martedì 5 dicembre 2017

Intervista a Francess

La cantante italoamericana Francess è la migliore voce del panorama R&B del nostro paese. All'attivo ha già due album: il primo si intitola Apnea ed è stato pubblicato nel 2015, il secondo è intitolato A Bit of Italiano è stato pubblicato nel 2017 e contiene una raccolta di classici della canzone italiana reinterpretati nello stile della musica nera.

Per parlare dei suoi due album e del suo background musicale, Francess ha accettato la nostra richiesta di un'intervista, che pubblichiamo di seguito.

Ringraziamo Francess per la sua cortesia e disponibilità.


125esima Strada: Ciao Francess e grazie anzitutto per il tempo che ci stai dedicando. I nostri lettori ti conoscono già perché sul nostro blog ci sono le recensioni di entrambi i tuoi album. Nonostante ciò ti chiediamo una tua breve presentazione. Raccontaci chi sei e come è nata la tua passione per la musica.

Francess: La musica in casa mia è sempre stata presente, non ci sono musicisti ma tanti appassionati. Io ho iniziato però a cantare abbastanza tardi; ho fatto il liceo artistico, poi ho iniziato l’Accademia delle Belle Arti, ho lavorato per un periodo anche da uno scultore ed è stato lui a farmi capire che non era quella la mia strada. Ed è stato lì che ho incontrato i miei attuali produttori dell’etichetta indipendente SonicFactory, con cui ho iniziato un percorso.

Questo percorso mi ha portato a sperimentare diverse cose fino ad arrivare a oggi, a questo disco che è molto particolare ed è un lavoro che mi sta molto a cuore. Faccio una premessa: io ho il padre giamaicano, la madre italiana, sono nata a New York e cresciuta a Torino, un bel mix! Questo progetto nasce proprio dal desiderio di costruire un ponte tra le mie due culture e le mie due lingue. Quindi abbiamo fatto questo esperimento, abbiamo preso brani della tradizione musicale italiana e li abbiamo rielaborati portandoli come arrangiamento nel mio mondo sonoro che deriva dalla passione per il jazz, il blues, il soul. E soprattutto li abbiamo tradotti in inglese.


125esima Strada: Visto che hai introdotto l’argomento del tuo nuovo disco, proseguiamo pure a parlarne. Come avete scelto i pezzi? Passare da Buscaglione a Neffa è un bel salto!

Francess: Sicuramente siamo partiti da brani che ci piacevano e poi abbiamo fatto una selezione di quelli che si prestavano a una trasformazione molto radicale. Ci tenevamo a non stravolgere i brani originali nella traduzione, ma la traduzione fedele non si può fare con tutte le canzoni e quindi il campo si è ristretto e piano piano abbiamo scelto quelli che andavano meglio e che ci piacevano di più.


125esima Strada: Raccontaci come è nato l’inedito Good Fella, che racconta degli stereotipi sugli italiani all'estero. Tu che sei italoamericana sei cresciuta con questi stereotipi, immagino.

Francess: Questo brano mette insieme le mie due lingue, è scritto un po’ in inglese e un po’ in italiano. E’ molto ironico perché ci ho messo tutti gli stereotipi possibili sull’Italia. Volevo parlare del mio conflitto interiore che ho sempre avuto per via delle mie origini. Nasce così quindi, ed esprime il mio orgoglio e il mio senso di appartenenza all’Italia.


125esima Strada: In Don’t Want The Moonlight alla fine canti in italiano e questo mostra un lato della tua voce diverso da quello solito. Pensi in futuro di poter fare qualche pezzo intero o un disco intero in italiano?

Francess: Non escludo niente e sicuramente questo disco mi ha fatto riflettere su questa cosa. E’ stato un esperimento linguistico vedere che suoni potevano uscire dalle due lingue diverse. Potrebbe essere una strada interessante anche solo come esperimento per capire in che direzione mi potrebbe portare.


125esima Strada: Parliamo anche del tuo disco precedente, Apnea. Come è nato? Credo che sia molto difficile fare un disco di R&B in Italia.

Francess: Quello è stato il mio primo disco, avevo iniziato questo percorso con i miei produttori che ho avuto la fortuna di incontrare e che hanno creduto nelle mie capacità. Ma soprattutto mi hanno dato uno spazio per cercare di capire chi ero musicalmente e artisticamente seguendo i miei gusti e quello che mi piaceva. Quindi il genere nasce da questo, ci abbiamo creduto e l’abbiamo realizzato.

E’ il disco che segna il mio inizio e mi dà anche un’impronta e un’identità.


125esima Strada: C’è qualche pezzo di Apnea a cui sei particolarmente legata? Se posso dirti il mio parere personale, a me piace soprattutto Cool.

Francess: Sicuramente Cool è un pezzo che mi è sempre piaciuto anche da fare live. Mi coinvolge molto, e quindi sono d’accordo con te.


125esima Strada: Ricordo di averti sentita dire che tra i musicisti che ti hanno influenzata di più c’è Billie Holiday, oltre a lei chi sono i tuoi musicisti preferiti?

Francess: Ce ne sono tanti, ascolto tanti tipi di musica diversa. Però sicuramente ho ascoltato molto Lauryn Hill e Nina Simone che sono quelle che hanno influito di più sul mio modo di sentire o vivere la musica.


125esima Strada: Sinceramente non mi aspettavo di sentirti nominare Lauryn Hill perché i suoi dischi sono fatti spesso su basi campionate mentre tu suoni con una band. Se io dovessi consigliare una cantante R&B a un marziano, tra te e lei sceglierei te.

Francess: Beh, io crescendo e sperimentando la mia voce a livello di vocalità ho sempre ascoltato Lauryn Hill e mi è sempre piaciuta molto. Proprio a livello vocale.


125esima Strada: Chi sono invece i tuoi musicisti preferiti di oggi?

Francess: Questa è una domanda difficile perché ascolto molta musica del passato. Di oggi mi piace veramente poco. Sicuramente mi piace molto Vinicio Capossela.


125esima Strada: Ho visto i tuoi video e sono fatti con molta professionalità, non hanno nulla da invidiare a quelli delle star più blasonate. Come riuscite a raggiungere livelli così alti pur non avendo i budget delle star?

Francess: Abbiamo un’ottima squadra, il lavoro di squadra è sempre fondamentale per fare buoni prodotti. Abbiamo sempre trovato gente pronta a investire tempo e risorse per riuscire a fare un ottimo lavoro.


125esima Strada: Ti faccio una domanda che esula un po’ dal resto. Cosa pensi delle nuove tecnologie come Spotify o YouTube che consentono anche a chi è lontano e non può comprare fisicamente il disco di sentire la tua musica?

Francess: Non sono mai contraria ai cambiamenti, quindi anche le nuove piattaforme digitali come YouTube, Spotify o altri sono ottime risorse. Bisogna sfruttarle perché hanno rivoluzionato il modo di ascoltare la musica, di comprarla e di venderla. Bisogna capire come tirarne fuori il meglio, ma sono un ottimo mezzo.

giovedì 30 novembre 2017

Amadeus Awad's Eon - The Book of Gates

Sotto al nome Amadeus Awad's Eon si cela il duo libanese composto dal chitarrista Amadeus Awad e dal cantante Elia Monsef che sono anche autori delle musiche e dei testi dei loro dischi. Nel 2013 gli Amadeus Awad's Eon hanno dato vita alla metal-opera The Book of Gates, ambientata nell'antico Egitto, che narra una storia di tradimento e di ritorno dai morti interpretata da vocalist di grande spessore. Il faraone è infatti interpretato da Russell Allen, una delle voci delle più potenti e apprezzate del panorama metal attuale, la regina dalla straordinaria Amanda Somerville e il negromante proprio da Elia Monsef.

Come è lecito aspettarsi dalla tematica trattata e dalla provenienza dei due autori, l'album è riconducibile al filone dell'oriental metal, con melodie tipiche del power metal arricchite di sonorità magrebine e mediorientali. Non a caso tra i musicisti troviamo anche Elyes Bouchoucha, tastierista dei Myrath, una delle migliori band mondiali di questo genere.

Il disco è composto da quattro tracce più tre bonus track tratte da un album precedente di Amadeus Awad. Il brano di apertura è intitolato Visions e dopo aver introdotto le melodie orientali che pervaderanno l'intero disco lascia la narrazione al negromante che introduce la storia che sta per svolgersi, cioè che la regina ha intenzioni maligne e che il faraone dovrà affrontare una dura lotta da solo.

Nel secondo pezzo intitolato The Crown’s Fate entrano in scena i due protagonisti principali interpretati dai due straordinari vocalist che non hanno bisogno di presentazioni. Entrambi regalano un'altra, ennesima, prova magistrale delle loro doti canore. Un plauso particolare va comunque ad Amanda Somerville che si lancia in un canto arabeggiante in tonalità più acute rispetto al solito, mostrando grandi capacità anche lontana dal suo repertorio solito; Russell Allen interpreta il faraone con voce potente e aspra, senza allontanarsi troppo dal suo stile consueto. The Crown’s Fate svela qual è il piano malvagio della regina, ovvero avvelenare il faraone ed ereditarne il regno.

Il terzo pezzo è la title track e si apre con il suono duro e ossessivo delle chitarre che introducono quanto verrà raccontato: il faraone si trova nell'oltretomba e lo attende la dura prova di superare tredici cancelli per rompere l'incantesimo e porre fine al regno della regina. Il faraone trae la forza dalla rabbia di essere stato tradito mentre torna in scena il necromante che gli promette il favore degli dei nella sua impresa. Il pezzo si chiude con un una stoccata finale della regina, in cui Amanda di nuovo esegue un canto in stile orientale, che minaccia il faraone di tenerlo per sempre in suo potere.

Nel brano conclusivo troviamo il faraone tornare in vita da comune mortale, ma di nuovo il negromante gli promette la vittoria sulla regina, la quale non si arrende e continua a proclamare la propria supremazia; la chiusura del pezzo è cantanta da tutti e tre con le voci che si sovrappongono a creare un contrasto canoro di grande effetto.

Il disco è completato dalla presenza di tre bonus track tratte dall'EP di Amadeus Awad Schizanimus uscito nello stesso anno (che è composto in realtà di questi soli tre pezzi) che ribadiscono l'altissimo livello della capacità compositiva del chitarrista libanese che anche in questo caso propone del bellissimo oriental metal cantato questa volta dal solo Elia Monsef.

L'unico difetto di The Book of Gates è che dura troppo poco. Meno di venticinque minuti per una metal-opera ricca di suggestioni e cantata da due maestri del metal, quando questa formula avrebbe retto bene per l'intera durata di un LP. E' anche un peccato che Amadeus Awad non goda della fama che merita perché, come testimonia questo disco, ci troviamo davanti a uno dei più creativi interpreti del metal mondiale.

venerdì 24 novembre 2017

The Kelly Song Collective - Unless and Until

Dopo aver raccolto decenni di esperienza come musicisti folk in band locali, con cui eseguivano classici del genere, i fratelli canadesi Joe e John Kelly hanno unito le proprie forze nel creare la formazione che porta il loro nome, a cui partecipano anche quattro strumentisti per le sessioni di registrazione, con cui hanno inciso il loro primo album intitolato Unless and Until.

Il disco è composto di 14 tracce che offrono un folk fresco e leggero contraddistinto dal ricco suono degli strumenti, soprattutto a corda, tipici del genere come mandolino, violino, basso, chitarre, contrabbasso e banjo, a cui si somma la voce dei due fratelli che si alternano al microfono. Lo stile canoro dei due è molto simile e si trova a metà strada tra i modelli di Johnny Cash e di Lou Reed; i due fratelli si distinguono per le tonalità con Joe a fare le voci più alte e John quelle più gravi.

Tutte le quattordici tracce del disco sono di ottima fattura e l'album nella sua interezza intrattiene senza sosta mentre trasporta l'ascoltatore in atmosfere dell'entroterra canadese in uno stile che sul loro sito web viene definitivo Canadiana e che attinge anche dalla tradizione del folk irlandese e scozzese.

Tra i pezzi migliori troviamo il brano di apertura Long Day retto dalla chitarra e dal violino che qui ha un ruolo molto importante e Four Colors in cui la melodia è invece sostenuta dal mandolino. Bellissima è anche la ballad Kate impreziosita dal coro di voci femminili in chiusura. I due fratelli si concedono anche qualche contaminazione musicale con brani come Petawawa Blues, ricca di sfumature blues come suggerisce il titolo stesso, e con First Day Of The Year che è il pezzo più country del disco grazie alle sue atmosfere western, nel pezzo troviamo anche l'unico duetto dei due fratelli con Joe che esegue la voce più alta e John quella più bassa. Tra i brani degni di nota troviamo anche l'allegra Train che è il brano più veloce del disco e che si distingue per le atmosfere più southern.

Quello della Kelly Song Collective è un ottimo esordio discografico che mostra come anche dei musicisti dilettanti che fanno altro di lavoro possono raggiungere gli stessi livelli di professionalità degli artisti più famosi. Una volta completato l'ascolto di Unless and Until nasce subito il desiderio di riprendere l'ascolto dall'inizio, nella speranza che questo non resti un esperimento isolato e che i due tornino presto in sala di registrazione.

venerdì 17 novembre 2017

Kid Rock - Sweet Southern Sugar

Tre anni dopo l'inspiegabilmente brutto First Kiss torna Kid Rock con il nuovo album intitolato Sweet Southern Sugar che fortunatamente smentisce le paure di chi temeva che la vena creativa del rocker di Detroit fosse ormai esaurita. Le dieci tracce dei disco regalano infatti 43 minuti di musica rock ricca di venature country e southern e di molte altre influenze che Kid Rock riesce ad amalgamare come ha saputo fare nel suo passato con grande maestria.

Il disco si apre con tre pezzi che erano stati pubblicati come singoli prima dell'uscita dell'album. La traccia di apertura Greatest Show on Earth è più dura ed energica di quanto il recente passato di Kid Rock possa suggerire, recuperando sonorità più simili a quelle di American Bad Ass uscita nel lontano 2000. Con la seconda traccia Po-Dunk iniziamo a trovare alcune delle sonorità più southern di cui Kid Rock ha fatto ampio uso nei suoi ultimi album, e con la terza Tennessee Mountain Top troviamo il primo il primo brano melodico del disco che, curiosamente, è reinciso rispetto alla pubblicazione in singolo, con la melodia pressoché identica ma affidata più al piano che alla chitarra.

Il disco è ricco di brani melodici, in cui i cori hanno un ruolo di particolare importanza. Troviamo tra essi la ballad American Rock 'n Roll in cui il coro esegue un vocalizzo di grande effetto come controcanto sul ritornello. La seconda ballad del disco è Back To The Otherside le cui strofe sono rappate (come accadeva nei vecchi album di Kid Rock come Devil Without a Cause e fino a Cocky), in questo pezzo il ritornello è affidato completamente al coro che lo esegue con sonorità vicine al gospel, non sembra una scelta casuale visto il testo toccante che parla di come sconfiggere la tentazione al suicidio. Anche il pezzo successivo, Raining Whiskey, è una ballad dal testo più tradizionale che narra del dolore causato dalla lontananza dalla donna amata, il brano presenta forti sfumature blues ed è retto dal suono del piano, anche in questo pezzo il coro sul ritornello ha un ruolo fondamentale.

Il resto del disco riporta i suoni su atmosfere più forti. Troviamo l'energica e speranzosa Stand The Pain, il cui suono sconfina nell'AOR e la grintosa Grandpa's Jam che di nuovo sembra riportare indietro ai tempi di American Bad Ass.

Completano l'album l'atipico pezzo elettronico a tratti funk I Wonder e una cover di I Can't Help Myself dei Four Tops, qui intitolata Sugar Pie Honey Bunch.

Con questo album Kid Rock cancella definitivamente il passo fasso precedente, regalando un disco di dieci tracce dal suono vario, ricco e soprattutto sempre convicente, sempre curato nelle musiche, nelle parti cantante e anche nei testi che non sono mai banali.

Tutti possono sbagliare, anche i migliori, perdoniamo quindi a Kid Rock lo scivolone di First Kiss e non possiamo che constatare che uno dei più creativi e sottovalutati rocker degli ultimi decenni è fortunatamente tornato con questo album al pieno della sua forma.

domenica 12 novembre 2017

W.A.S.P. Re-Idolized Tour - Live Club Trezzo sull'Adda, 9 novembre 2017

Questo articolo è stato scritto dal nostro guest blogger Tino che ringraziamo per il contributo.

We Are Sexually Pervert, è a questo che normalmente si associa l'acronimo del nome della band fondata a Los Angeles da Blackie Lawless all'inizio degli anni 80; la versione ufficiale si riverisce al nome inglese della comune vespa (wasp, appunto) ma il primo è senza dubbio il più divertente.
Un miscuglio di heavy metal per la durezza e la velocità dei suoni, di hair metal per il provocatorio abbigliamento e di shock rock per la presenza scenica e, talvolta, la volgarità dei loro testi; hanno permesso a questo gruppo, oramai trentennale, di vendere circa 12 milioni di dischi in tutto il mondo.

Menzione doverosa sull'aperitivo (musicale) della serata che è stato offerto dai Rain, band formatasi a Bologna oramai nei lontani anni 80 e proseguita fino a oggi con un'alternanza di generazioni di musicisti. La loro esibizione, seppure breve mi è piaciuta molto e mi suona strano non averli mai sentiti fino ad ora, probabilmente cantando in inglese sono più apprezzati oltre confine.

Questo tour degli W.A.S.P. è incentrato sul 25esimo anniversario dell'uscita di The Crimson Idol un concept album che racconta, attraverso i suoi pezzi la vita di Jonathan Steel. Solitamente i concerti che seguono la tracklist di un album non mi appassionano ma in questo caso, essendo una sorta di rock opera le cose cambiano.

In The Titanic Overture e The Invisible Boy viene presentato il protagonista, un adolescente cresciuto in una cittadina americana, il figlio non voluto dai genitori, la pecora nera della famiglia i cui unici punti fissi della sua vita erano suo fratello maggiore e la sua immagine riflessa nello specchio. Dopo la morte del fratello, Jonathan decide di scappare di casa dove passa due anni come mendicante ai bordi di una grande città, come raccontato in Arena Of Pleasure, fino a quando non trova in un negozio una chitarra cremisi. Una situazione alla Sliding Doors dove una decisione cambia la vita di Michael.

Inizia lentamente, anche grazie all'incontro con un produttore, la vita da rockstar di Jonathan con tutte le gioie e i dolori che ne conseguono, mentre in The Gypsy Meets The Boy viene raccontato l'incontro del protagonista con una zingara che predice il suo futuro: Be careful what you wish for, cause it may come true.

Con l'incontro di Doctor Rockter inizia il viaggio nel lato oscuro di quella vita, dove droghe e stupefacenti fanno lentamente perdere il contatto con la realtà fino quasi a mettere a rischio la carriera da musicista.

Il racconto si conclude con The Great Misconceptions Of Me nel quale Jonathan, resosi conto di aver perso gli affetti, ovvero la cosa a lui più cara, cerca di riallacciare il rapporto con i genitori, ma viene gelato al telefono con la frase: we have no son pronunciata dalla madre.

Qualche giorno dopo, Johnatan si suicida; dopo un concerto il corpo del Crimson Idol viene rinvenuto appeso alle corde della stessa chitarra rossa dalla quale tutto era iniziato.

Una performance davvero ben riuscita, Blackie Lawless, oramai unico membro della formazione originale, riesce ancora a sparare acuti nonostante abbia passato da poco i 60 anni, cosa non scontata per performer di quell'età.

L.O.V.E. Machine è la prima delle 4 cartucce pesanti che chiudono il concerto, seguita da Wild Child, a mio avviso uno dei pezzi migliori della band. Golgotha, dall'omonimo album, del 2015 è l'unico pezzo recente, prima del gran finale con I Wanna Be Somebody, tratto dall'album di esordio del 1984, che ha letteralmente messo sottosopra il Live Club.

Unica osservazione che mi sento di fare è che negli ultimi quattro pezzi sono stati proiettati i rispettivi video sugli schermi usati per proiettare il film a supporto del racconto; non mi sembra una gran scelta perché rende impossibile la possibilità di legare due o più pezzi per qualche medley, ma rimane un parere personale.

Concerto davvero bellissimo, se avessero suonato anche Blind in Texas sarebbe stato perfetto.

sabato 4 novembre 2017

Robert Plant - Carry Fire

Il leggendario ex cantante dei Led Zeppelin Robert Plant ha da poco pubblicato il suo nuovo album registrato in studio intitolato Carry Fire. Il disco è l'undicesimo della sua carriera solista e il secondo con i Sensational Space Shifters che lo accompagnano dal 2012. Il disco è composto da 11 tracce che già dal primo ascolto sorprendono per la ricchezza dei suoni e per la quantità di strumenti utilizzati, tra cui molti che l'ex leader dei Led Zeppelin ha più volte utilizzato in passato ma che non si trovano di norma nelle composizioni rock, tra cui chitarra resofonica, djembe, viola, violoncello e tamburelli. La larga maggioranza dei pezzi è lenta e melodica e dalle atmosfere oniriche, grazie alla voce di Plant che troviamo qui particolarmente ispirata.

Il disco si apre con il midtempo The May Queen che per via delle sue sonorità mediorientali ricorda molto alcune incisioni passate di Robert Plant come l'album Walking Into Clarksdale registrato nel 1998 con Jimmy Page. Il disco prosegue con un altro midtempo intitolato New World... che resta sulle melodie del brano precedente ma con sonorità più classiche. Con la quarta traccia Season's Song troviamo la prima ballad del disco e restiamo su ritmi lenti anche con la successiva Dance With You Tonight in cui l'unione della voce di Plant con il suono delle percussioni e degli archi crea un'atmosfera sognante mentre Plant canta il suo amore per la donna amata con la consapevolezza del tempo che scorre.

Con il brano Carving up the World Again... A Wall and Not a Fence troviamo la prima leggera accelerata dell'album per un pezzo sorretto dalle percussioni il cui suono ossessivo si unisce a quello delle chitarre a creare sonorità da southern rock. Nel disco è presente un solo brano veloce intitolato Bones Of Saints che costituisce il primo e unico vero rock and roll dell'album in cui anche il canto di Plant si fa più deciso. I ritmi mediorientali del pezzo di apertura si trovano anche nella title track, in cui la chitarra aggiunge un tocco di blues, attingendo così anche dalle origini musicali dei Led Zeppelin, mentre il canto di Plant tende a imitare lo stile canoro arabeggiante dando vita a un contrasto di grande effetto che crea il brano più affascinante dell'intero disco. La sperimentazione di questo album sconfina anche nel trip hop con il brano Kip It Hid dalle sonorità fortemente elettroniche e dai ritmi ovviamente piuttosto lenti, come impone il genere stesso.

Nell'album troviamo anche due pezzi più lenti e meditativi, Heaven Sent e A Way With Words, entrambi molto raccolti e nei quali la strumentazione è ridotta al minimo, contrariamente al resto del disco in cui invece è molto ricca. Completa l'album la cover di Bluebirds Over The Mountain di Ersel Hickey che trasforma un classico del rockabilly in un pezzo alternative rock nello stile degli anni 90 in cui Plant duetta con Chrissie Hynde. Anche in questo pezzo Plant non rinuncia a qualche influenza mediorientale, soprattutto nel finale grazie alla massiccia presenza degli archi che accompagnano i due vocalist.

Alla soglia dei 70 anni Robert Plant ci regala un album ricco di sperimentazioni sonore che creano atmosfere e suggestioni diverse. Non serve neanche specificare che questo album è caratterizzato da sonorità stupende che solo i grandi musicisti sanno creare, perché Robert Plant appartiene all'empireo della musica ed è più che ovvio che tutto ciò che tocca diventa un capolavoro di livelli eccelsi.

martedì 17 ottobre 2017

Black Merda: rock psichedelico da Detroit (prima parte 1969 - 1972)

Il nome del gruppo farà sorridere gli ascoltatori italofoni, ma a dispetto del nome un po' infelice i Black Merda (che è il respelling di black murder e non ha nulla a che vedere con la parola omografa in italiano) sono una delle realtà più interessanti del rock psichedelico dei primi anni 70. La formazione nacque come un terzetto composto da Anthony Hawkins alla chitarra, VC Lamont Veasey al basso e alla voce e Tyrone Hite alla batteria. Prima della pubblicazione del primo album il gruppo divenne un quartetto con l'aggiunta di Charles Hawkins (fratello di Anthony) alla seconda chitarra.

L'attività discografica della band iniziò nel 1969 come musicisti per l'album Mary Don't Take Me On No Bad Trip di Fugi, musicista dallo stile simile che registrava per la stessa etichetta, la Funky Delicacies. Il disco fu inciso nel 1969, ma pubblicato su vinile solo 28 anni dopo e su CD nel 2005.

Il primo ed eponimo album dei Black Merda è stato pubblicato nel 1970 ed è composto da 11 tracce di puro rock psichedelico, fortemente basato sul suono delle chitarre che conferiscono alle basi delle marcate venature funk. Tra i pezzi migliori dell'album troviamo il brano di apertura Prophet e la grintosa Ashamed che richiamano molte le sonorità dei contemporanei Jimi Hendrix Experience, sia nelle musiche sia nel canto di Veasey che si ispira a Hendrix in modo non troppo velato. I Black Merda attingono a piene mani anche dalla tradizione blues della loro città, come dimostrato da pezzi come Think of Me e Over and Over. Tra i pezzi migliori troviamo anche Cynthy-Ruth, caratterizzata da un poderoso coro eseguito da tutta la band sul ritornello, e la ballad soul Reality.

Due anni dopo la band pubblicò il secondo album intitolato Long Burn the Fire, per l'occasione il quartetto cambiò il proprio nome in Mer-Da. Oltre al nome cambia anche la musica, con il suono che si fa più morbido e patinato. Il pezzo di apertura For You, così come la terza traccia My Mistake, sono infatti lenti soul più simili alle produzioni della Motown che al disco di esordio dei Black Merda; la stessa tendenza si riscontra in The Folks From Mother's Mixer che però si assesta su ritmi più alti. Non mancano brani più graffianti, come la title track e I Got a Woman, che comunque non raggiungono quanto a intensità le sonorità psichedeliche del disco precedente.

Long Burn the Fire in realtà dimostrò che il quartetto era in grado di spaziare in vari stili della musica nera con risultati più che buoni, ma la scarsa promozione dell'LP portò a risultati di vendita inferiori alle aspettative e come conseguenza la band si sciolse.

Tuttavia la carriera del gruppo non si arrestò, perché la pubblicazione di due compilation nel primi anni 2000 risvegliò l'interesse verso il rock funk dei Black Merda. La band tornò in studio come terzetto, perché Tyrone Hite morì nel 2004, e registrò due nuovi album tra il 2006 e il 2009.

La seconda parte della discografia dei Black Merda verrà trattata in un prossimo articolo.