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venerdì 4 settembre 2020

An American Prayer: l'ultimo album dei Doors

Sette anni dopo la morte di Jim Morrison, e dopo due album in cui alla voce di alternavano Robby Krieger e Ray Manzarek, i Doors pubblicarono il loro ultimo album intitolato An American Prayer in cui alla voce tornò proprio Morrison: il disco è stato infatti realizzato aggiungendo delle basi musicali alla voce di Jim che legge le proprie poesie. Come si può chiaramente immaginare in queste incisioni Jim Morrison non canta, ma parla, o meglio recita i propri testi; non troveremo quindi la voce grintosa e graffiante di Break On Through ma un disco unico nel suo genere, a tratti forzato ma comunque interessante.


Dal punto di vista canoro l’album è sicuramente singolare, ma da quello musicale questa composizione non ha nulla da invidiare agli album precedenti della band. Le basi musicali che i Krieger, Manzarek e Densmore hanno composto per questo atipico album costituiscono infatti una sorta di compendio degli stilemi classici dei Doors, passando dal rock psichedelico, al jazz ai suoni latini e al blues, con anche alcuni rimandi chiari a loro pezzi storici come Riders on the Storm e The End. Il risultato complessivo è una sorta di talking blues in cui le uniche parti effettivamente cantante sono uno snippet di Peace Frog e una versione live composita di Roadhouse Blues che unisce una registrazione a New York con una a Detroit del 1970.

An American Prayer non è sicuramente il disco migliore dei Doors, ma resta un album importante che mostra la straordinaria creatività della band che è riuscita a realizzare un disco di buon livello in condizioni molto particolari. Questo album è notevolmente diverso dai precedenti e richiede un’atmosfera d’ascolto altrettanto diversa: non sono pezzi fatti per essere ascoltati nelle folle di un concerto, ma piuttosto in un momento di raccoglimento e isolamento. Fatte queste premesse e approcciato con le giuste aspettative, An American Prayer si rivela un disco prezioso, per conoscere aspetti meno noti dello straripante Jim Morrison e per avere un’altra prova della ricchezza musicale di questa iconica band.

giovedì 9 gennaio 2020

Perché i Doors si chiamano così?

I Doors sono tra i più rappresentativi e iconici interpreti del rock degli anni 70 grazie a un sound distintivo e al carisma e alla capacità dei quattro membri. Il loro suono non è l'unica cosa singolare che contraddistingue questa band, perché anche il nome scelto dal quartetto è evidentemente piuttosto bizzarro.


La prima formazione della band risale al 1961 con il nome di Rick & the Ravens ed era inizialmente composta da Rick Manczarek alla chitarra, Jim Manczarek alle tastiere e all'armonica, Patrick Stonier al sassofono, Roland Biscaluz al basso e Vince Thomas alla batteria. Rick (che dava il nome al complesso) e Jim erano ovviamente i fratelli di Ray Manzarek (che usava la grafia semplificata del proprio cognome), che sarebbe diventato il tastierista storico dei Doors.

La band vide numerosi cambi di formazione e nel 1965 era composta da Jim Morrison alla voce, Ray Manzarek alla tastiera e alle seconde voci, John Densmore alla batteria, Rick Manczarek alla chitarra, Jim Manzarek all'armonica, e Patricia "Pat" Hansen al basso. Dopo aver registrato un demo che non raccolse il successo sperato, la band cambiò il proprio nome su proposta di Morrison in The Doors, prendendo spunto dal saggio dello scrittore inglese Aldous Huxley intitolato The Doors of Perception (tradotto in italiano come Le Porte della Percezione) del 1954 che narra delle esperienze vissute dall'autore grazie all'uso della mescalina, molto simili a quella che Jim Morrison e la sua band narravano nei propri pezzi. In The Doors of Perception l'autore descrive ad esempio come dopo l'assunzione di mescalina vedesse i colori più vivaci o come gli sembrasse che le pareti delle stanze non si incontrassero più dove avrebbero dovuto o ancora come gli paresse che i libri o le gambe delle sedie brillassero di luce propria.

Il titolo dell'opera di Huxley è a sua volta tratto da un verso dal poema di William Blake The Marriage of Heaven and Hell (Il Matrimonio del Cielo e dell'Inferno) che dice "If the doors of perception were cleansed, everything would appear to man as it is: infinite" ("Se le porte della percezione fossero sgombrate tutto apparirebbe all'uomo così come è: infinito") e secondo il documentario When You're Strange del 2009 fu proprio il verso di Blake a ispirare Morrison.

Poco dopo il cambio del nome i fratelli Jim e Rick Manczarek lasciarono il gruppo, seguiti da Pat Hansen. Al loro posto entro nella band Robby Krieger, formando così la lineup storica del gruppo.


La scelta del nome si rivelò sicuramente vincente; infatti ad oggi i Doors sono considerati tra i più grandi geni e innovatori della musica moderna, non solo per la qualità delle loro composizioni, ma anche per il loro atipico nome.

lunedì 10 giugno 2019

I b-side dei Doors

Durante la loro carriera discografica, che si estende tra il 1967 e il 1978, i Doors hanno pubblicato nove album in studio e oltre venti singoli, e tra i b-side che hanno accompagnato le loro hit più famose su vinile solo tre non sono mai stati pubblicate all'interno degli album.

Il primo di essi risale al 1969 e si intitola Who Scared You, b-side di Wishful Sinful tratto dal The Soft Parade. Il brano è stato scritto da Jim Morrison e Robby Krieger ed è un pezzo di rock psichedelico ricco di contaminazioni di jazz fusion, come nello stile di The Soft Parade di cui è coevo, nel brano non mancano infatti lunghe parte strumentali tra i ritornelli e le strofe.

Il secondo b-side mai pubblicato su un album risale invece al 1971 ed è la cover di (You Need Meat) Don't Look No Further di Willie Dixon incisa per la prima volta da Muddy Waters nel 1956 con il titolo Don't Go No Farther. La versione dei Doors è stata pubblicata come b-side di Love Her Madly dall'album L.A. Woman ed è l'unica registrazione in studio della band ad essere cantata da Ray Manzarek prima della morte di Jim Morrison, il quale in questo caso non ha avuto alcun ruolo nelle registrazioni.

L'esecuzione canora di Manzarek non ha comunque nulla da invidiare al suo più noto collega (come in futuro avrebbe ampiamente dimostrato negli album registrati dopo la morte di Morrison), rispetto all'esecuzione di Muddy Waters il pezzo mantiene le atmosfere blues, ma aggiunge le stesse connotazioni di blues rock che contraddistinguono L.A. Woman rendendolo in generale un po' più grintoso e ovviamente Manzarek canta su note più alte rispetto a quelle di Muddy Waters.

Il terzo e ultimo dei tre brani mai pubblicati in album è Treetrunk del 1972, pubblicato come b-side di Get Up and Dance tratto da Full Circle, secondo e ultimo album pubblicato dalla band con Manzarek e Krieger alla voce dopo la prematura scomparsa di Jim Morrison. Il pezzo è sorprendentemente pop e orecchiabile ed è stato escluso dal disco proprio per l'approccio diverso rispetto a quello di ogni altra registrazione del gruppo.

Who Scared You e (You Need Meat) Don't Look No Further comparvero per la prima volta in un 33 giri nel 1972, nella compilation Weird Scenes Inside the Gold Mine. In seguito Who Scared You fu inserita nel cofanetto quadruplo The Doors: Box Set del 1997 (anche se in una versione accorciata), mentre (You Need Meat) Don't Look No Further trovò la sua prima pubblicazione in CD nella raccolta Perception composta da 12 dodici dischi che raccolgono i primi sei album della band con l'aggiunta di outtakes e tracce extra.

Treetrunk fu invece pubblicata in un album solo nel 2010, nell'edizione in CD a doppio disco di Other Voices e Full Circle e da allora è stata inclusa solo in un altra compilation: il cofanetto The Singles Box destinato al mercato giapponese del 2013.

Questi tre sono sicuramente brani meno noti della ricca discografia dei Doors, tuttavia il fatto che si tratti di pezzi di gran livello conferma il fatto che anche i brani scartati da Doors sono capolavori di rock dallo stile inconfondibile così come le loro tracce più note.

martedì 17 ottobre 2017

Black Merda: rock psichedelico da Detroit (prima parte 1969 - 1972)

Il nome del gruppo farà sorridere gli ascoltatori italofoni, ma a dispetto del nome un po' infelice i Black Merda (che è il respelling di black murder e non ha nulla a che vedere con la parola omografa in italiano) sono una delle realtà più interessanti del rock psichedelico dei primi anni 70. La formazione nacque come un terzetto composto da Anthony Hawkins alla chitarra, VC Lamont Veasey al basso e alla voce e Tyrone Hite alla batteria. Prima della pubblicazione del primo album il gruppo divenne un quartetto con l'aggiunta di Charles Hawkins (fratello di Anthony) alla seconda chitarra.

L'attività discografica della band iniziò nel 1969 come musicisti per l'album Mary Don't Take Me On No Bad Trip di Fugi, musicista dallo stile simile che registrava per la stessa etichetta, la Funky Delicacies. Il disco fu inciso nel 1969, ma pubblicato su vinile solo 28 anni dopo e su CD nel 2005.

Il primo ed eponimo album dei Black Merda è stato pubblicato nel 1970 ed è composto da 11 tracce di puro rock psichedelico, fortemente basato sul suono delle chitarre che conferiscono alle basi delle marcate venature funk. Tra i pezzi migliori dell'album troviamo il brano di apertura Prophet e la grintosa Ashamed che richiamano molte le sonorità dei contemporanei Jimi Hendrix Experience, sia nelle musiche sia nel canto di Veasey che si ispira a Hendrix in modo non troppo velato. I Black Merda attingono a piene mani anche dalla tradizione blues della loro città, come dimostrato da pezzi come Think of Me e Over and Over. Tra i pezzi migliori troviamo anche Cynthy-Ruth, caratterizzata da un poderoso coro eseguito da tutta la band sul ritornello, e la ballad soul Reality.

Due anni dopo la band pubblicò il secondo album intitolato Long Burn the Fire, per l'occasione il quartetto cambiò il proprio nome in Mer-Da. Oltre al nome cambia anche la musica, con il suono che si fa più morbido e patinato. Il pezzo di apertura For You, così come la terza traccia My Mistake, sono infatti lenti soul più simili alle produzioni della Motown che al disco di esordio dei Black Merda; la stessa tendenza si riscontra in The Folks From Mother's Mixer che però si assesta su ritmi più alti. Non mancano brani più graffianti, come la title track e I Got a Woman, che comunque non raggiungono quanto a intensità le sonorità psichedeliche del disco precedente.

Long Burn the Fire in realtà dimostrò che il quartetto era in grado di spaziare in vari stili della musica nera con risultati più che buoni, ma la scarsa promozione dell'LP portò a risultati di vendita inferiori alle aspettative e come conseguenza la band si sciolse.

Tuttavia la carriera del gruppo non si arrestò, perché la pubblicazione di due compilation nel primi anni 2000 risvegliò l'interesse verso il rock funk dei Black Merda. La band tornò in studio come terzetto, perché Tyrone Hite morì nel 2004, e registrò due nuovi album tra il 2006 e il 2009.

La seconda parte della discografia dei Black Merda verrà trattata in un prossimo articolo.

martedì 7 marzo 2017

I presunti misteri di Lucy in the Sky with Diamonds

Lucy in the Sky with Diamonds è uno dei più grandi successi dei Beatles (anche se nella breve carriera dei Fab Four è difficile trovare qualcosa di non etichettabile come grande successo), pubblicato l'1 giugno del 1967 all'interno dell'album Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band. Fin da poco dopo la sua pubblicazione, il pezzo fu oggetto di numerose teorie alternative che vogliono che questo contenga significati nascosti sinistri e inneggianti alla droga: il particolare la teoria più nota sostiene che Lucy in the Sky with Diamonds sia un velato riferimento all'LDS.

Queste voci si diffusero a partire dall'anno seguente la pubblicazione del disco, se ne trova menzione ad esempio nel libro The Beatles: The Authorised Biography di Hunter Davies del 1968 e già allora l'autore chiariva che si trattava di una coincidenza.

Nel giugno del 1967 Paul McCartney ammise in due interviste, la prima alla rivista Life e la seconda al canale televisivo ITV, di aver fatto uso di LSD e probabilmente questa ammissione contribuì al diffondersi di questa leggenda. Anche John Lennon, che è anche la voce principale del pezzo, disse in un'intervista per Playboy rilasciata a David Sheff, e riportata nel libro All We Are Saying: The Last Major Interview with John Lennon and Yoko Ono del medesimo autore, di essere stupito dal fatto che qualcuno accostasse Lucy in the Sky with Diamonds, alla droga e di non essersi nemmeno reso conto che le iniziali del noto allucinogeno potessero trovarsi nel titolo.

Nella stessa occasione Lennon spiegò che l'idea del brano gli venne da un disegno del figlio Julian in cui ritraeva una compagna di asilo, chiamata Lucy O'Donnell, in un cielo stellato e lo stesso Julian aveva intitolato il proprio disegno Lucy in the Sky with Diamonds. In seguito Lucy O'Donnell (che essendosi sposata cambiò il proprio cognome in Vodden) confermò in un'intervista alla BBC del 2007 che la canzone era dedicata a lei, e in un'altra circostanza raccontò anche che alcuni suoi compagni della scuola superiore non credettero che il brano fosse ispirato a lei, sostenendo invece che parlasse di LSD.

Entrambi gli autori ribadirono in varie occasioni nel corso degli anni che nel loro intento il pezzo non aveva alcuni intento di carattere allucinogeno. Lo ripeté Lennon in un'intervista del 1967 riportata nel volume The Beatles Anthology del 2000 e anche McCartney ben trent'anni dopo dovette insistere sull'argomento in un'intervista alla BBC (stando a quanto riportato da Wikipedia che non abbiamo potuto verificare) aggiungendo che in realtà l'acronimo giusto sarebbe LITSWD e non LSD.

Come riportato nel libro The Beatles as Musicians: Revolver Through the Anthology di Walter Everett, sia Lennon sia McCartney spiegarono che il testo onirico della canzone era ispirato ai romanzi di Lewis Carroll Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio, e in particolare al capitolo finale di quest'ultimo intitolato Which Dreamed It? (tradotto in italiano come Chi l'ha sognato?)

Nessun riferimento alla droga quindi, solo l'ennesimo caso di una leggenda metropolitana che si basa sul nulla.

venerdì 16 settembre 2016

Gli album dei Doors successivi alla morte di Jim Morrison

Contrariamente a quanto comunemente si crede L.A. Woman non è l'ultimo album in studio dei Doors e la morte di Jim Morrison non ha terminato la carriera della band. Dopo la scomparsa del loro storico leader infatti la band ha registrato altri due album in cui alla voce si alternano Ray Manzarek e Robby Krieger.

Il primo dei due album intitolato Other Voices uscì il 18 ottobre del 1971 (incredibilmente, solo due giorni dopo la pubblicazione del 45 giri di Riders on the Storm) ed è composto da otto brani di cui cinque cantati da Manzarek, due da Krieger e uno da entrambi. Il disco prosegue sulla strada del rock psichedelico ma cambiando radicalmente approccio e avvicinandosi più al periodo psichedelico dei Beatles piuttosto che alle produzioni precedenti dei Doors, del resto la voce di Manzarek se da una parte tenta di ricalcare lo stile di Morrison è anche molto simile a quella di Paul McCartney. In questi due dischi inoltre il trio non rinuncia al rock blues e esplora anche suoni nuovi e latineggianti.

L'album parte con In the Eye of the Sun, pezzo dal sapore blues cantanto da Manzarek che rimanda alle sonorità di Morrison Hotel. Il secondo pezzo, in cui troviamo Krieger al microfono, è la leggera è allegra Variety Is The Spice Of Life che proprio per la sua freschezza offre suoni nuovi e distintivi che non trovano simili nelle produzioni passate dei Doors. Anche il terzo brano intitolato Ships w/ Sails, cantato da Manzarek, propone sonorità decisamente nuove, ma questa volta la band si lascia influenzare dai suoni latini tipici di band come i Santana grazie alle percussioni suonate dal cubano Francisco Aguabella che vanta collaborazioni con alcuni tra i migliori musicisti di ogni tempo. Con la successiva Tightrope Ride, cantata ancora da Manzarek, il ritmo sale ed è forse il brano più veloce dell'intero album in cui l'influenza dei Beatles di Revolver si sente molto forte.

La quinta traccia è Down On The Farm, l'unica in cui i due cantanti duettano, ed è un altro brano allegro e divertente di chiara ispirazione country grazie all'armonica suonata dallo stesso Krieger e che al contempo non rinuncia alle influenza latine vista la presenza di una marimba suonata da Emil Richards. I'm Horny, I'm Stoned è l'ultimo pezzo cantato da Krieger e torna alle sonorità blues che avevano aperto il disco, sebbene con un approccio più leggero. Gli ultimi due brani sono entrambi cantanti da Manzarek. Wandering Musician è un pezzo guidato dal pianoforte suonato dallo stesso Manzarek che forse narra proprio di tre musicisti che vagano non potendo più contare sulla propria guida, anche in questo brano l'influenza dei Beatles si sente con forza. L'ultimo pezzo intitolato Hang on to Your Life vede ancora la presenza di Aguabella alle percussioni ed è forse il pezzo più latino dell'intero disco, ma questa volta le influenze non si fermano al rock latino ma virano anche verso il latin jazz anche grazie alla lunga jam session finale.

Non passò nemmeno un anno prima che i tre rimanenti Doors dessero vita ad un altro album nel luglio del 1972. Questo nuovo lavoro si intitola Full Circle e ripropone la mescolanza di suoni latini e psichedelia che aveva contraddistinto il disco precedente. Il primo brano si intitola Get Up and Dance e come suggerisce il titolo stesso è molto vivace e vibrante ed è sostenuto da un poderoso coro di voci femminili sul ritornello che si sommano al canto di Manzarek. Segue l'allegra 4 Billion Souls in cui alla voce torna Krieger e questa volta è proprio il chitarrista che sembra voler imitare lo stile canoro dei Beatles. La terza traccia è intitolata Verdilac e le sonorità tornano fortemente psichedeliche arricchite da forti influenze funk, il pezzo sembra ispirato a qualche sottofondo per la meditazione ed è impreziosito dal sax tenore suonato da Charles Lloyd che gli conferisce anche delle forti venature jazz. Con il brano successivo Hardwood Floor le atmosfere tornano festanti e spensierate e sostanzialmente si torna alla formula del brano di apertura con il coro di voci femminili che sostiene Manzarek sul ritornello. Il quinto pezzo è quello più smaccatamente blues e rock dell'intero album ed è una cover della celeberrima Good Rocking Tonight (qui intitolata Good Rockin') di Roy Brown interpretata in modo energico e vibrante a conferma che la band non rinuncia a nessun tassello della sua carriera precedente. Il brano seguente è quello che forse ha raggiunto il maggior successo nell'epoca dei Doors senza il loro leader storico: The Mosquito un pezzo latin jazz ispirato ai mariachi messicani e dal testo molto vacuo e scherzoso. La traccia successiva The Piano Bird è il secondo e ultimo in cui troviamo Krieger alla voce, il brano è fortemente jazz e di nuovo ispirato a ritmi latini, inoltre vede di nuovo dalla presenza di Charles Lloyd che questa volta suona il flauto. Con It Slipped My Mind le sonorità del gruppo tornano verso il blues rock ma questa volta con atmosfere più leggere. A chiudere l'album troviamo The Peking King and the New York Queen, altro brano piuttosto allegro con atmosfere che richiamano di nuovo la traccia di apertura, ma che vira anche verso il funk grazie alle chitarre in sottofondo.

Oltre a questi dischi, nel periodo successivo alla morte di Morrison la band pubblicò il brano Treetrunk come B-side di Get Up and Dance. Il pezzo non fu inserito nell'album perché ritenuto troppo commerciale ed effettivamente è molto pop e orecchiabile, ma comunque di ottimo livello soprattutto per il fatto di riproporre un duetto tra Krieger e Manzarek.

Dopo Full Circle la band pubblicò un ultimo disco nel 1978 intitolato An American Prayer, ma in questo caso tornò alla voce Jim Morrison. L'album è infatti una raccolta di poesie lette dal cantante defunto su cui è stata incisa una base musicale suonata dagli altri tre membri. Come è facile aspettarsi, Morrison non canta ma legge e l'intero disco suona molto forzato.

E' un vero peccato che Other Voices e Full Circle non godano della fama che meritano perché sono ottimi dischi dal suono sperimentale che mostrano che la band ha saputo lavorare bene anche senza il proprio leader e che forse Densmore, Manzarek e Krieger sono tre geni della musica troppo spesso adombrati dal loro ingombrante vocalist.

venerdì 29 luglio 2016

I veri luoghi di Morrison Hotel

Morrison Hotel è uno degli album più noti e rappresentativi della carriera dei Doors, non solo per la presenza di alcuni dei brani storici come Roadhouse Blues e Peace Frog, ma anche perché segnò l'inizio del cambio di rotta dal rock psichedelico al blues rock verso cui la band avrebbero virato con più decisione nell'album successivo L.A. Woman.

Oltre alla musica ciò che dall'uscita del disco attira l'attenzione di fan e critici sono le foto di copertina che ritraggono due luoghi di Los Angeles che da allora sono diventati storici.

L'album è diviso in due metà: il primo lato del vinile è intitolato Hard Rock Cafe, mentre il secondo porta il nome dell'album intero, Morrison Hotel. A ciascuno dei due lati corrisponde una delle immagini di copertina: la foto frontale ritrae infatti la band al Morrison Hotel, mentre il retro mostra l'ingresso del locale chiamato Hard Rock Cafe.

Il Morrison Hotel si trovava al numero 1246 di South Hope Street, a Los Angeles, a poca distanza dallo Staples Center. L'hotel è oggi chiuso e in stato di abbandono. Confrontando le immagini disponibili su Google Street View con scatti risalenti al periodo in cui l'hotel era ancora attivo (ad esempio quelle pubblicate da FeelNumb o da PopSpots) si riconosce anche il portone a destra dell'hotel. Non ci è dato di sapere quando l'esercizio abbia chiuso, sappiamo però che nel 2004 era ancora aperto (come risulta da questo articolo del Los Angeles Time) e che nel 2008 era già chiuso, come si può verificare dalla più vecchia immagine disponibile su Google Street View, pertanto l'attività si è interrotta in quel periodo.

L'Hard Rock Cafe si trovava invece al 300 East 5th Street, a Los Angeles. dove oggi c'è un negozio di alimentari chiamato Green Apple Market. Secondo il fotografo Henry Diltz, autore di entrambe le foto, l'Hard Rock Cafe dei Doors avrebbe ispirato il nome dell'omonima catena di ristoranti, alberghi e casinò; in realtà la sua è solo una congettura perché nella storia ufficiale della catena nata a Londra nel 1971 non c'è alcuna menzione al disco dei Doors.

giovedì 14 aprile 2016

Intervista a David Moretti

Gli anni 90 sono stati un decennio d'oro per il rock italiano e tra i vari gruppi che la nostra penisola ha prodotto spiccano qualitativamente su tutti gli altri i milanesi Karma. La band guidata dal frontman David Moretti ha pubblicato solo due album tra il 94 e il 96 che spaziano dal grunge al rock psichedelico arricchiti di suoni etnici e tribali. Chiusa l'avventura dei Karma e dopo oltre dieci anni di lontananza dalle scene nel 2007 lo stesso gruppo di musicisti tornò in studio sotto il nome di Juan Mordecai per registrare un unico album dalle sonorità molto varie.

Oggi David Moretti è direttore creativo di Wired a San Francisco e ha accettato la nostra proposta di un'intervista per raccontarci qualcosa di più sul suo profilo musicale e su come sono nati i tre album che ha inciso.

Ringraziamo David Moretti per la sua cortesia e disponibilità.


125esima Strada: Ciao David, e anzitutto grazie del tempo che ci dedichi. Parliamo come prima cosa dei Karma, come vi è venuta nei primi anni 90 l'idea di portare il grunge in Italia?

David Moretti: In realtà non ci siamo resi mai conto di essere “grunge”, forse fino alla produzione del primo album in italiano. I Karma nascono verso la fine degli anni 80 come cover band: Hendrix, Led Zeppelin, Pink Floyd, Rolling Stones, Beatles, Jefferson Airplaine… Ognuno di noi veniva da generi diversi: metal, punk rock, prog, hardcore, rock psichedelico. Il classic rock è stata la base sulla quale abbiamo costruito il nostro suono. Nel 1991 iniziammo a comporre musica nostra e a registrare il nostro primo “disco” in inglese sotto il nome di Circle of Karma. Fu Fabrizio Rioda dei Ritmo Tribale a convincerci a riscrivere i testi in italiano e nel 1992 abbreviammo il nome in Karma e iniziammo a farci conoscere come prodotto italiano. L’album omonimo uscì nel 1994 per Ricordi/Ritmi Urbani. Volevamo un suono contemporaneo e molte band dell’epoca avevano le nostre stesse radici: Pearl Jam, Mother Love Bone, King’s X, Alice in Chains, Soundgarden. Ma fu la stampa ad etichettarci come grunge.


125esima Strada: Come vi è venuta l'idea di mischiare il grunge e il rock con sonorità tribali ed etniche?

David Moretti: E’ difficile crederlo ascoltando il primo album, ma la vena acustica è sempre stata molto forte, tanto quanto quella psichedelica. Iniziammo a suonare con Pacho, il nostro percussionista, qualche mese prima dell’inizio delle registrazioni dell’album. Iniziammo a portare in giro uno spettacolo con percussioni industriali, lamiere, bidoni, perfino una lavatrice (!). Con lui fu amore a prima nota. Condivideva inoltre la mia “passione” per l’India e le filosofie orientali ed era (ed e’) un suonatore di tablas formidabile. Io suonicchiavo il sitar e una delle nostre jam finì come intro del nostro primo singolo La Terra. Il nostro secondo lavoro, Astronotus, nato come una lunga jam session di quasi 2 ore, e’ il frutto di questa miscela decisamente atipica.


125esima Strada: Personalmente trovo il tuo cantato in questa prima fase della tua carriera molto simile a quello di Layne Staley. Sei d'accordo con questa similitudine?

David Moretti: Grazie del complimento! Layne aveva una voce strepitosa. Ho sempre cantato in inglese, fin da giovanissimo. Amo molto le voci potenti ma versatili come Glenn Hughes, Doug Pinnick, Demetrio Stratos. Avendo una voce molto bassa e una discreta estensione mi è venuto naturale impostare i miei cantati su quei modelli. Layne e anche Vedder sono stati molto importanti nella mia fase di passaggio tra inglese e italiano. Il primo album è decisamente Alice in Chains, soprattutto nelle armonizzazioni dei cori.


125esima Strada: Parliamo invece degli Juan Mordecai, come è nato questo progetto e come ti è tornata da voglia di tornare in studio e sul palco a oltre dieci anni dall'avventura dei Karma?

David Moretti: Non ho mai smesso di comporre. Quando sei un musicista non vai mai in pensione. Mi sono così ritrovato dopo quasi dieci anni di distanza ad avere moltissimi brani archiviati. La vita ci aveva fatto prendere strade differenti, ma la persona con la quale mi vedevo più spesso era Andrea Viti che nel frattempo era entrato in pianta stabile negli Afterhours. Ognuno dei due si era attrezzato con un piccolo studio mobile casalingo e così iniziammo a scambiarci file audio. Alcuni pezzi erano talmente in sintonia che fu facile farne una playlist. Poi iniziammo a coinvolgere gli altri Karma, chi per una linea di chitarra, chi per le percussioni. In realtà gran parte del disco fu suonata e registrata da me ed Andrea tra il 2004 e il 2007. Ma ricontattare gli altri Karma fu l’inizio di un processo che ci riportò poi dal vivo per i due anni successivi.


125esima Strada: Cioè che stupisce del disco degli Juan Mordecai è l'incredibile varietà dei suoni proposti, a quali artisti vi siete ispirati per comporre i pezzi?

David Moretti: Juan Mordecai è un disco bastardo. Nel vero senso della parola. Tom Waits, Johnny Cash, ma anche MC5, Stooges potrei citarti migliaia di nomi. Siamo sempre stati onnivori musicalmente. Quando hai a disposizione 10 anni e poi fai una selezione, l’unico modo di tenere tutto insieme è farne un frullato. Per di più nessuno dei due ha mai avuto il controllo della cosa. “Mi serve una linea di basso”, “Ho bisogno di una melodia”, “ Ho aggiunto un solo, che dici?”… Questo è stato il modo con cui abbiamo messo insieme dieci pezzi. Anche la lunghissima jam finale è frutto di sovraincisioni a “distanza”. Quando uno di noi aveva il tempo aggiungeva qualcosa e passava all'altro. Per cucinare il tutto poi ci è servita una persona terza che prendesse le decisioni: il grande Taketo Gohara.


125esima Strada: Nei Karma cantavi in italiano e negli Juan Mordecai in inglese. Nella tua esperienza personale quali sono le caratteristiche e i pregi di ciascuna di queste due lingue da un punto di vista musicale e canoro?

David Moretti: Non sono mai stato un poeta, non è quello che sono. Amo la poesia, ma ho sempre trovato ingenua e banale ogni cosa che abbia fatto in quella direzione. Molte delle liriche dei Karma sono cut-and-paste di manuali di meditazione, saggi di filosofia, citazioni, fiabe orientali… Con l’inglese ho un rapporto più diretto, suona in me subito giusto. Almeno questa è la mia esperienza.


125esima Strada: Quali sono i tuoi musicisti preferiti di tutti i tempi?

David Moretti: Non riesco a fare una classifica. Ti direi i Led Zeppelin perché hanno ossessionato la mia adolescenza, perché trovo in loro molto dei suoni che amo dal rock britannico alle sonorità orientali. Ma è davvero molto difficile.


125esima Strada: Nella scena musicale attuale invece chi sono i tuoi preferiti?

David Moretti: Questa è ancora più’ difficile. Ti dico quello che ho aggiunto recentemente su Spotify: Iggy Pop – Post Pop Depression (con Josh Homme), Black Mountain – IV, Bee Caves – Animals with Religion. Adesso che vivo in California ascolto tantissima musica indipendente. Gli unici italiani che ascolto con molto piacere sono i Verdena. Per il resto sono completamente sconnesso.


125esima Strada: Essere un musicista ed essere direttore creativo di Wired sono profili professionali molto diversi, come riesci a coniugare questi due aspetti così all'apparenza distanti?

David Moretti: Nella mia vita ho sempre alternato grafica a musica e musica a grafica. A volte queste due cose si sono sovrapposte. Facevo il grafico per pagarmi l’università e il “vizio” della musica, poi mi sono ritrovato musicista “professionista” e quando la “professione” non mi ha più consentito di viverci sono tornato a fare il grafico.


125esima Strada: Ti rivedremo mai il sala di registrazione o su un palco?

David Moretti: Il bello di stare negli Stati Uniti e’ che qui suonano TUTTI. Molti dei miei colleghi hanno band e ogni tanto spariscono per una settimana girando in piccoli tour. Qui i locali ci sono, la gente va ai concerti e a nessuno gliene frega niente se hai 50 o 16 anni. Diciamo che sto scaldando l’ugola :)

giovedì 19 novembre 2015

Dai Karma agli Juan Mordecai

Il rock italiano ha vissuto negli anni 90 un momento di gloria e creatività che non si è mai ripetuto né prima né dopo e che ha visto la nascita di gruppi come i Ritmo Tribale, i Rats, i Clan Destino e molti altri che hanno portato una seppur breve ventata di novità in un panorama che di norma si basa sul pop di facile consumo. Una delle migliori espressioni della musica di quel decennio sono senza dubbio i milanesi Karma che nonostante abbiano avuto una carriera molto breve hanno scritto una delle più belle e importanti pagine della storia della musica del nostro paese riuscendo nell'ardua impresa di portare il grunge al di fuori dei confini nordamericani fino all'Italia.

Il gruppo nacque nel 1990 a Milano con il nome Circle of Karma e formato da David Moretti alla voce e alla chitarra, Andrea Bacchini alla chitarra, Andrea Viti al basso, Diego Besozzi alla batteria e Alessandro Rossi detto Pacho alle percussioni. La band registrò dapprima un album, mai pubblicato, interamente in inglese che alcuni anni dopo, e dopo aver abbreviato il proprio nome in Karma, tradusse in italiano e reincise dando così vita al proprio primo ed eponimo album realmente pubblicato. L'album fu l'unico disco italiano di vero grunge e forse il migliore al mondo realizzato in una lingua diversa dall'inglese. La band si ispirava alle grandi formazioni del genere come Pearl Jam, Soundgarden e soprattutto agli Alice in Chains anche dal punto di vista del cantato di Moretti molto simile a quello di Layne Staley; inoltre i Karma arricchirono la propria musica con sonorità tribali e orientali grazie alle percussioni e al sitar suonato dallo stesso Moretti. Il disco spazia dai brani più potenti e graffianti come Lo Stato Delle Cose, Il Volo e La Differenza ad altri più melodici tra cui spiccano Terra e Cosa Resta che a nostro giudizio è il brano più bello dell'intero disco. Tra i pezzi migliori si trova l'orientaleggiante Nascondimi che con i suoi richiami indiani replica l'esperimento simile operato dai Soundgarden nello stesso anno nel loro album Superunknown e anticipa di due anni le sonorità che i Kula Shaker avrebbero trasformato nel proprio marchio di fabbrica. In totale il disco è composto da 14 brani tutti di grande impatto, contrariamente alla maggioranza degli artisti italiani che realizzano album con tre o quattro brani di livello e una lunga serie di riempitivi.

Dopo il primo album i Karma tornarono nel 1996 con il loro secondo lavoro intitolato Astronotus in cui si allontanano dal grunge, che in quell'anno stava vivendo la propria parabola discendente, spostandosi verso il rock psichedelico ricco di distorsioni e accentuando le sonorità tribali ed etniche grazie alle percussioni sempre più presenti. Il disco propone di nuovo un buon equilibrio tra brani veloci come 3° Millennio e brani melodici come Indivisibili, Atomi e l'onirica Selezione Naturale. Il grunge non viene comunque completamente abbandonato anche se l'unico brano che ancora resta ancorato al suono di Seattle è l'ottima Atomi. Di grande impatto sono anche le strumentali Kali Yuga e Amazzonia, i due pezzi in cui i suoni etnici si fanno più forti, e la lunga e variegata jam Astronotus che unisce il suono delle chitarre a quelli tribali.

Dopo questo secondo album i Karma si allontanarono dalle scene e ufficialmente non pubblicarono altri album. Tuttavia nel 2007, a ben 11 anni di distanza da Astronotus, Moretti e Viti diedero vita a un duo chiamato Juan Mordecai che vide tra i propri musicisti di supporto gli ex Karma Bacchini, Besozzi e Pacho. Il primo e unico album degli Juan Mordecai, che a differenza dei Karma cantano in inglese, si intitola Songs of Flesh and Blood e pur restando nelle sonorità psichedeliche presenta una varietà musicale impressionante. Il disco parte con la graffiante Prodigal Son dalle atmosfere che tendono al punk e prosegue con la lenta The Flesh Song che è il brano più psichedelico dell'intero album. Tra i brani migliori si trovano anche Someone Better, di chiara ispirazione stoner rock, 3 Little Lusts ispirata invece al folk rock americano, e Black Clouds con le sue atmosfere country seppure più buie e cupe di quelle consuete dei cantanti statunitensi del genere. Non manca in questo disco un tocco di grunge con la stupenda Skin & Bones che ne propone una versione un po' più psichedelica rispetto alle sonorità dei Karma. In due degli undici pezzi la voce solista è affidata a Viti anziché a Moretti: I Saw You e Demon Lover, entrambe molto lente e d'atmosfera.

Il finora unico album degli Juan Mordecai è un assoluto capolavoro per qualità e varietà e questa esperienza aprì le porte alla reunion dei Karma nel 2010, ma la band tornò insieme solo da vivo per un tour e non registrò materiale inedito.

E' un vero peccato che Moretti e la sua band abbiano prodotto solo tre album perché sono indiscutibilmente tra i migliori musicisti della nostra penisola. Del resto oggi David Moretti è Deputy Creative Director di Wired ed è molto improbabile che torni a scrivere e registrare. Ma è comunque grazie a lui e al suo gruppo che il nostro paese può vantare queste poche ma ottime perle di rock.

giovedì 25 giugno 2015

La morte di Jim Morrison

James Douglas Morrison, universalmente noto come Jim, morì a 27 anni a Parigi la mattina del 3 luglio del 1971. L'unico testimone delle ultime ore di vita del cantante è la compagna dell'ultimo periodo della sua vita, Pamela Courson che al tempo aveva 24 anni, cui con abitava nell'appartamento affittato dalla ragazza al quarto piano del numero 17 di rue Beautreillis. La sera del 2 luglio i due erano usciti per andare al cinema dove videro Pursued (che in italiano si intitola Notte senza fine) con Robert Mitchum; dopo il cinema si fermarono per la cena in un ristorante cinese su rue Saint-Antoine e all'una tornarono a casa.

Jim si sedette davanti a un blocco per appunti sperando che gli venisse un'ispirazione per scrivere qualche poesia mentre beveva whisky direttamente dalla bottiglia e mentre Pamela tagliava strisce di eroina su uno specchio usando una carta di credito. Morrison odiava l'eroina e rimproverava a Pamela la sua dipendenza da questa sostanza, ma quella notte trasgredì al suo stesso principio; forse sistemandola in strisce la ragazza riuscì a fargli credere che si trattasse di cocaina. Jim non riusciva a scrivere nulla e i due iniziarono a tirare l'eroina insieme usando delle banconote arrotolate. Per un po' guardarono alcuni filmini in Super-8 delle loro vacanze passate, mentre ascoltavano in sottofondo vecchie canzoni dei Doors. Jim era irrequieto e nonostante fosse piena notte aprì la porta di casa e uscì sul pianerottolo a schiamazzare finché Pamela non lo riportò all'interno dell'appartamento.

Andarono a dormire intorno alle tre, dopo un'altra striscia di eroina. Un'ora dopo Pamela si svegliò disturbata dai lamenti di Jim che sembrava stesse soffocando e annegando nella sua stessa saliva. Non era la prima volta che questo accadeva e la ragazza provò a svegliarlo, lo prese anche a sberle e dovette farlo più e più volte e con molta forza prima che lui rinvenisse. Jim decise quindi di farsi un bagno caldo e dopo che il cantante si stese nella vasca la ragazza tornò a dormire. Poco dopo Pamela fu svegliata di nuovo: Jim stava vomitando. La ragazza si precipitò in bagno e lo trovò che rimetteva grumi di sangue e pezzi di ananas, corse quindi in cucina a prendere una casseruola che gli portò affinché potesse vomitarci dentro anziché sporcare l'acqua della vasca. La donna quindi gettò il vomito nel lavandino e lavò la casseruola, compì questa operazione per tre volte. Intorno alle cinque Jim disse che si sentiva meglio, ma restò nella vasca mentre Pamela tornò a letto.

Circa un'ora dopo Pamela si svegliò di nuovo e notò che Jim non era tornato nel letto con lei. Corse in bagno e lo trovò ancora nella vasca in stato di incoscienza; provò a svegliarlo ma senza alcun risultato. In preda al panico e cosciente del fatto che il suo francese non era sufficiente a chiamare un'ambulanza, Pamela chiamò l'amico di Jim Alain Ronay a cui chiese, tra i singhiozzi e a voce bassa, di chiamare un'ambulanza per lei. Alain e la sua compagna Agnes Varda chiamarono quindi i vigili del fuoco che arrivarono in pochi minuti, guidati dal colonnello Alain Raisson (la cui testimonianza è stata raccolta sia dal documentario francese Gli ultimi giorni di Jim Morrison sia da Final 24: Jim Morrison), e lo trovarono immerso nell'acqua tinta di rosa dal sangue e ancora calda. I pompieri lo estrassero dalla vasca e lo stesero sul pavimento della camera da letto seguendo le indicazioni di Pamela. Raisson gli praticò un massaggio cardiaco, ma capì subito che Jim era deceduto. I due pompieri allora sollevarono il cadavere per deporlo sul letto.

Già fin qui alcune cose non sono chiare. Come abbiamo già detto secondo tutte le fonti Pamela si svegliò alle 6 e trovò Morrison in stato di incoscienza. Ciò nonostante la telefonata ai pompieri, come riferito dallo stesso Raisson, arrivò solo alle 9:20 e i pompieri arrivarono in quattro minuti. A questo punto si apre anche il quesito di a che ora Pamela abbia telefonato a Ronay, secondo il biografo Stephen Davis, autore del volume Jim Morrison: Life, Death, Legend, questa telefonata avvenne alle 7:30. Ci sono quindi due voragini temporali impossibili da spiegare.

Comunque, poco dopo l'intervento dei pompieri arrivarono anche Alain Ronay e Agnes Varda e dopo di loro, alle 9:45, arrivò anche l'ispettore di polizia Jacques Manchez che raccolse la deposizione di Pamela. Tutti e tre i presenti dichiararono alla polizia che il morto si chiamava Douglas James Morrison in modo che non venisse identificato e che non si destasse clamore e siccome neanche i pompieri lo avevano riconosciuto ancora nessuno al di fuori dei tre amici di Jim sapeva che un noto cantante rock era morto nella vasca. Poco dopo arrivò anche il medico legale che, anche grazie al lavoro di Ronay che tradusse per lui le risposte di Pamela, stabilì in pochi minuti che si era trattato di un decesso per cause naturali e lasciò loro un modulo compilato da portare all'anagrafe per ottenere il certificato di morte. Ma quello stesso pomeriggio l'ufficio dell'anagrafe rifiutò di emettere il certificato ritenendo non sufficienti le frettolose spiegazioni del medico legale.

Fu inviata una nuova squadra di polizia, questa volta guidata dall'ispettore Berry il quale sospettava che Morrison fosse morto di overdose. L'uomo interrogò Ronay e Pamela a lungo e riprese vigorosamente la ragazza per aver abbandonato Jim nella vasca per tre volte per lavare la casseruola in cui aveva vomitato. I due ammisero che Morrison aveva consumato alcol, ma tacquero riguardo alle droghe che nel frattempo avevano fatto sparire dalla casa. Berry ordinò un nuovo controllo da parte di un altro medico e il dottor Max Vassille arrivò alle 18 per constatare, di nuovo in pochi minuti, che si era trattato di arresto cardiaco per cause naturali e convinse Berry a non insistere. Il corpo rimase steso nel letto fino al 5 luglio e per due notti Pamela dormì accanto al cadavere di Jim.

Un racconto leggermente diverso su come sono andati i fatti fu raccolto da alcuni amici di Jean de Breteuil, nobile francese discendente da una famiglia di marchesi e noto spacciatore da cui si riforniva abitualmente proprio la Courson, pochi giorni dopo in Marocco. Jean raccontò che quando Pamela si svegliò alle 6 del 3 luglio trovò la porta del bagno chiusa a chiave dall'interno. La ragazza chiamò Jim e bussò con forza, ma non ottenne risposta. Alle sei e trenta Pamela chiamò quindi proprio Jean il quale si trovava a letto con la ben nota Marianne Faithfull a cui disse di dover andare via perché aveva ricevuto la telefonata di Pamela. Arrivò da lei in circa mezz'ora, ruppe il vetro della porta del bagno e finalmente i due poterono entrare e furono i primi a vedere il cadavere di Jim Morrison.

Lo trovarono senza vita mentre dal naso e dalla bocca perdeva ancora sangue e con due lividi violacei sul petto. Pamela iniziò a urlare, entrò nella vasca e prese a sberle Jim nella speranza di risvegliarlo, fin quando Jean la prelevò di forza e la portò fuori dal bagno, quindi le disse che a breve sarebbe partito per il Marocco e di chiamare Alain.

Il racconto di Jean è poco realistico per una serie di motivi. Anzitutto come si vede dal fotogramma accanto tratto da Gli ultimi giorni di Jim Morrison (che mostra le vere stanze dell'appartamento in cui è morto il cantante, al contrario di Final 24 che mostra invece una ricostruzione grossolanamente sbagliata) e considerando che, come specificato da Raisson, Morrison era steso con la testa dalla parte opposta della vasca rispetto alla porta, per chiudere a chiave Jim avrebbe dovuto alzarsi, camminare per alcuni metri fuori o dentro la vasca, girare la chiave e tornare a stendersi nella vasca. E' uno scenario poco realistico per un uomo che si sente male e che non riesce a tornare a letto. In secondo luogo pensare che Pamela da sola non fosse in grado di sfondare il vetro è semplicemente ridicolo, si trattava probabilmente di un vetro singolo che avrebbe potuto rompere a mani nude o con qualunque utensile casalingo. In ultimo Raisson nel suo racconto non menziona mai la presenza di vetri rotti a terra e se ci fossero stati sarebbero stati un dettaglio degno di menzione. Potremmo anche aggiungere che dalle immagini del documentario francese la porta in questione non ha alcun vetro, ma ovviamente negli anni le porte potrebbero essere state sostituite e quindi si tratta di una considerazione molto debole.

Secondo una ricostruzione ancora diversa Jim sarebbe invece morto intorno alle 3 di notte del 3 luglio al night club Rock'n'Roll Circus che frequentava abitualmente. Jim si sarebbe chiuso in bagno e sarebbe morto di overdose da eroina iniettata in vena nel bagno del locale e poi sarebbe stato trascinato fuori attraverso un altro locale, l'Alcazar che è collegato al Circus da un tunnel, e portato a casa dove è stato deposto nella vasca da bagno. Questa versione è sostenuta dall'ex proprietario del Circus Sam Bernett (che però ammette di non aver visto Jim e che la vicenda gli è stata raccontata) e da alcuni avventori del locale presenti quella sera. A parte l'evidente assurdità di portare fuori un cadavere da un locale gremito e trasportarlo per tre chilometri da rue Mazarine (dove si trova l'Alcazar, il Circus invece dava su rue de Seine) a rue Beautreillis senza essere visti da nessuno, se Jim avesse avuto buchi nelle braccia questi sarebbero stati notati da entrambi i medici legali e anche dai pompieri che invece non hanno ravvisato nulla di strano. Inoltre non si capisce perché Pamela avrebbe dovuto prestarsi a una simile sceneggiata. La cosa più probabile è che gli avventori del bar abbiano scambiato un altro cliente per Jim Morrison.

Nel 2014 è emersa ancora un'altra teoria sostenuta proprio da Marianne Faithfull che è in contraddizione con tutte le precedenti. Sostenne la Faithfull in un'intervista alla rivista musicale Mojo che la sera del 2 luglio Jean si recò a casa della Courson per consegnare a Morrison una dose di eroina che si rivelò fatale, il cantante morì poi nella vasca dove è stato trovato. Sebbene questa teoria sia meno folle delle altre e non prevede improbabili trasporti di cadaveri, siamo restii a prenderla per buona perché la fonte è assolutamente inattendibile. La Faithfull nella sua autobiografia uscita nel 1994 e intitolata Faithfull sostenne la prima versione secondo cui Jean andò a casa di Pamela dopo la telefonata di questa e non giustifica questo suo disinvolto cambio di versione né in base a cosa ritiene di aver individuato la causa della morte di Morrison. In ultimo di nuovo non si capisce perché Pamela avrebbe dovuto mentire e scagionare Jean.

Altre teorie sulla morte di Morrison vogliono che abbia finto la propria morte e che sia ancora vivo. Altre dicono invece che sia davvero morto e che il suo fantasma appaia magicamente nelle foto scattate sulla sua tomba. Ma si tratta di sciocchezze talmente risibili da non meritare alcuna trattazione.

Sebbene il quadro generale sia chiaro e delineato è innegabile che qualche mistero nella morte di Jim Morrison resti. Purtroppo Jean de Breteuil morì lo stesso anno a Tangeri e nel 1974 a 27 anni anche Pamela Courson morì nella sua casa di Los Angeles per overdose. I misteri sulla morte della storica voce dei Doors resteranno per sempre tali.

giovedì 14 maggio 2015

Le ultime 24 ore di Jimi Hendrix

Jimi Hendrix è un'icona mondiale della musica e la leggenda incontrastata del rock psichedelico: e su questo non ci sono dubbi. Ma al contrario sulle ultime ore della sua vita di dubbi ce ne sono parecchi e quanto accadde è ancora oggi, a 45 anni di distanza, oggetto di racconti contrastanti molto fumosi

Hendrix morì il 18 settembre del 1970 in un appartamento del Samarkand Hotel, al numero 22 di Lansdowne Crescent nel quartiere londinese di Notting Hill, preso in affitto dalla pattinatrice tedesca Monika Dannemann, la donna che Hendrix frequentava durante l'ultimo periodo della sua vita.

Intorno alle 15 del giorno precedente i due uscirono insieme dall'appartamento di Monika perché avevano necessità di prelevare dei soldi in banca. Quindi proseguirono verso il quartiere di Kennington dove Jimi acquistò una giacca di pelle e ordinò un paio di scarpe con delle decorazioni particolari fatte apposta per lui. Lì incontrò anche la sua ex ragazza Kathy Etchingham che Jimi invitò ad andare a trovarlo intorno alle 20 di quella sera, ma la ragazza declinò. Quindi la coppia si spostò al mercato di Chelsea dove il cantante comprò altri vestiti e della carta da lettere che avrebbe usato per scrivere i testi di alcune canzoni nuove. Ripresero quindi l'automobile per spostarsi al Cumberland Hotel dove Hendrix aveva una suite. Durante il tragitto incontrarono Devon Wilson, altra fiamma di Jimi che pochi giorni prima aveva manifestato al cantate la sua gelosia per il fatto che questi frequentasse altre donne, che camminava lungo King's Road; il cantante chiese a Monika di fermare l'auto per potersi fermare a parlare con Devon. Monika acconsentì riluttante mostrandosi gelosa e durante la breve conversazione lanciò alcune occhiate rabbiose a Devon. Quest'ultima invitò Jimi a una festa a casa di Pete Cameron, socio in affari di Hendrix, per quella sera.

Poco dopo, mentre l'auto di Monika e Jimi si dirigeva al Cumberland Hotel fu affiancata nella zona di Marble Arch dalla Mustang di Phillip Harvey, figlio di un Lord del Parlamento inglese, che si trovava in compagnia di due amiche. Philipp lo invitò a casa sua per un the, Jimi accettò dicendo che prima doveva passare dall'albergo per ritirare alcuni messaggi.

Nella suite Hendrix fece e ricevette numerose telefonate. Quindi dopo la sosta in albergo, verso le 17:30, Jimi e Monika andarono all'appartamento di Harvey trovandolo ancora insieme alle due amiche che erano precedentemente in auto con lui; tutti e cinque fumarono hashish e bevvero thè e vino. Intorno alle 22 Monika, ingelosita dalle attenzioni di Jimi per le due ragazze e sentendosi esclusa dalla conversazione, uscì bruscamente dall'appartamento e il cantante la rincorse per le scale. L'alterco tra i due fu molto animato e durò circa mezz'ora durante la quale Harvey si vide costretto a chiedere a entrambi di calmarsi per non attirare l'attenzione del resto del condominio. Harvey dichiarò in seguito che Monika attaccò verbalmente Jimi con molta violenza e che lui stesso temette per l'incolumità del cantante.

Poco dopo i due tornarono all'appartamento di Monika, dove consumarono una cena preparata dalla ragazza e bevvero un'altra bottiglia di vino. Poi, verso le 1:45 Monika accompagnò Jimi alla festa a cui lo aveva invitato Devon, festa alla quale Monika non era stata invitata. Alla festa Jimi discusse animatamente con Pete, il padrone di casa, riguardo ad alcuni problemi economici e assunse almeno una pasticca di anfetamine.

Mezz'ora dopo averlo lasciato, Monika (insieme ad Hendrix nell'immagine a fianco) tornò dove si stava tenendo la festa e suonò al citofono chiedendo di Jimi. Le rispose una delle ospiti, Stella Douglas, che le disse di tornare più tardi; quando Monika tornò 15 minuti dopo Stella le rispose nuovamente in malomodo chiedendole di andarsene. Alla festa era presente anche Angie Burdon, ex moglie del cantante degli Animals Eric Burdon, la quale ricorda che Jimi si lamentava del fatto che Monika non lo lasciasse in pace, alcuni ospiti a quel punto si sporsero dalla finestra per urlarle di andarsene e lasciare che il cantante si divertisse con loro. Ma viste le insistenze di Monika, Jimi uscì a parlarle e poco dopo, intorno alle 3, lasciò la festa per andare via con lei.

Jimi tornò con Monika al Samarkand; il motivò per cui non rientrò al Cumberland è forse nel fatto che una delle sue chitarre era rimasta nella suite della ragazza.

L'unico testimone delle ultime ore di vita di Hendrix è ovviamente Monika Dannemann e da qui in avanti il suo racconto è molto confuso e la donna ha cambiato versione varie volte negli anni.

Dal momento in cui tornarono all'appartamento di Monika, la ragazza preparò due sandwich al tonno di cui Hendrix mangiò solo un boccone, poi intorno alle 4 Jimi le chiese della pastiglie per dormire, forse per via delle anfetamine assunte in precedenza che non lo lasciavano prendere sonno, ma la donna lo convinse a desistere nella speranza che si addormentasse naturalmente. Verso le 6 proprio Monika assunse dei sonniferi e intorno alle 7 entrambi si addormentarono.

Secondo la prima dichiarazione della Dannemann, raccolta dalla polizia nel pomeriggio del 18 settembre, dopo essersi addormentata con in cantante Monika si svegliò alle 11 trovandolo con il volto coperto di vomito che respirava a fatica. La ragazza chiamò l'ambulanza e un attimo dopo notò che dalle sue confezioni mancavano 9 pastiglie di sonnifero.

Quando fu intervistata dagli inquirenti Monika cambiò versione. Disse di essersi svegliata intorno alle 10:20 e di aver trovato Hendrix che dormiva normalmente. Quindi uscì a comprare le sigarette a Portobello Road e al suo ritorno trovò il cantante in stato di incoscienza che non rispondeva ai suoi richiami, Monika provò ripetutamente a svegliarlo e il volto di Jimi si riempì di vomito. A quel punto la donna chiamò l'ambulanza.

L'anno seguente Monika cambiò nuovamente versione, scrisse infatti nel suo testo mai pubblicato With a Little Help From Jimi's Spirit di essersi svegliata alle 10.

Ma le contraddizioni nella versione di Monika non finiscono qui: Eric Burdon raccontò di aver ricevuto una telefonata dalla ragazza alle prime luci dell'alba che gli chiedeva il numero telefonico del medico di Hendrix. Inoltre prima di chiamare l'ambulanza la ragazza telefonò anche a due amiche, Judy Wong e Alvinia Bridges, per far loro la stessa domanda. Monika non menzionò mai nessuna di queste tre telefonate nelle interviste con gli inquirenti.

L'unica cosa certa è che Monika chiamò l'ambulanza alle 11:18 e che questa arrivò alle 11:27. Ciò che successe dopo è ancora una volta poco chiaro. Monika raccontò in ogni occasione di essere stata sull'ambulanza con Hendrix e di averlo accompagnato all'ospedale. Ma i paramedici raccontarono invece agli inquirenti che quando arrivarono nell'appartamento non trovarono nessuno oltre a Hendrix inconscio e che Monika non li seguì all'ospedale. La circostanza fu chiarita definitivamente nel 1992 dal London Ambulance Service in un comunicato ufficiale seguito a un'indagine approfondita.

I paramedici lo trovarono a letto con il volto coperto di vomito. Alle 11:30 arrivò anche la polizia, chiamata dai paramedici, e alle 11:35 l'ambulanza lasciò il Samarkand per portare Hendrix al St Mary Abbot's Hospital dove arrivò alle 11:45 già morto. I medici tentarono di rianimarlo, senza successo, per oltre mezz'ora.

Poco dopo il decesso, un portavoce dell'ospedale dichiarò alla stampa che la causa della morte fosse overdose e la notizia si sparse sui giornali. Al contrario alcuni giorni dopo il coroner, Gavin Thurston, chiarì che la causa della morte fu il soffocamento perché le vie respiratorie di Hendrix erano occluse del suo stesso vomito causato da un'intossicazione da barbiturici. Monika dichiarò che Hendrix aveva assunto a sua insaputa 9 pastiglie per dormire, mentre la dose normale era di mezza pastiglia.

Nel 1992 Kathy Etchingham (insieme ad Hendrix nell'immagine sopra) condusse un'indagine privata sulla morte di Hendrix che la portò alla conclusione che il cantante sarebbe morto nelle prime ore del mattino, e non intorno alle 11, pertanto e che quindi Monika avrebbe atteso molte ore prima di chiamare l'ambulanza. Sulla base di quanto evidenziato da Kathy, Scotland Yard riaprì il caso ma l'indagine non portò a nulla e dopo alcuni mesi fu richiusa anche perché a distanza di oltre vent'anni non sarebbe stata di alcuna utilità

Nel 1996 Monika Dannemann dopo aver perso una causa per diffamazione intentata verso di lei dalla Etchingham si suicidò con il gas di scarico della sua Mercedes portandosi così via per sempre gli ultimi segreti sulla morte di Hendrix.

Nel 2009 il medico che ricevette Hendrix all'ospedale, l'australiano John Bannister, sostenne che la quantità di vino presente nello stomaco e nei polmoni di Hendrix era tale far credere che gli sia stata fatta ingerire con la forza e che quindi è plausibile ritenere che Hendrix sia stato ucciso. Nello stesso anno il tecnico del suono James Wright, che aveva lavorato sia con Hendrix che con gli Animals, pubblicò un libro in cui asserì che il manager di Jimi, Mike Jeffery, gli avrebbe confessato di aver volontariamente ucciso in cantante proprio secondo le modalità descritte da Bannister al fine di incassare i soldi dell'assicurazione. Jeffery non poté smentire perché era morto nel 1973, ma Bob Levine, manager di Jimi per gli Stati Uniti, smentì quanto asserito da Wright sostenendo che si sia trattata solo di una trovata commerciale per vendere il libro.

Oltre alle smentite di Levine, anche il buon senso suggerisce che le cose non sono andate come sostanuto da Bannister e Wright. Anzitutto va notato che Bannister non è da ritenersi una fonte attendibile in quanto nel 1992 è stato radiato dall'ordine dei medici Australiani per condotta fraudolenta: non un buon curriculum per chi vuole essere testimone chiave di un omicidio. Inoltre Bannister trattò Hendrix al Pronto Soccorso, ma una quantità di vino ingerita sospetta avrebbe dovuto essere rilevata dal medico legale, che invece non ravvisò alcuna stranezza. Inoltre come metodo di omicidio il soffocamento con il vomito ci sembra un po' bizzarro: come avrebbero potuto gli aspiranti assassini prevedere che il vomito gli avrebbe occluso le vie respiratorie?

Le stranezze nella versione di Bannister e Wright non finiscono qui.

Hendrix era giovane e in salute e se avesse subito un tentativo di omicidio avrebbe quantomeno tentato una difesa, ma nei rapporti medici non sono menzionati segni di colluttazione.

Inoltre se Monika fossa stata parte di un complotto per eliminare Hendrix, e non è possibile immaginare una cospirazione in questo senso che non includa Monika, la ragazza avrebbe dovuto spingere Hendrix a passare la notte al Cumberland da cui avrebbe potuto fuggire senza il fardello di doversi liberare del cadavere. In ultimo la motivazione che avrebbe spinto il manager è veramente risibile: Hendrix gli sarebbe stato molto più utile e remunerativo da vivo, con la possibilità di fare dischi e concerti, che non da morto.

Con questo non vogliamo dire che non ci siano misteri in questa storia ma come in ogni morte illustre anche in questo caso le teorie del complotto appaiono fantasiose e poco fondate. Ancora non si spiega comunque perché Monika abbia cambiato versione così tante volte, ma purtroppo con la morte della donna questi misteri resteranno per sempre con lei nella tomba. Forse semplicemente aveva scarsa memoria, offuscata ancora di più dalle droghe e dallo shock.

Oltre agli articoli menzionati sopra, le fonti che abbiamo utilizzato sono i libri Jimi Hendrix: The Final Days di Tony Brown, Cross, Room Full of Mirrors: A Biography of Jimi Hendrix di Charles R. Cross e Jimi Hendrix: The Ultimate Experience di Johnny Black e il documentario Jimi Hendrix: The Last 24 Hours