domenica 10 settembre 2017

All Eyez On Me: il biopic sulla vita di Tupac

Viene proiettato in questi giorni nelle sale cinematografiche italiane il biopic All Eyez On Me sulla vita del rapper Tupac Shakur. Il film racconta la vita del protagonista dalla nascita a New York nel 1971 fino alla morte nel 1996 a Las Vegas. La prima parte del film è narrata in flash-back con Tupac che racconta la propria vita a un giornalista mentre è detenuto al Clinton Correctional Facility, la narrazione poi riprende con l'uscita del rapper dal penitenziario fino alla sua morte per mano di un misterioso assassino.

Sebbene il film sia molto efficace nel raccontare le difficoltà incontrate da Tupac e la durezza della vita nel ghetto, nella seconda metà del film (dalla firma con la Death Row fino alla morte) il racconto è piuttosto confuso e può essere compreso appieno solo da chi già conosce la storia. Ad esempio, non viene approfondito abbastanza chi siano Frank Alexander, Dr. Dre o Puff Daddy, tre persone che ebbero un ruolo fondamentale nell'ultimo anno della vita di Tupac. Inoltre nella scena finale, che mostra la sparatoria tra le via di Las Vegas, vengono omessi particolari importanti. Non viene ad esempio spiegato perché Suge dopo l'aggressione decise di fare inversione e fuggire dalla zona della sparatoria, lo scopo in realtà era quello di portare Tupac all'ospedale prima possibile, ma dal film sembra che Suge scappi da qualcosa o qualcuno. Non viene spiegato che anche Suge rimase colpito da una delle pallottole, né che la BMW aveva tre gomme bucate quando si fermò, facendo sembrare che Suge abbia interrotto la sua corsa senza un motivo.

La versione italiana del film soffre di qualche errore di adattamento. Il primo produttore di Tupac gli chiede se abbia finito di registrare il secondo verso, incappando in un false friend piuttosto noto: verse in inglese significa strofa e non verso. L'errore più grave comunque riguarda la pronuncia del nome di Suge, qui pronunciato Siug con la G dolce, e non Sciug con la G dura come abbreviazione di Sugar Bear.

La scelta degli attori è complessivamente buona, Demetrius Shipp Jr nel ruolo di Tupac e Dominic Santana in quello di Suge assomigliano molto ai personaggi reali; lo stesso non si può dire di Jarrett Ellis nel ruolo di Snoop Dogg o di Harold House in quello di Dr. Dre.

Suscita qualche perplessità il fatto che nel film durante un concerto alla House of Blues di New York Tupac canti Hail Mary che nella realtà uscì solo dopo la sua morte. Di quel live esistono sia l'album sia il DVD e ovviamente il pezzo non era in scaletta, ovviamente è anche impossibile che il pubblico conoscesse il brano e potesse cantare i ritornelli con Tupac.

All Eyez On Me riesce comunque nell'intento di far conoscere aspetti meno noti della vita dal rapper, come il suo rapporto con la madre la cui vita sregolata è causa di grandi problemi per i suoi figli, ma che è al contempo amata da Tupac che le dedica Dear Mama nel disco Me Against The World, o la sua profonda amicizia con Jada Pinkett, futura moglie di Will Smith. Tuttavia la fine della sua carriera e la registrazione degli album All Eyez On Me e The Don Killuminati: The Seven Days Theory (che nel film viene chiamato semplicemente Makaveli, che non è il titolo del disco ma lo pseudonimo adottato da Tupac per lo stesso) sono narrati con troppa superficialità e verranno apprezzati sono da chi conosce già la vicenda e la vorrà vedere rappresentata sul grande schermo.

martedì 5 settembre 2017

Muddy Waters - The London Muddy Waters Sessions

Nei primi anni 70 molti artisti afroamericani si spostarono a Londra per registrare delle sessioni musicali che unissero il suono originario del blues d'oltreoceano con il rock e il blues "bianco" che il Regno Unito aveva iniziato a produrre. Uno di questi fu il leggendario bluesman Muddy Waters che nel 1971 realizzò l'album intitolato The London Muddy Waters Sessions presso gli storici IBC Studios di Portland Place.

L'album vede la presenza di alcuni musicisti britannici di rilievo, tra cui il chitarrista irlandese (ma che lavorava a Londra) Rory Gallagher, Steve Winwood, Ric Grech (bassista dei Blind Faith) e Mitch Mitchell (batterista di Jimi Hendrix). Oltre a questi la formazione è completata da alcuni musicisti della band che seguiva Muddy Waters abitualmente, quali il chitarrista Sammy Lawhorn e l'armonicista Carey Bell.

Il disco è composto di nove pezzi, di cui due inediti di Muddy Waters e sette cover di cui quattro di Willie Dixon, una di Lafayette Leake, una di Casey Bill Weldon e lo standard Key To The Highway, che nel libretto del disco viene accreditato a McKinely Morganfield (vero nome di Muddy Waters) ma di cui i veri autori sono probabilmente Charlie Segar e Big Bill Broonzy.

Il risultato di questa collaborazione è un buon mix tra rock e blues. Il ritmo di alcuni dei brani, come I'm Ready o I Don't Know Why (entrambe cover di Willie Dixon), è notevolmente più veloce di quello degli altri album del bluesman che qui dimostra di sapersi muovere alla grande anche a queste velocità più incalzanti. Oltre alla voce di Muddy Waters il punto di forza di questo album è composto dall'ottimo connubio della chitarra di Gallagher e dell'armonica di Bell. Va sottolineato che la tastiera di Winwood lascia un'impronta piuttosto leggera, ma nel complesso il disco ha un suono armonico di grande effetto e quindi non si può recriminare nulla ai musicisti.

Nella sua avventura nel vecchio continente Muddy Waters ha confermato ciò che già si sapeva sul suo conto: cioè che non gli è mai mancato il coraggio di tentare strade nuove. Ma se alcuni dei tentativi precedenti (come una breve deriva nella musica soul e una nella psichedelia con gli album Brass and the Blues ed Electric Mud) hanno convinto solo a metà, questa volta il tentativo è riuscito alla grande e ha creato con The London Muddy Waters Sessions uno degli album più divertenti del musicista del Mississippi.

martedì 29 agosto 2017

George Thorogood - Party Of One

A 67 anni e a quattro decadi dall'esordio, George Thorogood ha realizzato il suo primo album solista, senza i Destroyers che lo accompagnano dal 1977. Chi si aspetta un album nello stille dei Destroyers suonato da musicisti diversi rimarrà piacevolmente sorpreso: il disco è infatti completamente diverso dalle aspettative, con la strumentazione ridotta all'osso e il solo Thorogood che suona. I pezzi sono tutti realizzati con voce e chitarra e solo in uno è presente anche l'armonica, anch'essa suonata da Thorogood.

Come nella sua migliore tradizione il blues rocker del Delaware decide di realizzare un disco di cover attingendo da repertorio di alcuni mostri sacri del blues, del country e del rock and roll come Robert Johnson, John Lee Hooker, Willie Dixon, Johnny Cash, Rolling Stones e molti altri.

Grazie alla strumentazione essenziale Throgood rimane fedele ai modelli originali e registra un album che omaggia le origini degli stili musicali che lo hanno reso celebre e che lui ha contribuito a diffondere. Uno dei pregi di questo album è infatti proprio quello che i pezzi sembrano vecchi anche all'ascolto; questo non suona come un album di cover realizzato nel 2017, ma come un disco preso di peso dai primi decenni del secolo scorso e teletrasportato ai giorni nostri.

Nonostante lo stile minimalista, Thorogood riesce a esprimersi in stili canori e musicali molto diversi. Si passa da pezzi più aggressivi come I'm a Steady Rollin' Man di Robert Johnson e Boogie Chillen di John Lee Hooker a brani più melodici come Soft Spot di Gary Nicholson e Allen Shamblin e No Expectations dei Rolling Stones fino a pezzi tipicamente country come Bad News di Johnny Cash e Pictures From Life's Other Side di Hank Williams. Tra i pezzi degni di nota troviamo anche The Sky is Crying di Elmore James che Thorogood aveva già inciso con la band nell'album Move It Over del 1978.

In chiusura dell'album troviamo una registrazione live di One Bourbon, One Scotch, One Beer di John Lee Hooker registrata da Thorogood con i Destroyers nel 1999 e (solo nella versione in CD) Dynaflow Blues di Robert Johnson che pure aveva inciso con il gruppo nell'album The Hard Stuff del 2006.

Con Party Of One George Thorogood si conferma uno degli artisti più meritevoli della nostra epoca, capace di realizzare un disco di cover e di omaggi al passato armato solo di chitarra e armonica. Oltre ad essere un grandissimo musicista si dimostra anche per l'ennesima volta un grande conoscitore della storia della musica moderna e della sua evoluzione, dal blues del delta del Mississippi fino al rock contemporaneo. In ogni disco di George Thorogood possiamo trovare il perfetto connubio tra la musica e la sua storia ed è un vero peccato che nel nostro paese Thorogood sia conosciuto solo per Bad To The Bone; resta almeno la speranza che Party Of One allarghi il pubblico degli ascoltatori di questo straordinario musicista e che partendo da qui venga riscoperta anche la lunga discografia dei Destroyers.

mercoledì 23 agosto 2017

Cinema e musica: Morte a 33 Giri

Negli anni 80 il cinema horror e la musica heavy metal vissero un periodo di particolare splendore. Nel 1986 il regista e attore Charles Martin Smith decise di unire questi due filoni realizzando il film Morte a 33 Giri (Trick or Treat in originale) in cui horror e metal si uniscono per una pellicola divertente e intrisa di hard & heavy.

Il film narra la storia di un ragazzo appassionato di metal, Eddie Weinbauer interpretato da Marc Price (noto anche per aver ricoperto il ruolo di Skippy nella serie televisiva Casa Keaton) che riceve in dono dall'amico Nuke, DJ di una radio locale interpretato da Gene Simmons, il nuovo album inedito su disco acetato del suo cantante preferito, Sammi Curr, recentemente scomparso.

Il disco porta l'eloquente titolo Songs in the Key of Death ed Eddie scopre che facendolo girare al contrario può dialogare con il cantante deceduto. Curr dall'oltretomba lo aiuta a vendicarsi degli scherzi che subisce da alcuni bulli della scuola. Sulle prima Eddie si gode le proprie rivincite, ma quando il gioco di Sammi diventerà troppo pesante, il giovane dovrà ribellarsi al suo idolo.

Il film è ovviamente ricco di musica hard & heavy e di rimandi ai gruppi musicali di quel periodo. Nella stanza di Eddie si trovano infatti poster, foto e dischi di band come gli Anthrax, i Raven, i Judas Priest, i Megadeth e molti altri. Inoltre, oltre a Gene Simmons, anche Ozzy Osbourne compare in alcune scene nei panni di un predicatore televisivo che condanna i testi violenti dell'heavy metal.

Il film, come è ovvio, gioca molto sui presunti legami tra occultismo e musica metal e sui messaggi subliminali che secondo una popolare leggenda metropolitana si potrebbero ascoltare facendo girare i vinili al contrario. Del resto molte band di quel periodo scherzarono sugli stessi argomenti usando un look cimiteriale fatto di teschi, abiti neri e immagini tratte dall'immaginario horror.

La colonna sonora del film è affidata interamente ai britannici Fastway che cantano i pezzi di Sammi Curr. L'album è la perfetta controparte musicale del film, improntata su un rock rapido, energico, divertente e di facile presa. Il disco è composto di nove pezzi di cui sette veloci e due lenti intitolati Heft e If You Could See a chiudere il disco. Tra le nove tracce spicca sicuramente il brano di apertura Trick or Treat che nel film viene eseguito da Sammi Curr nella sua esibizione dal vivo nella notte di Halloween di ritorno dall'oltretomba. Degno di nota è anche After Midnight, ascoltabile nel film durante i titoli di coda.

L'album è contraddistinto anche da una piccola nota umoristica: il libretto che accompagna il disco reca infatti  la scritta This album is dedicated to the memory of Sammi Curr, ma il cantante ovviamente non é mai esistito.

Morte a 33 Giri è un ottimo prodotto di un decennio dorato ricco di divertimento e spensieratezza i cui fasti non sono mai stati ripetuti, il film sicuramente non scontenterà né gli amanti dell'horror né quelli del buon hard rock di quel periodo. Guardandolo oggi resta forse un po' di nostalgia nel constatare come il talento di allora sembra essere perso in entrambe le correnti.

lunedì 7 agosto 2017

Exit Eden - Rhapsodies in Black

Quattro tra le più grandi regine del symphonic metal hanno unito le proprie forze per creare un supergruppo chiamato Exit Eden che il 4 agosto scorso ha pubblicato il proprio primo album intitolato Rhapsodies in Black che contiene undici cover di altrettanti pezzi rivisti con il loro stile. Il quartetto è composto dall'americana Amanda Somerville, dalla francese Clémentine Delauney, dalla brasiliana Marina La Torraca e dalla tedesca Anna Brunner. Le quattro ragazze hanno scelto cinque classici della musica pop rock degli ultimi decenni, quali Question of Time dei Depeche Mode, Frozen di Madonna, Heaven di Bryan Adams, Total Eclipse of the Heart di Bonnie Tyler e Fade to Grey dei Visage, a cui si aggiungono sei pezzi pop più recenti come Unfaithful di Rihanna, Incomplete dei Backstreet Boys, Impossibile di Shontelle, Firework di Katy Perry, Skyfall di Adele e Paparazzi di Lady Gaga.

La loro interpretazione degli undici pezzi lascia pressoché invariate le melodie originali, ma trasforma i pezzi nello stile del symphonic metal, con ricche basi musicali dalle sonorità dure a cui si sommano le quattro voci ognuna con il proprio stile distintivo e riconoscibile: dal canto limpido da soprano di Clémentine, a quello aspro di Anna fino ai due potenti contralti Marina e Amanda, con quest'ultima che soverchia le altre quanto a potenza quando cantano insieme, come si può sentire ad esempio nei ritornelli di Unfaithful e Impossibile.

Il risultato è un album di grande effetto improntato soprattutto a valorizzare le quattro voci e riuscendo perfettamente nel compito. Tra i pezzi spiccano sicuramente Frozen e Skyfall che vedono la presenza come ospite di una quinta regina, Simone Simons degli Epica, che aggiunge un tocco lirico al canto. Di notevole valore anche Total Eclipse of the Heart, il cui intro è cantanto dal secondo ospite, lo svedese Rick Altzi, e Heaven la cui prima strofa cantata dal Clémentine è semplicemente celestiale. La stessa Clémentine canta le due strofe in francese di Fade to Gray con una pronuncia ovviamente perfetta che nessuna delle altre avrebbe potuto regalare. In Frozen è da notare anche il vocalizzo che introduce il ritornello che qui è eseguito a più voci dalle quattro vocalist insieme.


In realtà è difficile individuare nel disco tracce migliori di altre perché sono tutte ottime, così come è difficile scegliere quali siano le voci migliori: se proprio fossimo costretti sceglieremmo a pari merito Clémentine per la pulizia dell'esecuzione e Amanda per la potenza.

Nel complesso le quattro realizzando un disco che offre un symphonic metal morbido e divertente che non conosce un attimo di noia, l'unica è pecca è forse proprio la durata perché ascoltando questo album resta la convinzione che le quattro ragazze sarebbero sicuramente state in grado di realizzare un disco molto più lungo di questo senza scadere mai nella qualità. Resta la speranza che questo supergruppo decida di tornare in studio a registrare un nuovo album perché il loro primo esperimento è riuscito alla grande.

martedì 1 agosto 2017

Alice Cooper - Paranormal

Sei anni dopo l'ultimo album Welcome 2 My Nightmare (da non confondere con il quasi omofono Welcome To My Nightmare del 1975) torna Alice Cooper con un nuovo lavoro registrato in studio, il nuovo disco si intitola Paranormal ed è un doppio album che contiene dieci nuove tracce (che vedono la presenza di Larry Mullen jr degli U2 alla batteria) sul primo disco, più altre due registrate con la band originale (per la prima volta dal 1973) e sei registrazioni live di pezzi storici del rocker di Detroit sul secondo disco.

Iniziando l'ascolto stupisce la scelta di aprire l'album con una ballad, la title track; stupisce ancora di più constatare che il pezzo è debole e poco convincente nonostante la presenza di Roger Glover al basso. Con la seconda Dead Flies salgono i ritmi e troviamo il primo brano veloce dell'album, ma purtroppo delude anche questo con un ritmo che pare forzato e poco naturale. Passando alla terza traccia sembra di aver cambiato album, perché finalmente troviamo il primo pezzo nello stile di Alice Cooper che conosciamo, con un hard rock divertente ed energico intitolato Fireball. Proseguendo l'ascolto si conferma l'ipotesi che l'avvio deludente sia stato solo un incidente, perché troviamo la traccia migliore dell'intero disco intitolata Paranoic Personality caratterizzata da un riff potente e da un altrettanto potente controcanto sul ritornello che entra in testa come un martello pneumatico. Con Fallen in Love incontriamo anche il secondo ospite del disco: il chitarrista e cantante degli ZZ Top Billy Gibbons, e il riff di apertura è talmente distintivo dello stile di Gibbons che sembra di essere stati trasportati in un album del terzetto texano. Il pezzo ci regala un ascolto di Alice Cooper in un'insolita veste blues rock, il duetto vocale dei due amalgama perfettamente lo stile canoro di questi colossi del rock così diversi tra loro. L'esperimento del blues rock viene riproposto anche nel pezzo successivo, il rapido e incalzante Dynamite Road che vira in parte verso lo stoner rock.

Con Private Public Breakdown troviamo un midtempo divertente che rallenta leggermente il ritmo del disco che però riparte subito dopo con Holy Water e Rats, due pezzi veloci ed allegri che preludono alla seconda ballad che chiude il primo disco. Ma fortunatamente The Sound of A è un bel pezzo ispirato e dall'atmosfera psichedelica decisamente migliore di quello di apertura.

Inutile nascondere che c'è molta curiosità per i pezzi nuovi registrati dalla band originale, quella che risale al periodo in cui Alice Cooper era il nome del collettivo, composta da Neal Smith alla batteria, Michael Bruce alla chitarra e Dennis Dunaway al basso (il quinto membro Glen Buxton è morto nel 1997). Appena premuto il tasto Play dopo aver inserito il secondo disco l'attesa è ripagata alla grande. Con Genuine American Girl troviamo un rock and roll divertente dal testo molto scherzoso che fa rivivere i fasti della band delle origini, il secondo brano You and All of Your Friends continua sulla strada tracciata dal precedente dimostrando che a distanza di oltre quarant'anni i quattro musicisti hanno trovato subito l'intesa delle origini.

Chiudono il doppio album sei tracce storiche registra dal vivo il 6 maggio 2016 a Columbus, nell'Ohio. I pezzi scelti sono No More Mr. Nice Guy, Under My Wheels, Billion Dollar Babies,
Feed My Frankenstein, Only Women Bleed e School's Out.

Paranormal non è un capolavoro al pari di Raise Your Fist And Yell o Trash, ma è sicuramente un ottimo disco fatto di pezzi di alto valore (a parte i primi due). Stupisce comunque la voglia di sperimentare di Cooper che si lancia in territori fin'ora inesplorati come il blues rock, e riprende quelli abbandonati da oltre quattro decadi trovandosi di nuovo perfettamente a proprio agio. Paranormal non sarà una pietra miliare della carriera di Alice Cooper, ma è sicuramente una prova che questo mostro sacro dello shock rock ha ancora molte frecce al proprio arco.

lunedì 24 luglio 2017

Pino Scotto Bubbles Fest - Pavia, 23/7/2017

Il concerto di Pino Scotto al Bubbles Fest è ormai una "classica" dell'estate pavese. Giunta alla sua quarta edizione, la manifestazione organizzata dalla Bubbles Crew ospita nel fossato del Castello Visconteo quattro serate di musica, condita con birra e ottima cucina, con alcuni tra i migliori gruppi italiani degli ultimi decenni. E dall'anno dell'inaugurazione la serata conclusiva vede la performance del leggendario rocker napoletano ed ex frontman dei Vanadium.

Pino è salito sul palco introno alle 22:30 accompagnato dalla sua band formata da tre musicisti di altissimo livello, ciascuno dei quali meriterebbe un posto in un ipotetico dream team del rock italiano. Il gruppo è composto da Dario Bucca al basso, Steve Angarthal (che suona con Pino fin dai tempi dei Fire Trails) alla chitarra e Marco Di Salvia alla batteria, e nonostante siano solo in tre producono un impatto sonoro che altre band realizzano con quattro o cinque elementi. Il trio colpisce il pubblico non solo per l'esibizione musicale perfetta, ma anche per alcune chicche della loro performance, come Angarthal che suona la chitarra come i denti e Di Salvia che nei momenti più concitati fa roteare la sua lunga chioma mentre suona.

I pezzi eseguiti da Pino spaziano per tutta la sua carriera musicale, attingendo sia dalla discografia dei Vanadium, sia da quella dei Fire Trails, fino al arrivare alla sua carriera solista e alternando quindi il canto in inglese a quello in italiano. Gli anni passano ma la voce di Pino resta forte e tonante come confermano i numerosi scream in cui si lancia e che esegue con la potenza degli anni migliori. In totale il quartetto regala un'ora e mezza di grande hard rock ai confini col metal, per un concerto all'insegna del divertimento e dell'energia ininterrotta

Come in ogni concerto di Pino, i pezzi cantati sono alternati dai suoi coloriti commenti socio-politici che, vista la location del concerto, non risparmiano nemmeno le zanzare e l'umidità. La voce di Pino si interrompe solo per pochi minuti circa a metà del concerto quando il cantante cede la scena ad Angarthal che esegue un brano dal suo album solista.

Tra un pezzo e l'altro Pino ricorda anche il compianto Lemmy Klimster di cui narra anche qualche aneddoto legato al tour italiano dei Motorhead di metà degli anni 80 in cui i Vanadium fecero da gruppo di apertura.

Al termine del concerto, lasciando il fossato del castello resta il ricordo del concerto a chiusura dell'evento che la Bubbles Crew ha organizzato anche quest'anno, portando a Pavia un piccolo estratto della migliore musica che il nostro paese abbia prodotto. Grazie Pino, per la bella serata. Grazie Bubbles Crew, ci vediamo l'anno prossimo.