martedì 3 settembre 2019

Visions of Atlantis - Wanderers

È passato solo un anno e mezzo dall'ultima uscita discografica dei Visions of Atlantis, con The Deep & The Dark del 2018, e la band austriaca ha già pubblicato un nuovo lavoro in studio intitolato Wanderers per il quale la formazione del gruppo vede una nuova modifica, con l'ingresso dell'italiano Michele Guaitoli, già vocalist dei Kaledon e dei Temperance, che sostituisce Siegfried Samer e affianca la voce della soprano francese Clémentine Delauney.

In questo nuovo album la band ripropone la propria formula collaudata che prosegue sulla strada battuta da The Deep & The Dark con basi potenti a cui si sommano le voci dei due eccezionali vocalist che si completano, si amalgamano, si rincorrono e spesso duettano con Clémentine a fare le voci alte e Michele quelle basse. Il suono che ne risulta è un symphonic metal patinato e melodico, con forti venature di AOR ottantiamo e che convince e rapisce già al primo ascolto.

Il disco è composto da tredici tracce e si apre con l'epica e lunghissima Release My Symphony che dà un primo assaggio di ciò che si troverà nel resto dell'album con Clémentine che nel finale aggiunge qualche tocco di canto lirico. La continuità con i lavori passati della band è sottolineata dalla traccia successiva Heroes of the Dawn che contiene un'autocitazione da Return to Lemuria dell'album precedente (che a sua volta si ispirava a Lemuria dell'album Cast Away del 2004) e che così come quest'ultima è ricca di fiati che danno un'atmosfera fiabesca al pezzo.

Nel complesso l'album presenta un buon equilibrio tra pezzi energici e quelli lenti. Tra i momenti più melodici troviamo le ballad Nothing Last Forever e Into the Light cantante da entrambi i vocalist e la title track caratterizzata da una strumentazione minimale e cantanta dalla sola Clémentine. Tra i pezzi migliori del disco spiccano sicuramente quelli in cui le influenze AOR sono più marcate, come le energiche A Life or Our Own e At the End of The World, oltre a To The Universe che è il brano che mostra più degli altri l'ottima mescolanza vocale dei due cantanti e che è anch'esso impreziosito da alcuni accenni di canto lirico nei ritornelli.

Chiude il disco la cover di In and Out of Love del DJ olandese Armin van Buuren originariamente affidata alla voce di Sharon Den Adel e che in questo caso è interpretata da Clémenetine che surclassa la collega quanto a potenza, espressività e per quanti diversi colori sappia dare al proprio canto.

Wanderers è in sintesi un ottimo album, fresco e divertente, che fa esattamente ciò che deve fare, cioè regalare un ora di metal melodico che trae la propria forza principale dalle voci straordinarie dei due vocalist che nonostante siano al loro esordio insieme sembrano già una coppia navigata ed affiatata. E se era già ben noto che Clémentine fosse una delle migliori autrici e interpreti al mondo, la sua collaborazione con Michele funziona alla grande e se le premesse delle nuova coppia sono queste siamo sicuri che i Visions of Atlantis abbiano un futuro ancora più roseo del loro già glorioso passato.

sabato 17 agosto 2019

Giacomo Voli - Cremona, 16/8/2019

È una notte di mezza estate, una di quelle rese celebri dal famoso sogno di Shakespeare, e questa volta la location per il concerto di Giacomo Voli è decisamente insolita, perché il CRAL di una grande azienda come la Tamoil non è il posto dove ci si aspetta che si possa fermare per una sera un cantante blasonato come il nostro Giacomo. Fa caldo, ma non troppo, e quindi il viaggetto verso Cremona si affronta volentieri.


Il concerto è anticipato da una cena a base di gnocchi tricolori, e come sempre la cena è anche un momento di convivialità, per conoscere gente nuova accomunata dalla passione per la buona musica e per la voce di Giacomo. E dopo aver fatto qualche nuova amicizia, inizia il concerto con Giacomo che imbraccia la chitarra poco dopo le 21:30 e già dal primo pezzo si capisce che la serata non avrà nulla di scontato, perché la scelta dei pezzi è singolare, visto che si parte con What's Up? dei 4 Non Blondes. La voce di Linda Perry è unica, ma Giacomo riesce alla grande a interpretare il pezzo, e io che pensavo che un brano del genere fosse impossibile da rendere in acustico evidentemente mi sbagliavo.

Nella prima parte della scaletta trovano ampio spazio gli Aerosmith, e nemmeno gli acuti di Steven Tyler non sono un problema per Giacomo che regge il confronto alla grande e anche in questo caso la scelta dei pezzi non è banale perché oltre ai superclassici come Dream On e I Don't Want to Miss a Thing troviamo anche Pink che potrebbe non essere tra i pezzi più conosciuti per chi non segue il gruppo. Giacomo si accompagna alternando la chitarra e la tastiera e sopperisce con quest'ultima all'assenza della batteria e il risultato è che il suono è molto più ricco e completo di quanto ci si aspetterebbe da un acustico, così che più che a un acustico sembra di assistere al concerto di una one man band.

Nel prosieguo del concerto Giacomo esegue un buon numero di pezzi dei Queen, con il pubblico che canta i ritornelli insieme al vocalist che attinge dal repertorio degli anni 70 con Bohemian Rhapsody, Killer Queen e Somebody to Love, fino agli anni 80 di Radio Ga Ga e I Want to Break Free. Ovviamente non può mancare un omaggio ai mostri sacri del rock anni 70, come i Led Zeppelin di Whole Lotta Love e i Deep Purple con Soldier of Fortune, Hush e Smoke on the Water.

Giacomo sorprende tutti quando dice che sta per fare qualche pezzo italiano prima di chiudere il concerto. Ma come, è già tempo di salutarci? Non è iniziato da un quarto d'ora al massimo? Guardo l'orologio e, no, sono passate quasi due ore. Ma è stato tutto così divertente che il tempo è volato. Godiamoci allora gli ultimi pezzi, con Ti Sento dei Matia Bazar e Impressioni di Settembre della PFM (entrambe già incise da Voli nei suoi album solisti). E prima di chiudere non possono mancare ancora due brani dei Queen come We Are The Champions e Crazy Little Thing Called Love che Giacomo regala perché il pubblico non vuole lasciarlo andare senza un encore.

Purtroppo il concerto finisce, anche se il tempo sembra essere passato in un attimo. Sceso dal palco, Giacomo si ferma a fare qualche foto con i fans e a scambiare qualche parola con il pubblico che si complimenta per la voce e per l'esecuzione. Durante il viaggio verso casa nell'autoradio scelgo l'ultimo album dei Rhapsody of Fire, perché stasera Giacomo ci ha dato prova di uno dei lati della sua vocalità e l'occasione è buona per ripassare anche quella più metal ed epica. E mentre ripensiamo al concerto che abbiamo appena visto, resta la consapevolezza che alla fine è andato tutto bene, che abbiamo assistito a una grande prova di un polistrumentista e cantante straordinario, e che è proprio così che una notte di mezza estate dovrebbe essere per essere perfetta.

mercoledì 14 agosto 2019

Bruce Springsteen - Western Stars

Sono passati sette anni dall'ultimo album di inediti di Bruce Springsteen, perché né High Hopes del 2014, né Chapter and Verse del 2016 erano di fatto dischi di pezzi nuovi. E dopo questa lunga attesa il Boss torna sulle scene con il suo diciottesimo album per il quale sceglie una formula nuova abbandonando completamente l'heartland rock per muoversi verso un country rock ispirato alle band californiane degli anni 70 come gli Eagles o i Creedence Clearwater Revival.

Il titolo stesso Western Stars indica come Bruce abbia spostato verso ovest i propri spunti e le immagine bucoliche che accompagnano il CD anticipano le sonorità che si troveranno nel disco. Il risultato è un album di tredici tracce lente i cui ritmi non si discostano mai dalle atmosfere rilassate del deserto americano. I ritmi lenti del disco sorprendono non poco, ma stupisce anche la presenza massiccia di strumenti ad arco, che non erano così predominanti nei dischi di Springsteen dai tempi di Waitin' on a Sunny Day di The Rising.

Se questa combinazione risulta comunque buona e funziona bene, il disco ha l'innegabile difetto che i pezzi sembrano tutti un po' troppo simili e le sensazioni suscitate dalla traccia di apertura Hitch Hikin' si troveranno poi anche in tutte le altre. Si distinguono solo Sleepy Joe’s Café? per i ritmi leggermente più vivaci, e la ballad There Goes My Miracle caratterizzata da atmosfere più profonde e solenni. Tra i pezzi migliori troviamo anche Tucson Train e Chasin' Wild Horses che sono i due brani in cui gli archi si sentono con maggiore intensità e la title track di cui è stato realizzato un video in ambientazione western.

Chiudono il disco Hello Sunshine, pubblicata in singolo prima dell'uscita dell'LP, che risente di qualche eco di Everybody's Talking di Harry Nilsson e l'acustico Moonlight Motel realizzata con solo piano, chitarra e voce.

In sintesi Western Stars è sicuramente un disco di altissimo livello e perfettamente godibile, ma per apprezzarlo bisogna ascoltarlo con le giuste aspettative. Se ci si aspetta il rock di Born in the U.S.A., qui non c'è. Questo disco non assomiglia a nulla che Springsteen abbia fatto in passato e potrebbe quindi scontentare i fan storici. Ma se lo si approccia con le giuste attese, non si può non considerare che Western Stars dimostra invece come questo settantenne abbia ancora molte strade da esplorare e che anche quelle nuove gli riescono bene come quelle già percorse.

martedì 6 agosto 2019

Le colonne sonore della serie di Men in Black

Il 2019 ha visto l'uscita nelle sale cinematografiche del quarto film della serie di Men in Black, iniziata nel 1997 con l'eponimo film con Will Smith e Tommy Lee Jones. Fin dal primo capitolo la  serie è stata famosa non solo per la parte cinematografica ma anche per le sue celebri colonne sonore.

Contestualmente all'uscita del primo Men in Black sono stati pubblicati due dischi, come all'epoca era abbastanza consueto: il primo intitolato Men in Black: The Score contenente le musiche di Danny Elfman effettivamente presenti nel film e il secondo intitolato Men in Black: The Album che contiene invece dei pezzi cantanti. Il più celebre brano tratto dall'album è sicuramente la title track di Will Smith basata su un campionamento di Forget Me Nots di Patrice Rushen del 1982 e ricordata anche per il celebre video in cui Will Smith balla in sincronia con un gruppo di altri uomini in nero a cui si aggiunge un grosso alieno. Nel disco è presente anche un secondo pezzo di Will Smith intitolato Just Cruisin' e altri dodici brani interpretati da alcuni dei maggiori esponenti della black music dell'epoca, tra cui i Roots, Nas, le Destiny's Child e gli A Tribe Called Quest.


Oltre a quelli di Will Smith i pezzi migliori del disco sono We Just Wanna Party with You di Snoop Doggy Dogg, alla sua ultima uscita discografica prima del cambio di nome in Snoop Doog, basata su un campionamento di Get Down on It di Kool and the Gang, e Dah Dee Dah (Sexy Thing) di Alicia Keys allora sedicenne al suo esordio. Completano in disco due pezzi strumentali di Danny Elfman presenti anche nella score. Ad esclusione delle due tracce di Elfman e della title track, nessuno dei pezzi dei disco compare nel film rendendo di fatto Men in Black: The Album una compilation di black music slegata dal film.

Men in Black fu inclusa anche nel primo album solista di Will Smith intitolato Big Willie Styles uscito pochi mesi dopo il film; nella versione europea dell'album è presente anche Just Cruisin' come bonus track. L'anno dopo entrambi i pezzi sono stati inclusi nel Greatest Hits di DJ Jazzy Jeff & The Fresh Prince, nonostante fossero stati incisi come brani solisti di Smith quando il duo non era più in attività.

Nel 2002, con l'uscita di Men in Black II, Will Smith ripeté l'esperimento di pubblicare la traccia principale della colonna sonora anche sul proprio album solista Born to Reign (e nel 1999 aveva fatto lo stesso con il film Wild Wild West e l'album Willennium). Tuttavia il pezzo Black Suits Comin' (Nod Ya Head) ebbe un approccio meno scherzoso e più serio e aggressivo rispetto alla colonna sonora del primo film, grazie al suono prominente delle chitarre seguendo un percorso musicale già iniziato con Willennium.

Di Men in Black II è stata pubblicato un unico disco intitolato Men In Black II: Music From The Motion Picture che contiene diciotto brani strumentali di Danny Elfman, Black Suits Comin' (Nod Ya Head) di Will Smith e I Will Survive interpretata da Tim Blaney che nel film dà la voce al cane Frank.

Nel 2012 uscì al cinema Men in Black 3 di cui fu pubblicata la colonna sonora dal titolo MIB3 Music by Danny Elfman che come dice il titolo stesso contiene sono i brani strumentali di Elfman. L'unico pezzo cantato che compare nel film è Back in Time di Pitbull che venne pubblicato in singolo, ma non incluso nell'album delle colonna sonora.

Il quarto capitolo della serie intitolato Men in Black: International, il primo e unico finora senza la partecipazione di Will Smith, è uscito nelle sale cinematografiche nel 2019 e contestualmente ne è stata pubblicata la colonna sonora dal titolo Men in Black: International - Original Motion Picture Score che contiene ventisei brani strumentali di nuovo di Danny Elfman, questa volta con la partecipazione di Chris Bacon.


Le colonne sonore di Men in Black sono sicuramente uno dei motivi del successo di questo franchise, e nonostante i capitoli cinematografici siano ad oggi quattro è indubbio che le prime due realizzate da Will Smith abbiano dato il contributo principale a consolidare il marchio di questa fortunata serie che è diventata in breve tempo un'icona degli anni 90 e il cui successo dura ancora più di vent'anni dopo il primo film.

martedì 30 luglio 2019

Hollywood Vampires - Rise

Sono passati cinque anni dall'esordio discografico dello strano supergruppo formato da Alice Cooper, Joe Perry degli Aerosmith e l'attore Johnny Depp, noto con il nome di Hollywood Vampires, che nel 2014 esordì con un album di cover. Questo 2019 vede il ritorno del terzetto con un album dalle ambizioni maggiori intitolatalo Rise e composto tredici pezzi nuovi (di cui quattro interludi) più tre cover.

Il disco parte subito con forza con il potente hard rock di I Want My Now, che dura più di sette minuti. Ma la prima traccia non deve trarre in inganno, se infatti è normale aspettarsi un disco di rock massiccio da questo terzetto, il resto del disco riserverà comunque delle sorprese muovendosi tra stili diversi e alternando anche i vocalist; infatti nonostante Alice Cooper canti la maggior parte dei pezzi cede spesso il microfono agli altri due.

Nel disco troviamo infatti anche un pezzo rock and roll da sapore rétro come Welcome to Bushwackers (che vede la presenza come ospiti di Jeff Beck e dell'attore John Waters) e momenti di stoner rock come in Git from Round Me cantata dal bassista Tommy Henriksen e da Johnny Depp. Verso la chiusura del disco Alice Cooper torna anche ad atmosfere cupe e doom in Mr Spider. La traccia di apertura non è comunque l'unico pezzo energico del disco, infatti sullo stesso stile troviamo anche The Boogieman Surprise e New Threat.

Come anticipato nel disco sono presenti anche tre cover. La prima di queste è il midtempo You Can't Put Your Arms Around a Memory di Johnny Thunders del New York Dolls, qui cantata da Joe Perry che lascia la melodia inalterata ma sostituisce la voce acuta di Thunders con la propria molto più bassa e profonda. La seconda cover è Heroes di David Bowie cantata da Johnny Depp, che nonostante riesca a interpretarla in modo sicuramente dignitoso, dimostra di non essere un vero cantante visto che la parte vocale è notevolmente semplificata (e per verificarlo basta un breve confronto con la versione dei Wallflowers cantata da Jakob Dylan). La terza e ultima cover e People Who Died della Jim Carroll Band in cui al microfono troviamo di nuovo Depp. È comunque curioso constatare che Alice Cooper non canta nessuna delle tre cover e, a parte Git From Round Me, sono proprio questi gli unici pezzi che non lo vedono alla voce.

In conclusione, Rise fa esattamente ciò che ci si aspetta, regalando oltre un ora di hard rock divertente, non troppo ricercato e fatto per piacere al primo ascolto senza pretese di innovazione o sperimentazione; ovviamente va benissimo così perché è proprio questo che un supergruppo deve fare. E se Alice Cooper e Joe Perry sono musicisti esperti e navigati, un plauso particolare va a Johnny Depp che a oltre cinquant'anni grazie agli Hollywood Vampires dimostra di essere un chitarrista in grado di reggere concerti e di registrare un album di livello professionale insieme a gente che vanta oltre quattro decenni di esperienza.

mercoledì 24 luglio 2019

Gianluigi Cavallo - Base Ribelle

Sono passati quattro anni da quando la scena rock italiana è stata travolta dal ritorno discografico di Gianluigi "Cabo" Cavallo, ex frontman dei Litfiba dal 2000 al 2006, con l'album E=MC2 - Essenza di Macchina Cuore Cervello della nuova formazione denominata ilNero. E dopo un lungo tour che ha alternato performance in elettrico a altre in acustico, il 2019 vede finalmente l'uscita del nuovo album del cantante parmense, questa volta firmato con il suo solo nome e cognome e intitolato Base Ribelle.

Il disco è composto di dodici pezzi a cui ha collaborato come assistente anche il figlio Sebastiano, detto Zeb. Come suggerisce il titolo stesso, e come è normale aspettarsi dal passato di Cabo, tutte le tracce dell'album trasudano di un rock puro, genuino e diretto i cui testi parlano spesso della ribellione e del rifiuto dell'omologazione. E se questo aspetto era facilmente intuibile anche prima dell'ascolto, il disco presenta anche molti lati inattesi, come la sperimentazione e la contaminazione di musica etnica con cui Cabo ha arricchito la propria produzione.

L'uscita dell'album è stata preceduta dalla pubblicazione di due tracce che hanno dato un assaggio di quello che si trova nel disco intero con pezzi ricchi di riff di chitarra e con melodie che valorizzano appieno la straordinaria voce baritonale di Cabo. I primi due brani pubblicati sono stati Di Questo Mondo, che è il pezzo più pesante dell'intero album caratterizzato da suoni pesanti ai confini con il metal e con spruzzate di grunge nello stile di In Utero sul ritornello, e il midtempo Leggero che invece si muove su atmosfere più raccolte e distantissime da quelle del pezzo precedente.

Sonorità aggressive da heavy metal si trovano anche in Il Crocevia dei Miracoli ed E Fuoco Sia, impreziosita dai vocalizzi in stile gitano dello stesso Cabo prima e dopo l'ultimo ritornello. Tra i pezzi "d'assalto" troviamo anche Faccia al Vento, grintoso hard rock che cita anche uno stralcio di un'intervista a Giovanni Falcone sul non rimanere prigioniero della paura.


Nel disco spiccano anche alcuni pezzi influenzati dallo stoner rock dalla velocità non troppo elevata e che risultano anche essere quelli che mettono più in luce le capacità vocali di Cabo. Tra questi troviamo Destino, Sei e Orizzonte che è uno dei momenti più interessanti del disco grazie alle sua mescolanza di stoner, psichedelia e influenze mediterranee.

Come anticipato, non mancano momenti più melodici come il midtempo Quello Che Ho, anch'essa influenzata dal med rock, e l'etera Nuvole ricca di venature new wave e synth pop. Completano il disco il rock and roll della title track, introdotta da una citazione del compianto presidente Sandro Pertini sull'importanza del seguire i propri ideali per distinguersi dalla massa, e la lenta e profonda traccia di chiusura Le Nostre Verità.

In conclusione questo album è sicuramente una delle uscite migliori di questo 2019, grazie a dodici tracce ricche di spunti diversi che meriterebbero tutte una pubblicazione in singolo. Che Cabo fosse uno dei migliori autori e interpreti del rock italiano è noto fin da Elettromacumba, ma con questo album, che è il suo primo da solista, ha sicuramente alzato l'asticella dando pieno sfogo alla sua creatività. Base Ribelle è un assoluto capolavoro di rock, l'ennesimo della carriera di Cabo, e ora non resta che aspettare di poter sentire la potenza di questi pezzi deflagrare dal vivo nel prossimo tour.

martedì 9 luglio 2019

L'omicidio di Big L

Il mondo della musica hip-hop è spesso funestato dalle morti premature, e spesso violente, dei suoi rappresentanti più noti. Dopo Tupac e Notorious B.I.G., ma prima che questa assurda lista proseguisse con Jam Master Jay e molti altri, anche il rapper newyorkese Big L morì in circostanze mai chiarite sotto i colpi sparati da un anonimo aggressore.


Il vero nome di Big L era Lamont Coleman, ed era nato ad Harlem nel 1974. Il suo primo album intitolato Lifestylez ov da Poor & Dangerous era stato pubblicato nel 1995, il secondo sarebbe uscito nel 2000 con il titolo di The Big Picture, ma Coleman non fece in tempo a vederlo pubblicato perché il 15 febbraio del 1999 fu freddato da nove colpi di pistola alla testa e al tronco sparatigli da un auto in corsa a un solo isolato dalla casa dove viveva con la madre.

La sera prima la donna, dopo essere tornata dal lavoro, chiese al figlio di andare a comprare dei dolci per poter festeggiare insieme San Valentino. Il rapper uscì per andare a un negozio all'angolo a comprare per la madre degli snack alle arachidi e al cioccolato, e dopo averli portati in casa uscì di nuovo. La madre non lo vide mai più in vita, in quanto andò a dormire prima che il figlio tornasse e quando il giorno dopo tornò dal lavoro non lo trovò a casa. Non sapremo mai, pertanto, da dove stesse tornando Big L dopo le otto di sera e quanto tempo stette fuori casa quando fu ucciso davanti al complesso residenziale noto come Savoy Park al numero 45 di West 139th Street, ad Harlem.

Tutte le ricostruzioni giornalistiche che si trovano in rete parlano di drive-by shooting, ma in realtà non ci sono testimoni oculari dell'accaduto. La prima testimonianza oculare della morte di Big L è quella del rapper Showbiz del duo Showbiz & A.G. che si stava allontanando da New York per il compleanno della fidanzata quando fu raggiunto da una telefonata che lo informava della morte di Big L. Showbiz arrivò sulla scena poco dopo, e vide l'amico e collega steso a terra senza vita. La polizia fu avvisata da una telefonata anonima e arrivò sul luogo della sparatoria alle 20:30 e non potè che constatare che Big L era dead on arrival.

Tre mesi dopo, la polizia arrestò il ventinovenne Gerard Woodley in relazione alla morte del rapper. Tra l'altro i due erano amici di lunga data ed esiste anche una foto che li ritrae insieme. Secondo una portavoce della polizia di New York, Woodley, che era già stato arrestato per due casi di omicidio nel 1990 e nel 1996 senza mai venir condannato, potrebbe aver agito per vendicarsi contro il fratello di Big L, Leroy Phinazee detto Big Lee, che nel 1999 si trovava in carcere, forse per un debito mai pagato. Tuttavia Woodley fu rilasciato poco dopo per assenza di prove e ad oggi l'omicidio resta insoluto.

Big L è il primo a sinistra, Woodley è il primo a destra.

A complicare il mistero già sufficientemente fitto sulla morte di Big L, nel 2002 anche Phinazee fu ucciso da colpi di arma da fuoco sparati da un aggressore mai identificato nello stesso quartiere in cui fu ucciso il fratello. Nonostante non ci siano collegamenti evidenti tra i due omicidi, la madre dei due sostiene che Leroy sia stato ucciso perché stava indagando privatamente sulla morte di Big L.

Incredibilmente la scia di morti sospette in questo strano caso è proseguita nel 2016, quando anche Gerard Woodley rimase ucciso in una sparatoria davanti al numero 106 di West 139th Street, la stessa strada in cui morì Big L, il 23 di giugno poco dopo le 23. La polizia fu chiamata dai vicini che sentirono tre spari in rapida successione, Woodley fu portato all'ospedale dove morì poco dopo. Essendo comunque passati diciassette anni tra i due eventi, gli inquirenti ritengono che non ci siano legami tra la morte di Woodley e quella di Big L.

Purtroppo la famiglia di Big L è stata colpita da un'altra morte violenta il 24 giugno del 2019, quando anche il nipote di Big L, che come il padre si chiamava Leroy Phinazee  fu ucciso in una sparatoria mentre usciva da un negozio di alimentari all'incrocio tra 137th Street e Lexington Avenue. L'uomo, che aveva ventinove anni, fu raggiunto da due proiettili: uno alla spalla e uno al collo. L'assassino lo aveva seguito e lo stava aspettando fuori dal negozio. Anche in questo caso l'omicidio non è legato a quello del rapper, ma più probabilmente a un altro omicidio simile avvenuto la settimana prima nel quartiere di Inwood (a nord di Manhattan) in cui un uomo fu ucciso in circostanze simili al giovane Phinazee.

A seguito della sua prematura scomparsa, la discografia di Big L si è sviluppata ovviamente solo dopo la sua morte, con altri tre album postumi oltre a The Big Picture e varie compilation che contengono versioni nuove di pezzi presenti sugli album e registrazioni con le crew dei D.I.T.C. e dei Children of the Corn.

Nonostante la sua vita molto breve, Big L è considerato uno dei pionieri e dei fondatori dell'horrorcore, genere che mischia immaginario horror e musica hip-hop e che vede tra i suoi esponenti più importanti gruppi come gli Insane Clown Posse e i Mobb Deep. Big L si aggiunge alla lunga e desolante fila di artisti rap morti troppo presto, e anche in questo caso non sapremo mai quali successi avrebbe raggiunto se avesse avuto il lusso di vivere più a lungo.