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sabato 19 maggio 2018

Giacomo Voli - Monticelli d'Ongina, 18/5/2018

Il cortile del palazzo Tredicini-Archieri di Monticelli d'Ongina è la location perfetta per un concerto in una fresca serata di primavera. Se poi l'artista che si esibisce è una delle migliori voci del panorama rock mondiale, il concerto diventa un evento imperdibile e la fortuna che sia vicino a casa fa sì che ci si metta in macchina volentieri per partecipare a quella che sarà una serata di grande musica.

Mentre per le strade del paese, che nonostante sia poco noto è di una bellezza mozzafiato, si svolge l'annuale Festa dei Fiori, il cortile ospita il live di Giacomo Voli con la sua band rinnovata che è solo alla seconda esibizione dal vivo con questo straordinario vocalist che alterna la sua attività solista a quella di frontman dei Rhapsody of Fire.

La serata è stata aperta dal Quartetto Bazzini che ha scaldato il pubblico interpretando alcuni classici del rock dei decenni scorsi, attingendo dalla discografia di gruppi come Metallica e Queen, con due violini, viola e violoncello, senza rinunciare a un tocco di classicità con il Canone di Pachelbel, prima di lasciare la scena al quintetto di Giacomo Voli.

La GV Band è salita sul palco poco prima delle 23 per regalare al pubblico un'altra serata di rock indimenticabile. La voce di Voli è semplicemente perfetta e inarrivabile per potenza ed estensione, e a Monticelli d'Ongina ha dato anche prova di incredibile versatilità spaziando tra generi e decenni diversi come pochissimi sanno fare. Anche la band si muove alla perfezione e nonostante sia alle prime esibizioni insieme sembra avere l'intesa delle band più navigate. Il gruppo ha interpretato i pezzi dei primi due dischi del cantante di Correggio, Ancora Nell'Ombra del 2015 e il nuovissimo Prigionieri Liberi, con l'aggiunta di alcune cover reinterpretate nel loro stile, qualche sperimentazione tra medley e mash-up e tanta simpatia da parte del cantante che alterna al canto un po' di umorismo che non guasta e rende il tutto più divertente.

Il concerto si apre con la travolgente Un Capitale e poco dopo l'inizio Voli propone la prima rielaborazione con un medley tra Segni di Tregua e Charlie Big Potato degli Skunk Anansie. Circa a metà dell'esibizione Giacomo mostra il lato più "dolce" (come lui stesso l'ha definito) della propria musica con un momento in acustico in cui si accompagna da solo alla chitarra per qualche pezzo più raccolto, come Il Libro dell'Assenza, Ridi Nel Tuo Caffè e The Magic of The Wizard's Dream dei Rhapsody of Fire.

Nella seconda parte de concerto il gruppo interpreta anche le cover di Ti Sento dei Matia Bazar e Impressioni di Settembre della PFM che Voli ha inciso anche nei propri dischi in studio. Poco prima della chiusura il quintetto omaggia la cantante Elisa con due sue cover. La prima è Luce che la GV Band trasforma in un pezzo hard rock mostrando lati inediti di un pezzo famosissimo e risvolti a cui neppure gli autori originali avevano pensato, l'esperimento è riuscito alla grande e il pubblico lo apprezza anche se Giacomo definisce scherzosamente la propria versione "un abominio". La seconda è Labyrinth che si apre con un bellissimo vocalizzo iniziale, che Voli impreziosisce con le sue doti canore, e che qui viene eseguita in un'inedita versione in un mash-up con Kashmir dei Led Zeppelin.

Giacomo chiude il live con tre pezzi proprio del quartetto capitanato da Robert Plant che esegue in rapida successione. Si parte con Black Dog per poi passare a Rock And Roll, che interpretata da Voli dà sempre un'emozione particolare perché rimanda la memoria alla Blind Audition di The Voice of Italy di quattro anni fa che cambiò la storia del rock del nostro paese, e si chiude con Whole Lotta Love.

Al termine del concerto Giacomo non si fa attendere e gira nel pubblico scambiando battute, strette di mano e concedendosi alle foto di chi le chiede, dimostrando il lato umano di un talento straordinario che nonostante il successo e le capacità ineguagliate mantiene un'umiltà davvero unica. Che una leggenda del rock venga a ridere e scherzare con il pubblico non succede tutti i giorni, ma Giacomo Voli è così.

Purtroppo il concerto è finito, e la notte è piuttosto fredda per essere metà maggio, per non lasciare le emozioni del cortile di Monticelli sulla strada verso casa girano ancora nell'autoradio Ancora Nell'Ombra e Prigionieri Liberi, perché la serata è stata memorabile e almeno facciamo finta che prosegua fino a casa.

Grazie Giacomo, grazie GV Band. Alla prossima!

martedì 15 maggio 2018

Francess - Submerge

Il 2018 vede il ritorno dell'italo-giamaicana Francess, la voce più calda dell'R&B nostrano, con un nuovo album di inediti che esce a un solo anno di distanza dal precedente A Bit of Italiano del 2017 e a tre dal precedente disco di pezzi nuovi intitolato Apnea del 2015. Il nuovo album si intitola Submerge ed è composto da dieci tracce ispirate alla black music degli anni 90, ma anche ricche di contaminazioni di altri stili, generi e decenni.

L'album si apre con la title track, pubblicata in digitale il mese prima del resto dell'album, che offre un tuffo nel passato con sonorità che richiamano gli anni d'oro dell'R&B con un midtempo patinato e d'atmosfera in cui la cantante mette in mostra da subito le straordinarie doti della sua voce. Ma basta passare al pezzo successivo per capire come questo album sia ricco di sperimentazioni in ogni angolo della musica nera e non solo. In Follow Me troviamo infatti un'ottima mescolanza di suoni e ritmi tipici della canzone italiana degli anni 50 misti al groove dell'hip hop newyorkese di fine millennio.

Submerge offre anche molte derive nella musica dance con l'energica Ready Set Go e con la successiva Evolution che mischia soul, funk e disco nello stile dei maestri del genere del Regno Unito dei primi anni 80. Sonorità ottantiane da eurodisco si trovano anche nella bellissima e ritmata Moon.

Il disco è ricco anche di momenti più raccolti e intimistici con le ballad Memory Lane e Until Dawn che sarebbero splendide già in sé stesse dal punto di vista autorale e che la suadente voce della cantante rende semplicemente mozzafiato.

Completano il disco il midtempo Ivory e The Show Must Go Wrong con delle venature pop più marcate. Menzione a parte merita il pezzo di chiusura: conclude l'album la cover di The Man I Love di George Gershwin che regala un altro stupendo viaggio nel tempo direttamente nei primi anni del dopoguerra e basta chiudere gli occhi ascoltandolo per ritrovarsi a immaginare Francess che la canta a fianco delle altre dive dell'epoca che l'hanno interpretata come Billie Holiday, Ella Fitzgerald o Sarah Vaughan.

Giunti al termine di questo ascolto l'unica considerazione che si può fare è che questa giovane cantante sforna album con una frequenza impressionante e che la qualità di tutte le sue incisioni non ha nulla da invidiare a quello delle regine del genere più blasonate. E se oltre oceano i fan e la critica si dividono su chi sia la migliore interprete dell'R&B, dalle nostre parti non serve alcuna discussione in merito: perché Francess non ha eguali, né nessuno che le si possa avvicinare.

venerdì 11 maggio 2018

The Dead Daisies Burn It Down Tour - Trezzo sull'Adda, 9/5/2018

Non ero mai stato al Live Club di Trezzo sull'Adda, nonostante sia uno dei locali più famosi del milanese tra quelli in cui passano le leggende del rock nei loro tour europei. Il 9 maggio del 2018 il programma prevedeva il live dei Dead Daisies, uno dei gruppi più interessanti del panorama hard rock mondiale e l'occasione era ghiotta per vedere questo leggendario posto e per vedere dal vivo questo quintetto straordinario.

Credit: Tino
In una giornata passata da un caldo africano alla pioggia battente nel giro di poche ore, lo show è stato introdotto da un gruppo di apertura di altissimo livello, con i tedeschi New Roses che hanno regalato alla folla un'ora di ottimo rock dal buon equilibrio tra sonorità dure, melodia e qualche sfumatura di southern.

Poco dopo le 21 è salito sul palco il gruppo guidato da John Corabi che ha aperto con Resurrected, dal nuovo album Burn It Down, per iniziare due ore di rock folle e forsennato, fatto da una sana combinazione di energia e allegria senza sosta. Il gruppo ha scelto sapientemente la scaletta attingendo dagli ultimi tre album (quelli che vedono Corabi alla voce) e prendendo solo i pezzi più energici, quelli che infiammano la folla come Make Some Noise, Can't Take It With You e Song and a Prayer. Mexico, proposta come sesta, è il pezzo che accende di più la folla e l'energia non si spegne mai, fino al finale introdotto da Long Way To Go.

Il gruppo sul palco si muove con una maestria che pochi hanno, la macchina musicale si muove alla perfezione e l'esecuzione è impeccabile in ogni momento dell'esibizione. Del resto questo quintetto è composto da musicisti di grandissima esperienza e successo, e se la definizione di supergruppo inizia ad andare stretta a un combo di musicisti che sforna (tra registrazioni in studio e live) un album all'anno possiamo dire con sicurezza che i Dead Daisies sono un vero dream team dell'hard rock.

Corabi domina la scena e caratterizza ogni pezzo con la sua potenza vocale e con gli stessi acuti dei tempi in cui militava nei Mötley Crüe. Marco Mendoza interpreta appieno il ruolo di vice frontman ed è consapevole di essere quello che raccoglie più attenzione insieme al cantante. Il bassista lancia decine di plettri tra la folla che fa a gara per raccoglierli, scende dal palco e passeggia in mezzo al pubblico mentre suona (tanto che io stesso gli ho toccato una spalla e una ragazza poco distante gli ha stampato un bacio su una guancia) e soprattutto ricopre il ruolo principale nelle seconde voci in cui di solito esegue la voce alta lasciando a Corabi quella bassa.

I Dead Daisies chiudono la serata con la cover di Highway Star dei Deep Purple che non hanno mai inciso in studio ma che eseguono spesso dal vivo a coronare una serata memorabile, con tanto rock di altissimo livello, fresco e divertente, eseguito come meglio non si potrebbe.

Nel frattempo fuori ha smesso di piovere, ma il caldo del pomeriggio ha lasciato il posto a una notte piuttosto fredda per la stagione, e mentre lasciamo il Live Club verso l'autostrada resta il ricordo di un concerto superlativo e la consapevolezza di avere appena visto in azione cinque tra i migliori musicisti di ogni epoca.

Grazie Live Club, grazie New Roses e soprattutto grazie Dead Daisies. Alla prossima!

lunedì 30 aprile 2018

Phantom Elite - Wasteland

Il primo album dei Phantom Elite ha avuto una gestazione molto lunga, con il primo singolo Siren's Call pubblicato nell'estate del 2016 e il secondo Wasteland un anno dopo; per ascoltare l'album per intero è stato però necessario aspettare fino all'aprile del 2018 quando l'LP che porta il titolo del secondo singolo è stato finalmente pubblicato.

Nonostante la band sia un nome nuovo nel panorama metal mondiale, i suoi membri non sono certo degli esordienti. Il gruppo è stato infatti fondato dal chitarrista olandese degli After Forever Sander Gommans con i musicisti che compongono la band che segue dal vivo gli HDK (una delle formazioni collaterali della lunga e varia attività di Gommans) composta dai chitarristi Goof Veelen e Ted Wouters e dal batterista Eeelco van der Meer. Alla voce i Phantom Elite possono vantare la presenza della brasiliana Marina La Torraca, che è una delle migliori interpreti del metal sinfonico di ogni tempo e che dà un tocco personale e unico all'ottimo primo album di questa inedita formazione. Oltre che essere la voce dei Phantom Elite, Marina milita anche nel supergruppo vocale Exit Eden ed è anche la cantante dei rumeni Highlight Kenosis, e se con questi ultimi mostra il lato più delicato della sua voce, nei Phantom Elite tira fuori tanta grinta e tanta rabbia.

Il disco è composto da dodici tracce che offrono un symphonic metal che unisce la durezza del suono delle chitarre alla straordinaria voce della vocalist che (non che ce ne fosse bisogno) dimostra le due doti incredibili traccia per traccia confermandosi a pieno titolo una delle regine del genere. Il disco vede una preponderanza di brani energici, ma non mancano momenti più raccolti. L'album parte fortissimo proprio con Siren's Call in cui Marina attacca a cantare a secco per essere subito raggiunta da poderosi riff di chitarra; il secondo pezzo Rise With The Dawn continua su ritmi sostenuti con il suolo martellante delle chitarre che apre il brano prima che Marina attacchi la prima strofa.


Tra i pezzi migliori troviamo sicuramente i due singoli che hanno anticipato l'uscita dell'album, in particolare la title track mostra al meglio la potenza e l'estensione della voce della cantante. Tra i momenti più energici spiccano anche Every Man For Himself ricca di sonorità vicine al grunge e Spectrum of Fear che offre qualche influenza di rock ottantiano. Una menzione particolare merita anche anche la bellissima e unica Revelation che si distingue dalla restanti tracce per il poderoso coro che accompagna la voce della cantante e che avvicina i Phantom Elite a sonorità più affini a quelle di gruppo come gli Xandria. Tra i pezzi più raccolti troviamo la ballad Above The Crowd e due lenti acustici fatti con solo voce e chitarra quali Astray e la traccia di chiusura Serenade Of The Netherworld, che mostrano un lato più dolce e meno aggressivo della voce dell'ottima cantante di questa band.

L'album di esordio dei Phantom Elite ripaga appieno la lunga attesa, realizzando quello che sarà uno dei migliori dischi di metal sinfonico di quest'anno. Del resto basta guardare il curriculum del fondatore e quello della cantante per non restare sorpresi: basta anche solo la voce di Marina La Torraca a trasformare una buona idea in un album memorabile.

lunedì 16 aprile 2018

The Dead Daisies - Burn It Down

Il 2018 vede il ritorno dei Dead Daisies con un nuovo album in studio intitolato Burn It Down che esce a meno di due anni dal precedente Make Some Noise e a solo uno dal live Live & Louder. Vista la frequenza delle pubblicazioni del combo guidato da John Corabi appare evidente che l'etichetta di supergruppo inizi ad andare un po' stretta a una band che di fatto sforna più album di molte formazioni permanenti e che spesso porta la propria musica sui palchi di arene e palazzetti in lunghe tournée planetarie.

Rispetto all'album precedente la formazione vede un solo cambio, con il batterista Deen Castronovo che prende il posto di Brian Tichy e che contribuisce a formare un cast di stelle assolute dell'hard rock insieme a David Lowy alla chitarra ritmica, Doug Aldrich alla chitarra solista, Marco Mendoza al basso e John Corabi alla voce.

In questo nuovo LP la band propone di nuovo il proprio suono distintivo fatto di un hard rock ispirato ai classici degli anni 70, ricco di sfumature di blues e soprattutto fatto per divertire con sonorità veloci e fracassone. Il disco è composto da dieci pezzi più una bonus track presente solo nell'edizione su CD. Come è ovvio e naturale attendersi, l'album vede una preponderanza di pezzi veloci ed energici; tra questi troviamo le due tracce che aprono l'album subito su ritmi molto sostenuti quali Resurrected e Rise Up. Tra i migliori pezzi veloci spiccano anche Dead And Gone in cui Corabi tira fuori il meglio delle sue doti vocali rimaste troppo a lungo adombrate dall'essere considerato il sostituto temporaneo di Vince Neil (al quale Corabi è in realtà molto superiore). Meritano una menzione anche la velocissima Leave Me Alone, che propone sonorità più vicine all'hair metal degli anni 80, e l'aggressiva Can't Take It With You.

Nell'album non mancano momenti più tranquilli con la titletrack che presenta sonorità blues molto marcate e con la ballad dal sapore southern intitolata Set Me Free.

Come anticipato nella versione fisica troviamo una bonus track, ovvero la cover di Revolution dei Beatles (che ovviamente non c'entra nulla con l'album Revolución dei Dead Daisies del 2015, che tra l'altro non aveva una title track), di cui il quintetto lascia inalterata la melodia incalzante e ribelle condendola con chitarre distorte e con il ritmo potente della batteria che ne sottolinea l'incedere deciso.

E' ovvio che siamo davanti a un disco che ripropone stilemi e del passato e che non offre grandi novità in termini sonori, ma non sarebbe neanche corretto aspettarselo dai Dead Daisies la cui missione è ovviamente quella di produrre musica di facile presa e divertente che regali un'ora di atmosfere allegre e festaiole. E se questo è lo scopo di Burn It Down, il risultato raggiunto dalla band con il loro quarto album centra in pieno l'obiettivo.

martedì 10 aprile 2018

Blackberry Smoke - Find a Light

Da quattro anni a questa parte i Blackberry Smoke hanno abituato i loro fan alla pubblicazione di album a una velocità impressionante. Il nuovo Find a Light, pubblicato il 6 aprile del 2018, arriva infatti a poco più di un anno e mezzo dal precedente Like an Arrow del 2016 che a sua volta seguiva Holding All the Roses più o meno dello stesso intervallo temporale.

Il quintetto di Atlanta ripropone il proprio stile distintivo senza troppe variazioni con un southern rock divertente ricco di sfumature country e di contaminazioni di vari generi. Il disco parte alla grande con l'energica Flesh and Bone il cui deciso riff di chitarra sconfina nell'hard rock. Segue un pezzo dalle atmosfere più southern intitolato Run Away From It All che prosegue su ritmi sostenuti; le stesse atmosfere si trovano anche nella speranzosa Best Seat In The House.

Nel disco non mancano momenti più melodici. Troviamo infatti tre ballad quali Medicate My Mind, I've Got This Song, che è uno dei pezzi migliori dell'album grazie alla presenza dei violini che accompagnano la melodia, e Seems So Far in cui le atmosfere del sud tornano a sentirsi con forza.

Find a Light è anche ricco di ospiti che contribuiscono a rendere questo disco ancora più ricco di suggestioni musicali diverse. Il chitarrista Robert Randolph (che milita nella band che porta il suo nome) è ospite nella bellissima I'll Keep Ramblin', che nella prima metà offre un rock and roll veloce e divertente per trasformarsi in un pezzo gospel nella seconda metà grazie alla poderosa presenza del coro che accompagna la voce di Charlie Starr. La cantante Amanda Shires duetta con Starr nel midtempo Let Me Down Easy, oltre a cantare la seconda voce bassa nel ritornello Amanda suona il violino in tutto il brano creando così uno dei pezzi più belli e d'atmosfera dell'album. Un altro duetto di trova nel pezzo di chiusura Mother Mountain che vede come ospiti il terzetto dei Wood Brothers.

Tra i momenti più melodici dell'album spicca anche Lord Strike Me Dead, un altro midtempo il cui ritornello è caratterizzato da un bellissimo coro di femminile che si somma alla voce di Starr. Nel disco non mancano contaminazioni di musica nera con le influenze blues di Nobody Gives A Damn e Til The Wheels Fall Off.

Completa il disco la trascurabile The Crooked Kind le cui sonorità un po' forzate la rendono il pezzo più debole del disco che essendo composto da tredici tracce si fa perdonare largamente questo passo falso.

I Blackberry Smoke si confermano una delle realtà più interessanti del rock contemporaneo, nonostante non godano nel nostro paese della fama che meriterebbero. Nella loro lunga carriera non hanno mai sbagliato un disco e avendone sei all'attivo il risultato è degno di lode. Un altro aspetto notevole di questa band è che nessuno dei membri ha mai lasciato la formazione, la lineup dei Blackberry Smoke è infatti la stessa dal 2000 con la sola aggiunta del tastierista Brandon Still nel 2009.

Non possiamo che sperare che con Find a Light raggiungano la meritata notorietà anche da noi e che finalmente i programmatori delle radio di accorgano di questo quintetto di altissimo valore.

mercoledì 14 marzo 2018

Judas Priest - Firepower

Il 2018 vede il ritorno dei leggendari Judas Priest a quattro anni di distanza dal precedente album Redeemer of Souls; il nuovo disco porta il portentoso titolo di Firepower e la grinta espressa già in copertina trova, come vedremo di seguito, ampio riscontro nella musica. La band arriva a questa nuova prova in studio con la stessa formazione del disco precedente, anche se Glenn Tipton ha abbandonato l'attività per gravi motivi di salute appena dopo la registrazione del disco e prima dell'avvio del tour mondiale.

L'album è composto da quattordici pezzi e offre un metal poderoso e massiccio mostrando il gruppo in grande forma, sia compositiva sia interpretativa. Come sempre la musica dei Judas Priest coniuga sapientemente sonorità dure e pesanti con melodie di facile presa, restando quindi fedele agli stilemi classici del metal riuscendo anche a entrare nella testa dell'ascoltatore già al primo giro. A quarantaquattro anni dall'album di esordio, l'elemento più riconoscibile della musica della band di West Bromwich resta l'incredibile voce di Rob Halford, ineguagliato nel mondo metal quanto a potenza ed estensione, come dimostrano da oltre quattro decenni i suoi inimitabili acuti.

Firepower parte subito alla grande con due brani potentissimi come la title track e Lightning Strike che sembrano presi di peso dalle produzioni dei Judas dei primi anni 80, come lo storico album Screaming For Vengeance, e trasportate ai giorni nostri. Con i successivi due Evil Never Dies e Never the Heroes i ritmi scendono leggermente senza rinunciare alla durezza dei suoni, facendo di nuovo rivivere i fasti di incisioni storiche come British Steel.

Tra i pezzi più energici troviamo anche Flame Thrower, la graffiante Traitors Gate, Necromancer e No Surrender, quest'ultima in particolare offre qualche assaggio di power metal grazie anche ai cori sul ritornello che ammorbidiscono la sonorità del pezzo.

L'album contiene anche una buona quantità di pezzi più melodici. Tra questi si trovando Children of the Sun e il midtempo Rising From Ruins, introdotta dalla strumentale Guardians, in cui Halford dà grande prova anche delle sue doti melodiche oltre a quelle di potenza che trovano ampio sfoggio in tutto il disco. Sulle stesse tonalità più morbide troviamo anche Spectre che è il brano più ricco di assoli di chitarra che si alternano alla voce del cantante.

Chiudono il disco i due pezzi molto particolari e unici nella lunga discografia dei Judas Priest. Lone Wolf è un brano crepuscolare, cupo e d'atmosfera, che tende verso lo stoner rock risentendo in parte delle influenze di Master of Reality dei Black Sabbath. In ultima posizione troviamola power ballad Sea of Red che si apre con un bellissimo arpeggio di chitarra per poi sfociare in un pezzo melodico che richiama di nuovo il decennio ottantiano con l'attacco del ritornello in parte debitore a The Unforgiven dei Metallica.

Firepower è un album che convince sotto tutti i punti di vista e che non ha momenti bassi ma intrattiene con del metal puro e genuino per 58 minuti. Senza timore di essere smentiti possiamo dire che si tratta della migliore prova in studio della band da rientro di Rob Halford e l'ennesima dimostrazione che nonostante gli anni che avanzano e la carriera ultraqurantennale i Judas Priest hanno ancora molte frecce al proprio arco.

domenica 25 febbraio 2018

Visions of Atlantis - The Deep & The Dark

A due anni di distanza dall'EP Old Routes - New Waters tornano gli austriaci Visions of Atlantis con il primo album in studio realizzato con i due nuovi cantanti Siegfried Samer e Clémentine Delauney. Il nuovo album si intitola The Deep & The Dark ed è composto da dieci tracce che ripropongono la formula classica dei Visions of Atlantis con un symphonic metal melodico e ricco di venature di AOR ottantiano basato su un sapiente accostamento tra la forza delle chitarre e il suono morbido delle tastiere a cui si uniscono le voci dei due vocalist, con il canto di Siegfried in tipico stile power metal e Clémentine a fare da vero punto di forza di questo insieme.

L'album si apre con la potente title track cantata interamente dalla soprano francese che dà subito prova della potenza ed estensione della sua voce. Tra i brani più energici troviamo anche Ritual Night in cui di nuovo Clémentine sfoggia il meglio della sua forza vocale, Dead Reckoning e Words of War che è la traccia del disco in cui i rimandi agli anni 80 sono più netti. Restando sui brani forti spiccano anche The Silent Mutiny che è il pezzo più duro del disco il cui le chitarre prendono il sopravvento sulle tastiere e Book of Nature che presenta sonorità mediorientali che tendono verso l'oriental metal, genere nel quale Clémentine si era già cimentata partecipando come ospite all'album Tales of the Sand dei tunisini Myrath.

Il disco contiene anche tre pezzi più melodici. Il primo di essi è l'epica Return to Lemuria che riprende in parte la melodia di Lemuria dall'album Cast Away del 2004 quando i vocalist del gruppo erano Mario Plank e la compianta Nicole Bogner. Tra i brani più melodici troviamo anche The Grand Illusion che è uno dei pezzi migliori dell'album anche perché Clémentine fa un uso più esteso del canto lirico che è quasi assente nel resto dell'album e oltre che in questo brano compare solo nei ritornelli di Return to Lemuria e Dead Reckoning. Nel disco sono presenti anche due ballad: The Last Home, cantata dalla sola Clémentine e realizzata con voce e tastiera fino all'ultimo ritornello in cui si aggiunge il resto della strumentazione, e Prayer to the Lost, anch'essa cantata solo dalla soprano.


Con The Deep & The Dark i Visions of Atlantis realizzano un altro ottimo album, il sesto della loro carriera, che prosegue degnamente la scia dei precedenti e che dà una lezione tanto importante quanto semplice: se si ha nel gruppo un talento naturale come quello di Clémentine Delauney diventa tutto facile e il disco che ne risulta non può che essere di ottima qualità. Il gruppo esce da questa prova a testa altissima, realizzando il loro ennesimo album memorabile.

lunedì 12 febbraio 2018

Metallica WorldWired Tour - Torino, 10/2/2018

Nota: questo articolo è stato scritto dal nostro guest blogger Tino che ringraziamo per la collaborazione.

Una volta erano headliner a qualche festival costosissimo e avevo il sospetto suonassero poco tempo, vuoi che una volta erano lontani, una volta mi sono pure svegliato tardi e i biglietti erano andati, ma stavolta i Metallica non me li sono fatti scappare. Nella serata della finale del Festival di Sanremo, io e altre 14000 persone di tutte le età che il frontman ha definito 'The Metallica's family' abbiamo letteralmente riempito il Pala Alpitour per vedere Hetfield e altri 3 'old men' che da ben 37 anni picchiano duro con il loro metal grezzo, veloce e violento al punto giusto, thrash appunto.

Dopo l'apertura dei norvegesi Kvelertak, il palco sembrava una banale piattaforma quadrata in mezzo al campo centrale, ma sulle note di Ecstasy of Gold di Morricone, luci, proiettori cubici mobili e piccoli droni lucciole non hanno per nulla fatto sentire la mancanza degli oramai tradizionali megaschermi.

Il tour si chiama WorldWired e la band ha iniziato con i due singoli dell'ultimo disco (un ottimo disco, secondo me stanno ancora cercando di farsi perdonare St. Anger), le mitragliate di doppia cassa di Hardwired e Atlas, Rise! aprono le danze prima che James annunci che faranno sia nuove canzoni che vecchie. La band attacca quindi con il riff iniziale di Seek and Destroy, dal primo album del 1983, per molti il vero concerto inizia solo ora. Sulla via della nostalgia Leper Messiah e Welcome Home anticipano una tripletta pezzi recenti come Now We Are Dead, la più melodica HardWired, e Spit Out the Bone e Halo on Fire; in mezzo a questi For Whom the Bell Tolls, altro classicone direttamente da Ride The Lightning degli anni 80.

Sorpresona del concerto è stato un duetto Hammet-Trujillo che a sorpresa partono con C'è Chi Dice No, di Vasco Rossi come tributo alla nazione ospitante del concerto; ho apprezzato moltissimo il gesto, ma come molti altri ho pareri contrastanti.

Unici due pezzi tratti dagli album meno apprezzati dei Metallica sono stati la cover di Blitzkrieg, mi piace talmente tanto che non ho mai nemmeno cercato la versione originale, e The Memory Remains, dall'album Reload. Si prosegue poi con Moth Into Flame, Sad But True, la mitica One e la devastante Master Of Puppets, un vero pezzo di storia della musica heavy metal.

Pausa minima prima della strumentale Orion e finale più che epico con due pezzi tratti dall'album eponimo; oltre a vendere 16 milioni di copie solo negli Stati Uniti, lancia i Metallica nel circuito un po' più commerciale consacrandoli davvero come fenomeno planetario. L'arpeggio di Nothing Else Matters fa cantare tutti, un tempo ci sarebbero stati gli accendini al cielo, e la famosissima Enter Sandman chiude le oltre due ore di concerto.

Hanno passato i 50 e hanno i capelli bianchi, ma diamine se spaccano dal vivo...

lunedì 29 gennaio 2018

Depeche Mode Global Spirit Tour - Assago, 27/1/2018

Questo articolo è stato scritto dal nostro guest blogger Tino che ringraziamo per il prezioso contributo.

Wikipedia li etichetta come synth pop, genere del quale i Depeche Mode sono stati gli iniziatori; partendo dal sud dell'Inghilterra negli anni 80 e conquistando letteralmente il mondo con numeri da capogiro. 100 milioni di dischi venduti, carriera quasi quarantennale, hanno influenzato moltissimo la scena musicale, innumerevoli cover, e sopratutto palazzetti e stadi stracolmi ogni volta che mettono il becco fuori casa.

Il Global Spirit Tour, che accompagna l'omonimo studio album nel 2017, prevedeva due date a Milano i cui biglietti sono letteralmente volati via. Un Mediolanum Forum così pieno non l'ho mai visto, tutti pronti ad ammirare, inizialmente, la strepitosa scenografia fatta da uno schermo gigante usato durante il concerto per proiettare veri e propri cortometraggi ad accompagnamento dei 20 pezzi di una scaletta piena di pietre miliari della carriera della band inglese.

Revolution dei Beatles mandata on air prepara il pubblico all'ingresso di Dave, Martin e Andrew che attaccano con Going Backwards, tratta dall'ultimo album. Seguono It's No Good e Barrel of a Gun, primi pezzi tratti dall'album Ultra del 1997, dal quale verranno tratti molti pezzi di questo concerto. Prima bomba della serata è Precious, tratta da Playing the Angel del 2005, seguono pezzi tratti da altri album come Violator (World in my Eyes) e Songs of Faith and Devotion (In Your Room) prima di tornare su Where's The Revolution tratta sempre dal recente Spirit.

Everything Counts e Stripped preparano la folla al cambio di marcia del concerto con l'immortale Enjoy the Silence. "All I ever wanted all I ever needed is here in my arms", questo ritornello lo conoscono anche i muri e la folla milanese l'ha cantata a squarciagola; vanta innumerevoli reinterpretazioni come ad esempio quella dei Lacuna Coil, ma l'originale è immensamente meglio. Never Let Me Down Again precede la piccola pausa e, subito dopo Martin prende il microfono e canta una bellissima versione acustica di Strangelove.

Altra pietra miliare Walking In My Shoes, insieme alla più movimentata A Question of Time precedono il grandissimo finale con Personal Jesus, altro pezzo eterno che vanta un numero elevatissimo di reinterpretazioni, inclusa quella di Marilyn Manson.

Le due ore di concerto sono state visivamente spettacolari, il pubblico numerosissimo e partecipe, la scaletta è stata eccezionale, la band inceppibile e la voce di Dave semplicemente perfetta.

Per chi si fosse incuriosito i Depeche Mode suoneranno ancora in Italia tra non molto, a luglio a Barolo (CN)

Piccola riflessione personale, era da un po' che ci pensavo e ora vorrei condividerla. Tempo fa un amico mi disse, scherzando, 'ma ti capita di andare anche a vedere band di gente che ha meno di 50 anni?' La mia risposta è ovviamente sì, ma quello che mi chiedevo è perché queste band di 'vecchietti', dopo così tanto tempo riempiono ancora gli stadi, i palazzetti, le piazze?

Forse perchè oggi, tra social, YouTube e talent show vari basta un motivetto orecchiabile, un Despacito o un Andiamo a Comandare qualsiasi può facilmente rubare la scena musicale (commerciale, ovvio); ma tanto veloce la ruba, tanto veloce la scena viene rubata dal tormentone successivo.

Non sto dicendo che i dischi che escono ora fanno schifo, anzi; però forse 20 o 30 anni fa senza tutti questi mezzi di comunicazione, solamente quelli bravi, ma davvero bravi, riuscivano a emergere. E solo quelli ancora migliori riuscivano a sopravvivere con le vendite dei dischi visto che prima Spotify non c'era. Rimango dell'idea che i Depeche Mode, insieme a molte altre band del passato, continueranno a occupare le nostre playlist, sicuramente per molti anni a venire.

Nel caso vi avessi annoiato con questa divagazione scusate, ma se non l'avessi scritta ora l'avreste letta nella recensione del concerto dei Metallica tra due settimane.