune con lo spacciatore di Whitney Houston. Detto ciò, che la testimonianza dello spacciatore di Autopsy sia vera o meno non cambia minimamente la ricostruzione della morte della cantante.
Whitney passò la serata precedente al bar dell'Hilton con altri ospiti dell'albergo bevendo fino a tardi. Nel primo pomeriggio di sabato 11 telefonò alla cugina, la famosa cantante Dionne Warwick, per assicurarsi che le due sarebbero state sedute allo stesso tavolo alla festa, in seguito la Warwick riportò che Whitney a quell'ora stava bene ed era di buon umore in vista della serata che le aspettava.
Poco prima delle 15 Whitney disse alla Jones di sentirsi la gola secca e di avere questa sensazione da alcuni giorni, l'assistente le consigliò di farsi un bagno per rilassarsi e di prepararsi per la serata. Quindi Mary uscì dalla stanza e alle 15:15 Whitney sentì al telefono anche la madre, la cantante Cissy Houston, che pure confermò in seguito che la figlia stava bene.
Alle 15:36, come confermato dal sistema elettronico di rilevamento delle aperture delle porte dell'albergo, la Jones tornò nella stanza, aprì con la propria chiave elettronica e non vide la cantante in giro, la cercò in bagno dove vide dapprima il pavimento bagnato e un attimo dopo la Houston priva di sensi stesa nella vasca piena a faccia in giù. Il rubinetto era comunque chiuso. L'assistente provò a estrarla dalla vasca, ma non riuscì. Chiamò quindi Watson e insieme trassero il corpo dalla vasca deponendolo sul pavimento del salotto della suite spostando il divano in modo da creare più spazio; alle 15:43 Watson chiamò la reception chiedendo di chiamare il 911. Arrivarono dapprima alcuni agenti di polizia e i paramedici dei vigili del fuoco già presenti nell'albergo per via del grosso evento che avrebbe avuto luogo la sera, i paramedici tentarono la rianimazione cardio-polmonare, ma invano. Alle 15:55 Whitney Houston fu dichiarata morta.
Il corpo rimase a lungo nella stanza 434 e il medico legale ne ordinò la rimozione solo dopo dieci ore, quando la festa di Davis. che si tenne comunque, era già abbondantemente iniziata nell'imbarazzo di molti degli ospiti. Il medico legale nel suo rapporto definitivo scrisse che la causa del decesso fu annegamento dovuto ad aterosclerosi (malattia cardiaca di cui soffriva) e uso di cocaina, sostanza che la cantante usava regolarmente come confermato dalle perforazioni nel setto nasale riscontrate dal coroner. Il medico scrisse anche di aver trovato nella stanza molte medicine, tra cui ansiolitici e miorilassanti, che le erano state prescritte, posaceneri colmi di cicche di sigarette, bottiglie di alcolici e uno specchio con della polvere bianca. In bagno sul ripiano del lavello fu trovato anche un cucchiaino con una sostanza cristallina e un foglio di carta arrotolato accanto al cucchiaio, segno che la cantante aveva assunto cocaina poco prima di immergersi nella vasca. Anche l'esame tossicologico confermò la presenza nel suo sangue di cocaina e alti livelli di benzoilecgonina, il principale metabolita della cocaina.
Del resto Whitney aveva consumato cocaina varie volte durante la sua permanenza al Beverly Hilton e non sono solo gli oggetti trovati nella sua stanza a confermarlo. Intervistato dal documentario delle serie Autopsy di Channel 5 dedicato alla morte di Whitney Houstion lo spacciatore abituale della cantante, che appare nel documentario con il viso coperto, racconta di averle consegnato cocaina all'Hilton più volte durante quei cinque giorni. L'uomo le si avvicinava fingendosi un fan e porgendole una biro come se volesse un autografo. La cantante, che conosceva la procedura, estraeva dalla borsa un quaderno in cui aveva nascosto nelle banconote e dopo averlo autografato lo porgeva all'uomo tenendosi in cambio la biro che era in realtà piena di cocaina. Inoltre secondo un'indagine di TMZ l'uomo che le fornì la cocaina in quei giorni riuscì a rimuoverne alcune quantità dalla stanza dopo la morte della cantante e prima che arrivassero le autorità, non c'è modo di verificare indipendentemente questa asserzione che in realtà appare poco credibile perché non si capisce quando l'uomo sarebbe entrato senza essere notato, come avrebbe fatto a sapere che la cantante era morta prima che ne venisse diffusa la notizia e soprattutto TMZ sostiene che nella stanza non vi fossero più tracce di cocaina quando arrivarono le autorità ma questo, come abbiamo visto, non corrisponde al vero.
Secondo quanto sostenuto da Autopsy il grave errore della cantante fu di aver riempito la vasca con acqua troppo calda, infatti quando fu misurata sei ore dopo l'incidente era ancora oltre 34 gradi. Dopo aver chiuso il rubinetto la Houston sarebbe quindi entrata in piedi nella vasca sotto l'effetto della cocaina e lo stordimento della droga le avrebbe impedito di percepire lo shock termico dell'acqua eccessivamente calda, lo shock le causò un crollo della pressione sanguigna e la conseguente perdita di sensi la fece cadere nella vasca, l'aterosclerosi e l'effetto della droga le impedirono di riprendere conoscenza e la cantante annegò nell'acqua.
Sebbene non vi siano seri motivi per dubitare della ricostruzione del medico legale, anche la morte di Whitney Houston ha generato varie teorie del complotto secondo cui la cantante sarebbe in realtà stata uccisa. E' quanto sostiene il detective privato Paul Huebl le cui motivazioni sono però piuttosto risibili. Secondo Huebl durante il periodo in cui Whitney è rimasta da sola in stanza, un gruppo di aggressori non meglio identificato sarebbe entrato nella stanza, l'avrebbe aggredita e poi tenuta con la testa sott'acqua forse solo per spaventarla e non con l'intenzione di ucciderla. L'unica motivazione addotta da Huebl sono le abrasioni trovate sul corpo della Houston e gli slittamenti della pelle rilevati dal medico legale, la causa scatenante sarebbe un debito per droga mai saldato. Ma la spiegazione data da Autopsy è molto più semplice: le abrasioni alla testa furono causate dalla caduta nella vasca, e il tentativo di estrarla a peso morto dalla vasca e la rianimazione causarono le altre. Lo slittamento della pelle è dovuto invece alla lunga permanenza nell'acqua calda.
Inoltre come tutte le teorie del complotto si basa su dettagli insignificanti e ne ignora altri ben più significativi. Huebl ad esempio non considera il fatto che la Houston è stata trovata nella vasca nuda e ci sembra piuttosto bizzarro che la cantante potesse ricevere ospiti nuda. Del resto la porta non è stata forzata, né il sistema di rilevamento elettronico delle aperture delle porte dell'albergo ha registrato un passaggio della chiave prima di quello di Mary Jones. I vestiti avrebbero comunque esserle stati strappati, anche solo un accappatoio, ma se davvero ci fosse stata una colluttazione in quella stanza il mobilio e gli oggetti di Whitney sarebbero stati in disordine ma la camera come descritta dal medico legale nel rapporto è invece ordinata con tutti gli oggetti disposti in modo coerente, questo dettagli è confermato anche dalle poche foto che sono state pubblicate in esclusiva da TMZ. Nemmeno Mary Jones ha mai riportato di aver trovato nella stanza un disordine sospetto.
In ultimo se la Houston fosse stata aggredita avrebbe verosimilmente urlato e in un hotel gremito come quello qualcuno avrebbe sentito le grida. Ma nessuno dei testimoni mai riportò nulla del genere. L'unico dettaglio sospetto è il fatto che il coroner precisa che la patente di guida di Whitney è stata sottratta dal portafogli prima del suo arrivo, ma questo non indica in alcun modo che si sia trattato di un omicidio piuttosto sembra indicare che tra le persone che sono entrate nella stanza qualcuno abbia raccolto un cimelio.
Ancora una volta anche nel caso di Whitney Houston le teorie del complotto sembrano solo il parto delle menti troppo fervide di chi intende lucrare su morti famosi.
Oltre a quelle già citate le fonti che abbiamo utilizzato per la nostra ricerca sono gli articoli di ABC News A Timeline of Whitney Houston's Final Days e Whitney Houston: 'White Powder' Found on Spoon in Hotel Room, Whitney Houston found dead in a bathtub at Beverly Hilton Hotel del New York Daily News e We'll always love you: Whitney is carried from funeral to sound of her greatest hit - but Bobby Brown storms out in row over seating del Daily Mail.
Nota: Il 19 novembre del 2014 il conduttore radiofonico Adam Corolla ha sostenuto nel suo programma The Adam Corolla Show che lo spacciatore intervistato nella puntata di Autopsy sia in realtà un attore e che l'intervista fosse quindi falsa. Il presunto attore ha partecipato alla trasmissione di Corolla, tuttavia non abbiamo potuto confrontare le voci perché il podcast della puntata non è più disponibile, ma guardando le foto pubblicate dal sito dell'Adam Corolla Show non ci sembra proprio che l'uomo intervistato da Corolla sia lo stesso apparso in Autopsy, in particolare la bocca e nello specifico il labbro superiore sembrano notevolmente diversi. Inoltre l'uomo intervistato da Corolla ha sostenuto di aver interpretato l'autista di Whitney Houston in un'intervista telefonica nella stessa puntata di Autopsy, ma questo è falso come è facilmente verificabile visionando Autopsy. L'ipotesi più probabile è che l'uomo intervistato da Corolla sia un mitomane che nulla ha in comune con lo spacciatore di Whitney Houston. Detto ciò, che la testimonianza dello spacciatore di Autopsy sia vera o meno non cambia minimamente la ricostruzione della morte della cantante.
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