lunedì 18 agosto 2025

Sui luoghi dell'omicidio di Tupac Shakur, per la seconda volta

Sono di nuovo a Las Vegas, tre anni dopo la prima volta, e anche questa volta ho dedicato parte del mio tempo nella Sin City a vedere i luoghi in cui si sono svolti i tragici fatti della sera in cui Tupac Shakur perse la vita in circostanze folli.

La prima sera della mia permanenza nella città del Nevada incontro Chris Carroll, il primo poliziotto intervenuto sulla scena quando la BMW guidata da Suge Knight si fermò all'incrocio tra Harmon Avenue e la Strip, e durante la nostra chiacchierata il discorso cade spesso su quanto accaduto quella notte del 1996 e sulle ultime novità sulle indagini.

Mentre torno in albergo mi fermo all'incrocio tra Koval e Flamingo dove ero già stato tre anni fa, ma questa volta con il buio delle undici di sera, in un'atmosfera più simile a quella di quando Tupac fu ucciso. Parcheggio in una stazione di servizio e scendo per andare a vedere il memoriale nato spontaneamente grazie ai messaggi dei fan scritti a pennarello su un palo della luce. Non ricordo se anche tre anni fa ci fossero le scritte sul pavimento, ma quello che noto per certo è che il lampione viene riverniciato periodicamente e il memoriale rinasce ogni volta grazie ai fan che vogliono lasciare il loro pensiero per il rapper morto. Del resto basta cercarne le immagini in rete per vedere che sono tutte diverse dalle mie foto e tra loro.

Il giorno dopo proseguo il giro e camminando sulla Strip mi fermo all'incrocio con Harmon Avenue, proprio quello dove Chris intervenne dopo che la BMW dovette fermarsi a causa della rottura di due degli pneumatici, dovuta non ai colpi di pistola dell'assassino ma agli urti contro marciapiedi e spartitraffico, come mi ha spiegato lo stesso Chris. Dal 1996 lo scenario è notevolmente cambiato, non era così edificato come lo è adesso e infatti immaginare un'auto che sfreccia in queste strade dove il traffico è sempre lento è molto difficile.

L'ultima tappa è l'MGM Grand dove, dopo l'incontro tra Mike Tyson e Bruce Seldon, Tupac e la sua crew assalirono Orlando Anderson, il gangster che con ogni probabilità fu l'esecutore materiale dell'omicidio. Entro nell'albergo, supero il casinò e cerco il posto preciso, ma è difficilissimo da trovare perché ogni albergo a Las Vegas è caotico come un labirinto e perché dal 1996 l'MGM Grand è stato pesantemente rinnovato. Chiedo indicazioni a una giovane guardia della sicurezza con poca fiducia, perché quell'uomo nel 1996 non era sicuramente neanche nato, ma con mia sorpresa invece sa precisamente dove mandarmi: nell'area dei ristoranti, davanti a un ristorante italiano.

Trovo la zona ed effettivamente corridoi e camminamenti corrispondono a quelli del video della rissa (anche se la parola giusta sarebbe pestaggio, con Tupac e i suoi nel ruolo degli aggressori). Il passaggio mi appare molto più stretto di quanto mi aspettassi e mi chiedo quale caos debba aver generato uno scontro fisico in uno spazio così ristretto.

Tra i luoghi più importanti non mi resta altro da vedere e quindi il giro finisce qui. A breve si tornerà a parlare di questo caso, visto che nel 2026 inzierà il processo contro Keffe D, lo zio di Orlando Anderson che all'incrocio tra Koval e Flamingo passò al nipote la pistola che questi avrebbe usato per uccidere Tupac. Keffe D è accusato di omicidio secondo le leggi del Nevada nonostante non sia l'autore materiale. Vedere i posti di persona dà sempre una comprensione dei fatti che è impossibile ottenere altrimenti e quindi riparto da Las Vegas con una consapevolezza della dinamica dell'omicidio che prima non avevo, in attesa di vedere come evolveranno le indagini e di un prossimo viaggio a Las Vegas nel quale troverò la città ancora cambiata da questa seconda volta.

martedì 1 ottobre 2024

Intervista allo storico Bruce Conforth sui miti e le leggende su Robert Johnson

Ho invitato sul mio canale YouTube lo storico della musica Bruce Conforth per un'intervista sui miti e le leggende sulla vita di Robert Johnson. Conforth è il più grande esperto al mondo sul tema e ha pubblicato nel 2019 il libro Up Jumped the Devil: The Real Life of Robert Johnson.

L'intervista è disponibile solo in inglese.


mercoledì 21 agosto 2024

Sui luoghi dell'omicidio di Notorious BIG

Tupac e Notorious in uno dei musei di Hollywood Boulevard

Due anni dopo aver visto a Las Vegas l'incrocio stradale in cui Tupac Shakur venne freddato da tredici colpi sparati da un misterioso assassino (che con ogni probabilità è il gangster Orlando Anderson) ho finalmente tempo di andare a vedere anche il luogo in cui sette mesi dopo perse la vita in circostanze simili Christopher Wallace, meglio noto come Notorious BIG.

Inserisco nel navigatore il Petersen Automotive Museum, dove il rapper e la sua crew tennero l'ultima festa a cui Notorious poté partecipare, e mi porta all'uscita carrabile di Orange Grove Avenue. Chiedo all'addetta al parcheggio se sia quella l'uscita da cui è uscito il Suburban di Notorious ma non lo sa.


Cammino a piedi attorno al vasto edificio e arrivo all'incrocio tra Fairfax Avenue e Wilshire Avenue dove è avvenuta la sparatoria, è un incrocio trafficatissimo in cui le auto si muovono nel traffico incredibile di questa città. Ma quello che mi colpisce è un'altra cosa, anzi l'assenza di qualcosa. Se a Las Vegas è sorto un memoriale spontaneo dove Tupac è stato colpito dai colpi mortali del suo assassino, qui a Los Angeles non c'è nulla. Non c'è un memoriale, non c'è una scritta, non c'è proprio niente che ricordi quanto successo.


Entro nel museo che è veramente spettacolare con le sue auto custom esposte al piano terra e vado al cafè per un attimo di pausa. Chiedo anche al cameriere se sa da quale parte sia uscito dall'edificio il Suburban di Notorious ma non lo sa neanche lui. In ogni caso riguardando i video e le ricostruzioni è chiaro che l'autista del valet parking che recuperò il mezzo guidato dalla guardia del corpo Gregory Young su cui viaggiava il rapper uscì proprio su Orange Grove Avenue, il navigatore quindi mi ha portato esattamente nel posto in cui tutta questa storia è iniziata.

Resta un dubbio però: perché non c'è nulla che ricordi Notorious BIG in quel luogo? Possono esserci varie spiegazioni. Il produttore televisivo Paul Watson che ho incontrato a cena due giorni dopo (produttore tra gli altri di Who Killed Tupac?, noto in Italia come Tupac: il caso è aperto, e da me intervistato su questi due casi l'anno scorso) mi dice che potrebbe essere perché per la città degli angeli la ferita è ancora aperta. Un'altra spiegazione può essere che sulla West Coast Tupac era l'homeboy mentre Notorious era il nemico. Possono essere vere entrambe le spiegazioni, ma che Tupac da queste parti sia più amato è indubbio, si trovano magliette con la sua effige in tutti i negozi di souvenir e ovunque si può ascoltare la sua musica. Notorious è ricordato molto meno e mai da solo, sempre e solo in contrapposizione a Tupac.

È davvero triste che la città non voglia ricordare questo straordinario rapper come merita e dare il giusto risalto a questo incrocio stradale. Perché quello tra Fairfax e Wilshire non è solo l'incrocio tra due strade ma è anche un crocevia nella storia del rap e il simbolo di una delle più assurde faide della storia della musica.

sabato 27 aprile 2024

Back to Black: il biopic sulla vita di Amy Winehouse


Uscendo dalla sala al termine della visione del film ho chiesto a qualcuno "In base a quanto hai visto nel film, sai dire quanti album ha fatto Amy Winehouse nel periodo narrato?". Sapeva rispondere solo chi già lo sapeva di suo, gli altri hanno risposto con uno sconsolante "No", perché in questo film si parla di tutto, tranne che della musica di Amy Winehouse.

Questo è un film d'amore e non un biopic sulla vita e la carriera di una delle migliori interpreti della black music del nuovo millennio, Back to Black di Sam Taylor-Johnson (che non dirigeva un film da sei anni) parla infatti solo della storia d'amore tormentata tra Amy Winehouse e Blake Fielder-Civil, per il resto non c'è nulla e quel poco che c'è è incomprensibile. Non si parla degli album di Amy, non si sa quando escano in relazione hai fatti narrati perché sembrano non avere nessun impatto sulla trama e non si parla dei suoi tour. A metà film dal nulla Amy passa da essere una cantante che si esibisce nelle cantine a Camden Town a essere una superstar braccata da fotografi e giornalisti: peccato che il film non spieghi perché e come sia ascesa al successo così in fretta. In quell'arco è uscito Back in Black che dà il titolo al film, ma se il film non parla dell'album da cui tre il titolo di cos'altro dovrebbe parlare? Ha senso mostrare il dramma dei test di gravidanza negativi e ignorare la musica? Non doveva essere un biopic?

Si perde nel nulla anche il fatto che Amy Winehouse sia stata una voce unica in quegli anni, fuori dal tempo, che invece di inserirsi sulle tendenze del periodo decise di riscoprire il pop degli anni 50 e 60, il jazz e il soul. Anche ignorando le invenzioni narrative (di cui comunque non si capisce il senso) che sono già state analizzate da testate blasonate come Esquire o Radio Times, alcune cose rappresentate nel film rasentano l'assurdo: davvero gli autori vogliono farci credere che Amy non sapesse chi fossero le Shangri Las prima che Blake gliene parlasse? Ma c'è ben di peggio. Nel film Amy scopre le droghe da sola, nella realtà Blake ammise candidamente di essere stato lui a iniziare la cantante all'eroina. L'invenzione più grave riguardo alla veridicità della storia è conservata per la fine, quando Amy viene mostrata emotivamente distrutta perché Blake ha avuto un figlio con un'altra donna. Il figlio di Blake è nato a maggio del 2011, due mesi prima che Amy morisse, quando la cantante frequentava già da tempo l'attore Reg Traviss di cui nel film non si parla minimamente.

Questo film mette quindi un altro chiodo sulla tomba dell'industria del biopic, di cui negli ultimi anni si salvano pochissimi prodotti come Whitney Houston: I Wanna Dance with Somebody dedicato a Whitney Houston e 8 Mile in cui Eminem interpreta sé stesso, garantendo almeno il realismo della storia. Perché di film vaghi e fuori fuoco come Back to Black non si sempre proprio la necessità.

venerdì 22 dicembre 2023

Intervista a Michele Guaitoli, cantante dei Visions of Atlantis e dei Temperance

È disponibile sul mio canale YouTube un'intervista video a Michele Guaitoli, cantante dei Visions of Atlantis e dei Temperance. Nel video parliamo dei suoi album più recenti con le due band e dei progetti futuri.

Ringraziamo Michele per la sua cortesia e disponibilità.


giovedì 21 dicembre 2023

Rockin' Around the Christmas Tree: storia di un classico moderno del Natale



Nata nel periodo del massimo splendore del rock and roll, Rockin' Around the Christmas Tree è uno dei classici del Natale scritti nello scorso secolo che sono entrati appieno nella tradizione natalizia grazie a innumerevoli reinterpretazioni e utilizzi in film di successo come Mamma, ho Perso l'Aereo.

Il brano è stato scritto da Johnny Marks nel 1958; l'autore essendo ebreo in realtà non festeggiava il Natale, ma aveva all'attivo la composizioni di altri brani natalizi di grande successo quali Rudolph the Red-Nosed Reindeer e I Heard the Bells on Christmas Day e in seguito avrebbe composto tra gli altri A Holly Jolly Christmas. La prima incisione di Rockin' Around the Christmas Tree fu quella di Brenda Lee uscita proprio nel 1958; nonostante la voce della cantante suoni decisamente matura, Brenda Lee aveva solo tredici anni quando la incise. Come B-side del 45 giri fu pubblicata Papa Noel, altro brano rockabilly meno famoso ma sicuramente non meno bello, composto da Roy Botkin, autore di musica country e western.

In una recente intervista a The Tennessean, la stessa cantante ha raccontato che Marks scrisse la canzone di getto, iniziandola mentre si trovava su una spiaggia nel nord del paese attorniato da molti pini e completandola poi nella sua stanza del motel. Brenda Lee ha ammesso anche di non sapere perché l'autore abbia voluto proprio lei per cantare il brano vista la sua giovane età e il fatto che fino ad allora non fosse famosa. In ogni caso evidentemente la scelta fu vincente.

Rockin' Around the Christmas Tree non ebbe particolare successo fino alla terza ristampa del 1960, anno nel quale Brenda Lee aveva raggiunto durante la primavera il primo posto in classifica con I'm Sorry, la popolarità della cantante a quel punto trainò le vendite del singolo natalizio. Il brano non fu comunque un esperimento isolato di commistione tra rock and roll, che negli anni 50 e 60 era simbolo di progresso e libertà, e canti di Natale: negli stessi anni uscirono infatti ad esempio anche Jingle Bell Rock nel 1957 cantata da Bobby Helms e Run Rudolph Run anch'essa scritta da Johnny Marks nel 1958 e incisa da Chuck Berry.

Fino a quest'anno non è mai esistito un video ufficiale di Rockin' Around the Christmas Tree e Brenda Lee ne ha creato uno apposta in occasione delle festività natalizie del 2023, che vedono la cantante festeggiare il Natale alla sua età odierna di 79 anni e fare lip sync sulla sua voce da tredicenne del 1958.

Rockin' Around the Christmas Tree vanta ad oggi innumerevoli cover, se la più celebre è quella di Justin Bieber del 2021 merita una menzione anche quella cantata da Joe Lynn Turner (ex cantante tra gli altri di Rainbow e Deep Purple) per la compilation We Wish You a Metal Xmas and a Headbanging New Year del 2008.

Rockin' Around the Christmas Tree è tuttora uno dei brani più iconici della tradizione natalizia che non manca nella playlist che accompagnano cene e pranzi di questo periodo, il fatto che oggi ha distanza di oltre sessant'anni sia ancora uno dei più noti classici del Natale conferma che la scelta di affidarla alla voce di quella che al tempo era una misconosciuta dodicenne fu ottima e funzionò.



Fonti:

venerdì 8 settembre 2023

Revolution! - La vera storia dei Public Enemy di Andrea Di Quarto

Dopo aver pubblicato nel 2020 una delle migliori biografie di Tupac Shakur, torna in libreria il giornalista e storico della musica rap Andrea Di Quarto con un nuovo volume dedicato questa volta alla storia dei Public Enemy, definiti a ragione dallo stesso autore nell'introduzione il più grande gruppo hip hop di sempre.

Di Quarto ripropone la propria formula vincente già utilizzata nella sopracitata biografia di Tupac e nella storia del rap pubblicata in due volumi tra il 2017 e il 2018. L'autore infatti colloca sempre con precisione gli eventi narrati nel contesto sociale e culturale in cui si svolgono e in cui sono maturati, raccontando nel dettaglio le biografie dei membri della band e spiegando in quali condizioni siano cresciuti e abbiano mosso i primi passi nel mondo della musica rap. Nello spiegare il messaggio sociopolitico della band, l'autore va anche ancora più indietro dedicando ampio spazio a spiegare come questo affondi le proprie radici nel passato risalendo fino a Malcolm X e passando per i movimenti del Black Power degli anni 70.

Il libro di Andrea Di Quarto racconta la carriera del Public Enemy dagli inizi quando si chiamavano Spectrum City fino alle stranezze più recenti, come la lite e la rapidissima riappacificazione dei due vocalist. L'autore racconta la storia e le peculiarità di ciascuno degli album del gruppo dai quattro LP più importanti che vanno da Yo! Bum Rush The Show del 1987 ad Apocalypse 91... The Enemy Strikes Black del 1991 fino al calo del successo nella seconda metà degli anni 90 con album che non hanno goduto del successo che avrebbero meritato come Muse Sick-N-Hour Mess Age e There's a Poison Going' On e ai tempi più recenti che vedono il gruppo più lontano dalle luci del successo. Come sempre l'autore attinge alle fonti più vicine ai fatti narrati risalendo ove possibile alle stesse parole dei protagonisti e affidandosi altrimenti alle testate più autorevoli.

Di Quarto inoltre non rinuncia a far notare le contraddizioni che contraddistinguono questo tipo di produzioni musicali, in cui un presunto messaggio di equità sociale viene fatto passare esibendo armi da fuoco e condendolo con messaggi misogini e antisemiti per i quali le spiegazioni proposte sono spesso grossolanamente inadeguate.

Revolution! - La vera storia dei Public Enemy è in sintesi un'ottima biografia di uno dei gruppi più influenti di ogni genere musicale che ad oggi estende la sua carriera in quattro decenni. Che li si odi o li si ami non si può negare che il gruppo capitanato da Chuck D abbia avuto una notevole influenza culturale e sociale e che rappresenti al meglio il rap precedente all'invasione del genere gangsta. Per conoscere la storia di questo singolare gruppo il libro di Andrea Di Quarto è un ottimo punto di partenza, nella speranza che dopo il volume su Tupac e questo dedicato ai Public Enemy l'autore decida di mettere le mani a un'altra biografia di altri esponenti di questo genere musicale troppo spesso snobbato.