martedì 1 agosto 2017

Alice Cooper - Paranormal

Sei anni dopo l'ultimo album Welcome 2 My Nightmare (da non confondere con il quasi omofono Welcome To My Nightmare del 1975) torna Alice Cooper con un nuovo lavoro registrato in studio, il nuovo disco si intitola Paranormal ed è un doppio album che contiene dieci nuove tracce (che vedono la presenza di Larry Mullen jr degli U2 alla batteria) sul primo disco, più altre due registrate con la band originale (per la prima volta dal 1973) e sei registrazioni live di pezzi storici del rocker di Detroit sul secondo disco.

Iniziando l'ascolto stupisce la scelta di aprire l'album con una ballad, la title track; stupisce ancora di più constatare che il pezzo è debole e poco convincente nonostante la presenza di Roger Glover al basso. Con la seconda Dead Flies salgono i ritmi e troviamo il primo brano veloce dell'album, ma purtroppo delude anche questo con un ritmo che pare forzato e poco naturale. Passando alla terza traccia sembra di aver cambiato album, perché finalmente troviamo il primo pezzo nello stile di Alice Cooper che conosciamo, con un hard rock divertente ed energico intitolato Fireball. Proseguendo l'ascolto si conferma l'ipotesi che l'avvio deludente sia stato solo un incidente, perché troviamo la traccia migliore dell'intero disco intitolata Paranoic Personality caratterizzata da un riff potente e da un altrettanto potente controcanto sul ritornello che entra in testa come un martello pneumatico. Con Fallen in Love incontriamo anche il secondo ospite del disco: il chitarrista e cantante degli ZZ Top Billy Gibbons, e il riff di apertura è talmente distintivo dello stile di Gibbons che sembra di essere stati trasportati in un album del terzetto texano. Il pezzo ci regala un ascolto di Alice Cooper in un'insolita veste blues rock, il duetto vocale dei due amalgama perfettamente lo stile canoro di questi colossi del rock così diversi tra loro. L'esperimento del blues rock viene riproposto anche nel pezzo successivo, il rapido e incalzante Dynamite Road che vira in parte verso lo stoner rock.

Con Private Public Breakdown troviamo un midtempo divertente che rallenta leggermente il ritmo del disco che però riparte subito dopo con Holy Water e Rats, due pezzi veloci ed allegri che preludono alla seconda ballad che chiude il primo disco. Ma fortunatamente The Sound of A è un bel pezzo ispirato e dall'atmosfera psichedelica decisamente migliore di quello di apertura.

Inutile nascondere che c'è molta curiosità per i pezzi nuovi registrati dalla band originale, quella che risale al periodo in cui Alice Cooper era il nome del collettivo, composta da Neal Smith alla batteria, Michael Bruce alla chitarra e Dennis Dunaway al basso (il quinto membro Glen Buxton è morto nel 1997). Appena premuto il tasto Play dopo aver inserito il secondo disco l'attesa è ripagata alla grande. Con Genuine American Girl troviamo un rock and roll divertente dal testo molto scherzoso che fa rivivere i fasti della band delle origini, il secondo brano You and All of Your Friends continua sulla strada tracciata dal precedente dimostrando che a distanza di oltre quarant'anni i quattro musicisti hanno trovato subito l'intesa delle origini.

Chiudono il doppio album sei tracce storiche registra dal vivo il 6 maggio 2016 a Columbus, nell'Ohio. I pezzi scelti sono No More Mr. Nice Guy, Under My Wheels, Billion Dollar Babies,
Feed My Frankenstein, Only Women Bleed e School's Out.

Paranormal non è un capolavoro al pari di Raise Your Fist And Yell o Trash, ma è sicuramente un ottimo disco fatto di pezzi di alto valore (a parte i primi due). Stupisce comunque la voglia di sperimentare di Cooper che si lancia in territori fin'ora inesplorati come il blues rock, e riprende quelli abbandonati da oltre quattro decadi trovandosi di nuovo perfettamente a proprio agio. Paranormal non sarà una pietra miliare della carriera di Alice Cooper, ma è sicuramente una prova che questo mostro sacro dello shock rock ha ancora molte frecce al proprio arco.

lunedì 24 luglio 2017

Pino Scotto Bubbles Fest - Pavia, 23/7/2017

Il concerto di Pino Scotto al Bubbles Fest è ormai una "classica" dell'estate pavese. Giunta alla sua quarta edizione, la manifestazione organizzata dalla Bubbles Crew ospita nel fossato del Castello Visconteo quattro serate di musica, condita con birra e ottima cucina, con alcuni tra i migliori gruppi italiani degli ultimi decenni. E dall'anno dell'inaugurazione la serata conclusiva vede la performance del leggendario rocker napoletano ed ex frontman dei Vanadium.

Pino è salito sul palco introno alle 22:30 accompagnato dalla sua band formata da tre musicisti di altissimo livello, ciascuno dei quali meriterebbe un posto in un ipotetico dream team del rock italiano. Il gruppo è composto da Dario Bucca al basso, Steve Angarthal (che suona con Pino fin dai tempi dei Fire Trails) alla chitarra e Marco Di Salvia alla batteria, e nonostante siano solo in tre producono un impatto sonoro che altre band realizzano con quattro o cinque elementi. Il trio colpisce il pubblico non solo per l'esibizione musicale perfetta, ma anche per alcune chicche della loro performance, come Angarthal che suona la chitarra come i denti e Di Salvia che nei momenti più concitati fa roteare la sua lunga chioma mentre suona.

I pezzi eseguiti da Pino spaziano per tutta la sua carriera musicale, attingendo sia dalla discografia dei Vanadium, sia da quella dei Fire Trails, fino al arrivare alla sua carriera solista e alternando quindi il canto in inglese a quello in italiano. Gli anni passano ma la voce di Pino resta forte e tonante come confermano i numerosi scream in cui si lancia e che esegue con la potenza degli anni migliori. In totale il quartetto regala un'ora e mezza di grande hard rock ai confini col metal, per un concerto all'insegna del divertimento e dell'energia ininterrotta

Come in ogni concerto di Pino, i pezzi cantati sono alternati dai suoi coloriti commenti socio-politici che, vista la location del concerto, non risparmiano nemmeno le zanzare e l'umidità. La voce di Pino si interrompe solo per pochi minuti circa a metà del concerto quando il cantante cede la scena ad Angarthal che esegue un brano dal suo album solista.

Tra un pezzo e l'altro Pino ricorda anche il compianto Lemmy Klimster di cui narra anche qualche aneddoto legato al tour italiano dei Motorhead di metà degli anni 80 in cui i Vanadium fecero da gruppo di apertura.

Al termine del concerto, lasciando il fossato del castello resta il ricordo del concerto a chiusura dell'evento che la Bubbles Crew ha organizzato anche quest'anno, portando a Pavia un piccolo estratto della migliore musica che il nostro paese abbia prodotto. Grazie Pino, per la bella serata. Grazie Bubbles Crew, ci vediamo l'anno prossimo.

martedì 18 luglio 2017

Quante foto esistono di Robert Johnson?

Si ringrazia Bruce Conforth per la consulenza fornita nella stesura di questo articolo.

Nonostante la sua carriera sia stata molto breve e nonostante sia uno dei primi ad essersi iscritto al fantomatico Club 27 (quello riservato ai musicisti morti a 27 anni), Robert Johnson è uno dei musicisti più influenti dell'ultimo secolo. Molti dei suoi brani, come Sweet Home Chicago o I Believe I'll Dust my Broom, sono entrati a pieno titolo nei più importanti standard blues di ogni tempo e vantano innumerevoli cover, e possiamo dire senza dubbio che la musica odierna di qualunque genere non sarebbe la stessa senza il suo preziosissimo contributo.

Purtroppo le informazioni sulla sua vita sono molto lacunose e spesso aneddotiche, come il presunto patto con il diavolo che il chitarrista avrebbe stretto per poter raggiungere la qualità musicale ineguagliata ai suoi tempi.

Uno dei principali problemi nel ricostruire la vita di questo leggendario musicista riguarda quante sue foto esistano al mondo. Due di esse sono ben note e su queste non ci sono dubbi: la prima di lo mostra in una cabina fotografica, mentre la seconda è stata scattata in studio seduto su uno sgabello e con le gambe incrociate.


Queste due foto sono emerse solo nel 1973 grazie al lavoro dello storico Steven C. LaVere che le reperì dalla sorellastra di Johnson, Carrie Spencer (altrove chiamata Carrie Thompson). La donna, che conservava la foto in una Bibbia, aggiunse che il vestito che Johnson indossa nella foto appartiene al nipote Louis, cioè al figlio della Spencer.

Nel 2008 la rivista Vanity Fair pubblicò una probabile terza foto di Johnson che lo ritrarrebbe insieme al musicista Johnny Shines. La foto era stata acquistata tre anni prima su Ebay dal collezionista Steven "Zeke" Schein il quale pensò di riconoscere Johnson nell'uomo a sinistra per via delle lunghe dita della mano e per il fatto che questi avesse un occhio meno aperto dell'altro, difetto riscontrabile anche nelle foto note di Johnson dovuto a una malattia infantile.

La foto fu dichiarata autentica dalla disegnatrice di identikit (forensic artist, in inglese, termine che non ha una traduzione precisa in italiano) Lois Gibson, purtroppo il rapporto completo della Gibson non è mai stato pubblicato ed è solo nelle mani della Robert Johnson Estate e del suo avvocato John Kitchens e gli unici dati disponibili sono quelli pubblicati da un altro articolo di Vanity Fair.

La redazione di questo blog ha contattato sia John Kitchens sia Lois Gibson per chiedere il testo integrale del rapporto, ma senza ottenere alcuna risposta.

Alcuni eminenti storici, tra cui Bruce Conforth ed Elijah Wald, non concordano con la Gibson e pubblicarono nel 2015 un lungo articolo in cui confutano il risultato della Gibson sulla base delle misure facciali e di considerazioni relative all'abbigliamento dell'uomo, che farebbe pensare a una foto successiva alla morte di Johnson, e del fatto che la chitarra che tiene in mano non è vera, ma un arredo scenico. Inoltre, come spiega il primo articolo di Vanity Fair linkato in precedenza, la foto è stata sottoposta a due persone che hanno conosciuto Johnson in vita, i bluesman Robert Lockwood e David Edwards, che hanno confermato di non riconoscere nello scatto il leggendario chitarrista.

Nonostante la dettagliata smentita del team di Conforth, la Robert Johnson Estate ha risposto ufficialmente rifiutando le conclusioni di Conforth e continuando a sostenere quelle della Gibson.

Più recentemente, nel giugno di quest'anno, il ricercatore inglese Mark Bampton ha pubblicato un nuovo rapporto di 54 pagine in cui si unisce a Conforth nello smontare l'ipotesi della Gibson. Bampton non si basa solo sulle misure facciali ma anche su quelle delle mani e ipotizza anche che la foto sia un fotomontaggio di due immagini di due persone scattate in momenti e luoghi diversi.

Nel dicembre del 2015 emerse una nuova presunta foto di Robert Johnson, questa volta l'immagine ritrae l'uomo insieme a quelli che dovrebbero essere Calletta Craft, la moglie di Johnson, Estella Coleman, madre di Robert Lockwood, e lo stesso Lockwood. Anche questa nuova foto fu dichiarata autentica da Lois Gibson, tuttavia il riconoscimento facciale è reso particolarmente difficile dal fatto che l'uomo ha la parte inferiore del viso coperta dalla mano e dal bicchiere. Questa volta il lavoro della Gibson è disponibile come allegato a questo articolo di Inweekly.


Anche nel caso di questa nuova foto Bruce Conforth, con l'aiuto dello storico Frank Matheis, scrisse un articolo per confutare la conclusioni della Gibson. I due fanno notare che l'abbigliamento delle persone, gli occhiali che indossano, le acconciature delle due donne e il tavolo a cui sono seduti sembrano molto successivi alla morte di Johnson e risalgono probabilmente agli anni 50. Ad esso va aggiunto che la donna identificata come la moglie di Johnson non assomiglia per nulla alla vera Craft e che questa è morta nel 1932, quindi nella foto Johnson dovrebbe avere al massimo 21 anni ma l'uomo nella foto sembra più vecchio di tale età. In ultimo, la bottiglia di Coca Cola appoggiata al tavolo non era in commercio fino agli anni 50.

Conforth aggiunge un dettaglio importante anche sull'apparente curriculum impeccabile di Lois Gibson. La scienziata avrebbe autenticato una foto di Jesse James che non viene accettata nemmeno dalla famiglia stessa del bandito.

Ma nonostante queste due smentite, una terza foto di Robert Johnson esiste davvero. Nel suo libro Searching for Robert Johnson il biografo Peter Guralnick narra che lo storico del blues Mack McCormick gli ha mostrato una foto che ritrae Johnson insieme al nipote Louis in divisa da marinaio, con Johnson che abbraccia il nipote appoggiandogli il braccio sulle spalle. La foto non è mai stata resa pubblica e pertanto le poche informazioni che sono emerse, sono giunte dalle parole di Gurnalick

La conclusione più ovvia sembra quindi essere che esistano tre scatti fotografici di Robert Johnson: due pubblicati e uno nelle mani di McCormick che forse in futuro verrà resa pubblica. E' comunque innegabile che l'incertezza riguardo alle sue poche foto contribuisce ad aumentare l'aura di mistero intorno alla figura di questo leggendario musicista, e forse proprio per questo è bene che un po' di mistero rimanga.

domenica 9 luglio 2017

Litfiba Rugby Sound Festival - Legnano, 8/7/2017

Nota: questo articolo è stato scritto dal nostro guest blogger Tino che ringraziamo per il prezioso contributo.

Credit: Elena Di Vincenzo
Li vidi la prima volta nel 2011, mi pare fosse il tour successivo alla reunion e non nascondo che allora ebbi qualche perplessità: "ma ci credono davvero?" "Il concerto sarà bello?" Mi sbagliavo, e alla grande, il concerto fu fantastico e mi convinsi che, a volte, le minestre scaldate possono andare bene davvero.

Lessi con entusiasmo la recensione del concerto di marzo dello stesso tour e appena giunta voce di un altro concerto in zona nessun dubbio, dovevo andarci.

Solo che il livello dello spettacolo andato in scena all’Isola del Castello di Legnano, in occasione del Rugby Sound Festival, era qualcosa di diverso, di molto diverso, letteralmente uno tsunami di energia ha inondato le oltre 7000 persone che hanno atteso, anche sotto un po’ di pioggia e fulmini, la band toscana.

Con Lo spettacolo, Grande Nazione e Dio del Tuono, i Litfiba iniziano questo strepitoso concerto la cui scaletta abbraccia tutta la loro carriera iniziata nel lontano 1981 e che ha all'attivo ben 14 album in studio.

Credit: Elena Di Vincenzo
Ghigo sul palco è impeccabile e Piero Pelù è un vero leone che domina la scena, il pubblico è davvero molto partecipe tant'è che dalla posizione in cui stavo, durante Fata Morgana la voce del pubblico copriva quasi quella del cantante. Tante anche le canzoni tratte da Eutòpia, ben 4, comprese Maria Coraggio, dedicata a Lea Garofalo vittima della ‘ndrangheta e In Nome di Dio, dedicata alla strage del Bataclan di Parigi del 2015.

Immancabile critica alla classe politica affrontata dalla violenza di Dimmi il Nome dall'album Terremoto del 1993; l’immortale Regina di Cuori prepara il pubblico al rush finale fatto dalla bellissima Lacio Drom e Gira nel Mio Cerchio, i Litfiba chiudono con Cangaceiro (dall’album Pirata del 1989) e la storica El Diablo, inutile precisare la gioia e il delirio del pubblico.

Un concerto fantastico di una band che, nel panorama rock nazionale, non è seconda a nessuno. Litfiba, avete fatto bene ad ascoltare il consiglio di Elio e le Storie Tese che nel 2003 incisero Litfiba Tornate Insieme, e ora ve lo chiedo io … tornate di nuovo a regalarci serate così, magari ancora al Rugby Sound!!!

venerdì 7 luglio 2017

The Darkness Rugby Sound Festival - Legnano, 6/7/2017

Nota: questo articolo è stato scritto dal nostro guest blogger Tino che ringraziamo per il prezioso contributo.

Credit: Elena Di Vincenzo
Prendi il rock, quello energico ma non violento, quello che comunque vada ti entra in testa e ci rimane; prendi una band scatenata e un frontman vestito con una tutina attillata grigio scintillante che spara acuti come se non ci fosse un domani. I Darkness sono questo, rock, energia e divertimento!

Inglesi, nascono nel 2000 e il loro stile unico li porta facilmente al successo. Nel 2003 il loro album d'esordio Permission to Land fu un successo incredibile; successo destinato poi a ripetersi con il secondo disco, One way ticket to Hell ... and Back. Dopo iniziarono i problemi: tra cambi di formazioni e problemi di droga del cantante Justin Hawkins, il gruppo si perse un po' per strada e solamente dopo tre anni, nel 2006, l'annuncio dell'abbandono del cantante sembrava aver segnato la fine della band e l'inizio di side projects per i componenti.

Credit: Elena Di Vincenzo
Tutto questo fino a quando, nel 2011, venne annunciata la reunion e il terzo album in studio Hot Cakes, disco che passò abbastanza inosservato; Last of Our Kind del 2015 segna secondo me una nuova rinascita della band, sperando che anche il nuovo disco, annunciato per la fine del 2017 sia allo stesso livello.

Ora veniamo a quelle settemila persone che hanno invaso l'Isola del Castello a Legnano in quella sera che ha visto la band inglese esibirsi sul palco del Rugby Sound, bellissimo festival organizzato dai ragazzi del Rugby Parabiago che, nel corso di una decina d'anni, si è ingrandito al punto tale da riuscire a organizzare concerti di questa portata.

La scaletta comprende molti pezzi del loro album d'esordio e inizia proprio con la prima traccia Black Shuck, giusto per scaldare la folla e sempre nella prima parte si continua con Givin'up, pezzo che ricorderanno tutti per il costante falsetto. Segue Mudslide, primo pezzo tratto da Last of Our Kind, che anticipa di poco il primo dei singoli davvero famosi: One Way Ticket e poco dopo Love Is Only A Feeling fanno letteralmente impazzire il pubblico. Justin è davvero un incontenibile animale da palco e la voce tiene senza nessun problema mentre dei reggiseni iniziano a volare sul palco.

Credit: Elena Di Vincenzo
Il terzo singolo tratto dal primo disco, Friday Night e Get Your Hands Off My Woman portano il concerto verso le battute finali.

Penultimo pezzo della scaletta è la hit I Believe in a Thing Called Love che manda il pubblico in delirio, mentre Love On The Rocks With No Ice, intervallato da un lunghissimo assolo durante il quale Justin è stato trasportato in mezzo al pubblico chiude questa indimenticabile serata.

Forse dopo un concerto viene da pensare molti dei pezzi siano simili tra loro, ma non importa, è comunque musica che non stanca e che si ascolterebbe per ore. Grazie Rugby Sound per averli invitati, grazie Darkness per essere venuti e averci fatto davvero divertire due ore!

mercoledì 5 luglio 2017

I duetti mai completati di Freddie Mercury e Michael Jackson

Può sembrare incredibile che due leggende della musica che appartengono a generi musicali molto diversi decidano di incrociare le proprie strade; eppure nel 1983 per un breve periodo il re del pop Michael Jackson e il cantante dei Queen Freddie Mercury intrapresero la registrazione di alcuni pezzi insieme.


Purtroppo il progetto naufragò e nessuno dei tre brani fu pubblicato mentre i due cantanti erano ancora in vita, i motivi per cui la collaborazione non diedi i frutti sperati sono vari: il libro Freddie Mercury: The Definitive Biography di Leslie-Ann Jones dice che la causa sia da ricercare nei molti impegni di entrambi, la stessa versione è sostenuta anche dallo stesso Freddie Mercury in alcune interviste. Tuttavia nel documentario Freddie Mercury: The Great Pretender del 2012 il manager Jim Beach aggiunge che Freddie si trovava a disagio a lavorare con Jackson perché questi portava abitualmente il proprio lama nello studio di registrazione, curiosamente la passione di MJ per animali atipici fu anche la causa per cui saltò la sua collaborazione con i Run D.M.C.

Il primo dei tre brani che i due avrebbero dovuto registrare insieme era There Must Be More To Life Than This che Freddie Mercury aveva scritto per l'album dei Queen Hot Space del 1982 ma che non trovò spazio nella composizione finale del disco. I due provarono a inciderla insieme per l'album solista di Mercury del 1985 intitolato Mr. Bad Guy, ma il lavoro non fu completato e Freddie completò il pezzo da solo per inserirlo nel disco. Una versione demo cantata da entrambi fu pubblicata nel 2003 nel bootleg per il mercato giapponese Queen: Buried Treasures. Nel 2010 emerse in rete, ancora come bootleg, la versione solista di Jackson che canta il pezzo per intero. Nel 2014 finalmente fu pubblicata la versione definitiva nella compilation Queen Forever; i due cantanti si alternano alla voce e nel finale duettano con Jackson che fa la voce più alta e Freddie che fa quella bassa.

Il secondo pezzo che i due avrebbero dovuto registrare insieme fu State of Shock per l'album Victory dei Jacksons del 1984, album nel quale MJ tornò a lavorare con i propri fratelli e che si colloca temporalmente tra Thriller e Bad. Anche questo secondo pezzo è disponibile cantato da Michael e Freddie in versione demo sul bootleg Queen: Buried Treasures, ma la versione definitiva presente su Victory fu ultimata con Mick Jagger al posto di Mercury. Nella stessa intervista linkata in precedenza, il cantante dei Queen spiega che Jackson dovette terminare la registrazione con Jagger perché aveva fretta di chiuderla affinché potesse essere inclusa nell'album.

L'ultimo pezzo che i due avrebbero dovuto incidere insieme sarebbe stata la title track di Victory che ad oggi rimane completamente inedita. L'album fu quindi pubblicato stranamente senza la title track.

Non sempre le collaborazioni tra i giganti della musica danno buoni risultati e spesso l'accostamento tra generi diversi suona molto forzato. Ma Jackson e Mercury hanno avuto una lunga carriera di collaborazioni con gli artisti più disparati e le poche registrazioni nate dalla loro breve collaborazione confermano che si tratta di artisti bravissimi a mischiare il proprio stile con quello di altri. There Must Be More To Life Than This e State of Shock sono bellissimi pezzi, che mischiano il rock di Freddie alla tradizione nera di Jackson e sono tra i migliori esempi di come questo si possa fare. A riprova del fatto che oltre che essere grandi musicisti avevano entrambi un'incredibile propensione ad unire le proprie forze con quelle di altri per creare suoni nuovi e sempre di altissimo livello.

giovedì 29 giugno 2017

Deep Purple The Long Goodbye Tour - Assago, 27/6/2017

Vivere i concerti dal parterre è ben altra cosa, rispetto a vederli dalle tribune. Ci si ritrova nella calca, nel vivo della scena, a pochi metri dal palco e immersi nel caldo infernale della folla che inneggia alle star sul palco, e quando questi sono delle leggende del rock la serata assume contorni magici.

Eravamo proprio lì, sotto al palco ad attendere i Deep Purple, il cui live ad Assago è stato aperto dagli ottimi Tyler Bryant & The Shakedowns che hanno regalato quasi un'ora di hard rock divertente ed energico al punto giusto per scaldare la folla prima che alle 21 salisse sul palco la band capitanata da Ian Gillian. E appena sono partite le note di Time for Bedlam, tratta dall'ultimo album Infinite, è sgorgata l'energia del rock della band che ha travolto la platea per un'ora e quaranta della migliore musica di ogni tempo.

In questo tour in gruppo attinge da brani appartenenti a tutta la loro carriera, eseguendo sia i pezzi storici sia quelli nuovi. Infatti oltre ai classici come Fireball, Space Truckin' o Strange Kind of Woman, il gruppo ha eseguito quattro pezzi da Infinite e due da Now What?! del 2013. Questa scelta comporta ovviamente che dalla scaletta vengano esclusi pezzi storici come Highway Star o Child in Time, ma poco importa perché la scelta dei brani resta comunque ottima.

L'esecuzione dei pezzi è stata impreziosita da lunghi assoli di chitarra di Steve Morse e di tastiera di Don Airey che servono in parte a consentire a Gillian di riprendere fiato; infatti nonostante la prova più che soddisfacente, il cantante è forse quello che risente più del peso degli anni perché se l'estensione vocale è immutata e gli acuti sono ancora quelli degli anni migliori, lo stesso non si può dire della potenza. Nel suo lungo assolo, Airey ha aggiunto qualche frammento di La Donna è Mobile e di Nessun Dorma, aggiungendo un pizzico di italianità a questa serata milanese.

Il concerto si è chiuso con gli immancabili Smoke On The Water, Hush (introdotta dal Peter Gunn Theme) e da Black Night al termine dei quali Glover ha ricambiato l'affetto del pubblico lanciando i propri plettri alla folla.

Lasciando il Forum resta il ricordo di una serata storica, una di quelle in cui la storia del rock si ferma a Milano. E resta anche la consapevolezza che se questo è davvero il tour di addio della band, i quattro di Hertford lasciano i palchi in splendida forma e ancora pienamente in grado di reggere la scena; perché se è vero che Gillian è in debito di energia, i musicisti suonano ancora come quando erano all'apice della carriera.

E se, come sembra, questa serata storia non potrà ripetersi, resta almeno la felicità di esserci stati.