giovedì 30 giugno 2016

1st Avenue: AOR dall'Olanda

L'AOR è un genere musicale radicato negli Stati Uniti e nel nord Europa, può quindi stupire a prima vista che una delle migliori band di questo genere venga invece dai Paesi Bassi ma basta un breve ascolto anche di uno solo dei loro album per capire che i 1st Avenue sono davvero una delle più interessanti realtà di questo stile.

Durante la loro breve carriera i 1st Avenue hanno pubblicato solo due album tra il 1992 e il 1994, quando in realtà l'AOR aveva già intrapreso la propria parabola discendente e aveva ceduto il posto al grunge nelle classifiche di vendita mondiali. La band era inizialmente formata da Nop Ton alla batteria, Arko Bommer al basso, Gil Lopez alla chitarra e Joby Bosboom alla tastiera; la voce del gruppo era invece il più famoso Peter Strykes che aveva già avuto una breve esperienza (invero piuttosto negativa) nei Vandenberg e che il seguito sarebbe diventato uno dei vocalist dei Los Angeles: The Voices. Il primo album intitolato Tears and Triumph uscì nel 1992 e poteva vantare la presenza di Robby Valentine, ex tastierista degli Zinatra e in seguito frontman della band da lui fondata che porta il suo cognome, come autore ed arrangiatore. Il disco è un vero capolavoro di AOR dal suono morbido, elegante e patinato, ricco di tastiere e di chitarre come nella migliore tradizione dei dischi di questo genere. I punti di forza dell'album sono sicuramente la voce pulita di Strykes, la tastiera onnipresente e i notevoli assoli di chitarra. Il disco è composto da dieci tracce e offre un buon equilibrio di brani veloci, ballate e midtempo. Tra i brani migliori si trovano sicuramente la forte e trascinante traccia introduttiva Going for the Gold grazie anche al poderoso coro sul ritornello, la ballad Heaven in Your Arms e il leggero midtempo Once In a Million Years.

Il secondo album dei 1st Avenue intitolato Daily Battle uscì due anni dopo e vide come unico cambio di formazione la sostituzione di Bosboom con Chris Allister, inoltre per questo secondo disco la band dovette rinunciare al contributo di Valentine. Daily Battle mantiene la formula vincente collaudata con il primo album con un AOR ricco di tastiere e di sonorità patinate anche se nel complesso vira più verso il pop rock. Il primo pezzo è l'energica Feel Love in cui le tastiere si sentono con potenza e il brano è anche impreziosito dall'attacco a secco dei ritornelli. Anche questo secondo disco offre un buon equilibrio tra brani lenti e veloci. Tra le tracce che spiccano, oltre alla già citata Feel Love, si trovano la ballad I Still Believe in You e la gioiosa track di chiusura A Party. Notevole anche Ready for You che tende verso il funky con sonorità più nere del resto del disco.

E' un vero peccato che una band valida come i 1st Avenue sia pressoché sconosciuta e che i suoi dischi abbiano avuto una diffusione così scarsa, perché questi due album sono dei veri capolavori dell'AOR che potrebbero reggere il confronto con i mostri sacri americani o scandinavi. Forse il punto debole dei 1st Avenue sta nell'essere usciti quando l'AOR era ormai al tramonto e possiamo immaginare che se i loro album fossero usciti cinque anni prima avrebbero avuto il successo che meritavano; ma ora a distanza di oltre un ventennio questi due piccoli gioielli possono e devono essere riscoperti.

venerdì 24 giugno 2016

I presunti misteri di Hotel California

Hotel California è senza dubbio il brano più noto e riconoscibile dei californiani Eagles, una delle band di punta della scena rock anni 70 dello stato americano che si affaccia sull'Oceano Pacifico. Il brano è cantato dal batterista Don Henley e il suo testo onirico narra di un viaggiatore nel deserto che si ferma all'Hotel California dove assiste a scene di edonismo sfrenato dalle quali, dopo un primo momento in cui ne rimane affascinato, vorrebbe scappare ma non trova la via d'uscita dal dedalo dei corridoi e resta imprigionato all'interno dell'albergo. Dal momento della sua pubblicazione nel dicembre del 1976 all'interno dell'album omonimo il brano ha suscitato la fantasia di molti che si interrogano su quale sia il vero significato del testo oltre l'allegoria. Le versioni più note che si possono facilmente trovare in rete vogliono che la canzone alluda all'occultismo, al satanismo, alla droga o addirittura al cannibalismo.

Don Henley oltre che essere la voce guida del pezzo ne è anche l'autore, insieme a Glenn Frey, e nel documentario History of the Eagles del 2013 spiega che a dispetto delle mille leggende nelle sue intenzioni l'unico significato era la descrizione di un viaggio dall'innocenza all'esperienza. A questa spiegazione molto intimistica Henley ne aggiunge un'altra secondo cui l'Hotel California può essere una metafora del sogno americano su scala più ampia, dice infatti l'autore nello stesso documentario:

On just about every album we made, there was some kind of commentary on the music business, and on American culture in general. The hotel itself could be taken as a metaphor not only for the myth-making of Southern California, but for the myth-making that is the American Dream, because it is a fine line between the American Dream, and the American nightmare.

Secondo quanto riportato dal volume Encyclopedia of Great Popular Song Recordings, Volume 2 di Steve Sullivan lo stesso Henley ha ribadito il concetto dando una spiegazione ancora più completa:

Lyrically, the song deals with traditional or classical themes of conflict: darkness and light, good and evil, youth and age, the spiritual versus the secular. I guess you could say it's a song about loss of innocence.

In occasione di un'intervista rilasciata alla BBC anche Glenn Frey ha dato una spiegazione del significato della canzone; al contrario di quanto sostenuto da Henley, secondo Frey il testo di Hotel California è solo un esercizio di fantasia senza un significato preciso e che non è detto che per forza ne debba esistere uno.

Nessun riferimento oscuro, quindi; secondo nessuno dei due autori il testo della canzone avrebbe significati malevoli nascosti.

Ciò nonostante alcune parti del testo hanno stimolato più di altre la fantasia di chi vuole forzatamente trovare in questo classico del rock degli inviti sinistri. All'inizio della prima strofa si racconta infatti che il viaggiatore nel deserto protagonista del racconto sente warm smell of colitas e ovviamente da quattro decenni è aperto il dibattito su cosa siano queste colitas; secondo molti infatti si tratterebbe di un riferimento sessuale o alla marijuana. Ma di nuovo la spiegazione di Glenn Frey esclude questi rimandi improbabili al sesso o alla droga; come riportato dal sito SFGate secondo l'autore le colitas sarebbero solo estremità profumate di alcune piante del deserto.

Inoltre Hotel California è tra quelle canzoni che vengono spesso accusate di backmasking, ossia di contenere messaggi subliminali, ovviamente dai contenuti spaventosi, che possono essere percepiti solo riproducendo il brano al contrario. Nello specifico la leggenda vuole che il verso in the middle of the night just to hear them say se riprodotto al contrario dica Satan hears this he had me believe in him o secondo altri Satan organized his own religion. Ovviamente basta un minimo di buon senso per capire che si tratta solo di un caso di pareidolia acustica. Anzitutto è possibile riconoscere le presunte parole contenute nel verso riprodotto al contrario solo dopo che queste ci vengono suggerite (al primo ascolto senza suggerimento è impossibile dare alcun senso ai suoni che si sentono); inoltre il fatto che coloro che sostengono l'esistenza di questi messaggi non concordano su quanto il messaggio stesso dica è molto eloquente. In ultimo nessuno ha mai spiegato come sarebbe possibile registrare un verso prevedendo quale suono questo abbia quando riprodotto al contrario.

Anche la copertina dell'album è da anni oggetto di numerose leggende. Qualcuno sostiene che la foto frontale ritragga una delle sedi della Church of Satan fondata da Anton LaVey, ma questo è falso e facilmente verificabile: l'edificio nella foto è il Beverly Hills Hotel. Un'altra popolare leggenda metropolitana riguarda invece le foto all'interno della copertina del vinile scattate al Lido Hotel di Hollywood che ritraggono quella che sembra essere una festa in una sala dell'hotel: affacciato a una delle finestre ci sarebbe proprio Anton LaVey. Sarebbe anzitutto interessante che chi sostiene che quello alla finestra sia l'occultista americano spiegasse in base a cose ritiene che si tratti di LaVey perché il volto alla finestra è a malapena riconoscibile; ma a parte ciò in realtà come riferito da Joe Walsh in questa intervista per il sito In Music We Trust l'uomo alla finestra non è LaVey ma un dipendente della Asylum Records, la casa discografica che ha stampato il disco.


Qualcuno in rete insiste nel voler attribuire un contenuto satanista all'intero LP sostenendo anche che nell'album Hotel California vi sarebbe il brano Good Day in Hell. Ma basterebbe una minima ricerca per verificare che Good Day in Hell è sull'album On the Border del 1974 e che pur essendo anch'essa una canzone allegorica parla di fascino femminile e non certo di inferno.

Ma la più bella, o almeno la più creativa, leggenda metropolitana sugli Eagles vuole che nel 1982 il manager della band, tale Larry Salter, abbia riportato in un intervista al Waco Tribune-Herald che la band aveva ricorrenti rapporti con la Chiesa di Satana di LaVey; peccato che nello staff degli Eagles non ci sia mai stato nessun manager con quel nome e che l'articolo in questione del 1982 non esista neanche negli archivi del Waco Tribune-Herald nonostante alcuni contributori di Wikipedia si siano prodigati per trovarlo.

Tutte queste voci e leggende contribuiscono sicuramente a dare un'aura di mistero e ad aumentare l'interesse verso questo classico del rock; ma Hotel California resta una delle canzoni più belle di ogni epoca con o senza misteri al contorno e prima di accusare chicchessia di occultismo o satanismo sarebbe meglio informarsi un minimo onde evitare di macchiare la reputazione di un gruppo di grandi musicisti.

lunedì 20 giugno 2016

ilNero E=MC2 Tour - Desio, 18/6/2016

"Come sarà rivedere una band dopo cinque mesi?" mi chiedevo nel tragitto stradale verso Desio. Avevo ipotizzato di tutto, ma non che mi sarei trovato a vivere una serata completamente diversa da quella di gennaio. Del resto il rock è fatto di emozioni e le emozioni non sono mai uguali.

Il concerto è stato aperto da un ottimo gruppo di spalla che è salito sul palco intorno alle 23, il duo locale Abactor composto da basso e batteria che ha proposto un vibrante ed energico repertorio di brani propri di chiara ispirazione punk cantati in italiano che hanno scaldato il pubblico a dovere. Un'ottima apertura che ha concesso al duo di farsi conoscere e al pubblico di ascoltare qualcosa di nuovo e di meritevole e gli Abactor resteranno nella memoria degli spettatori non solo per la loro musica ma anche per l'incredibile mimica facciale del cantante e bassista.

E poi, poco dopo le 23:30 in gruppo di Cabo è salito sul palco quando l'attesa era ormai rovente per un concerto pieno di energia a fiumi ininterrotta. La band ha eseguito tutti i pezzi del loro primo album intitolato E=MC2 aggiungendo ad ognuno una dose di forza travolgente, il pezzo più forte è stato forse la cover di Personal Jesus eseguita con una base ricca di chitarre e batteria che sfiora l'heavy metal.

"Stasera sentirete un po' di brani nuovi, o meglio un po' di nuovi brani vecchi." aveva preannunciato Cabo ad alcuni fan radunatisi prima dell'esibizione per carpire un po' del lato umano di una rockstar incredibilmente vicina al suo pubblico. Avevamo capito cosa intendesse e di certo non servivano spiegazioni; infatti verso metà concerto la band ha eseguito Oceano, inizialmente inclusa nell'album Insidia risalente al periodo in cui Cabo era il vocalist dei Litfiba, in una versione più lenta e minimale dell'originale e più avanti anche No Mai e Stasera, tratte da Essere o Sembrare, che tutto il pubblico ha cantato a memoria dimostrando a Cabo di non essere mai uscito del cuore dei suoi fan.

Tra i brani del passato recuperati per il tour la band ha eseguito anche Il Patto proposta qui in una nuova versione ancora più energica e sanguigna e sicuramente più vicina a quella registrata da Cabo nel 95 per il proprio demo che alla versione di Elettromacumba. E il brano ha dato vita a un nuovo coro infuocato con  il pubblico che cantava dimmi si o no a mani tese verso il palco.

Il gruppo sul palco si muove alla grande con estrema bravura e una precisione nell'esecuzione degna dell'Olimpo del rock. Tra i membri della band va ricordata la presenza del figlio di Cabo, Sebastiano, che oltre a essere impegnato come chitarrista fa un gran lavoro vocale nei cori e nelle seconde voci. Ma ovviamente il piatto forte della band è la detonante voce di Cabo che quanto a potenza ed estensione non ha eguali in Italia e anche all'estero ha pochi rivali.

Terminato il concerto il pubblico ha chiesto il bis e mentre Cabo radunava la band al centro del palco per decidere il da farsi qualcuno dal pubblico chiedeva Luce Che Trema. "Ok, vi va se improvvisiamo qualcosa?" ha chiesto Cabo mentre i musicisti tornavano al loro posto. E come pezzo di chiusura il gruppo ha scelto proprio Luce Che Trema, il pezzo di punta di Insidia, che ha di nuovo e per l'ultima volta infiammato la folla, e a giudicare dalla precisione dell'esecuzione non sembrava proprio che fosse un'improvvisazione.

Dopo un'ora e mezza di fiumi di rock che entra nelle vene, quello che resta nel cuore non è solo la musica, ma è anche e soprattutto l'amicizia. Perché ai concerti de ilNero si entra da sconosciuti, ci si conosce sotto al palco e si esce amici. Il rock è questo, e ilNero è rock.

mercoledì 15 giugno 2016

The Offspring Summer Nationals Tour - Milano, 13/6/2016

Nota: questo articolo è stato scritto dal nostro amico e guest blogger Tino che era presente al concerto degli Offspring a Milano del 13 giugno 2016 e che ha voluto scrivere il proprio racconto per 125esima Strada. Ringraziamo Tino per la sua cortesia e disponibilità.

Buio pesto, Forum di Assago pieno, le uniche luci erano dei pallini rossi sul basso di Greg K che stava iniziando l'introduzione di Bad Habit; l'anno era il 2001, andavo al liceo e c'erano ancora le lire, quello era il mio primo concerto e loro erano gli Offspring!

Dopo 15 anni torno a rivederli e mi trovo davanti la band di Dexter Holland e soci, che mancavano nel nostro paese da circa 4 anni, ancora in splendida forma nonostante gli anni passino per tutti e oramai il biondo frontman della band e Noodles abbiano passato tranquillamente i 50 anni; ma l'energia del loro punk-rock melodico anni 90 sembra non farli invecchiare per niente.

Era una delle serate dell' Estathé Market Sound a Milano e l'evento era il Summer Nationals Tour insieme ad altre due band californiane, i Good Riddance (che ho visto di sfuggita) e i Pennywise, band punk-hardcore, bravi ma non essendo il mio genere non mi sento di esprimere ulteriori giudizi.

Giù il sipario e si parte con il singolo You're Gonna Go Far, Kid dall'album Rise and Fall, Rage and Grace, unico o quasi pezzo recente; "Scusate ma quanti dischi hanno fatto gli Offspring dopo Conspiracy of One?" mi chiedeva il mio socio in macchina andando verso Milano, sintomo che forse gli ultimi dischi, almeno nel bel paese non hanno avuto un grandissimo successo.

La band di Garden Grove sembra intercettare questo sentimento e dopo il primo pezzo la scaletta verte quasi completamente sul decennio fine anni 90 e inizio anni 2000; a farla da padrone i pezzi di Conspiracy of One, Smash ovvero il disco che detiene il record di vendite per un album prodotto da una casa discografica indipendente (11 milioni le copie vendute per il disco prodotto dalla Epitaph Records) ma sopratutto di Americana, album che ha fruttato alla band ben 5 dischi di platino.

Il secondo pezzo è l'energico Want You Bad, sono proprio questi gli Offspring che il pubblico vuole e l'arena si infiamma. A seguire tra le altre tracce troviamo Hit That dall'ultimo album Days Go By e trasmesso in heavy rotation in radio per poi andare sui grandi classici nella seconda metà del concerto come Why Don't You Get a Job?, il mitico Pretty Fly (for a White Guy) e l'intramontabile The Kids Aren't Alright, presenza fissa nella scaletta di ogni discoteca anni 90 a prescindere dal genere. A chiudere, la potenza di Americana e la melodia di Self Esteem salutano un'arena stracolma di gente, chiudendo un memorabile concerto punk-rock di circa un'ora e mezza dopo aver suonato ben 19 pezzi.

martedì 14 giugno 2016

Intervista a Giacomo Voli

Giacomo Voli è una delle più belle e fresche realtà del panorama rock del nostro paese. Classificatosi secondo alla seconda edizione di The Voice nel 2014 ha realizzato un primo EP nel 2015 intitolato Ancora nell'Ombra e ora affianca alla propria attività solista quella di voce del gruppo symphonic metal veneziano TeodasiA.

Per raccontarci qualcosa di più sul suo passato e sul suo futuro, Giacomo ha accettato la nostra proposta di rilasciarci un'intervista.

Ringraziamo Giacomo Voli per la sua cortesia e disponibilità.


125esima Strada: Ciao Giacomo e anzitutto grazie del tempo che ci stai dedicando. La mia prima domanda è inevitabilmente sulla tua partecipazione a The Voice? Quali sono i tuoi ricordi più belli relativi a questa esperienza?

Giacomo Voli: Ciao a tutti e grazie per l'intervista!

Ricordando il 2014 posso dire che il ricordo più bello è legato alle amicizie nate durante quell'esperienza, in modo particolare per Daria Biancardi, Giulia Dagani ma ricordo davvero tanti tanti talenti! Resto legato anche a Piero, che è rimasto comunque un amico "speciale" e ricordo i momenti di relax e di discussione anche post programma, che mi hanno permesso di crescere e perfezionare il mio desiderio artistico.


125esima Strada: Tra i pezzi che hai cantato a The Voice quale ritieni ti sia venuto meglio e perché?

Giacomo Voli: Credo che i più riusciti siano stati i primi tre (Rock and Roll, Knockin' on Heaven's Door, Impressioni di Settembre) e gli ultimi cantati in finale, incluso il singolo. Credo che sia dipeso anche dalla serenità, nelle prime puntate non mi aspettavo di poter procedere più di tanto... poi è successo, ed è aumentata anche la tensione. Una volta arrivato in finale mi sono disteso, perché comunque fosse andata era un risultato già pazzesco considerando il genere musicale che ho scelto.


125esima Strada: A The Voice ti sei cimentato in un repertorio piuttosto vario spaziando dai Led Zeppelin a Jeeg Robot d'Acciaio. Raccontaci qualcosa su queste scelte così diverse.

Giacomo Voli: Sicuramente, amando specialmente tutti i generi che si muovono dal rock al metal, era molto difficile scegliere brani che fossero compatibili con il format, i tempi televisivi e molte altre cose... tipo il fatto di cantare in italiano!

Credo che meglio di così sarebbe difficile scegliere, nel senso che comunque sono anche l'interpretazione e l'arrangiamento a rendere rock un pezzo, perciò dopotutto è andata bene così.

Il fatto di scegliere in modo vario perciò è stato per spaziare, e non ricadere in scelte ovvie. Se fai cantare ad un cantante rock un pezzo dichiaratamente rock... non scopri niente di nuovo! Ma se stravolgi le regole allora inventi qualcosa di nuovo, no?


125esima Strada: Mi stupisce il fatto che tu abbia eseguito il Nessun Dorma e anche che tu lo proponga abitualmente nei tuoi live. Come coniughi la tua passione per la lirica con quella per il rock?

Giacomo Voli: Lo so lo so =)

Diciamo che quella che è nata come una provocazione nel tempo ha rivelato il mio primo amore! Grazie al mio nonno materno, cornista di professione, ho conosciuto la musica classica e lirica, apprezzando le opere in tutte le loro sfumature (con particolare attenzione per le parti di corno francese naturalmente!). Insieme ricordo che guardammo Pavarotti & Friends, orgogliosi di ammirare il grande Luciano in coppia con le più grandi star mondiali, anche del rock come Brian May o Bryan Adams.

Un altro fattore sicuramente è stato quello di "scoprire" i Queen attraverso i vinili dei miei genitori, questo gruppo incredibile che ha saputo mischiare cori polifonici alla potenza dei riff, la voce tagliente di Freddie Mercury con le orchestrazioni. Tutt'oggi sono di ispirazione per me!


125esima Strada: Un'altra cosa che mi ha stupito è che l'inedito che hai presentato a The Voice, Rimedio, ha delle strofe sorprendentemente basse per la tua voce. Come mai questa scelta?

Giacomo Voli: Sei il primo che me lo chiede =)

Beh, il pezzo nasce così, scritto da Piero Pelù e perciò anche pensato più basso...

In fondo per me non è un dispiacere anche cantare in tessiture più basse! In questo direi che tengo caro il consiglio di Gaudi (vocal coach per quell'edizione), il quale mi ricordava che facendo sempre lo stesso "numero" in fondo poi ci si abitua. Perciò credo sia importante poter spaziare su tutta la propria estensione!


125esima Strada: Parliamo del tu EP. Come sono nati i brani di Ancora nell'Ombra?

Giacomo Voli: Ognuno in modo diverso chiaramente!

La Fenice è un brano nato molti anni fa, con nomi diversi e diversi arrangiamenti, a causa dei miei errori. Ridi nel Tuo Caffè l'ho voluto scrivere per dedicarlo ad una persona speciale che sa affrontare la vita con il sorriso nonostante le sofferenze. Un Capitale è un pezzo veloce che richiama riff e tematiche tipicamente hard rock, grunge e metal. Il Vento Canterà è stato il primo singolo, e l'ho scritto nel periodo post-The Voice (come Un Capitale) come sfogo dopo l'esperienza vissuta! Non è direttamente riferito a qualcuno, è un grido rivolto all'ambiente televisivo e un incoraggiamento a me stesso =)


125esima Strada: Come è nata invece la tua collaborazione con i TeodasiA?

Giacomo Voli: Tutto è nato dopo la mia partecipazione al programma televisivo, quando Francesco Gozzo (batterista e compositore principale dei TeodasiA) mi ha marcato a uomo per diversi mesi! Alla fine ho ceduto, hahaha!

Scherzi a parte sono felice di aver accettato di entrare in questo progetto, che mi dà la possibilità di sfogarmi anche nel metal sinfonico e di cantare in inglese. Quest'anno abbiamo due uscite discografiche, perciò non potrei essere più contento!


125esima Strada: Quali sono i musicisti che più ti hanno influenzato e a cui ti sei ispirato?

Giacomo Voli: Moltissimi... troppo difficile focalizzare!

Peter Gabriel è un grande artista, completo... Come solista ha comunque caratterizzato il proprio sound con musicisti incredibili, cosa che ritrovo nei miei obiettivi nonostante il genere che sto realizzando sia molto diverso.

I miei riferimenti musicali vanno dai Soundgarden a tutti gli altri progetti di Chris Cornell, dagli Alterbridge ai Nickelback, dai 30 Second to Mars ai Linkin Park agli Skunk Anansie.

Tutto questo unito all'idea che l'italiano sia una lingua meravigliosa, che unita a questo genere possa creare qualcosa di unico!


125esima Strada: Chi sono invece i tuoi preferiti della scena attuale?

Giacomo Voli: Ci sono molti gruppi fantastici: Disturbed, Nothing More, Tesseract oltre a quelli già citati precedentemente!

Di artisti italiani in riferimento a questo genere non penso che ce ne siano, ma ho moltissimi esempi di grandi artisti recenti e non, come Daniele Silvestri, Battiato, la PFM, Banco Del Mutuo Soccorso, gli Area con Demetrio Stratos, i Quintorigo con il fenomenale John De Leo, i Matia Bazar e la voce immensa di Antonella Ruggiero, i New Trolls e quel fuoriclasse di Vittorio de Scalzi, Elio e le Storie Tese e la loro cultura musicale sconfinata, Enrico Ruggeri con la sua voglia di rock.


125esima Strada: Cosa stai progettando per il futuro? Ti dedicherai più alla carriera solista o ai TeodasiA?

Giacomo Voli: Desidero fortemente mantenere i due progetti in parallelo, e credo che sia possibile perché i target di riferimento sono diversi! Attualmente sto preparando con i TeodasiA la doppia uscita discografica del 2016, per primo un EP che si chiamerà Reloaded nel quale ho reinterpretato dei brani già esistenti, e per secondo un disco di pezzi inediti registrati a fine 2015.

In contemporanea sto preparando il mio prossimo disco solista, in collaborazione con una cantautrice toscana di nome Daniela Ridolfi e un importante produttore/autore del quale ancora non rivelo il nome =)

Tutto questo senza rinunciare all'attività live, della quale tengo tutti aggiornati principalmente sulla mia pagina Facebook Giacomo Voli Joker e sugli altri social!

mercoledì 8 giugno 2016

Tarja - The Brightest Void

Il 3 giugno del 2016 la soprano finlandese Tarja Turunen ha pubblicato il primo dei suoi due album previsti per quest'anno. In realtà The Brightest Void (reso disponibile anche in streaming su Apple Music una settimana prima dell'uscita per la vendita) è indicato nelle immagini promozionali come The Prequel a sottolienare che si tratta della minore per importanza delle due pubblicazioni e che contiene in parte proprio il materiale scartato dal disco in uscita ad agosto.

The Brightest Void è composto da nove tracce tra inediti, nuove versioni di materiale edito e pezzi già pubblicati altrove. Il disco si apre con No Bitter End il cui video era stato pubblicato ad Aprile, il brano è molto più morbido e tendente al pop rispetto alle produzioni pregresse di Tarja e si distacca dalla sue altre prove in studio per l'abbandono almeno parziale del canto lirico; ciò nonostante si tratta di un gran bel pezzo forte e trascinante che dimostra che Tarja si trova benissimo anche in territori lontani dal symphonic metal. La seconda traccia è intitolata Heaven and Hell e vede come ospite il cantante rock finlandese Michael Monroe; questa è forse la traccia meno convincente dell'intero album perché Tarja offre una grande prova ma Monroe sembra proprio fuori dal suo habitat. Anzitutto Monroe raglia e abbaia, ma di certo non canta, e basta ascoltare altre sue registrazioni per scoprire che in terreni che gli sono più congeniali si muove molto meglio; in secondo luogo laddove i due duettano (e ovviamente Tarja canta la voce alta e Monroe quella bassa) di fatto si sente molto di più la voce della soprano che quasi sotterra Monroe; il pezzo di suo sarebbe anche stato interessante, ma in questo caso Tarja si è proprio scelta il partner sbagliato.

Il terzo brano intitolato Eagle Eye è la prima ballad del disco con cui Tarja torna su un symphonic metal piuttosto tradizionale grazie alla base ricca di chitarre e alla sua voce cristallina. Il pezzo è impreziosito dalla presenza di una parte parlata interpretata dal fratello di Tarja, Toni Turunen. Anche il quarto brano, An Empty Dream, è una ballad e questa volta ci troviamo davanti a un pezzo già edito in quanto pubblicato lo scorso anno nella colonna sonora del film argentino Corazón Muerto. La quinta traccia intitolata Witch Hunt è di nuovo una ballad, anche questa così come la precedente dalle atmosfere cupe e gotiche; anche questo è un pezzo già edito in quanto in passato eseguito e registrato dal vivo per il disco live e per il tour The Beauty and The Beat; in questa incisione da studio il pezzo è ancora più cupo e onirico della versione live perché all'orchestra si sostituisce una base davvero minimale. Witch Hunt è comunque uno dei pezzi più belli dell'album perché la voce pulita e limpida di Tarja si accosta alla base musicale angosciante realizzando un contrasto di grande effetto.

Con il sesto brano Shameless i ritmi tornano a salire, il pezzo è potente con una base energica a cui si somma la voce impeccabile di Tarja che tocca notevoli acuti nel ritornello e note sorprendentemente basse nella strofa: un'altra delle perle di questo album. Il settimo pezzo è la prima delle due cover proposte da questo album: House of Wax di Paul McCartney originariamente pubblicata sull'album Memory Almost Full del 2007 del cantante inglese, che Tarja propone in versione molto simile all'originale. La seconda cover è Goldfinger, colonna sonora dell'omonimo film di James Bond originariamente interpretata da Shirley Bassey, che Tarja personalizza molto raggiungendo acuti molto più alti di quelli della Bassey.

Il pezzo finale è una nuova versione di Paradise (What About Us?) dei Within Temptation con la partecipazione di Tarja, inizialmente pubblicata sull'album Hydra del gruppo olandese. Questa versione si discosta molto poco dall'originale: l'unica differenza è che la voce di Tarja si sente di più, sia nel vocalizzo iniziale (prima dell'attacco della prima strofa) sia nelle parti cantate insieme a Sharon Den Adel.

Sulla qualità di questo The Brightest Void c'è ben poco da dire perché è semplicemente ottimo, così come tutte le pubblicazioni di Tarja. La sua voce è sempre perfetta e la cantante stacca nettamente tutte le colleghe dello stesso genere per potenza e bravura. E se questo lavoro è fatto di scarti di altre pubblicazioni non possiamo che aspettarci un altro capolavoro con la prossima ed imminente uscita.

giovedì 2 giugno 2016

Ace Frehley - Origins Vol. 1

Ace Frehley è uno di quei musicisti che non godono della fama e del riconoscimento che meriterebbero perché ha vissuto gran parte della propria carriera all'ombra di mostri sacri quali Paul Stanley e Gene Simmons. Del resto la grandezza dei Kiss, sia nella formazione originale che in tutte le successive, sta proprio nell'avere quattro membri di grande valore in grado di produrre album solisti di livello e pochissime band nella storia del rock, forse solo i Beatles e i Beach Boys, possono vantare lo stesso merito.

Nel 2016, a distanza di due anni dal precedente, Ace Frehely ha pubblicato il suo quinto album solista (settimo, se si includono anche quelli pubblicati con il nome di Frehley's Comet) intitolato Origins Vol. 1. Come suggerisce il titolo stesso si tratta di una raccolta di cover e a prima vista la scelta del repertorio può stupire perché Ace non opta per brani hard rock vicini allo stile dei Kiss ma vira piuttosto verso il classic rock degli anni 60 e 70 spaziando dai Cream ai Thin Lizzy ai Rolling Stones e agli Steppenwolf; nella selezione non potevano mancare tre brani dei Kiss: Parasite, Cold Gin e Rock and Roll Hell (unico brano degli anni 80 dell'intera selezione). I dodici brani sono tutti comunque reinterpretati in chiave hard rock dal suono energico con una prominente presenza delle chitarre suonate dallo stesso Ace e da alcuni degli ospiti come Mike McCready (chitarrista dei Pearl Jam, nella cover di Cold Gin), John 5 (chitarrista tra gli altri di Marilyn Manson e Rob Zombie, che compare in Spanish Castle Magic e Parasite), Slash (in Emerald) e Lita Ford (che affianca Ace sia alla chitarra che alla voce in Wild Thing). In tutti i brani le melodie restano comunque piuttosto simili alle versioni originali nonostante siano notevolmente accelerate.

Tra i pezzi migliori dell'album troviamo Fire and Water, originariamente interpretata dai Free, che vede come ospite al microfono Paul Stanley e la già citata Spanish Castle Magic in cui Ace imita il singolare cantato di Jimi Hendrix. Spicca anche l'unico brano blues del disco, Bring It On Home scritta da Willie Dixon e originariamente interpretata da Sonny Boy Williamson II, che dimostra ancora una volta l'encomiabile eclettismo di Frehley che si sa muovere bene sia come cantante che come chitarrista in stili decisamente diversi.

Nonostante si tratti di un album di cover e non di inediti Ace dimostra di avere la stessa energia e la stessa capacità tecnica del suo esordio del 1974. Vista la sua produttività siamo sicuri che non passeranno molti anni prima che il chitarrista torni in studio a registrare un disco nuovo, ma soprattutto ascoltando questo disco non si può non notare come per sentire del sano hard rock ci si debba affidare alle leggende del passato e che nessuna band nata dopo il 1990 è in grado di competere quanto a forza e capacità con questo sessantacinquenne.