Visualizzazione post con etichetta country. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta country. Mostra tutti i post
martedì 9 novembre 2021
Jerry Cantrell - Brighten
Nel 2021 il chitarrista e voce principale degli Alice in Chains (dalla scomparsa di Layne Staley) Jerry Cantrell ha realizzato il proprio terzo album solista a diciannove anni di distanza dal precedente Degradation Trip Volumes, a cui è seguita la reunion della band e la contestuale interruzione della carriera solista di Cantrell. Il nuovo album si intitola Brighten ed è composto da nove pezzi dalle sonorità sorprendenti, perché Cantrell si allontana dal grunge per approdare a una mescolanza di country, blues e southern rock ricchi di contaminazioni di alternative rock.
Il disco parte con Atone che, insieme a Had to Know, è l'unica che mantiene qualche legame con il passato. Per il resto l'album vede una preponderanza di ballad e di pezzi melodici tra cui spiccano Prism of Doubt e Black Hearts and Evil Done che sono i due brani in cui l'impronta country è più netta, in particolare il secondo dei due brani è impreziosito da un coro di voci femminili sull'ultimo ritornello. Tra i brani migliori, oltre alla già citata Atone, troviamo anche il midtempo dalla venature alternative rock Dismembered e la speranzosa e ottimista title track di cui è stato anche realizzato un video. Chiude il disco una cover di Goodbye di Elton John del 1971 dall'album Madman Across the Water; non si tratta della prima collaborazione tra Elton John e Cantrell perché gli Alice in Chains avevano collaborato con il leggendario musicista britannico già nella title track di Black Gives Way to Blue in cui Elton John suonava il piano.
Il nuovo album di Jerry Cantrell è ottimo sotto tutti i punti di vista con un misto di pezzi orecchiabili che non rinunciano alle atmosfere grezze e dirette degli inizi. In realtà l'unico difetto di questo album è che è troppo corto, perché le nove tracce volano via in un baleno e lasciano la voglia di ascoltarne altre. Questi nove brani sono altrettante gemme con cui Jerry Cantrell si conferma uno dei migliori e più iconici musicisti della sua generazione, non resta quindi che aspettare che il seguito di Rainier Fog degli Alice in Chains del 2018 non si faccia attendere troppo a lungo.
lunedì 28 giugno 2021
Miranda Lambert, Jack Ingram e Jon Randall - The Marfa Tapes
Nato dalla collaborazione di tre dei più importanti esponenti del country contemporaneo, The Marfa Tapes è il nuovo album di Miranda Lambert, Jack Ingram e Jon Randall che prende il nome dalla città di Marfa, in Texas, dove è stato registrato. Come suggerisce la copertina stessa, il disco è lontanissimo dalle produzioni in studio dei tre perché è realizzato con solo voci e chitarre e registrato completamente in acustico. Il suono è grezzo e basilare, come se i tre si fossero ritrovati per caso attorno a un falò nel deserto per cantare qualche canzone nel silenzio della natura, al punto che al termine delle canzoni spesso si sente la voce dei tre vocalist che commentano il pezzo tra di loro.
Il pattern delle canzoni prevede che uno dei tre a turno esegua le voci principali, con gli altri due a eseguire i cori. I tre vocalist si dividono equamente canzoni e strofe, anche se è innegabile che la parte della regina e leader di questo terzetto spetti a Miranda Lambert che esegue la voce principale del singolo In His Arms e di cui nel disco sono presenti due autocover scritte proprio insieme a Jack Ingram and Jon Randall: Tin Man, tratta dall'album The Weight of These Wings del 2016 che canta da sola accompagnandosi con la chitarra, e Tequila Does da Wildcard del 2019.
Miranda inoltre adatta molto la sua voce a questo nuovo contesto, rinunciando allo stile pop con cui mischia il country nei suoi dischi solisti per risalire alle origini di questo stile. A lei si affiancano Ingram, con lo stile aspro che lo contraddistingue, e Randall con la sua tipica voce bassa e patinata.
Lo scopo dell'album sembra essere quello di liberare il country dalle contaminazioni di rock, pop e alle volte anche rap con cui attualmente è sempre più mischiato, per riportarlo alle sue atmosfere originali. Ed effettivamente in questo contesto il disco funziona benissimo, perché si lascia ascoltare con piacere proprio per l'atmosfera intima e raccolta che crea, mostrando per la prima volta in decenni la vera essenza di un genere che in Italia è purtroppo completamente ignorato.
domenica 26 agosto 2018
Kenny Chesney - Songs For The Saints
Meno di due anni dopo il precedente Cosmic Hallelujah torna Kenny Chesney con un nuovo album intitolato Songs For The Saints composto da undici pezzi che ripropongono lo stile tradizionale del cantante del Tennessee con una buona commistione di rock e country. E nonostante i testi del disco siano ispirati all'uragano Irma (che ha colpito i Caraibi e la costa atlantica degli USA nel 2017) le musiche non rinunciano alle atmosfere allegre e positive tipiche dei suoi album precedenti.
Come è ovvio tutti gli undici pezzi sono basati sul suono della chitarra acustica suonata dallo stesso Chesney e dalla sua voce profonda e potente. L'album offre un buon equilibrio tra pezzi melodici e quelli più energici inoltre, grazie anche alla presenza di ospiti di gran livello, spazia tra vari generi musicali non fermandosi al country ma allargandosi anche alla musica caraibica, come nella ballad Island Rain e in Love for Love City che tende fortemente verso il reggae grazie alla presenza di Ziggy Marley che in questo pezzo, molto più che in altre occasioni, imita il padre anche nel canto.
Chesney duetta anche con Jimmy Buffet in uno dei pezzi più emblematici del disco intitolato Trying to Reason With Hurricane Season e con la cantante newyorkese Mandy Smith nella ballad di chiusura Better Boat. Tra i pezzi migliori dell'album troviamo anche la title track che si apre con ritmi sommessi da midtempo per poi guadagnare forza ed energia sul secondo ritornello, e anche la bellissima Get Along, il pezzo più gioioso di tutto il disco grazie al potente coro che si affianca a Chesney sul ritornello. Spicca anche l'onirica Ends of the World che tende verso sonorità new age, anche qui troviamo un coro che si unisce al canto di Chesney sul ritornello, ma in questo caso vista la diversa natura del pezzo è molto meditativo e sommesso.
Con Songs For The Saints Kenny Chensey è al suo diciottesimo album a ventiquattro anni di distanza dal suo esordio discografico e in oltre due decadi il cantante di Knoxville non ha mai sbagliato un disco producendo sempre musica di altissimo livello. Questo nuovo LP si posiziona senza dubbio tra le migliori opere di Kenny Chesney ed è veramente inspiegabile come questo cantante sia pressoché sconosciuto in Italia, considerando che altri musicisti dal genere simile, come ad esempio Kid Rock, godono di buona notorietà. Possiamo solo sperare che Songs For The Saints serva a far conoscere questo straordinario cantante anche dalle nostre parti, visto che la qualità è tanta e meriterebbe un posto in classifica anche da noi.
Come è ovvio tutti gli undici pezzi sono basati sul suono della chitarra acustica suonata dallo stesso Chesney e dalla sua voce profonda e potente. L'album offre un buon equilibrio tra pezzi melodici e quelli più energici inoltre, grazie anche alla presenza di ospiti di gran livello, spazia tra vari generi musicali non fermandosi al country ma allargandosi anche alla musica caraibica, come nella ballad Island Rain e in Love for Love City che tende fortemente verso il reggae grazie alla presenza di Ziggy Marley che in questo pezzo, molto più che in altre occasioni, imita il padre anche nel canto.
Chesney duetta anche con Jimmy Buffet in uno dei pezzi più emblematici del disco intitolato Trying to Reason With Hurricane Season e con la cantante newyorkese Mandy Smith nella ballad di chiusura Better Boat. Tra i pezzi migliori dell'album troviamo anche la title track che si apre con ritmi sommessi da midtempo per poi guadagnare forza ed energia sul secondo ritornello, e anche la bellissima Get Along, il pezzo più gioioso di tutto il disco grazie al potente coro che si affianca a Chesney sul ritornello. Spicca anche l'onirica Ends of the World che tende verso sonorità new age, anche qui troviamo un coro che si unisce al canto di Chesney sul ritornello, ma in questo caso vista la diversa natura del pezzo è molto meditativo e sommesso.
Con Songs For The Saints Kenny Chensey è al suo diciottesimo album a ventiquattro anni di distanza dal suo esordio discografico e in oltre due decadi il cantante di Knoxville non ha mai sbagliato un disco producendo sempre musica di altissimo livello. Questo nuovo LP si posiziona senza dubbio tra le migliori opere di Kenny Chesney ed è veramente inspiegabile come questo cantante sia pressoché sconosciuto in Italia, considerando che altri musicisti dal genere simile, come ad esempio Kid Rock, godono di buona notorietà. Possiamo solo sperare che Songs For The Saints serva a far conoscere questo straordinario cantante anche dalle nostre parti, visto che la qualità è tanta e meriterebbe un posto in classifica anche da noi.
martedì 29 agosto 2017
George Thorogood - Party Of One
A 67 anni e a quattro decadi dall'esordio, George Thorogood ha realizzato il suo primo album solista, senza i Destroyers che lo accompagnano dal 1977. Chi si aspetta un album nello stille dei Destroyers suonato da musicisti diversi rimarrà piacevolmente sorpreso: il disco è infatti completamente diverso dalle aspettative, con la strumentazione ridotta all'osso e il solo Thorogood che suona. I pezzi sono tutti realizzati con voce e chitarra e solo in uno è presente anche l'armonica, anch'essa suonata da Thorogood.
Come nella sua migliore tradizione il blues rocker del Delaware decide di realizzare un disco di cover attingendo da repertorio di alcuni mostri sacri del blues, del country e del rock and roll come Robert Johnson, John Lee Hooker, Willie Dixon, Johnny Cash, Rolling Stones e molti altri.
Grazie alla strumentazione essenziale Throgood rimane fedele ai modelli originali e registra un album che omaggia le origini degli stili musicali che lo hanno reso celebre e che lui ha contribuito a diffondere. Uno dei pregi di questo album è infatti proprio quello che i pezzi sembrano vecchi anche all'ascolto; questo non suona come un album di cover realizzato nel 2017, ma come un disco preso di peso dai primi decenni del secolo scorso e teletrasportato ai giorni nostri.
Nonostante lo stile minimalista, Thorogood riesce a esprimersi in stili canori e musicali molto diversi. Si passa da pezzi più aggressivi come I'm a Steady Rollin' Man di Robert Johnson e Boogie Chillen di John Lee Hooker a brani più melodici come Soft Spot di Gary Nicholson e Allen Shamblin e No Expectations dei Rolling Stones fino a pezzi tipicamente country come Bad News di Johnny Cash e Pictures From Life's Other Side di Hank Williams. Tra i pezzi degni di nota troviamo anche The Sky is Crying di Elmore James che Thorogood aveva già inciso con la band nell'album Move It Over del 1978.
In chiusura dell'album troviamo una registrazione live di One Bourbon, One Scotch, One Beer di John Lee Hooker registrata da Thorogood con i Destroyers nel 1999 e (solo nella versione in CD) Dynaflow Blues di Robert Johnson che pure aveva inciso con il gruppo nell'album The Hard Stuff del 2006.
Con Party Of One George Thorogood si conferma uno degli artisti più meritevoli della nostra epoca, capace di realizzare un disco di cover e di omaggi al passato armato solo di chitarra e armonica. Oltre ad essere un grandissimo musicista si dimostra anche per l'ennesima volta un grande conoscitore della storia della musica moderna e della sua evoluzione, dal blues del delta del Mississippi fino al rock contemporaneo. In ogni disco di George Thorogood possiamo trovare il perfetto connubio tra la musica e la sua storia ed è un vero peccato che nel nostro paese Thorogood sia conosciuto solo per Bad To The Bone; resta almeno la speranza che Party Of One allarghi il pubblico degli ascoltatori di questo straordinario musicista e che partendo da qui venga riscoperta anche la lunga discografia dei Destroyers.
Come nella sua migliore tradizione il blues rocker del Delaware decide di realizzare un disco di cover attingendo da repertorio di alcuni mostri sacri del blues, del country e del rock and roll come Robert Johnson, John Lee Hooker, Willie Dixon, Johnny Cash, Rolling Stones e molti altri.
Grazie alla strumentazione essenziale Throgood rimane fedele ai modelli originali e registra un album che omaggia le origini degli stili musicali che lo hanno reso celebre e che lui ha contribuito a diffondere. Uno dei pregi di questo album è infatti proprio quello che i pezzi sembrano vecchi anche all'ascolto; questo non suona come un album di cover realizzato nel 2017, ma come un disco preso di peso dai primi decenni del secolo scorso e teletrasportato ai giorni nostri.
Nonostante lo stile minimalista, Thorogood riesce a esprimersi in stili canori e musicali molto diversi. Si passa da pezzi più aggressivi come I'm a Steady Rollin' Man di Robert Johnson e Boogie Chillen di John Lee Hooker a brani più melodici come Soft Spot di Gary Nicholson e Allen Shamblin e No Expectations dei Rolling Stones fino a pezzi tipicamente country come Bad News di Johnny Cash e Pictures From Life's Other Side di Hank Williams. Tra i pezzi degni di nota troviamo anche The Sky is Crying di Elmore James che Thorogood aveva già inciso con la band nell'album Move It Over del 1978.
In chiusura dell'album troviamo una registrazione live di One Bourbon, One Scotch, One Beer di John Lee Hooker registrata da Thorogood con i Destroyers nel 1999 e (solo nella versione in CD) Dynaflow Blues di Robert Johnson che pure aveva inciso con il gruppo nell'album The Hard Stuff del 2006.
Con Party Of One George Thorogood si conferma uno degli artisti più meritevoli della nostra epoca, capace di realizzare un disco di cover e di omaggi al passato armato solo di chitarra e armonica. Oltre ad essere un grandissimo musicista si dimostra anche per l'ennesima volta un grande conoscitore della storia della musica moderna e della sua evoluzione, dal blues del delta del Mississippi fino al rock contemporaneo. In ogni disco di George Thorogood possiamo trovare il perfetto connubio tra la musica e la sua storia ed è un vero peccato che nel nostro paese Thorogood sia conosciuto solo per Bad To The Bone; resta almeno la speranza che Party Of One allarghi il pubblico degli ascoltatori di questo straordinario musicista e che partendo da qui venga riscoperta anche la lunga discografia dei Destroyers.
lunedì 7 novembre 2016
Kenny Chesney - Cosmic Hallelujah
Il nuovo album di Kenny Chesney, il diciassettesimo della sua carriera, avrebbe dovuto uscire l'8 luglio di quest'anno con il titolo Some Town Somewhere. Da allora ha cambiato sia titolo sia data di uscita, ed è stato finalmente pubblicato il 28 ottobre con il titolo di Cosmic Hallelujah. Ma a parte il titolo e la data di pubblicazione quello che conta è che a oltre vent'anni dall'esordio la musica di Kenny Chesney non conosce cali di qualità o momenti di noia, e anche questo nuovo disco ci regala dodici pezzi di altissimo livello.
La formula resta quella a cui il cantante di Knoxville ci ha abituato, con del country divertente e veloce caratterizzato da un buon equilibrio tra energia e melodia. L'uscita dell'album era stata anticipata dalla pubblicazione di due singoli. Il primo di questi è il midtempo Noise, pubblicato a marzo, la cui scelta è davvero incomprensibile visto che si tratta del brano più debole dell'intero disco. Il secondo singolo intitolato Setting the World on Fire è stato pubblicato a luglio ed è ancora un midtempo che vede la presenza come ospite di Pink che nonostante non sia certo una cantante da Hall of Fame qui se la cava alla grande e il brano è di ottimo impatto.
E' difficile individuare pezzi migliori di altri in questo album, sicuramente le allegre Trip Around The Sun e All the Pretty Girls che aprono il disco meritano una menzione per l'atmosfera festaiola che creano e per i riff di chitarra puramente country da cui sono contraddistinti. Merita una menzione anche la trascinante Bar at the End on the World che è forse il pezzo più energico dell'intero album.
L'album presenta poi quattro ballad consecutive, tutte dalle sonorità fortemente country grazie al suono leggero delle chitarre, intitolate Rich and Miserable (l'unico pezzo oltre a Noise che Kenny avrebbe potuto risparmiare), Jesus & Elvis, Winnebago e Coach ad arricchire notevolmente l'offerta sonora di questo album.
L'album si chiude con la dodicesima traccia, non è listata in copertina, che è una versione bluegrass di I Want to Know What Love Is dei Foreigner. Sicuramente si tratta di un esperimento interessante, ma data la velocità sostenuta perde molta dell'atmosfera che caratterizzava l'originale.
Nonostante nel nostro paese sia praticamente sconosciuto, Kenny Chesney vanta nel suo curriculum collaborazioni con artisti del calibro di Willie Nelson, Uncle Kracker e Kid Rock ed è veramente un peccato che in Italia queste perle di musica americana passino inosservate in favore di musicisti ampiamente inferiori. Speriamo quindi che Cosmic Hallelujah dia modo anche agli ascoltatori nostrani di scoprire un talento immenso come questo che riempie le classifiche americane dal lontano 1994. Meglio tardi che mai.
La formula resta quella a cui il cantante di Knoxville ci ha abituato, con del country divertente e veloce caratterizzato da un buon equilibrio tra energia e melodia. L'uscita dell'album era stata anticipata dalla pubblicazione di due singoli. Il primo di questi è il midtempo Noise, pubblicato a marzo, la cui scelta è davvero incomprensibile visto che si tratta del brano più debole dell'intero disco. Il secondo singolo intitolato Setting the World on Fire è stato pubblicato a luglio ed è ancora un midtempo che vede la presenza come ospite di Pink che nonostante non sia certo una cantante da Hall of Fame qui se la cava alla grande e il brano è di ottimo impatto.
E' difficile individuare pezzi migliori di altri in questo album, sicuramente le allegre Trip Around The Sun e All the Pretty Girls che aprono il disco meritano una menzione per l'atmosfera festaiola che creano e per i riff di chitarra puramente country da cui sono contraddistinti. Merita una menzione anche la trascinante Bar at the End on the World che è forse il pezzo più energico dell'intero album.
L'album presenta poi quattro ballad consecutive, tutte dalle sonorità fortemente country grazie al suono leggero delle chitarre, intitolate Rich and Miserable (l'unico pezzo oltre a Noise che Kenny avrebbe potuto risparmiare), Jesus & Elvis, Winnebago e Coach ad arricchire notevolmente l'offerta sonora di questo album.
L'album si chiude con la dodicesima traccia, non è listata in copertina, che è una versione bluegrass di I Want to Know What Love Is dei Foreigner. Sicuramente si tratta di un esperimento interessante, ma data la velocità sostenuta perde molta dell'atmosfera che caratterizzava l'originale.
Nonostante nel nostro paese sia praticamente sconosciuto, Kenny Chesney vanta nel suo curriculum collaborazioni con artisti del calibro di Willie Nelson, Uncle Kracker e Kid Rock ed è veramente un peccato che in Italia queste perle di musica americana passino inosservate in favore di musicisti ampiamente inferiori. Speriamo quindi che Cosmic Hallelujah dia modo anche agli ascoltatori nostrani di scoprire un talento immenso come questo che riempie le classifiche americane dal lontano 1994. Meglio tardi che mai.
Iscriviti a:
Post (Atom)