Ho invitato sul mio canale YouTube lo storico della musica Bruce Conforth per un'intervista sui miti e le leggende sulla vita di Robert Johnson. Conforth è il più grande esperto al mondo sul tema e ha pubblicato nel 2019 il libro Up Jumped the Devil: The Real Life of Robert Johnson.
L'intervista è disponibile solo in inglese.
martedì 1 ottobre 2024
mercoledì 21 agosto 2024
Sui luoghi dell'omicidio di Notorious BIG
Tupac e Notorious in uno dei musei di Hollywood Boulevard |
Due anni dopo aver visto a Las Vegas l'incrocio stradale in cui Tupac Shakur venne freddato da tredici colpi sparati da un misterioso assassino (che con ogni probabilità è il gangster Orlando Anderson) ho finalmente tempo di andare a vedere anche il luogo in cui sette mesi dopo perse la vita in circostanze simili Christopher Wallace, meglio noto come Notorious BIG.
Inserisco nel navigatore il Petersen Automotive Museum, dove il rapper e la sua crew tennero l'ultima festa a cui Notorious poté partecipare, e mi porta all'uscita carrabile di Orange Grove Avenue. Chiedo all'addetta al parcheggio se sia quella l'uscita da cui è uscito il Suburban di Notorious ma non lo sa.
Cammino a piedi attorno al vasto edificio e arrivo all'incrocio tra Fairfax Avenue e Wilshire Avenue dove è avvenuta la sparatoria, è un incrocio trafficatissimo in cui le auto si muovono nel traffico incredibile di questa città. Ma quello che mi colpisce è un'altra cosa, anzi l'assenza di qualcosa. Se a Las Vegas è sorto un memoriale spontaneo dove Tupac è stato colpito dai colpi mortali del suo assassino, qui a Los Angeles non c'è nulla. Non c'è un memoriale, non c'è una scritta, non c'è proprio niente che ricordi quanto successo.
Entro nel museo che è veramente spettacolare con le sue auto custom esposte al piano terra e vado al cafè per un attimo di pausa. Chiedo anche al cameriere se sa da quale parte sia uscito dall'edificio il Suburban di Notorious ma non lo sa neanche lui. In ogni caso riguardando i video e le ricostruzioni è chiaro che l'autista del valet parking che recuperò il mezzo guidato dalla guardia del corpo Gregory Young su cui viaggiava il rapper uscì proprio su Orange Grove Avenue, il navigatore quindi mi ha portato esattamente nel posto in cui tutta questa storia è iniziata.
Resta un dubbio però: perché non c'è nulla che ricordi Notorious BIG in quel luogo? Possono esserci varie spiegazioni. Il produttore televisivo Paul Watson che ho incontrato a cena due giorni dopo (produttore tra gli altri di Who Killed Tupac?, noto in Italia come Tupac: il caso è aperto, e da me intervistato su questi due casi l'anno scorso) mi dice che potrebbe essere perché per la città degli angeli la ferita è ancora aperta. Un'altra spiegazione può essere che sulla West Coast Tupac era l'homeboy mentre Notorious era il nemico. Possono essere vere entrambe le spiegazioni, ma che Tupac da queste parti sia più amato è indubbio, si trovano magliette con la sua effige in tutti i negozi di souvenir e ovunque si può ascoltare la sua musica. Notorious è ricordato molto meno e mai da solo, sempre e solo in contrapposizione a Tupac.
È davvero triste che la città non voglia ricordare questo straordinario rapper come merita e dare il giusto risalto a questo incrocio stradale. Perché quello tra Fairfax e Wilshire non è solo l'incrocio tra due strade ma è anche un crocevia nella storia del rap e il simbolo di una delle più assurde faide della storia della musica.
sabato 27 aprile 2024
Back to Black: il biopic sulla vita di Amy Winehouse
Uscendo dalla sala al termine della visione del film ho chiesto a qualcuno "In base a quanto hai visto nel film, sai dire quanti album ha fatto Amy Winehouse nel periodo narrato?". Sapeva rispondere solo chi già lo sapeva di suo, gli altri hanno risposto con uno sconsolante "No", perché in questo film si parla di tutto, tranne che della musica di Amy Winehouse.
Questo è un film d'amore e non un biopic sulla vita e la carriera di una delle migliori interpreti della black music del nuovo millennio, Back to Black di Sam Taylor-Johnson (che non dirigeva un film da sei anni) parla infatti solo della storia d'amore tormentata tra Amy Winehouse e Blake Fielder-Civil, per il resto non c'è nulla e quel poco che c'è è incomprensibile. Non si parla degli album di Amy, non si sa quando escano in relazione hai fatti narrati perché sembrano non avere nessun impatto sulla trama e non si parla dei suoi tour. A metà film dal nulla Amy passa da essere una cantante che si esibisce nelle cantine a Camden Town a essere una superstar braccata da fotografi e giornalisti: peccato che il film non spieghi perché e come sia ascesa al successo così in fretta. In quell'arco è uscito Back in Black che dà il titolo al film, ma se il film non parla dell'album da cui tre il titolo di cos'altro dovrebbe parlare? Ha senso mostrare il dramma dei test di gravidanza negativi e ignorare la musica? Non doveva essere un biopic?
Si perde nel nulla anche il fatto che Amy Winehouse sia stata una voce unica in quegli anni, fuori dal tempo, che invece di inserirsi sulle tendenze del periodo decise di riscoprire il pop degli anni 50 e 60, il jazz e il soul. Anche ignorando le invenzioni narrative (di cui comunque non si capisce il senso) che sono già state analizzate da testate blasonate come Esquire o Radio Times, alcune cose rappresentate nel film rasentano l'assurdo: davvero gli autori vogliono farci credere che Amy non sapesse chi fossero le Shangri Las prima che Blake gliene parlasse? Ma c'è ben di peggio. Nel film Amy scopre le droghe da sola, nella realtà Blake ammise candidamente di essere stato lui a iniziare la cantante all'eroina. L'invenzione più grave riguardo alla veridicità della storia è conservata per la fine, quando Amy viene mostrata emotivamente distrutta perché Blake ha avuto un figlio con un'altra donna. Il figlio di Blake è nato a maggio del 2011, due mesi prima che Amy morisse, quando la cantante frequentava già da tempo l'attore Reg Traviss di cui nel film non si parla minimamente.
Questo film mette quindi un altro chiodo sulla tomba dell'industria del biopic, di cui negli ultimi anni si salvano pochissimi prodotti come Whitney Houston: I Wanna Dance with Somebody dedicato a Whitney Houston e 8 Mile in cui Eminem interpreta sé stesso, garantendo almeno il realismo della storia. Perché di film vaghi e fuori fuoco come Back to Black non si sempre proprio la necessità.
venerdì 22 dicembre 2023
Intervista a Michele Guaitoli, cantante dei Visions of Atlantis e dei Temperance
È disponibile sul mio canale YouTube un'intervista video a Michele Guaitoli, cantante dei Visions of Atlantis e dei Temperance. Nel video parliamo dei suoi album più recenti con le due band e dei progetti futuri.
Ringraziamo Michele per la sua cortesia e disponibilità.
Ringraziamo Michele per la sua cortesia e disponibilità.
giovedì 21 dicembre 2023
Rockin' Around the Christmas Tree: storia di un classico moderno del Natale
Nata nel periodo del massimo splendore del rock and roll, Rockin' Around the Christmas Tree è uno dei classici del Natale scritti nello scorso secolo che sono entrati appieno nella tradizione natalizia grazie a innumerevoli reinterpretazioni e utilizzi in film di successo come Mamma, ho Perso l'Aereo.
Il brano è stato scritto da Johnny Marks nel 1958; l'autore essendo ebreo in realtà non festeggiava il Natale, ma aveva all'attivo la composizioni di altri brani natalizi di grande successo quali Rudolph the Red-Nosed Reindeer e I Heard the Bells on Christmas Day e in seguito avrebbe composto tra gli altri A Holly Jolly Christmas. La prima incisione di Rockin' Around the Christmas Tree fu quella di Brenda Lee uscita proprio nel 1958; nonostante la voce della cantante suoni decisamente matura, Brenda Lee aveva solo tredici anni quando la incise. Come B-side del 45 giri fu pubblicata Papa Noel, altro brano rockabilly meno famoso ma sicuramente non meno bello, composto da Roy Botkin, autore di musica country e western.
In una recente intervista a The Tennessean, la stessa cantante ha raccontato che Marks scrisse la canzone di getto, iniziandola mentre si trovava su una spiaggia nel nord del paese attorniato da molti pini e completandola poi nella sua stanza del motel. Brenda Lee ha ammesso anche di non sapere perché l'autore abbia voluto proprio lei per cantare il brano vista la sua giovane età e il fatto che fino ad allora non fosse famosa. In ogni caso evidentemente la scelta fu vincente.
Rockin' Around the Christmas Tree non ebbe particolare successo fino alla terza ristampa del 1960, anno nel quale Brenda Lee aveva raggiunto durante la primavera il primo posto in classifica con I'm Sorry, la popolarità della cantante a quel punto trainò le vendite del singolo natalizio. Il brano non fu comunque un esperimento isolato di commistione tra rock and roll, che negli anni 50 e 60 era simbolo di progresso e libertà, e canti di Natale: negli stessi anni uscirono infatti ad esempio anche Jingle Bell Rock nel 1957 cantata da Bobby Helms e Run Rudolph Run anch'essa scritta da Johnny Marks nel 1958 e incisa da Chuck Berry.
Fino a quest'anno non è mai esistito un video ufficiale di Rockin' Around the Christmas Tree e Brenda Lee ne ha creato uno apposta in occasione delle festività natalizie del 2023, che vedono la cantante festeggiare il Natale alla sua età odierna di 79 anni e fare lip sync sulla sua voce da tredicenne del 1958.
Rockin' Around the Christmas Tree vanta ad oggi innumerevoli cover, se la più celebre è quella di Justin Bieber del 2021 merita una menzione anche quella cantata da Joe Lynn Turner (ex cantante tra gli altri di Rainbow e Deep Purple) per la compilation We Wish You a Metal Xmas and a Headbanging New Year del 2008.
Rockin' Around the Christmas Tree è tuttora uno dei brani più iconici della tradizione natalizia che non manca nella playlist che accompagnano cene e pranzi di questo periodo, il fatto che oggi ha distanza di oltre sessant'anni sia ancora uno dei più noti classici del Natale conferma che la scelta di affidarla alla voce di quella che al tempo era una misconosciuta dodicenne fu ottima e funzionò.
Fonti:
venerdì 8 settembre 2023
Revolution! - La vera storia dei Public Enemy di Andrea Di Quarto
Dopo aver pubblicato nel 2020 una delle migliori biografie di Tupac Shakur, torna in libreria il giornalista e storico della musica rap Andrea Di Quarto con un nuovo volume dedicato questa volta alla storia dei Public Enemy, definiti a ragione dallo stesso autore nell'introduzione il più grande gruppo hip hop di sempre.
Di Quarto ripropone la propria formula vincente già utilizzata nella sopracitata biografia di Tupac e nella storia del rap pubblicata in due volumi tra il 2017 e il 2018. L'autore infatti colloca sempre con precisione gli eventi narrati nel contesto sociale e culturale in cui si svolgono e in cui sono maturati, raccontando nel dettaglio le biografie dei membri della band e spiegando in quali condizioni siano cresciuti e abbiano mosso i primi passi nel mondo della musica rap. Nello spiegare il messaggio sociopolitico della band, l'autore va anche ancora più indietro dedicando ampio spazio a spiegare come questo affondi le proprie radici nel passato risalendo fino a Malcolm X e passando per i movimenti del Black Power degli anni 70.
Il libro di Andrea Di Quarto racconta la carriera del Public Enemy dagli inizi quando si chiamavano Spectrum City fino alle stranezze più recenti, come la lite e la rapidissima riappacificazione dei due vocalist. L'autore racconta la storia e le peculiarità di ciascuno degli album del gruppo dai quattro LP più importanti che vanno da Yo! Bum Rush The Show del 1987 ad Apocalypse 91... The Enemy Strikes Black del 1991 fino al calo del successo nella seconda metà degli anni 90 con album che non hanno goduto del successo che avrebbero meritato come Muse Sick-N-Hour Mess Age e There's a Poison Going' On e ai tempi più recenti che vedono il gruppo più lontano dalle luci del successo. Come sempre l'autore attinge alle fonti più vicine ai fatti narrati risalendo ove possibile alle stesse parole dei protagonisti e affidandosi altrimenti alle testate più autorevoli.
Di Quarto inoltre non rinuncia a far notare le contraddizioni che contraddistinguono questo tipo di produzioni musicali, in cui un presunto messaggio di equità sociale viene fatto passare esibendo armi da fuoco e condendolo con messaggi misogini e antisemiti per i quali le spiegazioni proposte sono spesso grossolanamente inadeguate.
Revolution! - La vera storia dei Public Enemy è in sintesi un'ottima biografia di uno dei gruppi più influenti di ogni genere musicale che ad oggi estende la sua carriera in quattro decenni. Che li si odi o li si ami non si può negare che il gruppo capitanato da Chuck D abbia avuto una notevole influenza culturale e sociale e che rappresenti al meglio il rap precedente all'invasione del genere gangsta. Per conoscere la storia di questo singolare gruppo il libro di Andrea Di Quarto è un ottimo punto di partenza, nella speranza che dopo il volume su Tupac e questo dedicato ai Public Enemy l'autore decida di mettere le mani a un'altra biografia di altri esponenti di questo genere musicale troppo spesso snobbato.
Di Quarto ripropone la propria formula vincente già utilizzata nella sopracitata biografia di Tupac e nella storia del rap pubblicata in due volumi tra il 2017 e il 2018. L'autore infatti colloca sempre con precisione gli eventi narrati nel contesto sociale e culturale in cui si svolgono e in cui sono maturati, raccontando nel dettaglio le biografie dei membri della band e spiegando in quali condizioni siano cresciuti e abbiano mosso i primi passi nel mondo della musica rap. Nello spiegare il messaggio sociopolitico della band, l'autore va anche ancora più indietro dedicando ampio spazio a spiegare come questo affondi le proprie radici nel passato risalendo fino a Malcolm X e passando per i movimenti del Black Power degli anni 70.
Il libro di Andrea Di Quarto racconta la carriera del Public Enemy dagli inizi quando si chiamavano Spectrum City fino alle stranezze più recenti, come la lite e la rapidissima riappacificazione dei due vocalist. L'autore racconta la storia e le peculiarità di ciascuno degli album del gruppo dai quattro LP più importanti che vanno da Yo! Bum Rush The Show del 1987 ad Apocalypse 91... The Enemy Strikes Black del 1991 fino al calo del successo nella seconda metà degli anni 90 con album che non hanno goduto del successo che avrebbero meritato come Muse Sick-N-Hour Mess Age e There's a Poison Going' On e ai tempi più recenti che vedono il gruppo più lontano dalle luci del successo. Come sempre l'autore attinge alle fonti più vicine ai fatti narrati risalendo ove possibile alle stesse parole dei protagonisti e affidandosi altrimenti alle testate più autorevoli.
Di Quarto inoltre non rinuncia a far notare le contraddizioni che contraddistinguono questo tipo di produzioni musicali, in cui un presunto messaggio di equità sociale viene fatto passare esibendo armi da fuoco e condendolo con messaggi misogini e antisemiti per i quali le spiegazioni proposte sono spesso grossolanamente inadeguate.
Revolution! - La vera storia dei Public Enemy è in sintesi un'ottima biografia di uno dei gruppi più influenti di ogni genere musicale che ad oggi estende la sua carriera in quattro decenni. Che li si odi o li si ami non si può negare che il gruppo capitanato da Chuck D abbia avuto una notevole influenza culturale e sociale e che rappresenti al meglio il rap precedente all'invasione del genere gangsta. Per conoscere la storia di questo singolare gruppo il libro di Andrea Di Quarto è un ottimo punto di partenza, nella speranza che dopo il volume su Tupac e questo dedicato ai Public Enemy l'autore decida di mettere le mani a un'altra biografia di altri esponenti di questo genere musicale troppo spesso snobbato.
venerdì 7 luglio 2023
Shut 'Em Up: il mash-up tra Prodigy e Public Enemy finito in un album ufficiale della band inglese
I mash-up sono uno dei fenomeni più divertenti della rete, nati da menti creative che trovano punti di connessione tra brani diversi e ne creano mescolanze inedite. Ne esistono moltissimi e di stili diversi, come quelli tra Donna Summer e Ozzy Osbourne, tra Tupac e Bob Marley o tra i Kiss e gli Earth Wind and Fire.
Di solito i mash-up rimangono sui canali di chi li crea e restano un divertimento per appassionati, ma esiste un unico caso in cui il mash-up realizzato da uno YouTuber è piaciuto così tanto a uno dei due artisti coinvolti da averlo inserito in un album ufficiale. Nel 2015, dopo aver letto che le due band avrebbero intrapreso un tour insieme, lo YouTuber Pony Sixfinger ha realizzato un interessante mix tra Shut 'Em Down dei Public Enemy, dall'album Apocalypse 91... The Enemy Strikes Black del 1991, e Stand Up dei Prodigy, unica traccia strumentale di Invaders Must Die del 2009. Il pezzo si intitola Shut 'Em Up, dall'unione dei due titoli, ed è accreditato a The Prodigy v Public Enemy. Pony Sixfinger ha sostanzialmente unito con grande maestria la base di Stand Up con la linea vocale di Shut 'Em Down di Chuck D e Flavor Flav.
Il pezzo è piaciuto così tanto a Liam Howlett dei Prodigy che ha contattato Pony Sixfinger su Twitter per dirgli che Shut 'Em Up sarebbe finita su un disco ufficiale del suo gruppo; infatti il brano è stato poi inserito nella versione a doppio di disco dell'album The Day Is My Enemy uscita alla fine del 2015. Nell'album il pezzo è accreditato a The Prodigy vs Public Enemy vs Manfred Mann per questioni di diritti d'autore, perché Stand Up contiene a sua volta un campionamento di One Way Glass del tastierista sudafricano Manferd Mann.
Da allora la fortuna di Shut 'Em Up non si è fermata all'inclusione in un album ufficiale, è infatti stata usata anche come sigla introduttiva dei documentari dedicati alla storia dell'NBA Shut Up And Dribble del canale televisivo Showtime, in uno spot della Nike e nella colonna sonora del film Fist Fight con Ice Cube (noto in Italia come Botte da Prof).
Quello che è nato quindi come un semplice esperimento di un appassionato ha riscosso l'apprezzamento di uno degli autori originali che lo ha strasformato in un sucesso, confermando quanto Pony Sixfinger sia stato bravo a trovare risvolti nascosti a cui né i Public Enemy né i Prodigy avevano pensato.
Iscriviti a:
Post (Atom)