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venerdì 7 maggio 2021

Paul Stanley's Soul Station - Now and Then

Nel 2015 il co-frontman dei Kiss Paul Stanley ha lanciato la sua nuova band chiamata Soul Station che inizialmente si proponeva solo di reinterpretare dal vivo i classici del soul degli anni 70, attingendo soprattutto dal repertorio della Motown. Dopo anni di esibizioni dal vivo e di cover, i Soul Station sono diventati una vera e propria realtà discografica con l'uscita del loro primo album registrato in studio e intitolato Now and Then pubblicato nei primi mesi del 2021.

La band è composta da undici membri, tra cui il batterista dei Kiss Eric Singer e tre coriste che hanno ovviamente un ruolo di spicco in queste canzoni nelle quali i cori sono tanto importanti quanto la voce principale. Stanley nel booklet chiarisce che prima di scoprire i Led Zeppelin e gli Who, la sua musica preferita era quella di Otis Redding e di Solomon Burke e che con questo album intende omaggiare quegli interpreti e quel periodo.

Il disco è composto da quattordici pezzi, di cui nove cover dell'epoca d'oro del soul e cinque inediti scritti dallo stesso Paul Stanley che si ispirano passato aggiungendo una buona dose di modernità. I classici spaziano da pezzi più movimentati come Could It Be I'm Falling in Love? degli Spinners alle ballad come The Track of My Tears di Smokey Robinson and The Miracles e Baby I Need Your Loving dei Four Tops passando per gli immancabili Temptations con Just my Imagination. I pezzi nuovi sono più orientati a sonorità veloci con pezzi quali I Oh I, Whenever You're Ready (I'm Here), Lorelei e Save Me (From You), ispirata più alla scena black degli anni 80; tra gli inediti di trova una sola ballad intitolata I Do il cui rimando allo stile dei Temptations è molto marcato e in cui Stanley sembra imitare lo stile canoro di David Ruffin.

Se lo scopo di questo progetto musicale è quello di omaggiare il soul degli anni 70 non si può non concludere che ci riesca benissimo. I Soul Station danno una bella spolverata ai classici del passato e incidono pezzi nuovi che attualizzano il Motown sound come pochi altri hanno saputo fare. Non resta che sperare che, ora che i Kiss hanno annunciato la fine delle loro attività, questo nuovo progetto di Paul Stanley non resti un esperimento isolato e che questa ottima band ci regali altri dischi di questo livello.

giovedì 22 settembre 2016

Cosa significa il nome Kiss?

Secondo una popolare leggenda metropolitana il nome della band Kiss significherebbe Knights In Satan's Service. Prima ancora di andare a vedere qual è la vera origine del nome scelto dalla band guidata da Paul Stanely e Gene Simmons sarebbe interessante che chi crede a questa teoria spiegasse dove vede dei rimandi satanici nell'attività dei Kiss, visto che la loro musica parla di norma di feste, divertimento e di amore.

Ma se il buon senso non basta, ci sono comunque smentite dettagliate e spiegazioni da parte dei fondatori del gruppo. Nella sua autobiografia Face the Music: A Life Exposed pubblicata nel 2014 Paul Stanley scrisse di aver sentito queste teorie per la prima volta nel 1977 e di aver deciso, dopo averle ignorate per un po', di volerle combattere affinché il nome della sua band non venga infangato da accuse infondate. We were not knight in Satan's service, devil worshipers on anything else chiarisce il cantante.

Nel libro Kiss And Make-Up uscito nel 2002 anche Gene Simmons smentisce queste voci aggiungendo che queste nacquero in seguito a una sua intervista alla rivista Circus in cui disse che talvolta si chiede che sapore abbia la carne umana, ma precisando che si trattava solo di una curiosità, non di qualcosa che avrebbe voluto sperimentare. Questa asserzione, unita alla sua usanza di fare il gesto delle corna portò alcuni a ritenere che Simmons fosse un adoratore del demonio.

Una terza smentita arriva anche dal chitarrista Ace Frehley che nella sua autobiografia No Regrets pubblicata nel 2011 chiarisce il concetto in modo più esplicito dei due colleghi: Complete and utter bullshit.

Sgombrato il campo dalle leggende, il vero significato del nome è spiegato nella biografia ufficiale dei gruppo intitolata Behind the Mask pubblicata nel 2003. Il nome Kiss è effettivamente un acronimo, ma significa Keep It Simple, Stupid.

Un'altra popolare leggenda riguardo i Kiss vuole che la doppia S nel logo sia disegnata in modo da ricordare il simbolo delle SS naziste. La bozza iniziale del logo fu disegnata da Ace e poi completata da Stanley. In realtà, come spiegato di nuovo da Frehley in No Regrets le due S volevano essere due fulmini senza altri significati, tuttavia Stanley (che si dice molto sensibile all'argomento in quanto di famiglia ebrea) spiega che anche suo padre fu ingannato dal disegno e pensò che ci fossero significati nazisti. La band fu comunque costretta a modificare il proprio logo in Austria, Svizzera, Polonia, Lituania, Ungheria e Israele sostituendo le due S con delle Z rovesciate e a distanza di quattro decenni dall'inizio della sua carriera la band usa ancora un logo diverso in questi stati. Basta confrontare, ad esempio, le copertine di Monster per rendersi conto di ciò.


Purtroppo accuse infondate di questo tipo, sia quelle legate al satanismo sia quelle legate al nazismo, possono infangare il nome di una band e arrecare danno a chi, come i Kiss, davvero non se lo merita. E in questo caso le leggende non aiutano a creare un'aura di mistero intorno alla musica, servono sono a screditare una delle più grandi band della storia.

giovedì 30 luglio 2015

Quando i Kiss furono scambiati per un gruppo di imitatori

Psycho Circus del 1998 fu il disco della reunion, la band era tornata alla sua formazione originaria dopo che Peter Criss ed Ace Frehley avevano ripreso il loro posto nel gruppo. Prima dell'uscita del disco la reunion era stata festeggiata con un tour mondiale intitolato Alive/Worldwide Tour e ma con la pubblicazione di Psycho Circus la band partì subito per un nuovo tour che iniziò la notte di Halloween del 1998 al Dodger Stadium di Los Angeles.

Lo spettacolo, trasmesso in diretta via radio e via internet, durò oltre due ore e fu un grande successo dovuto anche a una band di supporto assolutamente d'eccezione: gli Smashing Pumpking, che per la notte di Halloween si esibirono vestiti da Beatles, con tanto di logo The Beatles sulla grancassa, e suonarono ben dieci pezzi. Con i suoi 32000 spettatori il concerto di apertura fu uno di quelli con più affluenza di pubblico dell'intero tour, superato solo dalle tappe in Argentina, Brasile e Messico.

Ma se ciò che successe sul palco è ben noto, ciò che accadde dopo il concerto è invece stato raccontato solo recentemente da Paul Stanley nella sua autobiografia intitolata Face the Music (disponibile in italiano con il titolo Dietro la maschera) pubblicata nel 2014. La band alloggiava al Sunset Marquis di Hollywood e appena dopo lo spettacolo salì sul furgone, ancora con il trucco, per tornare in albergo. Ma nelle vicinanze dell'hotel le strade erano congestionate, avevano sottovalutato la parata di Halloween.

Il furgone non poteva muoversi, ma a Paul venne un'idea: scendere a proseguire a piedi per i sette isolati rimanenti. "Come on, let's go", disse. Il resto della band protestò: "What? We're in full gear!", ma Paul insistette dicendo che ad Halloween tutti erano mascherati e nessuno li avrebbe notati.

Camminarono tra la folla, dapprima indisturbati. Poi un gruppo di persone si fermò a guardarli e fece loro i complimenti per i costumi così somiglianti agli originali, altri si limitarono a gesti di approvazione con il pollice verso l'alto. La band ringraziò in risposta ai complimenti.

Nessuno dei partecipanti alla parata si accorse che quei quattro vestiti da Starchild, Demon, Spaceman e Catman erano gli stessi che poco prima avevano suonato davanti a 32000 persone.

venerdì 12 giugno 2015

Kiss 40th Anniversary World Tour - Verona, 11/6/2015

Io c'ero. Arena di Verona, 11/6/2015, gradinata numerata, blocco 23, Fila 16, Posto 28 al concerto dei Kiss per il 40th Anniversary World Tour.

Siamo riusciti a entrare verso le 20 e il gruppo di supporto, i bravissimi Dead Daisies, era già a metà della sua esibizione tra brani della stessa band e classici del rock che spaziavano dai Deep Purple ai Beatles.

Ma il vero show, quello per cui eravamo lì, lo hanno fatto i Kiss che hanno aperto il concerto con Detroit Rock City, Deuce e Psycho Circus. Appena il telo nero con la scritta KISS si è sollevato, l'energia della band e il suono delle esplosioni dei cannoni hanno invaso il pubblico e la serata si è magicamente trasformata. Lo spettacolo è andato avanti per quasi due ore di ininterrotta energia tra i migliori brani della band privilegiando quelli del primo decennio, ma non rinunciando a qualcuno delle decadi successive. Il tutto condito da palle di fuoco sparate dai lati del palco, fuochi d'artificio ed esplosioni di cannone in una festa di luci, colori e immagini proiettate sui maxi schermi. Tutti i pezzi dal vivo suonavano molto più energici e potenti rispetto alle incisioni da studio e il pubblico ha risposto con l'entusiasmo che il gruppo merita.

Sulle gradinate e in platea c'erano mani alzate e magliette dei Kiss a perdita d'occhio e il gruppo rispondeva all'affetto dei fans come solo i Kiss sanno fare con Paul Stanley che si avvicinava al pubblico fino a farsi toccare mentre suonava e senza togliere le mani dalla chitarra.

E' stato bellissimo vedere la festa sul palco e tra il pubblico, con famiglie con nonni e bambini con le facce dipinte a inneggiare al più grande gruppo rock della storia. Perché la musica dei Kiss esprime gioia ed è stata proprio questa ad unire il pubblico e farci alzare le mani al cielo mentre dalle gradinate cantavamo con il gruppo.

Le uniche due interruzioni al fiume di energia sono state quando dopo War Machine Gene ha sputato fuoco e quando dopo Lick It Up ha ripetuto la scena del sangue dalla bocca, per poi alzarsi in volo sul palco e ripartite con God of Thunder.

La chiusura dello show, con I Was Made for Loving You e I Wanna Rock and Roll all Nite, è stata impreziosita da spari di cannone tra il pubblico che diffondevano nell'aria pezzi di carta bianca a colorare ancora di più l'atmosfera e a dare un tocco di unicità a quei momenti conclusivi.

Se proprio si vuole trovare una critica da muovere a questo concerto si potrebbe obiettare che hanno eseguito un solo brano del periodo dell'unmasking escludendo i brani di Hot in the Shade e Revenge. Ma francamente: chissenefrega! Anche perché per aggiungere altri brani avrebbero dovuto toglierne alcuni e la scelta sarebbe stata difficilissima perché sono stati tutti ottimi. E soprattutto il concerto è stato stupendo, due ore di gioia, due ore di energia. E questa è l'unica cosa che conta.