venerdì 7 febbraio 2020

The Darkness - Easter is Canceled, Milano 6/2/2020


Nota: Questo articolo è stato scritto dal nostro guest blogger Tino che ringraziamo per il contributo.

"No, no, io voglio vedere com'è vestito stavolta" questa l'ultima frase che ho sentito prima che le luci di un Alcatraz di Milano stracolmo di gente si spegnessero per l'inizio del concerto dei Darkness, segno che la gente non è lì solo per l'energia della loro musica ma anche per le performance sul palco di Justin Hawkins, carismatico frontman della band famoso tanto per i suoi acuti che per le sgargianti tutine attillate.

Dopo lo spettacolare concerto del 2017 nella cornice del Rugby Sound Festival non ho avuto molti dubbi se partecipare o meno. La band però a questo giro ha provato una formula diversa, nella prima metà del concerto è stato suonato tutto il loro ultimo disco Easter is Canceled. Benché non ci sia stato il minimo dubbio sulle eccellenti performance musicali e visive non è una formula che apprezzo particolarmente, sopratutto da una band che tra alti e bassi è sulla scena dal 2000 e l'anno scorso ha sfornato il sesto lavoro in studio dal quale è tratto il nome del loro tour 2020. L'ultimo disco non è male come stile ma forse avrei dovuto ascoltarlo un po' di più per poterlo apprezzare meglio, alla fine solamente la prima traccia Rock and Roll Deserves to Die era conosciuta visto che su Virgin Radio veniva trasmesso con un po' di regolarità.

Luci giù, un po' di suspance e la mitica One Way Ticket dà il via alla seconda parte dello spettacolo con pezzi molto più conosciuti dalla platea milanese; solo due i pezzi da Pinewood Smile: Japanese Prisoner of Love e il singolo Solid Gold e poi tanto tanto dal loro album di esordio Permission to Land. Seguono Growing on Me e poi Get Your Hands Off My Woman dove l'acuto viene magistralmente tenuto per tutta la canzone. Love is only a Feeling, pezzo relativamente lento e classificato come rock ballad che arrivò al 5° posto nella classifica UK dei singoli più venduti, e il pezzo bandiera della band I Believe in a Thing Called Love chiudono un concerto a dir poco spettacolare.

I Darkness sono una garanzia, non solo come musica, ma come scenografia (gli abiti estremi di Justin avrebbero fatto invidia alle presentatrici che stavano conducendo Sanremo nella stessa serata) e come capacità di coinvolgimento del pubblico. Alla prossima, raga!

mercoledì 5 febbraio 2020

Hootie & the Blowfish - Cracked Rear Mirror

Negli anni 90 il rock alternativo era uno dei generi musicali più popolari e tra gli esponenti di questo stile c'è stato un quartetto che lo ha sapientemente mischiato con il southern rock e con il country realizzando melodie ricche di suoni morbidi e patinati. Il gruppo in questione sono gli Hootie & the Blowfish, originari del South Carolina. Il gruppo ha la peculiarità di aver avuto una formazione stabile durante tutta la propria attività discografica, con Darius Rucker alla voce, Mark Bryan alla chitarra, Dean Felber al basso e Jim Sonefeld alla batteria.

Il primo album della band si intitolata Cracked Rear Mirror ed è stato pubblicato nel 1994. L'album è composto da undici pezzi di facile presa già al primo ascolto, grazie anche alla voce singolare del vocalist e ai numerosi cori che la band esegue soprattutto sui ritornelli. Il disco parte subito forte con Hannah Jane che coniuga sapientemente ritmi veloci e melodia dando subito un buon assaggio di ciò che si troverà del resto dell'LP. Già in questo primo album troviamo alcuni dei pezzi più iconici del gruppo, come il midtempo Hold My Hand che racchiude in sé tutti le caratteristiche migliori della band, con un intro di chitarra, una melodia orecchiabile e un ritornello in cui Darius Rucker mostra il meglio della propria vocalità accompagnato da un potente coro del resto della band. Tra i pezzi migliori troviamo anche Time, che ripropone la formula collaudata del gruppo, la veloce Drowning che costituisce uno dei momenti più brillanti del disco e Only Wanna Be With You che cita nel testo Blood on the Tracks, Idiot Wind e Tangled Up in Blue di Bob Dylan.

Il disco contiene ovviamente anche un buon numero di ballad tra cui Let Her Cry e Goodbye eseguita con solo voce e piano. In due tracce, Look Away e Running From an Angel troviamo anche la presenza di un violino, suonato da Lili Haydn della Los Angeles Philharmonic Orchestra, che dona un tocco più forte di southern rock.

Giunti al termine dell'ascolto non si può che constatare che questo disco è un vero capolavoro, composto di tracce di altissimo livello, che non annoia mai e capace di regalare emozioni dall'inizio alla fine. Il gruppo ha oggi all'attivo sei album e Rucker affianca l'attività come frontman a quella di cantante solista, in cui si dedica più al country che al rock alternativo. Cracked Rear Mirror resta ad oggi uno degli album migliori degli anni 90 grazie alle sue tante suggestioni musicali e commistioni tra stili che questi quattro musicisti hanno saputo regalarci pur non godendo della fama, almeno nel nostro paese, che meriterebbero ampiamente come dimostra questo loro primo album.

sabato 25 gennaio 2020

Giacomo Voli The Voice of Rock - Milano, 24/1/2020

Non avevo ancora visto The Voice of Rock, il nuovo spettacolo di Giacomo Voli dedicato ai classici del passato, ma questa volta la location scelta per l'evento, il Legend Club di Milano, è vicina a casa e quindi l'evento è imperdibile. E poi in scaletta ci sono due gruppi d'apertura tutti da scoprire: i Madhouse che nella bassa padana godono di buona notorietà e i comaschi Kreoles.


La serata inizia alle 21:30 come da programma con l'alt rock dei pavesi Madhouse guidati dalla grintosa frontwoman Federica Tringali la cui potente voce da contralto intrattiene il pubblico per più di mezz'ora. Segue l'hard rock di stampo ottantiano dei Kreoles che propongono pezzi tratti dal loro ultimo album dalle sonorità dure ma allo stesso tempo decisamente catchy, tanto che il pubblico riesce a cantare con il lead singer Ivan McSimon già al secondo ritornello.

Giacomo Voli sale sul palco poco dopo le 23 e con la sua band inizia la serata con Helter Skelter dei Beatles, forse più ispirata alla versione più energica degli U2, con cui dà subito sfoggio delle sue potenti doti canore che oggi sembrano proprio essere in grade spolvero, nonostante la stanchezza per un viaggio verso Milano pieno di imprevisti, come lo stesso Giacomo racconta al pubblico. Ma forse è proprio la voglia di dimostrare che gli imprevisti non fermano il nostro leggendario vocalist che spinge la band a tirare fuori il meglio di sé, infatti sul palco gira tutto benissimo e la serata scorre alla grande con un repertorio che spazia dagli anni 60 fino ai Muse.

Tra i primi pezzi Giacomo esegue Killing In The Name dei Rage Against the Machine e la scelta è tutt'altro che banale, perché Giacomo ci ha abituato da sempre ai propri virtuosismi vocali ma qui si trova a a dover rappare i versi di Zack de la Rocha. Comunque questo pezzo di ottimo crossover dimostra che Giacomo rappa alla grande e si muove benissimo in un terreno lontano da quelli consueti e a questo punto è lecito chiedersi quali siano i limiti di questo cantante fenomenale, ammesso che ne abbia.

La serata prosegue con quella che Giacomo definisce la sfida tra band, sfida nella quale non perde nessuno ma vincono sempre tutti; ovvero dei medley di pezzi di due band che hanno interpretato il rock e il metal con stili molto diversi tra loro. E se alcuni accostamenti, come quelli tra Metallica e Iron Maiden, possono sembrare naturali, altri come quello tra Queen e Muse sono davvero sorprendenti. E sorprende anche ascoltare come Madness cantata da Voli sia molto più emozionante e profonda della versione di Matt Bellamy, ma in realtà lo sapevamo almeno da The Voice of Italy di sei anni fa.


Il pubblico canta tutti i pezzi da sotto al palco per tutta la serata e Giacomo invita spesso a sostituire i versi originali con frasi buffe in italiano dal suono simile, e qualche volta si fa fatica a cantare perché le trovate del nostro Jack sono così divertenti che non riusciamo a cantare per via delle risa. La serata si chiude con la sfida tra i Deep Purple e Led Zeppelin, scelta quasi obbligata in una serata come questa, che dà modo al Giacomo di mostrare ancora una volta il meglio della propria vocalità; ma appena prima la band ci vuole proporre del metal in italiano e siccome ne esiste poco ne ha inventato un po' per l'occasione con un mash-up tra Franco Battiato e i Rammstein, più altri due pezzi di Battiato riarrangiati da Giacomo.

Alla fine della serata viene da chiedersi come sia possibile che Voli faccia così tante cose diverse, spaziando dagli acustici, alle cover dei Queen, ai Rhapsody of Fire fino a The Voice of Rock e forse la risposta ce l'ha data stasera: la creatività di questo straordinario artista non può incanalarsi su una strada sola e ha bisogno di tutta questa varietà per esprimersi.

Stasera ci hai regalato della bellissima musica e ci hai anche fatto ridere e divertire, e in questi tempi di follia è proprio ciò di cui abbiamo bisogno per rinsavire. Grazie Giacomo, a presto!

mercoledì 22 gennaio 2020

Murder of Tupac Shakur: an interview with former Las Vegas Police sergeant Chris Carroll

An Italian translation is available here.

Tupac Shakur's murder is one of the most enduring mysteries in music history. To help us understand what happened on that night and to dispel some of the myths surrounding Tupac's death, former Las Vegas police officer Chris Carroll accepted our proposal for an interview which we are offering today our readers.

We would like to thank Chris Carroll for his kindness and willingness to help.


125esima Strada: After arriving on the scene when did you realize the victim was a celebrity and therefore that would have become a big case?

Chris Carroll: As far as “arriving on the scene”, that phrase doesn’t really apply. Tupac’s entourage and I crossed into each other going opposite directions. Their cars sort of spun out trying to make the corner turn too fast as I slid up to them on my bike. After I opened Tupac’s door and he fell out into my arms, Suge immediately was in back of me yelling at him. He was yelling,”Pac, Pac” as he tried to get a response from him. I could see that his car was a high end BMW, he was wearing a ton of jewelry, and Suge was yelling “Pac”. Putting this together I could see that it was Tupac. I didn’t know anything about him at the time other than there was a rapper named Tupac. It’s important to remember that he is far more famous now than he was then. As cops in Las Vegas, the other officers at the scene and I have worked with and around celebrities all the time, so it didn’t have that big of an impact on us when it happened. We handled it like any other homicide, and we handled a lot of those as well, so it didn’t seem much different than other homicides at the time. When we talk to each other now we are kind of surprised at what it has become.


125esima Strada: What did you think of Suge at first? Did you get right away he was an ally, not an enemy?

Chris Carroll: I didn’t know who Suge was at the time. It was very obvious he was Tupac’s friend but that’s all I knew. To me he posed a threat. He was a giant guy who kept running up on my back, putting me in a very dangerous situation. I would point my gun at him and he would back off for a few seconds but as soon as I turned around he was back. He was loud, uncooperative, emotional, and had blood spurting out of the side of his head. Finally, I saw another officer push him away from me. That was the first time I saw the other officer at the scene. He never cooperated then, or during the follow up investigation.


125esima Strada: How would you describe the people that gathered around the car while you were trying to assess the situation? Where they gangsters or just passers-by?

Chris Carroll: There weren’t people gathered around the car. There was me, Tupac, Suge, and another cop keeping Suge back from me. There were originally a couple other cops trying to bring the chaotic scene back under control. People were spread out all around. It’s a huge intersection. Tupac had eight or ten people in his group. There were some tourists around on the sidewalks but not on the street.


125esima Strada: How did Frank Alexander behave after he got out of his car? Did you interact with him?

Chris Carroll: I’ve heard this guys name before but I never spoke to him. Furthermore, I don’t ever remember seeing him there. I was the supervisor on the scene and spoke to everyone who was there. None of them ever told me that they were Tupac’s body guard. I heard a story (not from Alexander) that he was an ex cop who showed a badge at the scene, so the cops let him walk around and go back to Tupac’s car. Absolutely ridiculous story. That’s not how we work and I would have been the first to know if somebody there had a badge.


125esima Strada: How would you describe Tupac after you opened the car door?

Chris Carroll: When I opened the door he was slumped against it on the inside. So he sort of poured out into my arm and I set him down to the pavement. He was still breathing and conscious but he was in very bad shape. He was covered in blood and I could see he had been hit multiple times. He was making eye contact with Suge and he was squirming. He was trying to yell back to Suge, but he couldn’t do it. After a short time he physically gave up, stopped squirming and went into a resting position. I asked him several times who shot him, and what happened. He gave no response until he got enough of a breath together to tell me “Fuck You”.


125esima Strada: How likely is it in your opinion that Suge ordered Tupac's murder?

Chris Carroll: Suge did not order the murder. First, you do not sit next to a person who you know is going to be shot. This is evident by the fact that Suge was shot in the head during the shooting. The bullet pierced his scalp but not his skull. Additionally, I could see at the scene that Suge had a clear concern for Tupac. He was in a full blown panic as he could see that Tupac was probably dying.


125esima Strada: And how likely is it in your opinion that Orlando Anderson is either the shooter or is somehow involved in the shooting?

Chris Carroll: Orlando Anderson is the shooter. Usually the most simple and obvious answer is the correct answer, and in this case those rules apply. There has also been bits and pieces of evidence that have confirmed this. Many people often ask why the crime was not solved. The answer is that the crime was solved long ago. However, the guy who did it is dead, and has been dead for about twenty years. That ends everything. Perhaps there is justice in the fact that the murderer was murdered himself.

Omicidio di Tupac Shakur: intervista all'ex sergente della polizia di Las Vegas Chris Carroll

L'originale in inglese è disponibile qui.

L'omicidio di Tupac Shakur è uno dei misteri più duraturi della storia della musica. Per aiutarci a capire cosa è successo quella notte e per smentire alcune dicerie sulla morte di Tupac, l'ex agente della polizia di Las Vegas Chris Carroll ha accettato la nostra proposta di un'intervista che offriamo oggi ai nostri lettori.

Ringraziamo Chris Carroll per la sua cortesia e disponibilità.


125esima Strada: Dopo essere arrivato sulla scena, quando ti sei accorto che la vittima era una celebrità e che quel caso sarebbe diventato famoso?

Chris Carroll: L’espressione “arrivato sulla scena” non è corretta. L'entourage di Tupac e io ci incrociammo mentre andavamo in direzioni opposte. Le loro macchine quasi sbandarono cercando di prendere la curva troppo velocemente e io arrivai in bici. Quindi aprii la porta di Tupac e lui mi cadde tra le braccia, Suge arrivò immediatamente dietro di me urlando verso di lui. Stava urlando "Pac, Pac" cercando di ottenere una risposta. Riuscii a vedere che la macchina era una BMW di fascia alta, indossava una tonnellata di gioielli, e Suge urlava “Pac”. Mettendo insieme i pezzi vidi che era Tupac. All'epoca non sapevo nulla di lui oltre al fatto che c’era un rapper di nome Tupac. È importante ricordare che ora è molto più famoso di quanto non fosse allora. Come poliziotti a Las Vegas, io e gli altri agenti intervenuti sulla scena abbiamo sempre lavorato in un ambiente di celebrità, quindi non ebbe un grande impatto su di noi quando è successo. L'abbiamo gestito come qualsiasi altro omicidio, e ne gestivamo molti, all'epoca non sembrava molto diverso dagli altri omicidi. Quando ne parliamo ora siamo sorpresi di ciò che è diventato.


125esima Strada: Cosa pensasti di Suge sulle prime? Capisti subito che era un alleato e non un nemico?

Chris Carroll: Al tempo non sapevo chi fosse Suge. Era ovvio che fosse un amico di Tupac non sapevo altro. Per me rappresentava una minaccia. Era un uomo gigantesco che continuava ad avvicinarsi dietro di me, mettendomi in una situazione molto pericolosa. Gli puntavo la pistola e si allontanava per qualche secondo, ma appena mi voltavo si avvicinava. Parlava ad alta voce, non era collaborativo, era agitato e gli schizzava sangue dal lato della testa. Dopo un po’, vidi un altro ufficiale che lo teneva lontano da me. È stata la prima volta che vidi l'altro ufficiale sulla scena. Suge non ha mai collaborato, né allora, né durante le indagini successive.


125esima Strada: Come descriveresti le persone che si sono raccolte attorno alla macchina mentre cercavi di prendere il controllo della situazione? Erano gangster o passanti?

Chris Carroll: Non c'erano persone intorno alla macchina. Eravamo io, Tupac, Suge e un altro poliziotto che teneva Suge lontano da me. Inizialmente c'erano un paio di altri poliziotti che cercavano di riportare la scena caotica sotto controllo. C’erano persone sparse ovunque. È un incrocio enorme. Nel gruppo di Tupac c’erano otto o dieci persone. C'erano alcuni turisti sui marciapiedi ma non in strada.


125esima Strada: Come si comportò Frank Alexander dopo che uscì dall’auto? Hai interagito con lui?

Chris Carroll: Ho già sentito questo nome, ma non gli ho mai parlato. Inoltre, non ricordo di averlo visto sulla scena. Ero il supervisore della scena e ho parlato con tutti quelli che erano lì. Nessuno di loro mi ha mai detto di essere la guardia del corpo di Tupac. Ho sentito una storia (non da Alexander) secondo cui era un ex poliziotto e mostrò il distintivo sulla scena, e a quel punto i poliziotto gli consentirono di avvicinarsi alla macchina di Tupac. Storia assolutamente ridicola. Non è così che lavoriamo e sarei stato il primo a sapere se qualcuno avesse avuto un distintivo.


125esima Strada: Come descriveresti Tupac dopo che hai aperto la portiera della macchina?

Chris Carroll: Quando aprii la porta, era accasciato contro di essa dall'interno. Quindi mi crollò tra le braccia e lo stesi sul marciapiede. Respirava ancora ed era cosciente, ma era in pessime condizioni. Era coperto di sangue e potei vedere che era stato colpito più volte. Era in contatto visivo con Suge e si stava contorcendo. Stava cercando di urlare a Suge, ma non ci riuscì. Dopo un breve periodo si arrese fisicamente, smise di agitarsi e si mise in posizione di riposo. Gli ho chiesto più volte chi gli avesse sparato e cosa fosse successo. Non diede risposta finché non ebbe abbastanza fiato per dirmi "Vaffanculo".


125esima Strada: Secondo te quanto è probabile che Suge abbia ordinato l’omicidio di Tupac?

Chris Carroll: Suge non ha ordinato l'omicidio. Innanzitutto, non ti siedi accanto a una persona che sai che verrà uccisa a colpi di arma da fuoco. E ciò è evidente per il fatto che Suge è stato colpito alla testa durante la sparatoria. Il proiettile gli trafisse il cuoio capelluto ma non il cranio. Inoltre, ho potuto vedere sulla scena che Suge nutriva una chiara preoccupazione per Tupac. Era in preda al panico quando vide che Tupac stava probabilmente morendo.


125esima Strada: E secondo te quanto è realistico che Orlando Anderson sia stato lo sparatore o sia stato in qualche modo coinvolto nella sparatoria?

Chris Carroll: Orlando Anderson è lo sparatore. Di solito la risposta più semplice e ovvia è la risposta corretta, e in questo caso questa regola funziona. Ci sono state anche alcune prove che lo hanno confermato. Molte persone spesso chiedono perché l’omicidio non sia stato risolto. La risposta è che è stato risolto molto tempo fa. Tuttavia, l’uomo che lo ha commesso è morto ed è morto da circa vent’anni. Questo conclude tutto. Forse c'è giustizia per il fatto che l'assassino è stato lui stesso assassinato.

giovedì 9 gennaio 2020

Perché i Doors si chiamano così?

I Doors sono tra i più rappresentativi e iconici interpreti del rock degli anni 70 grazie a un sound distintivo e al carisma e alla capacità dei quattro membri. Il loro suono non è l'unica cosa singolare che contraddistingue questa band, perché anche il nome scelto dal quartetto è evidentemente piuttosto bizzarro.


La prima formazione della band risale al 1961 con il nome di Rick & the Ravens ed era inizialmente composta da Rick Manczarek alla chitarra, Jim Manczarek alle tastiere e all'armonica, Patrick Stonier al sassofono, Roland Biscaluz al basso e Vince Thomas alla batteria. Rick (che dava il nome al complesso) e Jim erano ovviamente i fratelli di Ray Manzarek (che usava la grafia semplificata del proprio cognome), che sarebbe diventato il tastierista storico dei Doors.

La band vide numerosi cambi di formazione e nel 1965 era composta da Jim Morrison alla voce, Ray Manzarek alla tastiera e alle seconde voci, John Densmore alla batteria, Rick Manczarek alla chitarra, Jim Manzarek all'armonica, e Patricia "Pat" Hansen al basso. Dopo aver registrato un demo che non raccolse il successo sperato, la band cambiò il proprio nome su proposta di Morrison in The Doors, prendendo spunto dal saggio dello scrittore inglese Aldous Huxley intitolato The Doors of Perception (tradotto in italiano come Le Porte della Percezione) del 1954 che narra delle esperienze vissute dall'autore grazie all'uso della mescalina, molto simili a quella che Jim Morrison e la sua band narravano nei propri pezzi. In The Doors of Perception l'autore descrive ad esempio come dopo l'assunzione di mescalina vedesse i colori più vivaci o come gli sembrasse che le pareti delle stanze non si incontrassero più dove avrebbero dovuto o ancora come gli paresse che i libri o le gambe delle sedie brillassero di luce propria.

Il titolo dell'opera di Huxley è a sua volta tratto da un verso dal poema di William Blake The Marriage of Heaven and Hell (Il Matrimonio del Cielo e dell'Inferno) che dice "If the doors of perception were cleansed, everything would appear to man as it is: infinite" ("Se le porte della percezione fossero sgombrate tutto apparirebbe all'uomo così come è: infinito") e secondo il documentario When You're Strange del 2009 fu proprio il verso di Blake a ispirare Morrison.

Poco dopo il cambio del nome i fratelli Jim e Rick Manczarek lasciarono il gruppo, seguiti da Pat Hansen. Al loro posto entro nella band Robby Krieger, formando così la lineup storica del gruppo.


La scelta del nome si rivelò sicuramente vincente; infatti ad oggi i Doors sono considerati tra i più grandi geni e innovatori della musica moderna, non solo per la qualità delle loro composizioni, ma anche per il loro atipico nome.

mercoledì 18 dicembre 2019

Tin Idols - Metal Kalikimaka, Volume 1

Nel 2014 gli hawaiani Tin Idols hanno pubblicato il primo dei loro tre album dedicati alla musica natalizia intitolato Metal Kalikimaka, Volume 1 (dove Kalikimaka significa Natale in lingua hawaiana). Come suggerisce il titolo stesso, il gruppo reinterpreta in chiave heavy metal alcuni classici della tradizione natalizi, replicando l'esperimento del disco precedente Jesus Christ Supernova, in cui la band ha rivisitato il musical Jesus Christ Superstar.

Il gruppo spazia tra pezzi classici come Little Drummer Boy e We Three Kings e altri più moderni come Feliz Navidad e 2000 Miles dei Pretenders, nel disco è presente anche un unico brano inedito intitolato Christmas Without You scritto dal bassista Darren Soliven. I Tin Idols lasciano inalterate le melodie reinterpretandole con distorsioni e con il suono preponderante della batteria che ha sempre un ruolo fondamentale nella musica del combo hawaiano, e proprio per questa scelta il disco risulta di facile ascolto e diverte e intrattiene già al primo ascolto

Il punto di forza di queste incisioni risiede sicuramente nelle grandiose capacità vocali dei vocalist che si alternano al microfono. Tra le voci femminili spicca quella di Sandy Essman (frontwoman degli Storm che ha realizzato anche un album solista interamente in hawaiano) che interpreta O Come, O Come Emmanuel con la grinta che la contraddistingue regalando nel finale anche un acuto e uno scream. Sandy duetta anche con Mark Caldeira nella loro interpretazione di Baby, It's Cold Outside che è uno dei pezzi migliori del disco proprio per via dell'amalgama dei due interpreti. Tra le migliori prove vocali femminili troviamo anche un'ottima versione di Hark! The Herald Angels Sing interpretata da Marti Kerton e una ruggente Joy To The World cantata dalla voce graffiante di Venus Trombley.

Tra gli interpreti maschili spicca invece il già citato Caldeira che con la sua voce ai confini tra il blues e l'AOR interpreta Do You Hear What I Hear? Il pezzo più trascinante dell'intero album è sicuramente Angels We Have Heard on High (più noto con il titolo di Gloria In Excelsis Deo) interpretato da John Diaz (il cui canale di SoundCloud mostra la sua ecletticità come interprete tra inediti e cover dei Beatles e dei Pink Floyd) affiancato da un poderoso coro che esegue la seconda voce sul ritornello e che dona un tocco di unicità a questo pezzo facendone l'esperimento meglio riuscito di tutto l'album.

Metal Kalikimaka, Volume 1 è in conclusione uno dei più divertenti dischi di Natale mai realizzati, che si ascolta con piacere dall'inizio alla fine e che dimostra che questo straordinario combo ha un potenziale enorme ed è davvero un peccato che si così poco noto dalle nostre parti. Nel 2015 e nel 2016 i Tin Idols hanno realizzato i volumi 2 e 3 di Metal Kilikimaka continuando sulla strada tracciata dal primo volume e completando così un trittico di album di Natale davvero memorabile.