All'inizio di quest'anno, il gruppo hip hop newyorkese dei Public Enemy si è reso protagonista di una vicenda strana i cui contorni sono poco chiari anche adesso a distanza di mesi.
Nel 2019 Chuck D, principale vocalist e frontman del gruppo, fondò una band parallela chiamata Public Enemy Radio, con cui intraprese un tour europeo con i Wu-Tang Clan e i De La Soul intitolato Gods of Rap. Il gruppo era costituito da un terzetto che includeva anche DJ Lord, che dal 1999 ha sostituito Terminator X come DJ dei Public Enemy, e MC Jahi, affiliato ai Public Enemy che ha inciso due album con il nome di PE 2.0. Del gruppo non faceva parte Flavor Flav, il secondo vocalist dei Public Enemy. In ogni caso l'identità di questa nuova combo tendeva a confondersi con quella storica, perché in alcune locandine del tour il nome del gruppo è riportato come Public Enemy (addirittura con l'indicazione che il tour celebra il trentesimo anniversario dell'album It Takes a Nation of Millions to Hold Us Back), e quando invece è scritto come Public Enemy Radio, la "O" della parola Radio è il logo classico con un uomo al centro di un mirino.
Alla fine di febbraio del 2020, fu annunciato che il primo di marzo i Public Enemy Radio avrebbero suonato a Los Angeles in occasione del comizio elettorale del candidato alle primarie del Partito Democratico Bernie Sanders. Sulla locandina però la parole Radio è scritta molto in piccolo, aumentando la confusione sull'identità della band. Pochi giorni dopo Flavor Flav inviò al resto del gruppo una richiesta di cease and desist (nel common law, una richiesta di cessazione immediata) in cui chiedeva di non usare il nome e il logo del gruppo a fini politici. La lettera dell'avvocato di Flavor Flav diceva chiaramente che Chuck D è libero di esprimere le sue preferenze politiche pubblicamente, ma non di farlo usando il logo e il nome dei Public Enemy.
Chuck D rispose all'azione di Flavor Flav dichiarando che quest'ultimo era interessato solo al guadagno e non all'impegno sociale, e annunciando pubblicamente l'espulsione di Flavor Flav dai Public Enemy. Un avvocato di Chuck D aggiunse che il suo cliente era l'unico proprietario del nome e del logo del gruppo e che poteva quindi usarlo a suo piacimento senza l'autorizzazione di Flavor Flav.
Flavor Flav rispose a queste dure parole asserendo che Chuck D non poteva licenziarlo, perché non era l'unico titolare della band. Disse di essere preoccupato per Chuck D e di non aver astio personale contro Sanders, ma di avere forti dubbi sulle sue politiche. Il primo marzo i Public Enemy Radio si esibirono al comizio di Sanders e molti fan di Flavor Flav tra la folla (individuabili per via dell'orologio a lancette appeso al collo, segno distintivo del vocalist fin dal suo esordio) lasciarono il comizio quando il gruppo iniziò la performance.
Il giorno seguente il divorzio sembrò sancito per sempre, con la dichiarazione da parte di Chuck D dell'uscita del primo album della nuova formazione, rinominata Enemy Radio per evitare ulteriori problemi, intitolato Loud is Not Enough (la cui copertina somiglia un po' troppo a quella dell'album di esordio di LL Cool J Radio del 1985), anche se in una delle tracce intitolata Food As a Machine Gun compare Flavor Flav come ospite.
Dopo solo un mese la situazione fu ribaltata nuovamente. Il primo di aprile, infatti, la Reuters pubblicò un articolo secondo cui l'uscita di Flavor Flav dal gruppo e la lite con Chuck D sarebbero state una messinscena orchestrata da entrambi allo scopo, secondo Chuck D, di attirare l'attenzione mediatica e di mostrare come i media tradizionali trattassero in modo negativo la scena hip hop. Tuttavia Flavor Flav scrisse su Twitter di non aver volontariamente preso parte alla messinscena e richiamò Chuck D a un comportamento più serio. In ogni caso il rientro di Flavor Flav nel gruppo ci fu senza dubbio, a giugno fu infatti annunciata l'uscita del nuovo album del gruppo intitolato What You Gonna Do When the Grid Goes Down? e firmato con il nome di Public Enemy che uscì il 25 settembre. Il disco vede la presenza di entrambi i vocalist storici.
La vicenda del temporaneo allontanamento di Flavor Flav è quindi ancora molto confusa e obiettivamente la spiegazione di Chuck D non è realistica: nessun artista ammetterebbe pubblicamente di aver diffuso informazioni false per attirare l'attenzione, perché questo sottintende di non riceverne abbastanza. La spiegazione più probabile è che si sia trattata di una vera lite, poi rientrata perché alla fine danneggiava entrambi. Ma a meno che Chuck D o Flavor Flav vogliano dare spiegazioni più convincenti, è probabile che non sapremo mai la verità.
lunedì 9 novembre 2020
mercoledì 4 novembre 2020
Sandro Di Pisa - Lockdown
A due anni di distanza dall'esperimento cantautorale di Tutto (Da) Solo torna il jazzista italiano Sandro Di Pisa con un nuovo EP con il quale ripropone le atmosfere in cui si è cimentato più spesso, ovvero quelle del jazz, grazie a sette pezzi completamente diversi tra loro che attingono da mondi diversi e stili disparati. Il disco si intitola Lockdown, cercando di sdrammatizzare sulla difficile situazione che stiamo vivendo. Tra i sette brani troviamo quattro inediti, una cover e due pezzi che prendono spunto da composizioni del passato per trasformarle in qualcosa di nuovo.
Il disco si apre con Svelta che come suggerisce il titolo stesso è un brano veloce ispirato ai quartetti jazz della West Coast degli anni 50 e che, come nello stile distintivo di Di Pisa, contiene uno snippet di Desafinado di Antônio Carlos Jobim. Il secondo brano dà già un'idea di quanto questo disco sia vario, con una sterzata verso il blues-rock con Le Elettriche Impazziscono (titolo ispirato a un verso della canzone Via Paolo Fabbri 43 di Francesco Guccini del 1976). L'album prosegue con La Freccia Nera, cover della sigla finale dell'omonimo sceneggiato televisivo della RAI del 1968 tratto dal romanzo di Robert Louis Stevenson; del brano originale però resta solo la melodia perché Sandro Di Pisa trasforma un brano magniloquente e dal sapore da colossal in un fresco pezzo da trio jazz.
Come anticipato Lockdown contiene anche due brani ispirati ad altrettanti pezzi storici da cui sapientemente si distaccano. Il primo di essi è Frédéric che prende spunto dal Notturno op. 9 n. 2 di Frédéric Chopin per trasformarlo in un valzer in stile be-bop. Il secondo di essi è Pierino che reinterpreta in chiave hard rock il tema di Pierino e il Lupo di Sergei Prokofiev; anche questo brano contiene alcuni snippet inaspettati, come Oh! Susanna e la filastrocca per bambini Stella Stellina. Completano il disco Big Band, ispirata alle grandi orchestre dell'epoca dello swing degli anni 30, e Il Brutto Anatroccolo, pezzo nato per caso in seguito a un esperimento con una chitarra synth che imita una voce scat. Il titolo del pezzo deriva dalla struttura musicale utilizzata, quella dei rhythm changes che in italiano sono chiamati anatole. Anche in questo caso troviamo dei divertenti e sorprendenti snippet: quali di nuovo Stella Stellina e Jingle Bells in chiusura del pezzo.
Ciò che colpisce di questo album è l'incredibile ecletticità e la capacità compositiva di Di Pisa, che riesce a spaziare tra stili diversi di jazz con grande maestria. I quattro pezzi inediti convincono e intrattengono con un suono fresco e divertente, mentre i rimanenti tre confermano come l'autore sappia trarre spunti inediti da pezzi classici, che appartengono a mondi diversissimi tra loro, trasformandoli in opere nuove percorrendo strade a cui nemmeno gli autori originali avevano pensato. Del resto gli snippet presi da repertori cosi diversi confermano che la varietà musicale da cui Di Pisa attinge è pressoché infinita. Inoltre uno dei punti di maggior forza di questo disco è che risulta di facile ascolto anche per i neofiti del jazz e questo aspetto lo rende particolarmente apprezzabile perché questo genere risulta spesso ostico per l'ascoltatore occasionale, che finisce per abbandonare l'ascolto dopo un paio di tentativi; al contrario le melodie di Lockdown si apprezzano già al primo giro ed entrano in testa come degli earworm con estrema facilità.
Lockdown è quindi una delle composizioni migliori del jazz moderno, consigliata sia a chi ama il jazz sia a chi ancora non lo conosce, perché è efficacissimo nel divulgare questa forma musicale e perché dimostra come questo genere sia ancora vivo e vegeto. Del resto Di Pisa non è sicuramente nuovo a questo tipo di capolavori e la sua produzione musicale, che affonda le sue radici in tre decenni da A Night in Viale Tunisia del 1991 conferma che i grandi compositori si trovano anche vicino a noi e che non serve attraversare l'Atlantico per trovare le più alte vette del jazz.
Il disco si apre con Svelta che come suggerisce il titolo stesso è un brano veloce ispirato ai quartetti jazz della West Coast degli anni 50 e che, come nello stile distintivo di Di Pisa, contiene uno snippet di Desafinado di Antônio Carlos Jobim. Il secondo brano dà già un'idea di quanto questo disco sia vario, con una sterzata verso il blues-rock con Le Elettriche Impazziscono (titolo ispirato a un verso della canzone Via Paolo Fabbri 43 di Francesco Guccini del 1976). L'album prosegue con La Freccia Nera, cover della sigla finale dell'omonimo sceneggiato televisivo della RAI del 1968 tratto dal romanzo di Robert Louis Stevenson; del brano originale però resta solo la melodia perché Sandro Di Pisa trasforma un brano magniloquente e dal sapore da colossal in un fresco pezzo da trio jazz.
Come anticipato Lockdown contiene anche due brani ispirati ad altrettanti pezzi storici da cui sapientemente si distaccano. Il primo di essi è Frédéric che prende spunto dal Notturno op. 9 n. 2 di Frédéric Chopin per trasformarlo in un valzer in stile be-bop. Il secondo di essi è Pierino che reinterpreta in chiave hard rock il tema di Pierino e il Lupo di Sergei Prokofiev; anche questo brano contiene alcuni snippet inaspettati, come Oh! Susanna e la filastrocca per bambini Stella Stellina. Completano il disco Big Band, ispirata alle grandi orchestre dell'epoca dello swing degli anni 30, e Il Brutto Anatroccolo, pezzo nato per caso in seguito a un esperimento con una chitarra synth che imita una voce scat. Il titolo del pezzo deriva dalla struttura musicale utilizzata, quella dei rhythm changes che in italiano sono chiamati anatole. Anche in questo caso troviamo dei divertenti e sorprendenti snippet: quali di nuovo Stella Stellina e Jingle Bells in chiusura del pezzo.
Ciò che colpisce di questo album è l'incredibile ecletticità e la capacità compositiva di Di Pisa, che riesce a spaziare tra stili diversi di jazz con grande maestria. I quattro pezzi inediti convincono e intrattengono con un suono fresco e divertente, mentre i rimanenti tre confermano come l'autore sappia trarre spunti inediti da pezzi classici, che appartengono a mondi diversissimi tra loro, trasformandoli in opere nuove percorrendo strade a cui nemmeno gli autori originali avevano pensato. Del resto gli snippet presi da repertori cosi diversi confermano che la varietà musicale da cui Di Pisa attinge è pressoché infinita. Inoltre uno dei punti di maggior forza di questo disco è che risulta di facile ascolto anche per i neofiti del jazz e questo aspetto lo rende particolarmente apprezzabile perché questo genere risulta spesso ostico per l'ascoltatore occasionale, che finisce per abbandonare l'ascolto dopo un paio di tentativi; al contrario le melodie di Lockdown si apprezzano già al primo giro ed entrano in testa come degli earworm con estrema facilità.
Lockdown è quindi una delle composizioni migliori del jazz moderno, consigliata sia a chi ama il jazz sia a chi ancora non lo conosce, perché è efficacissimo nel divulgare questa forma musicale e perché dimostra come questo genere sia ancora vivo e vegeto. Del resto Di Pisa non è sicuramente nuovo a questo tipo di capolavori e la sua produzione musicale, che affonda le sue radici in tre decenni da A Night in Viale Tunisia del 1991 conferma che i grandi compositori si trovano anche vicino a noi e che non serve attraversare l'Atlantico per trovare le più alte vette del jazz.
mercoledì 28 ottobre 2020
La storia di I Put a Spell on You di Screamin' Jay Hawkins
I Put a Spell on You è il pezzo più celebre e iconico della lunga discografia di Screamin' Jay Hawkins, musicista singolare a cui qualunque etichetta andrebbe stretta. Il brano ha sicuramente contribuito a creare la sua immagine da stregone ispirata ai film horror dell'epoca, ma inizialmente venne concepito come qualcosa di completamente diverso.
La canzone venne registrata per la prima volta nel 1955 come una ballad blues molto più convenzionale di come la conosciamo oggi. Al tempo Hawkins incideva per la Grand Records che non pubblicò mai il brano; la prima apparizione su un disco della prime versione risale infatti al 2006 nella compilation The Whamee 1953-55. L'anno seguente il bluesman passò alla Columbia e tornò in studio per inciderne una nuova versione; in quell'occasione il produttore Arnold Maxin portò carne da mangiare e una buona quantità di alcolici e fece ubriacare tutti prima di iniziare la registrazione. La sessione di registrazione, di cui Hawkins dichiarò in varie occasioni di non avere nessun ricordo, diede come risultato la versione urlata con i versi animaleschi che tutti conosciamo.
Le radio si rifiutarono di trasmettere un pezzo così trasgressivo e l'etichetta ne diffuse allora una versione tagliata, senza il finale che è la parte in cui si concerta la maggior parte dei versi di Hawkins. Le radio mantennero il divieto di trasmettere anche la versione più corta, ma ciò nonostante il 45 giri vendette più di un milione di copie.
Il disc jokey radiofonico Alan Freed offrì a Hawkins 3000 dollari per uscire da una bara durante un concerto. Sulle prime il bluesman rifiutò non ritenendolo un gesto serio, ma poi cambiò idea e costruì su di sé l'immagine ispirata al cinema horror con cui è rimasto celebre, con serpenti di gomma, teschi, costumi leopardati e oggetti di scena ispirati al voodoo.
La sua immagine da stregone, definita da alcuni una sorta di black Vincent Price, contribuì sicuramente al successo commerciale di Screamin' Jay Hawkins e aiutò a conferirgli un aspetto immediatamente riconoscibile. Tuttavia il bluesman, le cui aspirazioni iniziali erano di diventare un cantante d'opera e che fece anche il pugile prima di intraprendere la carriera nel blues, non sembrò essere particolarmente felice della sua immagine; in un intervista del 1973 dichiarò infatti che se fosse stato per lui non avrebbe scelto l'aggettivo Screamin' nel suo nome, sostenendo ad esempio che anche James Brown facesse urli e grugniti ma non veniva chiamato Screamin' James Brown, e si rammaricò del fatto che il pubblico non riuscisse ad apprezzarlo senza trasformarlo in un bogeyman.
In ogni caso I Put a Spell on You rimane ad oggi un enorme successo e vanta innumerevoli cover tra cui quella di Nina Simone, quella dei Creedence Clearwater Revival, e quella dei Marilyn Manson (incisa quando ancora Marilyn Manson era in nome della band e non del suo frontman durante la carriera solista). E la storia bizzarra di questa canzone ha sicuramente contribuito a farne un pezzo anticonvenzionale, fuori dagli schemi, in parte spaventoso e iconico di uno stile e di un'epoca.
Fonti:
La canzone venne registrata per la prima volta nel 1955 come una ballad blues molto più convenzionale di come la conosciamo oggi. Al tempo Hawkins incideva per la Grand Records che non pubblicò mai il brano; la prima apparizione su un disco della prime versione risale infatti al 2006 nella compilation The Whamee 1953-55. L'anno seguente il bluesman passò alla Columbia e tornò in studio per inciderne una nuova versione; in quell'occasione il produttore Arnold Maxin portò carne da mangiare e una buona quantità di alcolici e fece ubriacare tutti prima di iniziare la registrazione. La sessione di registrazione, di cui Hawkins dichiarò in varie occasioni di non avere nessun ricordo, diede come risultato la versione urlata con i versi animaleschi che tutti conosciamo.
Le radio si rifiutarono di trasmettere un pezzo così trasgressivo e l'etichetta ne diffuse allora una versione tagliata, senza il finale che è la parte in cui si concerta la maggior parte dei versi di Hawkins. Le radio mantennero il divieto di trasmettere anche la versione più corta, ma ciò nonostante il 45 giri vendette più di un milione di copie.
Il disc jokey radiofonico Alan Freed offrì a Hawkins 3000 dollari per uscire da una bara durante un concerto. Sulle prime il bluesman rifiutò non ritenendolo un gesto serio, ma poi cambiò idea e costruì su di sé l'immagine ispirata al cinema horror con cui è rimasto celebre, con serpenti di gomma, teschi, costumi leopardati e oggetti di scena ispirati al voodoo.
La sua immagine da stregone, definita da alcuni una sorta di black Vincent Price, contribuì sicuramente al successo commerciale di Screamin' Jay Hawkins e aiutò a conferirgli un aspetto immediatamente riconoscibile. Tuttavia il bluesman, le cui aspirazioni iniziali erano di diventare un cantante d'opera e che fece anche il pugile prima di intraprendere la carriera nel blues, non sembrò essere particolarmente felice della sua immagine; in un intervista del 1973 dichiarò infatti che se fosse stato per lui non avrebbe scelto l'aggettivo Screamin' nel suo nome, sostenendo ad esempio che anche James Brown facesse urli e grugniti ma non veniva chiamato Screamin' James Brown, e si rammaricò del fatto che il pubblico non riuscisse ad apprezzarlo senza trasformarlo in un bogeyman.
In ogni caso I Put a Spell on You rimane ad oggi un enorme successo e vanta innumerevoli cover tra cui quella di Nina Simone, quella dei Creedence Clearwater Revival, e quella dei Marilyn Manson (incisa quando ancora Marilyn Manson era in nome della band e non del suo frontman durante la carriera solista). E la storia bizzarra di questa canzone ha sicuramente contribuito a farne un pezzo anticonvenzionale, fuori dagli schemi, in parte spaventoso e iconico di uno stile e di un'epoca.
Fonti:
- Contemporary Musicians: Profiles of the People in Music, Volume 8 di Julia Rubiner
- Encyclopedia of the Blues di Edward Komara
- Rock Obituaries: Knocking On Heaven's Door di Nick Talaveski
- Legendary Screamin' Jay Hawkins Dies At 70 da Billboard di Chris Morris
mercoledì 14 ottobre 2020
Older di George Michael
Gli anni 90 non cominciarono in modo facile per George Michael; il secondo album solista dopo lo scioglimento degli Wham, Listen Without Prejudice Vol 1, aveva venduto circa un terzo del precedente e il cambio di immagine da idolo pop ad artista maturo non sembrava aver convinto. In breve tempo si rifece, la sua performance al Freddie Mercury Tribute era stata la migliore di tutta la manifestazione, al punto che ne fu tratto un EP e che al tempo si vociferava che proprio George Michael avrebbe potuto essere il nuovo frontman dei Queen. Certo, lo stile musicale era completamente diverso, ma George aveva dimostrato di avere una voce adattissima a interpretare i pezzi di Freddie (anche se in realtà si era cimentato solo con due ballad) e forse avrebbero potuto trovare un accordo a metà strada.
Ma alla fine l’accordo non si concretizzò, ammesso che ce ne fosse mai stato uno in discussione, e George Michael tornò alla carriera solista. Il terzo album si fece attendere perché in mezzo ci fu anche una disputa legale, con il cantante che lasciò la sua etichetta precedente, la Epic, a cui addossava parte delle colpe dell’insuccesso del disco precedente, per passare alla Virgin con cui nel 1996 (sei anni dopo Listen Without Prejudice) uscì Older. Il titolo già diceva molto: George Michael era tornato più maturo, e la nota sul booklet chiariva il resto dicendo Thank you for waiting.
Il primo singolo estratto fu Jesus to a Child una ballad lontanissima dallo stile pop di facile presa che aveva reso famoso George Michael. Jesus to a Child è infatti un pezzo jazz intriso di black music e di soul. Il secondo singolo, Fastlove, era l’unico pezzo veramente catchy del disco che in parte richiamava il passato di George Michael, mentre il resto dell’album riportava alle atmosfere jazz con pezzi come Spinning the Wheel e anche al new age con The Strangest Thing.
Sicuramente l’album non è di facile ascolto, infatti molti critici diedero recensioni negative (come il Los Angles Times o AllMusic); ma dopo il giusto numero di ascolti non si può non cogliere la grandezza di queste composizioni. Probabilmente chi ha scritto recensioni negative non ha approcciato il disco con le aspettative giuste: in Older non si trovano pezzi divertenti e festaioli, ma canzoni introspettive e raccolte. Qui non ci sono i balletti di Wake Me Up Before You Go-Go, ma le ambientazioni rétro di Spinning The Wheel e Star People che di certo non sono meno belle. Il disco stupisce anche per il numero di outtakes, che furono stampate in un EP a parte venduto un in una riedizione a doppio disco di Older intitolata Older & Upper, che confermano il fatto che dal punto di vista compositivo quelle di Older furono sessioni molto produttive.
L’unico vero problema di Older emerse anni dopo: non fu solo il disco del ritorno, ma anche l’ultimo grande album di George Michael che tornò sulle scene due anni dopo con la compilation Ladies & Gentlemen che conteneva due inediti e nel 2000 pubblicò If I Told You That con Whitney Houston, per il greatest hits di quest’ultima. Questi tre pezzi in parte sancivano un ritorno al pop, e furono anche l’inizio della parabola discendente. George Michael pubblicò da allora altri due album da studio, di cui uno di cover e uno di inediti, il secondo dei quali conteneva due singoli usciti due anni prima francamente inascoltabili. L’ultimo album di George Michael fu Symphonica del 2014, un live orchestrale registrato durante il tour Symphonica Tour che si era svolto tra il 2011 e il 2012.
Five Live e Older furono il momento più alto della carriera solista di George Michael e dimostrarono capacità compositive e di interpretazione tra le migliori al mondo: peccato che gran parte di questo talento andò sprecato tra problemi burocratici e scelte sbagliate. Non resta che godersi ancora questi dischi, che sono capolavori di pop, jazz e rock ancora a distanza di oltre due decenni.
giovedì 8 ottobre 2020
Metallica - S&M2
Per celebrare i vent'anni di S&M, il loro primo album orchestrale, i Metallica hanno ripetuto l’esperimento con un nuovo concerto che li vede ancora una volta affiancati dalla San Francisco Symphony, che aveva preso parte anche al primo S&M, e anche questa nuova prova live ha dato vita a un album dal vivo della band di James Hetfield intitolato, come è abbastanza scontato, S&M2.
Il concerto, tenutosi a settembre 2019, è stato pubblicato ad agosto del 2020 sia in Blu-Ray sia in doppio CD. La band coadiuvata dall'orchestra ha eseguito ventidue pezzi attingendo da tutta la propria carriera con almeno un brano da ogni LP. Gli album più rappresentati sono l’ultimo Hardwired...to Self-Destruct e il black album, da cui sono tratti tre pezzi ciascuno, e Ride the Lightning rappresentato da due. Da tutti gli altri è stato preso un pezzo solo.
La formula è la stessa, già collaudata due decenni fa con S&M con la reinterpretazione in chiave sinfonica del migliori brani della discografia dei Metallica. Il live si apre con l’immancabile The Ecstasy of Gold di Ennio Morricone, scritta per la colonna sonora del film Il Buono, il Brutto, il Cattivo che il quartetto di Los Angeles utilizza come brano di apertura in versione strumentale, mentre nella versione del film contiene un vocalizzo della soprano Edda Dell’Orso, dal 1983. Circa metà della setlist era già presente nel primo live del 1999 e a questi si aggiunge la selezione dei pezzi più recenti e anche due brani di musica classica: la Suite Scita di Sergey Prokofiev, interpretata dalla sola orchestra, e la Fonderia d’Acciaio dall'opera L’officina di Aleksandr Mosolov suonata dall'orchestra e dalla band, in un esempio di crossover al contrario rispetto al resto del disco: con un pezzo classico eseguito dall'orchestra con una band metal.
Ovviamente mischiare hard rock e musica sinfonica non è un esperimento nuovo, visto che gli stessi Metallica, ma anche i Kiss, gli Scorpions e i Deep Purple (prima di tutti gli altri) lo hanno fatto in passato; ciò nonostante un disco come questo si distingue comunque da gran parte della produzione contemporanea e proprio per questo lo si ascolta con piacere. Alla band questo doppio album serve anche a tenere viva la propria immagine in un momento così difficile, agli ascoltatori serve sicuramente a ricordare che la musica non ha confini.
martedì 6 ottobre 2020
La storia della copertina di Unknown Pleasures dei Joy Division
Nota: questo articolo è stato scritto dal nostro guest blogger Tino che ringraziamo per il contributo.
Ci sono casi in cui loghi o immagini diventano delle vere e proprie icone, a volte famose quanto gli autori stessi. Pensiamo al disegno della lingua dei Rolling Stones oppure allo smile dei Nirvana, o ancora il Dark Side dei Pink Floyd: nel corso del tempo sono diventate icone onnipresenti, veri pezzi di cultura pop. Un altro esempio è sicuramente questo misterioso disegno apparso sulla copertina di Unknown Pleasure, il primo album dei Joy Division del 1979.
La sua storia è piuttosto curiosa e ha origine giusto mezzo secolo fa. Nel 1970 Harold Craft, per la sua tesi di dottorato all'osservatorio di Arecibo, stava cercando un modo di comparare gli impulsi elettromagnetici provenienti dallo spazio; la pulsar (una stella a neutroni) CP1919 era una delle candidate da osservare. Il problema è che per via delle varie interferenze Harold cercò un modo di visualizzare questi impulsi allargando quelli più stretti e restringendo quelli più grandi. L'immagine quindi non rappresenta un battito cardiaco oppure qualche complicata analisi matematica, sono solamente degli impulsi graficamente aggiustati di una stella a neutroni disegnati l'uno sotto l'altro da uno dei primi software per computer.
I colori originali erano bianco su nero e qualche mese dopo la rivista Scientific American, nel 1971, la pubblicò in una variante: bianco su ciano.
La sua ricerca venne poi ripubblicata nuovamente nel 1977, nel Regno Unito sulla rivista The Cambridge Encyclopedia of Astronomy. La stessa rivista che venne trovata da Sumner o Morris (rispettivamente chitarrista e batterista), a seconda dei racconti, nella Manchester Central Library durante una pausa pranzo mentre era alla ricerca di ispirazione.
In seguito a Peter Saville, grafico della Factory Records, venne affidato il compito di creare la copertina dell'album a partire da quell'immagine. Levando le scritte varie e invertendo i colori in bianco su nero, andando contro gli iniziali desiderata della band, la copertina era pronta, nessun'altra scritta, nemmeno il nome della band, solo quel misterioso disegno.
Nel mentre, Harold Craft non aveva minimamente idea del successo derivato dall'immagine che aveva generato anni prima, fu una persona che lavorava per Scientific America, Jen Christiansen, a riferirglielo. Craft si precipitò nel negozio di dischi più vicino per verificare di persona e ne uscì con l'album in questione e un poster della copertina.
Inoltre, il disco inizialmente doveva chiamarsi in un altro modo, Kinetic Outtake, venne realizzato in soli tre weekend per via dei lavori principali dei membri e in realtà non è nemmeno il primo disco della band perché Ian Curtis presentò tra il 1977 e il 1978 un disco alla RCA di Manchester che non venne pubblicato e Transmission era una canzone di questo disco inedito.
Un'immagine che davvero ha avuto un successo strepitoso anche al di fuori della fanbase della band. Magliette, accessori, tatuaggi e street art che ritraggono questo disegno dominano la scena dagli anni 80. Nel 2015 la BBC tramite un sondaggio la elegge la miglior maglietta di tutti i tempi, battendo mostri sacri come Pink Floyd, Rolling Stones e Nirvana.
Nemmeno la Disney è rimasta immune da questa moda, ma questa mossa divise un po' le opinioni della band a riguardo.
L'epoca dei social fotografici: tumblr, pinterest e instagram poi sono tutt'ora pieni di reinterpretazioni e meme.
... e di chi forse non sa nemmeno cosa sia, ma piace e se ne fa bella mostra.
Ci sono casi in cui loghi o immagini diventano delle vere e proprie icone, a volte famose quanto gli autori stessi. Pensiamo al disegno della lingua dei Rolling Stones oppure allo smile dei Nirvana, o ancora il Dark Side dei Pink Floyd: nel corso del tempo sono diventate icone onnipresenti, veri pezzi di cultura pop. Un altro esempio è sicuramente questo misterioso disegno apparso sulla copertina di Unknown Pleasure, il primo album dei Joy Division del 1979.
La sua storia è piuttosto curiosa e ha origine giusto mezzo secolo fa. Nel 1970 Harold Craft, per la sua tesi di dottorato all'osservatorio di Arecibo, stava cercando un modo di comparare gli impulsi elettromagnetici provenienti dallo spazio; la pulsar (una stella a neutroni) CP1919 era una delle candidate da osservare. Il problema è che per via delle varie interferenze Harold cercò un modo di visualizzare questi impulsi allargando quelli più stretti e restringendo quelli più grandi. L'immagine quindi non rappresenta un battito cardiaco oppure qualche complicata analisi matematica, sono solamente degli impulsi graficamente aggiustati di una stella a neutroni disegnati l'uno sotto l'altro da uno dei primi software per computer.
Immagine originale della tesi di dottorato pubblicata su twitter da Jen Christiansen di Scientific American |
I colori originali erano bianco su nero e qualche mese dopo la rivista Scientific American, nel 1971, la pubblicò in una variante: bianco su ciano.
Variante bianco su ciano |
La sua ricerca venne poi ripubblicata nuovamente nel 1977, nel Regno Unito sulla rivista The Cambridge Encyclopedia of Astronomy. La stessa rivista che venne trovata da Sumner o Morris (rispettivamente chitarrista e batterista), a seconda dei racconti, nella Manchester Central Library durante una pausa pranzo mentre era alla ricerca di ispirazione.
Immagine di The Cambridge Encyclopedia of Astronomy |
In seguito a Peter Saville, grafico della Factory Records, venne affidato il compito di creare la copertina dell'album a partire da quell'immagine. Levando le scritte varie e invertendo i colori in bianco su nero, andando contro gli iniziali desiderata della band, la copertina era pronta, nessun'altra scritta, nemmeno il nome della band, solo quel misterioso disegno.
Nel mentre, Harold Craft non aveva minimamente idea del successo derivato dall'immagine che aveva generato anni prima, fu una persona che lavorava per Scientific America, Jen Christiansen, a riferirglielo. Craft si precipitò nel negozio di dischi più vicino per verificare di persona e ne uscì con l'album in questione e un poster della copertina.
Inoltre, il disco inizialmente doveva chiamarsi in un altro modo, Kinetic Outtake, venne realizzato in soli tre weekend per via dei lavori principali dei membri e in realtà non è nemmeno il primo disco della band perché Ian Curtis presentò tra il 1977 e il 1978 un disco alla RCA di Manchester che non venne pubblicato e Transmission era una canzone di questo disco inedito.
Un'immagine che davvero ha avuto un successo strepitoso anche al di fuori della fanbase della band. Magliette, accessori, tatuaggi e street art che ritraggono questo disegno dominano la scena dagli anni 80. Nel 2015 la BBC tramite un sondaggio la elegge la miglior maglietta di tutti i tempi, battendo mostri sacri come Pink Floyd, Rolling Stones e Nirvana.
Sì, ne ho una variante pure io |
Nemmeno la Disney è rimasta immune da questa moda, ma questa mossa divise un po' le opinioni della band a riguardo.
L'epoca dei social fotografici: tumblr, pinterest e instagram poi sono tutt'ora pieni di reinterpretazioni e meme.
... e di chi forse non sa nemmeno cosa sia, ma piace e se ne fa bella mostra.
venerdì 2 ottobre 2020
Pearl Jam - Gigaton
I Pearl Jam sono gli unici sopravvissuti del Seattle sound degli anni 90; mentre altre band come gli Screaming Trees o gli Hammerbox hanno chiuso l’attività dopo pochi anni, il gruppo guidato da Eddie Vedder sforna ancora album a quasi trent’anni dall’esordio con Ten del 1991, anche se le loro uscite discografiche sono sempre più dilazionate nel tempo e da Lightning Bolt al nuovo Gigaton sono passati ben sette anni.
Il nuovo album è composto da dodici tracce in cui il grunge e la voce graffiante di Vedder fanno da condimento di base e che spaziano tra vari stili e sottogeneri del rock. Aprono il disco due pezzi dal suono classico quali Who Ever Said e Superblood Wolfmoon e già subito dopo troviamo la prima violenta sterzata con il suono post punk di Dance on the Clairvoyants. La sperimentazione sonora dei Pearl Jam in questo nuovo disco arricchisce il disco di sonorità molto diverse, con il melodico midtempo di Seven O’Clock e grazie anche alle ballad Buckle Up e Retrograde. Oltre a queste troviamo anche la ballad acustica Comes Then Goes, interpretata con solo voce e chitarre, e la straordinaria traccia di chiusura River Cross che scivola verso il gospel grazie ai cori sul ritornello.
Come è chiaro dall’immagine di copertina, che mostra un ghiacciaio che si scioglie, le tematiche del disco toccano varie volte i cambiamenti climatici con anche una critica al presidente americano Donald Trump, citato per nome in Quick Escape e attraverso il riferimento letterario di Bob Honey (personaggio di un romanzo satirico di Sean Penn) in Never Destination che è anche il brano dal sound più vicino al grunge puro di tutto il disco.
In conclusione, anche se Gigaton di certo non contiene singoli della potenza di Alive, Daughter o Just Breathe resta comunque un disco fortissimo in termini di qualità complessiva dei brani, perché tutte le dodici tracce sono di alto livello e confermano che proprio grazie alla loro capacità di essere dei rocker a 360 gradi, e non legati a una singola etichetta, i Pearl Jam sanno ancora realizzare ottima musica, in un decennio in cui purtroppo il grunge della West Coast è solo un lontano ricordo.
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