sabato 25 luglio 2020

Perché Take the "A" Train di Duke Ellington si intitola così?

Take The "A" Train è uno dei brani musicali più famosi di ogni epoca, che travalica i confini di generi ed epoche tanto che la sua melodia è nota a chiunque, anche a chi non ne conosce il titolo e non ne sa individuare lo stile.

Il brano nacque nel 1940, quando il celeberrimo jazzista Duke Ellington si trovò nella necessità di trovare un pezzo nuovo da usare come sigla di apertura delle proprie esibizioni radiofoniche dal vivo, dopo che l'ASCAP (American Society of Composers, Authors and Publishers, a cui era iscritto) aumentò le tariffe per le esecuzioni alla radio dei propri pezzi. Ellington allora chiese al figlio ventunenne Mercer e al compositore Billy Strayhorn, che erano iscritti alla BMI (Broadcast Music Incorporated) anziché all'ASCAP, di scrivere un brano apposito. Fino ad allora, infatti, Duke Ellington con la propria orchestra usava come sigla Sepia Panorama scritta proprio da lui, il cui costo di esecuzione sarebbe diventato proibitivo.


Mercer Ellington trovò allora fortuitamente in un cestino dei rifiuti un pezzo che Strayhorn aveva scritto ma che intendeva scartare, perché gli ricordava troppo gli arrangiamenti del celebre pianista Flectcher Henderson: il pezzo si intitolava Take the "A" Train e da allora divenne la nuova sigla e il pezzo più noto e distintivo di Duke Ellington che lo incise per la prima volta in studio nel 1941.

Sull'origine del titolo del brano circolano numerose leggende, e siccome la sua composizione risale agli anni quaranta è difficile districarsi su quale sia la versione corretta. Lo scrittore e storico musicale Stanley Dance lo chiese direttamente a Billy Strayhorn nel 1966 e l'intervista è pubblicata nel volume The World of Duke Ellington del 1970.

La spiegazione data da Strayhorn è che nel periodo in cui scrisse in brano la città di New York stava potenziando la propria rete metropolitana e tra le nuove linee che venivano aggiunte c'erano la "A" e la "D", entrambe le quali collegavano il quartiere Bedford-Stuyvesant di Brooklyn con Harlem a Manhattan, mettendo così in collegamento le due zone abitate prevalentemente da afroamericani. La linea "D" arrivava sulla 145esima Strada ad Harlem e proseguiva poi verso nord fino al Bronx; al contrario la linea "A" andava direttamente nel distretto di Sugar Hill, dove c'erano i migliori locali in cui veniva suonata musica jazz dal vivo.

Strayhorn era quindi solito dare indicazioni alle persone di Brooklyn dicendo "Take the A train, take the A train!" per evitare che sbagliando prendessero la "D" e finissero lontano dalla propria destinazione; prendendo spunto da questa frase decise quindi di intitolare così il proprio nuovo brano.

Furono quindi casuali sia il ritrovamento della composizione sia la scelta del titolo, ma entrambi garantirono al pezzo un successo immortale.

venerdì 10 luglio 2020

Le colonne sonore della serie cinematografica de Il Corvo

Tratto dall'omonimo graphic novel da James O'Barr, Il Corvo fu uno dei maggiori successi cinematografici del 1994, la cui fama è anche purtroppo legata alla prematura scomparsa dell'attore protagonista Brandon Lee colpito per sbaglio da un frammento di proiettile rimasto incastrato in modo completamente fortuito in un'arma caricata a salve. Il film narra la storia di Eric Draven (il cui cognome suona molto simile a The Raven, che significa proprio il corvo ed è anche il titolo di una poesia di Edgar Allan Poe a cui è ispirata l'opera di O'Barr) che torna sulla terra ad un anno dalla sua morte per vendicarsi della gang che ha ucciso lui e la sua fidanzata durante la notte di Halloween di un anno prima. La vicenda di svolge in un'onirica Detroit cupa e tormentata dal crimine, in cui la pioggia rappresenta il tentativo della società di lavare via i propri errori, e il cui cielo è sempre nero o rosso.


Come era consueto negli anni 90, il film è stato accompagnato dall'uscita della colonna sonora in due dischi distinti: la prima di pezzi cantanti e la seconda di brani strumentali. La prima di queste si intitola The Crow: Original Motion Picture Soundtrack e contiene quattordici canzoni di alcuni tra i migliori interpreti dell'industrial rock e dell'alternative rock dell'epoca. I brani sono tutti molto cupi e ricalcano  le atmosfere dei film. Tra i pezzi principali troviamo Burn dei Cure, che apre il disco e che nel film ha il ruolo iconico di fare da sottofondo alla scena in cui Eric torna dai morti, la cover di Dead Souls dei Joy Division interpretata dai Nine Inch Nails, Snakedriver dei Jesus and the Mary Chain e Darkness dei Rage Against the Machine (che sul singolo di Killing in the Name Of come b-side è intitolata Darkness of Greed) in cui il gruppo rinuncia alle proprie sonorità aggressive per spostarsi su terreni più oscuri. Nell'album sono presenti altre due cover: Ghostrider dei Suicide, qui interpretata dai Rolling Band, e The Badge dei Poison Idea interpretata dai Pantera. Nel disco è presente anche Milktoast degli Helmet, il cui titolo è scritto Milquetoast nel loro album Betty dello stesso anno.


Il secondo album uscito in contemporanea al film è intitolato The Crow: Original Motion Picture Score e contiene le musiche strumentali che fanno da commento sonoro alle scene del film composte da Graeme Revell. Ovviamente le atmosfere di questo secondo album restano gotiche e oscure, e nell'album troviamo alcuni pezzi di notevole fattura, come Rain Forever impreziosita da un vocalizzo della cantante Darlene Koldenhoven, Pain and Retribution in cui troviamo un vocalizzo corale, e Inferno che nel film è interpretata alla chitarra dallo stesso Eric Draven.

Nel 1996 uscì il primo sequel Il Corvo 2 il cui titolo originale è The Crow: City of Angels, come dice il titolo stesso l'azione si sposta a Los Angeles; il protagonista è un meccanico motociclista di nome Ashe Corven che viene ucciso insieme al figlio e torna dall'oltretomba a vendicarsi dei propri assassini. Anche in questo caso la città è caratterizzata da atmosfere cupe, con il cielo verde, ma il film per quanto godibile ha il sapore di copia del precedente. Anche in questo caso del film sono state pubblicate due colonne sonore.


Il primo dei due dischi è intitolato The Crow: City Of Angels (Original Motion Picture Soundtrack) e ricalca l'esperimento fatto con il film precedente, anche se in questo caso le sonorità si spostano più verso l'industrial e verso l'hard rock. Nel disco troviamo una cover di Gold Dust Woman dei Fleetwood Mac interpretata dagli Hole, una cover di I'm Your Boogie Man di KC and the Sunshine Band dei White Zombie (del resto a cavallo dell'anno 2000 Rob Zombie fece più partecipazioni a colonne sonore che album in studio), entrambi i quali trasformano i brani originali, che non avevano nulla di oscuro, in pezzi energici con prominenti chitarre distorte. Nel disco troviamo un'altra cover dei Joy Division: in questo caso si tratta di In a Lonely Place interpretata dai Bush. L'album contiene anche una versione live di I Wanna be Your Dog degli Stooges interpretata dal solo Iggy Pop, l'unica spiegazione per la presenza di questo pezzo nell'album è che Iggy Pop interpreta uno degli assassini del protagonista nel film, perché per il resto non ha legami con il film. Questo album, rispetto alla colonna sonora del disco precedente, ha comunque il merito di ampliare la proposta stilistica, grazie a contributi di PJ Harvey, Linda Perry e Tricky con i Gravediggaz.

Anche in questo caso insieme alla soundtrack è stata pubblicato il disco dei pezzi strumentali, intitolato The Crow - City Of Angels (Original Score Album) che contiene le musiche composte di nuovo da Grame Revell.

Il terzo film della serie intitolato The Crow: Salvation uscì nel 2000 e questa volta gli autori cercarono di allontanarsi dalla atmosfere originali; il film è ambientato a Salt Lake City e l'ambientazione è meno sinistra rispetto ai primi due capitoli. Anche il protagonista cambia aspetto, perché il nuovo Corvo, che si chiama Alex Corvis, non ha più i capelli lunghi e una tuta aderente, ma indossa una tuta da meccanico e in alcune scene anche un cappotto. Inoltre la trama presenta notevoli deviazioni rispetto ai modelli precedenti, i cattivi non sono più gangster ma membri corrotti delle forze dell'ordine. Anche in occasione del terzo film furono pubblicati due dischi. La soundtrack con i pezzi cantati si intitola The Crow: Salvation (Original Motion Picture Soundtrack) e di nuovo vi troviamo una compilation di industrial rock. Tra gli interpreti troviamo nuovamente gli Hole, Rob Zombie e Tricky la cui Antihistamine contiene snippet di Heart of Glass dei Blondie. Nell'album spicca anche Warm Winter di Kid Rock che si cimenta con un pezzo cupo lontanissimo dal rock country e dal crossover che caratterizzano la sua produzione consueta. Il secondo album pubblicato per il terzo film si intitola The Crow: Salvation (Original Motion Picture Score) e contiene le musiche strumentali composte da Marco Beltrami.


Il quarto film della serie uscì nel 2005, il titolo originale è The Crow: Wicked Prayer ma inizialmente i distributori italiano lo distribuirono come The Cult togliendo dal titolo ogni riferimento ai film pregressi; solo in seguito è stato distribuito con il titolo originale. In questo caso le atmosfere cambiano ancora con un ambientazione desertica al confine tra Stati Uniti e Messico. Di nuovo il nome del protagonista contiene un richiamo alla parola corvo, si chiama infatti Jimmy Cuervo. Ma nel 2005 la notorietà della serie era calata e non fu pubblicata nessuna colonna sonora.

In realtà de Il Corvo esiste un quinto film intitolato The Crow: Resurrection, tradotto il italiano come Il Corvo: La Resurrezione del 1998 (cioè realizzato tra il secondo e il terzo film della serie) che è un remake del primo capitolo, con Mark Dacascos nel ruolo di Erick Draven, ed è l'episodio pilota del telefilm The Crow: Stairway to Heaven trasmesso in Italia nel 2003 semplicemente come Il Corvo. Ovviamente anche di quest'ultimo non esiste nessuna colonna sonora.

Negli anni si è parlato varie volte di possibili remake del primo film o di un eventuale Il Corvo 5. Per ora non esiste nulla di concreto, ma non è da escludere che la serie cinematografica si possa allungare, ed insieme ad essa anche quella delle sempre ottime musiche di questo altrettanto ottimo franchise.

domenica 5 luglio 2020

Giacomo Voli - Retorbido, 4/7/2020

È il 4 luglio, il lockdown è finito da due mesi e la vita torna lentamente a essere quella di prima. A breve probabilmente il virus sarà un brutto ricordo, ma tra le cose che ancora ci mancavano c'è il ritorno della musica dal vivo. Finalmente è tornata anche quella, e quale occasione migliore per il primo concerto post-lockdown di un live acustico di Giacomo Voli al Dagda di Retorbido? Uno dei migliori cantanti al mondo fa un concerto vicino a casa, non ci sono dubbi: l'evento è imperdibile.


Il Dagda ha messo in atto le necessarie misure di sicurezza: termoscanner all'ingresso, consumazioni servite all'aperto e sedie distanziate tra il pubblico. Non danno per nulla fastidio, anzi quasi sembra tutto normale e quindi la musica è godibile al 100%.

Giacomo sale sul palco verso le 21, ma si capisce presto che quello che sta per esibirsi è in realtà un terzetto. Oltre al nostro vocalist, che suona anche la tastiera, ci sono Gianluca Molinari (che affianca Voli anche nel progetto The Voice of Rock) nel ruolo di chitarrista e la ben nota Francesca Mercury (ideatrice del progetto La Mercury racconta i Queen che vede alla voce proprio Giacomo Voli) nel ruolo inedito di intervistatrice e conduttrice.


Il concerto parte con Impressioni di Settembre e I Can't Find My Way Home, che Giacomo ha inciso come cover nel suo EP di esordio Ancora nell'Ombra. La serata ha un approccio singolare, perché Francesca tra una canzone e l'altra intervista Giacomo chiedendogli della sua vita, della sua formazione e di come è nato il suo interesse per la musica. Giacomo ci racconta quindi che il suo amore per la musica è nato da bambino grazie al nonno materno cornista e di come poi abbia scoperto l'opera, il rock melodico e il metal e di come da sempre cerchi di coniugare questi aspetti mischiando sapientemente ingredienti di musica di stili diversi. Spesso, quando Giacomo nomina un pezzo, Gianluca ne esegue il riff in sottofondo, rendendo il racconto ancora più vivido e vibrante.

Forse la serata non era partita con i migliori auspici, perché Giacomo racconta anche di essere infortunato a causa di un incidente stradale, ma se non lo avesse detto non se ne sarebbe accorto nessuno (se non fosse per le bende alle braccia) perché suona e canta come se fosse in gran forma e la precisione al piano e la potenza della voce sono sicuramente al pieno delle loro capacità; segno che neanche gli imprevisti possono fermare i migliori artisti.

La setlist della serata spazia tra il rock degli anni 70, agli anni 80 fino ai 90 pescando da un repertorio vastissimo che tocca i Led Zeppelin e i Deep Purple, l'AOR di Eye on the Tiger dei Survivor per poi passare ai Queen e ai Pink Floyd. E tra un pezzo e l'altro Giacomo narra alcuni aspetti meno noti della sua carriera: come qualche scelta bizzarra degli autori di The Voice of Italy nella selezione dei pezzi o di come sia stato contattato da Alex Staropoli per un progetto parallelo di musica barocca, per poi approdare ai Rhapsody of Fire dopo l'abbandono di Fabio Lione. Dalla discografia dei Rhapsody ci regala una versione da brividi in italiano di The Wind, the Rain and the Moon, e dalla propria produzione solista Giacomo pesca anche uno snippet della traccia di chiusura del suo ultimo album intitolata Il Libro dell'Assenza


Il tempo nella sala letteralmente vola via, e quando Francesca annuncia che siamo giunti all'ultimo pezzo mi sembra incredibile, però effettivamente l'orologio dice che è mezzanotte. Nel caldo di questa serata che ha il sapore di una rinascita Giacomo si ferma a scambiare qualche parola con i fan mostrando una vicinanza al proprio pubblico che poche star del suo livello hanno.

La serata è giunta al termine, ma tornando verso casa non si sente la sensazione che qualcosa sia finito, ma che questa sia una ripartenza perché di serate come questa ne seguiranno decine e forse centinaia. E quello che ha reso unica questa serata non è stata solo la musica e la voce di Giacomo Voli, ma anche il fatto che un grande artista abbia raccontato il proprio lato umano. Perché per sapere cantare così bisogna essere grandi cantanti, ma per sapere raccontare cosa c'è dietro e dentro bisogna essere grandi e basta.

martedì 23 giugno 2020

Imperial Age - The Legacy of Atlantis

The Legacy of Atlantis
del 2018 è il secondo album dei moscoviti Imperial Age, uscito sei anni dopo il precedente Turn the Sun Off! e a due anni di distanza dall’EP Warrior Race. L’album è composto da nove tracce che costituiscono una vera e propria metal opera che narra, attraverso il racconto di vari personaggi, di un mago proveniente dall’antica e avanzatissima società di Atlantide che rinasce nell’Europa medievale.

Anche in questo disco, come nei precedenti, la musica degli Imperial Age è contraddistinta da sonorità maestose e magniloquenti e la forza di questo gruppo sono le voci dei tre vocalist, tutti con impostazione operistica: il tenore Alexander “Aor” Osipov, il soprano Anna “Kiara” Moiseeva e il mezzo-soprano Jane “Corn” Odintsova (che nei dischi precedenti suonava anche le tastiere). Nel disco il gruppo si avvale anche del coro del Conservatorio Statale di Mosca Pëtr Il'ič Čajkovskij che conferisce uno stile operistico all’album. Il risultato di questa commistione sonora è un symphonic metal di ottimo impatto sonoro, che colpisce già al primo ascolto e che non ha bisogno di molti passaggi prima di essere apprezzato.

Trattandosi di una metal opera è difficile individuare pezzi migliori di altri, perché il suono del disco è monolitico e non si presta a essere diviso. In ogni caso la title track spicca sicuramente sia dal punto di vista musicale sia da quello canoro, con i tre vocalist e il coro che regalano la loro prova migliore. Degni di nota sono anche Domini Canes, che in un ponte contiene un estratto del Credo di Nicea, e The Escape, che presenta sonorità un po’ diverse, più leggere ed elettroniche.

The Legacy of Atlantis è in sintesi un capolavoro del symphonic metal, che mette in campo tre voci straordinarie in una mescolanza di musica classica, lirica e metal che creano una sintesi perfetta di cose apparentemente diverse. Il disco in sé è ottimo dall'inizio alla fine ed è un'ottima scoperta per chi non conosce questo singolare sestetto, e conferma anche che giunti alla loro terza prova in studio gli Imperial Age sono una delle migliori e più interessanti realtà del panorama del symphonic metal mondiale.

mercoledì 10 giugno 2020

Chi sono i primi iscritti al Club 27?

Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin e Kurt Cobain hanno una caratteristica in comune, oltre all’essere musicisti fondamentali della storia recente: sono morti a 27 anni. La lista di cantanti o strumentisti deceduti a tale età è talmente lunga che è stato coniato appositamente un termine per definirla, sono infatti noti come il Club 27 e questo atipico circolo contiene molti altri celeberrimi nomi come Brian Jones, Amy Winehouse e Kristen Pfaff.


Di norma si ritiene che il primo iscritto al Club 27 sia il leggendario chitarrista blues Robert Johnson, la cui vita è avvolta nel mistero sotto molti aspetti, ma in realtà prima di lui altri due musicisti morirono a 27 anni.

Il primo di loro è il pianista e compositore brasiliano Alexandre Levy, nato a San Paolo il 10 novembre del 1864 e morto nella stessa città il 17 gennaio del 1892. Alexandre era figlio del clarinettista francese Louis Levy, fondatore dell’azienda produttrice di pianoforti Casa Levy tuttora attiva in Brasile. Levy iniziò a studiare pianoforte a otto anni e pubblicò la sua prima opera nel 1880. Nel 1883 divenne direttore del Club Haydn, importante associazione musicale della città di San Paolo, e nel 1887 viaggiò in Europa per degli studi. Tornato in Brasile svolse anche l’attività di critico musicale scrivendo sui giornali Província de São Paulo e Correio Paulistano. La musica di Alexander Levy è caratterizzata da una forte impronta nazionalista, e mischia la musica da camera con il folk brasiliano. L’uomo morì a 27 anni nella sua città natale improvvisamente, le cause della morte sono tuttora sconosciute.

Il secondo iscritto al Club 27, dopo Levy e prima di Robert Johnson, è il pianista ragtime Louis Chauvin, nato a Saint Louis, nel Missouri, il 13 marzo del 1881; il padre era di origine mista messicana e indiana, mentre la madre era afroamericana. Nella sua vita ha pubblicato solo tre composizioni: The Moon is Shining in the Skies nel 1903, Babe, It’s Too Long Off nel 1906 e Heliotrope Bouquet nel 1907 insieme a Scott Joplin, autore del celeberrimo The Entertainer, utilizzata nel 1973 nella colonna sonora del film La Stangata. Chauvin morì a Chicago il 26 marzo del 1908. Secondo il certificato di morte sarebbe deceduto per sclerosi multipla, probabilmente sifilitica; tuttavia secondo quanto riportato nel volume Jazz and Death: Medical Profiles of Jazz Greats di Frederick Spencer oggi la causa della morte verrebbe identificata in sclerosi neurosifilitica, senza legami alla sclerosi multipla.

Dal 1908 ad oggi la lista degli iscritti al Club 27 conta innumerevoli musicisti, morti troppo presto. Al momento il più recente è il rapper Fredo Santana, scomparso nel gennaio del 2018 per problemi cardiaci. Ovviamente ogni membro del Club 27 è una drammatica morte prematura e non resta da augurarsi che la lista non si allunghi mai più.

martedì 2 giugno 2020

Stevie Wonder - Songs in the Key of Life

Il doppio album Songs in the Key of Life del 1976 occupa un posto di rilievo nella lunga discografia di Stevie Wonder, in quanto rappresenta il culmine del periodo classico delle sue produzioni; molto prima del successo commerciale di album come Hotter than July o The Woman in Red.

In Songs in the Key of Life il musicista di Detroit esplora tutti i generi della black music, passando dal soul, al funk, al gospel e al jazz, dimostrando di saperli interpretare tutti con grande maestria. Il disco contiene alcuni dei suoi più grandi capolavori, come Isn't She Lovely?, dedicata alla figlia Aisha, Love's in Need of Love Today, I Wish e Sir Duke. Oltre a questi pezzi più classici e noti, Wonder si lancia in una sperimentazione musicale in cui mischia sonorità elettroniche con la black music con l'aggiunta di strumenti etnici ispirati alla musica africana in pezzi come Black Man e Ngicuela -Es Una Historia - I Am Singing, la cui prima strofa è in zulu, la seconda in spagnolo e la terza in inglese.

Oltre ai testi spensierati che parlano di amore e famiglia, il disco contiene alcune tracce di denuncia sociale che parlano delle condizioni di vita degli afroamericani nelle metropoli, come la già citata Black Man e Village Ghetto Land. Inoltre, anche la pur gioiosa I Wish contiene un testo che parla di povertà e scarsità di mezzi economici.

Ciò che stupisce maggiormente di questo album è come le sonorità che Stevie Wonder riusciva a realizzare nel 1976 fossero decenni avanti rispetto alla musica mainstream del periodo; infatti di moltissimi pezzi di questo album sono state realizzate cover che hanno lasciato la musica originale pressoché inalterata e molti altri sono stati utilizzati come campioni per pezzi hip-hop degli anni successivi. Nel 1990 gli A Tribe Called Quest usarono un campione di Sir Duke nella loro Footprints e cinque anni dopo Coolio realizzò la celeberrima Gangsta's Paradise con un campione di Pastime Paradise, tratta proprio da questo album. Inoltre nell'estate del 1999 ben due canzoni di questo album furono portate in classifica da altrettanti artisti di livello internazionale: Will Smith utilizzò I Wish per la sua Wild Wild West e George Michael realizzò una cover di As insieme a Mary J. Blige.

Il motivo per cui Wonder ha pubblicato questo album come doppio è fin troppo ovvio: non bastava un disco solo per contenere tutta la creatività di questo straordinario musicista. Del resto alcuni outtakes sono stati pubblicati su un EP a parte intitolato Something Extra, le cui quattro tracce attualmente sono stampate su tutte le edizioni in CD.

Songs in the Key of Life è in sintesi un capolavoro, non del soul ma della musica di ogni genere, Ma è solo una delle stelle della fantastica galassia costituita dalla discografia di Stevie Wonder.

martedì 19 maggio 2020

Paul Williams: lo strano suicidio del baritono dei Temptations

Il 17 agosto del 1973, il baritono dei Temptations Paul Williams fu trovato morto, vittima di un apparente suicidio, in un vicolo all'incrocio tra Grand Boulevard e la 14esima strada a Detroit, in un'area che veniva utilizzata come parcheggio da un concessionario della Cadillac.

La formazione storica dei Temptations, Paul Williams in alto a destra.

Purtroppo quanto accaduto in quella notte è ancora avvolto nel mistero, e a distanza di quasi cinquant'anni è molto difficile che l'intreccio venga dipanato. Il cantante trentaquattrenne aveva da poco lasciato il gruppo per motivi di salute, a causa dell'anemia falciforme e dell'abuso di alcol, venendo sostituito da Richard Street che ricopriva un ruolo simile nei Monitors, un altro gruppo della Motown.

Il cadavere fu trovato da un passante intorno all'una di notte, la causa del decesso fu ovvia fin da subito: un colpo di pistola alla testa. Ma già a questo punto i racconti divergono. Secondo la stampa dell'epoca Williams fu trovato seduto al posto di guida della sua Ford Maverick, mentre secondo il libro Ain't Too Proud to Beg di Mark Ribowsky, dedicato alla storia dei Temptations, era steso sull'asfalto sotto la portiera aperta della vettura. Secondo tutte le ricostruzioni, al momento del decesso indossava solo un costume da bagno a fiori.

Williams aveva da poco comprato una casa per la sua nuova fidanzata, Ronnie Langstom, a La Salle Boulevard e il giorno prima di suicidarsi si era trasferito con lei nella casa nuova. Nessuno sa dove stesse andando quella notte, si può solo constatare che il luogo del ritrovamento del cadavere è a metà strada tra la casa dove era appena andato ad abitare e la sede della Motown, a tre isolati da entrambi i posti.

Una bottiglia di un alcolico non precisato fu trovata accanto al cadavere. Anche la pistola che uccise Williams fu trovata sulla scena, ma in questo caso di nuovo i racconti divergono. Secondo la stampa dell'epoca Williams aveva ancora la pistola in mano al momento del ritrovamento, mentre secondo il libro di Mark Ribowsky era a terra a circa un metro da lui.

Il coroner stabilì che Paul Williams era morto per un colpo di pistola alla tempia sinistra autoinflitto e sparato con la pistola rinvenuta insieme al cadavere. Tuttavia Paul Williams era destro, e lo stesso coroner stabilì che la pistola era stata impugnata proprio con la mano destra, ma il colpo era stato sparato alla tempia sinistra: operazione che richiede un movimento del tutto innaturale ma non impossibile. Inoltre la perizia stabilì che la pistola aveva sparato due colpi, ma solo un proiettile fu trovato sulla scena; questo in realtà è poco significativo perché Williams potrebbe aver sparato il primo colpo in un'altra circostanza e in un'altra occasione.

L'intera vicenda è quindi ancora poco chiara e molto confusa. L'ipotesi del suicidio resta comunque la più probabile, anche perché secondo il racconto di Otis Williams, un altro membro dei Temptations non legato a Paul da parentela nonostante il cognome, nella sua autobiografia Paul aveva manifestato anche in passato tendenze suicide. Inoltre quel periodo della sua vita era particolarmente turbolento. Poco prima di andare a vivere con Ronnie era stato cacciato di casa dalla moglie Mary Agnes, da cui aveva avuto sei figli, per il fatto di aver ricominciato a bere e per i suoi comportamenti violenti.

In ogni caso il rapporto autoptico non è mai stato pubblicato e la famiglia di Paul Williams non crede che si sia trattato di un suicidio. Joe Williams, il fratello di Paul, sostiene che il rapporto non sia stato pubblicato perché conterrebbe dettagli incompatibili con un suicidio. Ad esempio il fatto che il colpo mortale sarebbe stato sparato frontalmente e non sulla tempia, che il tasso alcolemico nel sangue di Paul Williams sarebbe stato dello 0,19% (il limite per poter guidare negli Stati Uniti è di 0,08%) e che in quelle condizioni sarebbe stato impossibile per lui guidare l'auto fino al luogo del ritrovamento. Tuttavia il cadavere di Paul Williams rimase alla camera ardente per due giorni e nessuno sollevò il dubbio che il foro del proiettile non fosse dove risultava dalle dichiarazioni del medico legale. E il livello alcolemico al massimo può servire a sostenere che Paul si è fatto accompagnare lì da qualcuno e poi si è suicidato.

Moltissimi dettagli sono ancora poco chiari di questa assurda vicenda, ma il suicidio resta l'ipotesi più plausibile.



Fonti: