mercoledì 12 aprile 2017

L'omicidio di John Lennon

La vita di John Lennon finì l'8 dicembre del 1980, mentre il cantante rientrava nel suo appartamento nel complesso noto come The Dakota, raggiunto da una serie di proiettili sparati da un uomo solitario di nome Mark Chapman.


Mark Chapman, nato nel 1955, lavorava a Honolulu come guardia giurata e venerdì 5 dicembre volò a New York portando con se quattordici ore di musica dei Beatles in musicassetta. Si registrò al YMCA della 63esima strada e in un negozio di New York comprò una copia di Double Fantasy, l'ultimo disco di Lennon, e il numero di Playboy con l'ultima intervista al cantante. Chapman passò gran parte del weekend fuori dal Dakota ma senza vedere Lennon. Riuscì nella sua impresa solo domenica 7 dicembre; facendosi largo tra le groupie si avvicinò al cantante e a Yoko Ono e iniziò a scattar loro delle foto. Lennon si arrabbiò e corse verso di lui cercando di strapparli la macchina fotografica, lo fermò Yoko Ono urlandogli di lasciar stare.

La mattina dell'8 dicembre Lennon e la Ono fecero colazione al La Fortuna di Columbus Avenue, quindi Lennon andò dal barbiere per un taglio di capelli e la coppia tornò al Dakota per un servizio fotografico e per un'intervista alla RKO Radio. Secondo il biografo Philip Norman, autore del libro John Lennon: The Life, i due fecero prima l'intervista e poi le foto, secondo altre fonti (tra cui CBS News) prima vennero le foto e poi l'intervista.

Quale che sia stato l'ordine dei due eventi, la coppia uscì di nuovo dal Dakota intorno alle quattro del pomeriggio per andare agli studi Record Plant dove doveva incidere nuovi brani. Si fecero portare dalla limousine dell'RKO e appena saliti davanti al Dakota, Chapman si avvicinò loro e chiese a Lennon di autografargli la copia di Double Fantasy. Il cantante acconsentì aggiungendo Is that all you want? Di questo momento esiste anche un'iconica foto scattata dal fotografo del New Jersey Paul Goresh. Chapman in seguito dichiarò che avrebbe avuto intenzione di sparare a Lennon in quella circostanza, ma desistì disarmato dalla sua cortesia.

L'ossessione di Chapman per Lennon si era già manifestata in ottobre. L'uomo lasciò il lavoro da guardia giurata firmando il registro con il nome John Lennon, per poi cancellarlo con una croce. Quindi prese un volo per New York con l'intento di uccidere il cantante, ma non portò a termine il suo piano.

La sera dell'8 dicembre Lennon e Yoko Ono registrarono fino alle dieci e trenta; quindi, prima di uscire a cena, Lennon volle tornare al Dakota per vedere di nuovo il figlio Sean prima che si addormentasse. Arrivarono al palazzo alle 10:50 e l'autista fece scendere i due sul marciapiede; la coppia si diresse verso l'ingresso del palazzo: Chapman li attendeva sotto l'arco d'ingresso.

Lo stesso Chapman in un'intervista alla CNN ricordò che Lennon gli rivolse uno sguardo, come se si ricordasse di lui avendolo visto poche ore prima. Chapman aspettò che i due passassero, quindi chiamò sommessamente "Mr. Lennon", si mise in posa da combattimento e sparò cinque colpi nella schiena del cantante con la Charter Arms .38 che portava con sé. In seguito Chapman dichiarò alla polizia di aver sentito in quel momento una voce che gli diceva Do it! Do it! Do it! Lennon non crollò sul colpo ma riuscì a fare pochi passi verso la reception, salì alcuni gradini poi cadde dicendo I'm shot. Il concierge Jay Hastings attivò l'allarme connesso con la polizia, quindi tolse a Lennon gli occhiali e lo coprì con la sua giacca. Intanto il portiere dello stabile Jose Perdomo, con cui Chapman aveva scambiato qualche parola durante l'attesa, gli tolse la pistola dalle mani scalciandola via. Yoko Ono scoppiò a piangere urlando John's been shot, mentre Chapman si appoggiò al muro esterno del palazzo leggendo la copia di The Catcher in the Rye di J.D. Salinger (noto in italia con il titolo Il Giovane Holden) che aveva con sé.

Una prima auto della polizia arrivò poco dopo e i due agenti arrestarono Chapman che non oppose alcune resistenza, disse ai poliziotti di essere disarmato e di aver agito da solo, quindi venne dapprima immobilizzato contro il muro e poi ammanettato e condotto in macchina. Una seconda auto della polizia arrivò poco dopo, mentre i primi agenti ammanettavano Chapman; vista la gravità delle ferite gli agenti decisero di non aspettare l'ambulanza e portare Lennon al Roosvelt Hospital dove fu portato al pronto soccorso, ma poco dopo fu dichiarato morto alle 11:07.

Lennon in sintesi fu ucciso da un pazzo che agì in solitudine, ma come tutte le morti violente di persone famose anche l'omicidio dell'ex membro dei Beatles ha suscitato la fantasia di chi vuole vedere complotti ovunque. E' questo il caso ad esempio dello scrittore Phil Strongman che nel suo libro John Lennon: Life, Times and Assassination pubblicato nel 2010 sostiene che Chapman fosse stato un sicario al soldo della CIA.

L'agenzia, secondo quanto scrive Strongman, avrebbe assoldato Chapman in quanto Lennon era pericoloso per via delle sue idee sinistrorse. Secondo Strongman, ad esempio, è sospetto che Chapman avesse compito viaggi in Libano (dove la CIA era molto attiva), Giappone, UK, India e altri paesi, considerando la precaria situazione lavorativa dell'uomo. Strongman sostiene quindi che questo sia prova del fatto che Chapman riceveva finanziamenti di nascosto.

Rappresentazione grafica della polizia dell'omicidio di Lennon
Premesso che nessuno ha mai spiegato perché uno che canta delle canzoni dovrebbe essere un sobillatore (per quanto fosse un grande musicista, le idee pacifiste di Lennon altro non erano che un'accozzaglia di banalità), l'impegno antimilitarista di Lennon risale ai primi anni 70, ben dieci anni prima di essere ucciso. In secondo luogo Strongman dovrebbe spiegare perché aver viaggiato molto farebbe automaticamente di Chapman un sicario, il salto logico ci pare incolmabile: secondo Chapman chiunque fa un viaggio in più di cinque paesi in un anno è automaticamente un assassino prezzolato? In ultimo, come ammette lo stesso Strongman, i viaggi di Chapman risalgono al 1975, quindi secondo l'autore la CIA ha impiegato cinque anni a commissionare un omicidio.

Inoltre Strongman sostiene che i proiettili nei corpo di Lennon siano stati sparati da due armi diverse e quindi nel Dakota era nascosto un secondo sparatore mai identificato. Strongman ci sta quindi dicendo che la CIA ha assoldato un misterioso cecchino che è sparito nel nulla e un secondo aggressore talmente imbranato da non muoversi dopo aver ucciso Lennon. L'ipotesi di Strongman è oltre il ridicolo.

In realtà in questi quasi quarant'anni non è mai emerso nessun legame tra Chapman e ipotetici mandanti. Al contrario potremmo osservare che se la CIA avesse voluto eliminare Lennon avrebbe forse avuto a disposizione mezzi ben migliori. Avrebbe potuto eliminarlo, ad esempio, in una situazione con meno testimoni magari in un drive-by shooting. Senza voler credere alle teorie del complotto, gli assassini di Tupac Shakur o di Notorious B.I.G. sono stati molto più professionali del maldestro Mark Chapman.

Purtroppo anche in questo caso la realtà è drammatica e semplice: un uomo che agiva da solo ha ucciso John Lennon sparandogli alla schiena. Nessun complotto governativo, ma solo uno squilibrato in azione.

venerdì 7 aprile 2017

Body Count - Bloodlust

Tre anni dopo il precedente Manslaughter tornano i Body Count, la band metal capitanata dall'eclettico rapper Ice-T, con un nuovo album registrato in studio intitolato Bloodlust. Oltre ad Ice-T i membri del gruppo che vi appartengono fin dalla fondazione sono il chitarrista Ernie C e Sean E Sean al campionatore; a loro si sono aggiunti nel 2010 il batterista III Will, il secondo chitarrista Juan of the Dead e il bassista Vincent Price. Già con Manslaughter il gruppo aveva preso la direzione del metal più pesante, tendendo sempre più verso il thrash, e limando dalle proprie basi le componenti più nere di ispirazione funk che erano presenti fino a Murder 4 Life del 2006.

Il nuovo album è composto da dieci pezzi dal suono duro, monolitico e a tratti ostico a cui si somma il rap di Ice-T in una combinazione sonora di grande effetto che ai Body Count riesce molto meglio che a qualunque altro gruppo del cosiddetto nu metal: i vari Limp Bizkit, Linkin' Park e Korn spariscono al confronto dei Body Count. In tre dei dieci pezzi troviamo anche degli ospiti di grande spicco. Nel brano di apertura Civil War è ospite Dave Mustaine, in All Love is Lost troviamo un contributo vocale di Max Cavalera e in Walk With Me... Randy Blythe affianca Ice-T. Curiosamente questi tre pezzi sono i meno convincenti dell'intero album. Mustaine dà un bel contributo alle chitarre, ma senza il suo growl il pezzo sarebbe stato senza dubbio migliore. Cavalera e Blythe fanno pure peggio, perché il loro contributo è solo negativo per via dello stile che male si amalgama a quello di Ice-T e per la bruttezza intrinseca del loro cantato.

Fortunatamente il resto del disco è di altissimo livello e nelle altre sette tracce troviamo un Ice-T in grande forma per potenza, velocità e pulizia di esecuzione. Tra i brani spiccano sicuramente le due tracce pubblicate nelle settimane antecedenti l'uscita dell'album: No Lives Matter, che ricorda i brani più old school della band, e la saltellante Black Hoodie. Meritano una menzione anche le cupe The Ski Mask Way e Here I Go Again, quest'ultima impreziosita da urla da film horror in sottofondo.


Nel disco è presente anche un medley di due brani degli Slayer: Reign in Blood e Postmortem, tratte dall'album Reign in Blood su cui erano consecutive ma in ordine inverso rispetto all'esecuzione dei Body Count, in particolare la prima delle due è cantata da Ice-T, mentre la seconda da Vincent Price. I due pezzi degli Slayer sono resi in un'inedita versione con strumentazione più essenziale e il testo rappato. Il medley si apre con una spiegazione di Ice-T del motivo per cui ha voluto fondare una band metal e del fatto che i gruppi che lo hanno influenzato di più sono stati i Black Sabbath, i Suicidal Tendencies e ovviamente gli Slayer.

I testi dei pezzi restano comunque prossimi a quella della carriera gangsta rap di Ice-T e parlano di povertà e violenza nelle periferie americane.

A parte l'inspiegabile scelta di Ice-T di farsi affiancare da altri vocalist, Bloodlust si rivela un ottimo disco di metal in chiave nera come nessun'altro gruppo ha saputo fare. L'ennesima prova del fatto che alla soglia dei sessant'anni il rapper di Los Angeles ha ancora molta creatività e non è ancora stanco di sfornare musica di alto livello.

sabato 1 aprile 2017

Litfiba Eutòpia Tour - Assago, 31/3/2017

Credit: Gian Davide Alfano
Vedere dal vivo la propria band preferita è come una serata tra amici che non vedi da qualche tempo: non sai cosa aspettarti, ma sai che andrà alla grande. L'ho pensato appena ho visto le date dell' Eutòpia Tour e ho letto che ce n'era una al Forum di Assago, alle porte di Milano. Ho comprato il biglietto per un posto in Tribuna Gold ancor prima che uscisse l'album nuovo, perché Piero e Ghigo non hanno mai sbagliato un colpo e ovviamente non sarebbe successo nemmeno questa volta. L'album Eutòpia si è rivelato uno dei migliori della loro carriera e il concerto al Forum del 31 marzo è stato proprio lo attendevo: una grande festa del miglior rock sanguigno che il nostro paese (e non solo) abbia mai prodotto.

La folla gremiva gli spalti e il parterre, attendendo il gruppo di Piero e Ghigo con trepidazione. Quando poco dopo le 21 è partita Lo Spettacolo, che con il suo potente riff di chitarra iniziale sembra fatta proprio per aprire i concerti, un boato di gioia ha accolto la band. E da lì sono state due ore e mezza di energia pura che pervadeva ogni angolo del Forum. I Litfiba dimostrano che gli anni per loro non passano mai: Ghigo è sempre perfetto e presente alla chitarra e la voce di Piero è forte e tonante come ai tempi di Terremoto. La band sceglie sapientemente i pezzi per la setlist prendendoli da tutta la loro storia: da Lulù e Marlene tratto dall'album di esordio Desaparecido del 1985 fino all'ultimo Eutòpia, regalando così alla folla stili musicali diversissimi. Il gruppo passa infatti con estrema facilità dalla new wave, all'hard rock, alle atmosfere del deserto di Tex e Fata Morgana fino a momenti più tranquilli con le ballad Vivere il Mio Tempo, La Mia Valigia e Straniero, tratta proprio da da Eutòpia.

In questo arcobaleno di suoni non sono mancati momenti più esotici, con i ritmi gitani di Lacio Drom, in cui il pubblico ha dimostrato al massimo il proprio affetto per la band unendosi al saltellante ritornello ti porterò nei posti dove c'è del buon vino e festa festa fino al mattino, e il rock reggaeggiante di Spirito il cui coro uaea uae, uaea uae ha infiammato le migliaia di persone raccolte ad ascoltare la propria band preferita. I Litfiba dimostrano anche la loro creatività non dorme mai, nemmeno in un momento in cui possono godere del successo di un nuovo album appena pubblicato: dal vivo eseguono infatti anche un inedito mash-up tra Tex e Intossicato, due brani tra cui passano quasi trent'anni di storia.

Credit: Gian Davide Alfano
Ovviamente era alta l'attesa per le esecuzioni dal vivo dei pezzi nuovi e la band non ha deluso: i brani di Eutòpia eseguiti sono stati sette e dal vivo suonano ancora più forti che sul disco trasmettendo ancora una volta la maestria di una band che sforna solo capolavori. Durante tutto lo show ogni brano è stato impreziosito da stupende coreografie di luci e da proiezioni di immagini diverse e in movimento sullo sfondo del palco.

Verso la fine del concerto, dopo una versione quasi metal di Gira Nel Mio Cerchio, il gruppo ha dato un piccolo omaggio ai Doors con una cover di Break On Through (to the Other Side), appena prima di chiudere con El Diablo e la title track dell'ultimo album.

Tornando a casa senza voce per aver cantato a memoria tutti i pezzi eseguiti dai Litfiba resta il ricordo di aver assistito a una serata memorabile, a un concerto di una band leggendaria composta da geni della musica a tuttotondo che a oltre trent'anni dall'esordio mantiene la passione delle origini e le capacità di entusiasmare le folle che hanno solo i musicisti più esperti.

Grazie Piero, grazie Ghigo, grazie Litfiba. Siete grandi, siete eterni!

martedì 28 marzo 2017

An interview with Chris Weaver

An Italian translation is available here.

Chris Weaver, who fronts his namesake band, is american rock singer from Tennessee who started his career in 2010 with his first album Standing In Line, second album American Dreamer followed three years after. Recently Chris Weaver started a project with Brazilian musician Sorocaba and thanks to his South American experience he recently published a new live record called Live in Brazil. Weaver accepted our proposal for an interview to discuss this and other topics about his music.

We would like to thank Chris Weaver for his kindness and availability.


125esima Strada: Dear Chris, first of all thanks for the time you are giving us. Let's talk about your music first. How did you have the idea of mixing southern rock, soul, and country blues?

Chris Weaver: This was all due to a box of records. The cool part about growing up in the early 80's was, when snooping around your parents house you found records among all the tapes. My first record was an old Fats Domino record, I’m Going to be a Wheel Someday I believe it was. From there it was Dueling Banjos to Steely Dan, Bob Seger and Sam & Dave just to name a few. That I would have to say would be the beginning of the beginning of what ever i am today.


125esima Strada: Your new record mixes southern rock with Brazilian music, how did you have the idea to do so?

Chris Weaver: Well, it wasn’t my idea so much as it was Sorocaba’s, who is the guy from Brazil that we are working with. He was on vacation in Nashville two years ago and saw my band perform and decided to bring me down to Brazil to see what he does and talk about what we had in mind and it kind of started from there. We were down there for almost two weeks and during that time I would go to his shows with him which are obviously very large and there is a lot of people and he would bring me out to the stage and have me sing a couple of songs and it went so well we decided to put a project together.

This past May we made a lot of concerts in Brazil, we had a mix of their stuff and my stuff and cover stuff and that’s what is in my new record.


125esima Strada: Some parts of these songs are sung in Portuguese which is a very different language from English. How do you rate Portuguese as a language for singing?

Chris Weaver: Portuguese as a language is very hard to learn. I went to Brazil in February 2016 and worked with a very good writer of South American songs from Brazil too, took some of Sorocaba’s biggest hits songs and tried to translate them into English but what we ended up having as an issue is that words don’t translate the same. So we ended up taking the idea of the song and translate the idea of the song into English. Sorocaba also translated some of my songs into Portuguese, so we had English translated into Portuguese and Portuguese translated into English.

Overall I still have a hard time learning the songs in Portuguese, I listen to them a lot and try to understand how the words flow. Because I have to learn the words and what they say, it’s not like learning Feliz Navidad or La Bamba in which you learn the words and you don’t know what you are saying. I try to learn the words and what I’m saying at same time. But Portuguese is a language that is definitely tough.

I hope we can create some traction in Brazil with our music there and their music eventually here. Our goal is to bring this here to America and then to Europe and any other place. Sorocaba and Fernando were here last year and we played on a stage downtown, where Sorocaba saw me playing the year before, and they sung a song they wrote called Madrid, no one knew what they were saying but the song was so good that you don’t even have to know what the words are because the music transcends it. We are trying to make that happen for him up here and for me down there.


125esima Strada: What do you think about Latin American music in general? Do you think it can be mixed with rock and made popular in western countries also?

Chris Weaver: Yes, to a certain extent. Mexico has a little bit more of a pulse hand in hand with Brazil, Sorocaba had a couple of hits that were translated into Spanish in Mexico. But even in Argentina, Peru or Colombia nobody knows who Sorocaba is. Sorocaba and Brazil as a whole are really taking roots to American rock, pop and country and are trying to change their music towards that sound. Reason why Sorocaba really wants to start working with English speaking artists is because of this. They are writing songs that instrumentally can be well accepted here if they were sung in English. So reason why he wants to work with me is he wants to have some influence on what I’m doing and make an integration to the Unites States or Europe and promote his music there.

So, coming to your question, yes I think it’s possible; I think it’s being done and I think there will be other Latin artists trying to do this in the future absolutely.


125esima Strada: Do you consider yourself as southern rock?

Chris Weaver: Well, my sound is southern rock, americana and country. The issue behind that is that there is no genre for people like me anymore except for the outskirt of country or americana. At the end of the day americana is a very small niche of a market and it’s hard to make a living in that market. There are not many places to play, when you say americana people think folk or maybe even bluegrass, but americana is taking on its southern rock sounds. But country rock is also very southern rock. Country is disguising itself into seven kinds of music nowadays. Country singers can do whatever they want, they can scream lyrics like Yoko Ono and call themselves country if they want to. That’s why you see many rock artists and pop artists trying to get into the country market: you can basically do whatever you want and someone is going to buy it.


125esima Strada: You mention among the artists that influenced you most Tom Petty, Bob Seger, John Mellencamp and Joe Cocker who are very different from each other. How do you explain that?

Chris Weaver: The funny thing is when you look at the time period that these guys were coming up in it was very much the same time. I truly believe that we will never see another period like this at any time for sure in our life. I mean Bob was living with Don Henley while Glenn Frey was living in the same complex as Jackson Brown, while Linda Ronstadt was writing with Tom Petty begging to sing with the Eagles. My true biggest influence was really the Beatles which is even more comical due to the fact that it was one of Joe Cocker’s as well.


125esima Strada: You were born in West Virginia which is usually not connected to southern rock. Where did this passion of your start then?

Chris Weaver: West Virginia identifies with the south as much or more than the north. Growing up near Morgantown was really great for that reason because, you had the influences from the northern rock states as well as the country and southern rock from the south.


125esima Strada: One of your most striking videos is Standing In Line. How did you have the idea of playing close to airplanes?

Chris Weaver: That actually was the idea of the group we had make the video, it was a place they had been wanting to use and thought it would be a great place for the song. The fire crackers was really the hardest part of that day considering it was 102 degrees.


125esima Strada: What are, in your opinion, the main differences between your first and your second album as far as music is concerned?

Chris Weaver: Really the main differences was that the first record were songs I wrote when I was young and when I moved to Nashville I re-wrote with some pretty great song writers, mainly Harley Allen. Standing In Line was on my dime and didn't have the perks the second record did, but in some ways I think it made it cooler. American Dreamer had the big producer, studio and players and it showed. The sound was amazing to listen to while it was being recorded and we really had access to anything we needed. It was a really pleasure meeting and watching the big time studio guys work and how they get things done so streamlined.


125esima Strada: Besides those we already mentioned who are your favorite musicians of all time?

Chris Weaver: This would have to be the Beatles. They were my true first influences and I loved everything about them from the music to the movies and all of the paraphernalia. I really appreciated how they evolved as a band at the same time changed the landscape of music so much in such a short amount of time. It really amazes me how in history when you can look back, you can see all the stars that had to align to make certain things happen, this was definitely one of those times when you have to just say thanks for that, at least for me anyways.


125esima Strada: Who are you favorite musicians of today's music scene?

Chris Weaver: I always used to say if it happened after 82 I didn't know much about it as far in depth but, looking at it i guess that’s not really true. When the 90's came I really became a huge fan of the Counting Crows which led to Toad, Cherry Blossoms and the like. I didn't realize how much this music influenced me until i started really listening to my records after they were recorded. I can't really say that i am to hip on to many artist in today’s world. I love Bruno Mars, Taylor Swift and John Mayer because they (at least to me) are making a record that is not just based on singles, but in reality its hard to get into anyone when most only have one or two songs.

Intervista a Chris Weaver

L'originale in inglese è disponibile qui.

Chris Weaver, cantante della band che porta il suo nome, è un cantante rock del Tennessee che ha iniziato la sua carriera nel 2010 con il primo album Standing In Line, il secondo album American Dreamer è seguito tre anni dopo. Recentemente Chris Weaver ha avviato un progetto con il musicista brasiliano Sorocaba e grazie alla sua esperienza sudamericana ha pubblicato recentemente il disco dal vivo Live in Brazil. Chris ha accettato la nostra proposta per un intervista per parlare di questo e di altri argomenti legati alla sua musica.

Ringraziamo Chris Weaver per la sua cortesia e disponibilità.


125esima Strada: Ciao Chris, anzitutto grazie del tempo che ci stai dedicando. Parliamo della tua musica. Come ti è venuta l’idea di mischiare southern rock, soul e country blues?

Chris Weaver: E’ stato tutto a causa di una scatola di dischi. La cosa bella di essere cresciuto nel primi anni 80 è che curiosando nella casa dei tuoi genitori trovavi dei dischi in mezzo alle cassette. Il mio primo disco fu un vecchio disco di Fats Domino, credo che fosse I'm Going to Be a Wheel Someday. Da lì seguirono Dueling Banjos fino a Steely Dan, Bob Seger e Sam & Dave solo per nominarne alcuni. Direi che quello è stato l’inizio dell’inizio di ciò che sono oggi.


125esima Strada: Il tuo nuovo disco mischia southern rock e musica brasiliana, come ti è venuta l'idea di fare questo?

Chris Weaver: Beh, non è stata un'idea mia ma di Sorocaba, che è la persona del Brasile con cui lavoriamo. Era in vacanza a Nashville due anni fa e ha visto la mia band che si esibiva e ha deciso di portarmi in Brasile a vedere cosa stava facendo e a parlare di ciò che avevamo in mente noi e partì tutto da lì. Rimanemmo lì per due settimane e in quel periodo sono andato ai sui concerti che ovviamente sono molto seguiti e ci va molta gente e lui mi chiedeva di salire sul palco a cantare un paio dei miei pezzi e andò così bene che decidemmo di avviare un progetto insieme.


125esima Strada: Alcune parti delle canzoni sono cantante in portoghese che è una lingua molto diversa dall'inglese. Come consideri il portoghese come lingua per cantare?

Chris Weaver: Il portoghese è una lingua molto difficile da imparare. Sono stato in Brasile a febbraio del 2016 e ho lavorato con un bravissimo autore di canzoni sudamericane e brasiliane, abbiamo preso alcune delle canzoni più famose di Sorocaba e provammo a tradurle in inglese ma finimmo per avere il problema che le parole non si traducono allo stesso modo. Quindi alla fine prendemmo l'idea delle canzoni e traducemmo l'idea della canzone in inglese. Sorocaba ha anche tradotto alcune delle mie canzoni in portoghese, quindi avevamo inglese tradotto in portoghese e portoghese tradotto in inglese.

Nel complesso ho ancora difficoltà nell'imparare le canzoni in portoghese, le ascolto molte volte e provo a capire come scorrono le parole. Perché devo imparare le parole e ciò che dicono, non è come imparare Feliz Navidad o La Bamba in cui impari le parole e non sai cosa dici. Provo a imparare le parole e cosa sto dicendo al contempo. Ma il portoghese come lingua è davvero difficile.

Spero di riuscire a creare un seguito in Brasile con la nostra musica e anche con la loro musica qui negli USA. Il nostro scopo è di portare questo qui in America e poi in Europa e in ogni altro posto. Sorocaba e Fernando erano qui l'anno scorso e abbiamo suonato su un palco in centro, dove Sorocaba mi ha visto suonare la prima volta, hanno fatto un loro pezzo che si intitola Madrid, nessuna sapeva cosa stessero dicendo ma la canzone era così bella che non serviva conoscere le parole perché la musica trascende. Stiamo cercando di farlo succedere per lui qui e per me là.


125esima Strada: Cosa pensi della musica latinoamericana in generale? Pensi che posso essere mischiata al rock e resa popolare anche nelle nazioni occidentali?

Chris Weaver: Sì, fino a un certo punto. Il Messico ha un po' più di spinta insieme al Brazile. Sorocaba ha avuto un paio di successi che sono stati tradotti in spagnolo in Messico. Ma in Argentina, Perù o Colombia nessuno sa chi sia Sorocaba. Sorocaba e il Brasile in genere si stanno radicando nel rock, pop e country americani e stanno cercando di cambiare la propria musica verso quel suono. Questo è il motivo per cui Sorocaba vuole davvero iniziare a lavorare con artisti che parlano inglese. Stanno scrivendo pezzi che strumentalmente possono essere ben accettati qui se cantanti in inglese. Quindi il motivo per cui vuole lavorare con me è che vuole avere un'influenza in ciò che sto facendo e creare un'integrazione con gli USA o l'Europa e promuovere la sua musica lì.

Quindi, venendo alla tua domanda, sì penso che sia possibile; penso che venga già fatto e credo che ci siano altri artisti latini che in futuro proveranno a fare lo stesso.


125esima Strada: Ti consideri southern rock?

Chris Weaver: Beh, il mio suono è southern rock, americana e country. Il problema riguardo a ciò è che non c'è un più vero genere per gente come me tranne le periferie del country o dell'americana. Alla fine l'americana è una nicchia di mercato molto piccola ed è difficile guadagnarsi da vivere in questo mercato. Non ci sono molto posti per suonare, quando dici americana la gente pensa al folk o addirittura al bluegrass, ma l'americana sta recuperando il proprio suono di southern rock. Ma anche il country rock è molto southern rock. Il country oggi si nasconde dietro a sette stili di musica. I cantanti country possono fare qualunque cosa vogliano, possono urlare le parole come Yoko Ono e definirsi ancora country se vogliono. E' per questo che vedi molti cantanti rock o pop provare a entrare nel mercato country: puoi fare qualunque cosa vuoi e qualcuno lo comprerà.


125esima Strada: Tra gli artisti che ti hanno influenzato di più menzioni Tom Petty, Bob Seger, John Mellencamp e Joe Cocker che sono molto diversi tra loro. Come lo spieghi?

Chris Weaver: La cosa divertente è che quando guardi il periodo in cui sono usciti questi musicisti scopri che più o meno è lo stesso. Credo davvero che non vedremo più un periodo come quello nelle nostre vite. Voglio dire che Bob viveva con Don Henley mentre Glenn Frey viveva nello stesso complesso di Jackson Brown e Linda Ronstadt scriveva con Tom Petty che pregava di cantare negli Eagles. La mia maggiore influenza è quella dei Beatles che è anche più comico per il fatto che lo sono stati anche per Joe Cocker.


125esima Strada: Sei nato in West Virginia che di norma non è legata al southern rock. Da dove è nata quindi la tua passione?

Chris Weaver: La West Virginia si identifica con il sud tanto quanto il nord, se non di più. Essere cresciuto vicino a Morgantown è stato grandioso per questo motivo perché hai tante influenze dal rock degli stati del nord quante dal country e dal rock del sud.


125esima Strada: Uno dei vostri video più sorprendenti è Standing In Line. Come vi è venuta di suonare vicino a degli aerei?

Chris Weaver: Quella in realtà è stata un’idea del gruppo a cui abbiamo fatto realizzare il video, era un luogo che volevano usare da tempo e pensarono che sarebbe stato adatto per la canzone. Le miccette furono la parte più difficile della giornata considerando che c'erano 38 gradi.


125esima Strada: Quali sono secondo te le principali differenze tra il tuo primo e il secondo album, per quanto riguarda la musica?

Chris Weaver: La principale differenza è che il primo disco è fatto di canzoni che ho scritto quando era giovane e quando poi mi sono trasferito a Nashville le ho riscritte con dei bravi autori, principalmente Harley Allen. Standing In Line fu realizzato a mie spese e non ha avuto i benefici del secondo, ma per certi verso credo che questo lo renda più bello. American Dreamer ha avuto il grande produttore, lo studio e i musicisti e si vede. Il suono era bellissimo da sentire mentre lo registravamo e davvero abbiamo avuto a disposizione tutto ciò di cui avevamo bisogno. Era davvero un piacere incontrare e vedere lavorare i migliori tecnici di studio e vedere come riuscivano a fare le cose in modo così rapido.


125esima Strada: Oltre a quelli di cui abbiamo già parlato chi sono i tuoi musicisti preferiti di ogni tempo?

Chris Weaver: Sono i Beatles. Sono stati la prima influenza e mi piaceva tantissimo tutto di loro dalla musica ai film all'oggettistica. Ho molto apprezzato come si sono evoluti come gruppo e allo stesso tempo hanno cambiato il panorama musicale in così poco tempo. Mi stupisce come nella storia, se guardi indietro, vedi le star che hanno dovuto mettersi in fila per far succedere certe cose, quello è stato sicuramente uno dei periodi per il quale devi ringraziare per ciò che hanno fatto, per me almeno.


125esima Strada: Chi sono i tuoi musicisti preferiti della scena attuale?

Chris Weaver: Un tempo dicevo che non conoscevo in dettaglio nulla che fosse avvenuto dopo l’82, ripensandoci non penso sia del tutto vero. Quando sono arrivati gli anni 90 sono diventato un gran fan dei Counting Crows e questo mi ha portato ai Toad e ai Cherry Blossoms e ai gruppi simili. Non ho colto quanto questa musica mi abbia influenzato fin a quando ho iniziato a sentire i miei dischi dopo che li avevo registrati. Non posso dire di essere un gran fan di molti artisti nel mondo di oggi. Mi piacciono Bruno Mars, Taylor Swiftt e John Mayer perché (almeno secondo me) non fanno album basati solo sui singoli, in realtà è difficile apprezzare qualcuno quando la maggior parte fa solo una o due canzoni.

martedì 21 marzo 2017

Le colonne sonore dei film di Batman

Il personaggio di Batman è stato protagonista di numerose opere cinematografiche dagli anni 60 fino ad oggi e molti di questi film sono anche noti per le loro colonne sonore. Il primo film dedicato all'uomo pipistrello risale al 1966 e vede come protagonisti Adam West nel ruolo di Batman, Burt Ward in quello di Robin e Cesar Romero in quello di Joker. Il film è tratto dall'omonimo telefilm realizzato tra il 1966 e il 1968 e l'unica musica celebre in esso contenuta è il famoso Batman Theme scritto da Neal Hefti e interpretato dai Ron Hicklin Singers.

Fu necessario aspettare altri 23 anni prima che Batman tornasse sul grande schermo con il primo dei quattro film della serie diretta da Tim Burton e Joel Schumacher. Il primo film di Burton uscì appunto nel 1989 e vide Michael Keaton nel ruolo di Batman e uno straripante Jack Nicholson in quello di Joker. La colonna sonora del film fu affidata a Prince che realizzò un album nel suo stile mischiando pop, funk e soul.


Il disco, intitolato Batman Motion Picture Soundtrack, è composto da nove tracce cantante, tutte presenti all'interno del film (anche se alcune un po' forzatamente); tra di esse spiccano la vibrante The Future, la ballad The Arms of Orion cantata in duetto con Sheena Easton, e la più celebre Batdance che riprende in parte la melodia del Batman Theme. Oltre alla colonna sonora di Prince, fu pubblicato anche il disco intitolato Batman Original Motion Picture Score che contiene le musiche di Danny Elfman che fanno da sottofondo alle scene del film.

Tre anni dopo la saga di Batman proseguì con Batman Returns che vide ancora la presenza di Tim Burton e Michael Keaton, questa volta la parte del cattivo fu interpretata da Danny DeVito nel ruolo di Pinguino. L'unico album stampato il relazione al film fu quello con le musiche ancora di Danny Elfman intitolato Batman Returns Original Motion Picture Soundtrack. L'elenco delle tracce è estremamente confuso perché alcune sono elencate a coppie (ad esempio, il retro del disco riporta queste diciture 1,2 Birth of a Penguin; 3,4 The Lair). L'unico brano cantato del disco è l'ultimo intitolato Face to Face interpretato dal gruppo di alternative rock Siouxsie and the Banshees.

La serie riprese tre anni dopo con Batman Forever. Il cast vide cambi importanti: anzitutto alla regia passò Joel Schumacher, Batman venne interpretato da Val Kilmer e nel cast troviamo anche Nicole Kidman, Jim Carrey e Chris O'Donnell. In relazione al film fu pubblicata la colonna sonora intitolata Batman Forever Music From The Motion Picture (in alcune edizioni il titolo è Batman Forever Music From and Inspired by The Motion Picture) composta da quattordici tracce di artisti molto diversi, spaziando dagli U2, agli Offspring, a PJ Harvey, a Brandy, a Micheal Hutchence e a Method Man.


Il disco costituisce una buona compilation dal suono ipnotico e onirico di rock alternativo e trip hop. Tutti i pezzi ricordano l'atmosfera oscura del film, tra le tracce spiccano sicuramente il singolo degli U2 Hold Me, Thrill Me, Kiss Me, Kill Me, One Time Too Many di PJ Harvey, la cover di Smash It Up dei Damned interpretata dagli Offrspring e la cover di The Hunter Gets Captured by the Game di Smokey Robinson realizzata dai Massive Attack con Tracey Thorn che trasformano uno storico pezzo soul in uno trip hop. Nel disco è presente anche Kiss From a Rose di Seal che era stata pubblicata nel 1994 nel secondo album eponimo del cantante inglese, in occasione dell'uscita del film ne fu anche realizzato un nuovo video. In realtà delle quattordici tracce solo tre sono effettivamente presenti nel film: quella degli U2, quella degli Offspring e Where Are You Now? di Brandy. Questo non stupisce più di tanto perché negli anni 90 era consueto che le colonne sonore fossero solo delle compilation di fatto slegate dal film. Anche in questo caso parallelamente fu pubblicato il disco con le musiche di sottofondo del film realizzate da Elliot Goldenthal con il titolo Batman Forever Original Motion Picture Score Album.

Il quarto, e ultimo, capito della saga uscì nel 1997 con il titolo Batman & Robin. Schumacher fu confermato alla regia e O'Donnell nel ruolo di Robin; Batman venne interpretato sorprendentemente da George Clooney e il cast vide la presenza di stelle di altissimo livello come Arnold Schwarzenegger e Uma Turman. La colonna sonora intitolata Music From And Inspired By The "Batman & Robin" Motion Picture fu di nuovo composta da artisti afferenti ai generi più disparati, spaziando dagli Smashing Pumkins, ad R. Kelly, ai Goo Goo Dolls, fino ai Bone Thugs-N-Harmony. Questa volta la compilation non ha alcun filo conduttore e i brani sembrano del tutto scollegati. Gli Smashing Pumpkins regalarono due ottimi pezzi intitolati The End Is The Beginning Is The End e The Beginning Is The End Is The Beginning: il testo nei due casi è lo stesso, ma il primo brano è duro e aggressivo, mentre il secondo lento e d'atmosfera. Anche R. Kelly realizzò un brano memorabile con la bellissima ballata Gotham City che, per quanto bella, ha un testo piuttosto bizzarro: considerando che il film narra di supercriminali in azione a Gotham City non si capisce come questa possa essere al contempo definita city of justice, city of love, city of peace. Le musiche di sottofondo furono di nuovo composte da Elliot Goldenthal, ma nessun disco fu stampato.

Nel 2005 iniziò con Batman Begins la trilogia del Cavaliere Oscuro, diretta da Christopher Nolan e interpretata da Christian Bale. Nessuno dei tre film ebbe una colonna sonora di pezzi cantanti, ma per ciascuno dei tre dischi fu pubblicato solo lo score. Il disco relativo al primo film fu pubblicato nello stesso anno con il titolo Batman Begins Original Motion Picture Soundtrack e contiene la musiche di Hans Zimmer and James Newton Howard; il titolo di ogni traccia è il nome scientifico di una razza di pipistrello e le iniziali dei titoli delle tracce dalla 4 alla 9 compongono la parola B.A.T.M.A.N.


La colonna sonora de Il cavaliere Oscuro fu pubblicata nel 2008 col il titolo The Dark Knight: Original Motion Picture Soundtrack e di nuovo contiene le musiche di Hans Zimmer e James Newton Howard. Il disco relativo al terzo film Il cavaliere oscuro - Il ritorno fu pubblicato nel 2012 con il titolo The Dark Knight Rises: Original Motion Picture Soundtrack e contiene le musiche realizzate ad opera del solo Zimmer.

Hans Zimmer, coadiuvato da Junkie XL, fu anche l'autore delle musiche del risibile Batman vs Superman: Dawn of Justice del 2016 e la sua creazione fu pubblicata nel disco Batman v Superman: Dawn of Justice Original Motion Picture Soundtrack.

Le colonne sonore dei film di Batman sono da sempre tra le migliori opere musicali nate in ambito cinematografico. All'interno dell'ampio produzione legata all'uomo pipistrello va comunque notato che le più ricche sono quelle relative alla quadrilogia di Burton e Schumacher degli anni 80 e 90, e questo non è un caso perché fu proprio in quei due decenni che il mondo del cinema diede il proprio massimo contributo all'industria musicale realizzando opere di valore addirittura superiore a quello dei film per cui sono nate.

martedì 14 marzo 2017

Catorce de Septiembre, rock dalla Navarra

Come abbiamo già scritto molte volte sulle pagine di questo blog, la scena rock spagnola è incredibilmente ricca e riserva sorprese inaspettate anche tra le band meno note e dalla carriera breve. E' questo il caso del sestetto della Navarra noto come Catorce de Septiembre nato verso la fine degli anni 80. Nella formazione originale il gruppo era composto da Ecequiel Barricart alla voce, Eneko Abril alla chitarra e ai cori, Mikel Morote al basso, Andrés Pascual alla tastiera e Angel Telleria, detto "Telle" alla batteria.

Il primo album della band, ad oggi mai stampato su CD, si intitola Cuentas Pendientes ed uscì nel 1990. Il disco è composto da dodici brani di stampo pop rock decisamente allegro e incalzante, con il suono delle tastiere tipico di quel periodo, ma anche ricco di arpeggi di chitarra come nella tradizione dei grandi gruppi spagnoli. Nel disco troviamo dieci brani veloci più una ballad intitolata Tardes De Verano che si apre con un fischio da parte del cantante e un midtempo intitolato La Noche se Escapa. Tra i brani migliori troviamo anche le vibranti e sostenute Las Calles se Cierran, forse il pezzo più festaiolo dell'intero disco, e Historia De Hadas che con le sue sonorità più dure anticipa quello che sarà il suono distintivo dell'album seguente.

Il secondo e ultimo album della band uscì nel 1992 con il titolo Deseos Prohibidos e mostra da subito sonorità più vicine all'hard rock, risentendo sicuramente dell'influenza dei più noti Héroes del Silencio. La formazione dei Catorce de Septiembre vede un cambio per il secondo disco con l'ingresso di Daniel Ulecia al basso in sostituzione di Morote. Con la durezza del suono sale anche la qualità della musica che è nettamente superiore a quella del disco precedente. L'album parte alla grande con Gritos al Viento, ricca di riff di chitarra e sostenuta dal potente canto di Barricart, e procede su questa strada per tutti i dieci brani.

Questo secondo album propone un ottimo rock sanguigno e trascinante, il disco contiene otto tracce veloci più due ballad. La prima di queste si intitola Pasajeros Azules e presenta un suono simile a quello delle power ballad di fine anni 80, mentre la seconda Por Cuatro Billetes è arricchita da un poderoso coro sul ritornello. E' difficile individuare pezzi migliori in questo album perché davvero non c'è un attimo di noia, tutte le incisioni sono di altissimo livello. Se proprio dovessimo scegliere i pezzi migliori opteremmo, oltre alla già citata Gritos al Viento, per la cupa Oscuro Motel e la grintosa Las Leyes.

Oltre alla maggiore durezza dal punto di vista strumentale, ciò che colpisce di questo album è che il cantante dà prova di essere migliorato notevolmente mostrando maggiore potenza ed estensione, come si può sentire ad esempio dai ritornelli di El Resto De Mis Días e Bajo Los Puentes.

Per via delle brevità della loro carriera i Catorce de Septiembre sono una piccola gemma nel vasto panorama rock spagnolo, una gemma che merita comunque per la qualità della propria musica di essere ricordata al pari dei gruppi più blasonati.

martedì 7 marzo 2017

I presunti misteri di Lucy in the Sky with Diamonds

Lucy in the Sky with Diamonds è uno dei più grandi successi dei Beatles (anche se nella breve carriera dei Fab Four è difficile trovare qualcosa di non etichettabile come grande successo), pubblicato l'1 giugno del 1967 all'interno dell'album Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band. Fin da poco dopo la sua pubblicazione, il pezzo fu oggetto di numerose teorie alternative che vogliono che questo contenga significati nascosti sinistri e inneggianti alla droga: il particolare la teoria più nota sostiene che Lucy in the Sky with Diamonds sia un velato riferimento all'LDS.

Queste voci si diffusero a partire dall'anno seguente la pubblicazione del disco, se ne trova menzione ad esempio nel libro The Beatles: The Authorised Biography di Hunter Davies del 1968 e già allora l'autore chiariva che si trattava di una coincidenza.

Nel giugno del 1967 Paul McCartney ammise in due interviste, la prima alla rivista Life e la seconda al canale televisivo ITV, di aver fatto uso di LSD e probabilmente questa ammissione contribuì al diffondersi di questa leggenda. Anche John Lennon, che è anche la voce principale del pezzo, disse in un'intervista per Playboy rilasciata a David Sheff, e riportata nel libro All We Are Saying: The Last Major Interview with John Lennon and Yoko Ono del medesimo autore, di essere stupito dal fatto che qualcuno accostasse Lucy in the Sky with Diamonds, alla droga e di non essersi nemmeno reso conto che le iniziali del noto allucinogeno potessero trovarsi nel titolo.

Nella stessa occasione Lennon spiegò che l'idea del brano gli venne da un disegno del figlio Julian in cui ritraeva una compagna di asilo, chiamata Lucy O'Donnell, in un cielo stellato e lo stesso Julian aveva intitolato il proprio disegno Lucy in the Sky with Diamonds. In seguito Lucy O'Donnell (che essendosi sposata cambiò il proprio cognome in Vodden) confermò in un'intervista alla BBC del 2007 che la canzone era dedicata a lei, e in un'altra circostanza raccontò anche che alcuni suoi compagni della scuola superiore non credettero che il brano fosse ispirato a lei, sostenendo invece che parlasse di LSD.

Entrambi gli autori ribadirono in varie occasioni nel corso degli anni che nel loro intento il pezzo non aveva alcuni intento di carattere allucinogeno. Lo ripeté Lennon in un'intervista del 1967 riportata nel volume The Beatles Anthology del 2000 e anche McCartney ben trent'anni dopo dovette insistere sull'argomento in un'intervista alla BBC (stando a quanto riportato da Wikipedia che non abbiamo potuto verificare) aggiungendo che in realtà l'acronimo giusto sarebbe LITSWD e non LSD.

Come riportato nel libro The Beatles as Musicians: Revolver Through the Anthology di Walter Everett, sia Lennon sia McCartney spiegarono che il testo onirico della canzone era ispirato ai romanzi di Lewis Carroll Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio, e in particolare al capitolo finale di quest'ultimo intitolato Which Dreamed It? (tradotto in italiano come Chi l'ha sognato?)

Nessun riferimento alla droga quindi, solo l'ennesimo caso di una leggenda metropolitana che si basa sul nulla.

martedì 28 febbraio 2017

La morte di Aaliyah

Il 25 agosto del 2001 la giovanissima cantante R&B Aaliyah (il cui nome intero era Aaliyah Dana Haughton) incontrò la morte in un incidente aereo di ritorno dalle Isole Abaco, nell'arcipelago delle Bahamas, dove aveva girato il suo ultimo videoclip per Rock The Boat tratto dal suo terzo ed eponimo album. La cantante era all'apice della sua carriera, avendo riscosso grande successo anche nel mondo del cinema in cui aveva esordito con la strana rivisitazione di Romeo e Giulietta ambientata a Oakland, in California, intitolata Romeo Must Die; Aaliyah aveva anche finito le riprese del suo nuovo film, La Regina dei Dannati, che si preannunciava un grande successo nelle sale cinematografiche, successo che il film riscosse davvero ma di cui Aaliyah non poté godere. La ragazza e il suo staff erano volati alle Bahamas il 23 di agosto su un Fairchild Metro III e avrebbero dovuto tornare negli USA il 26, ma avendo terminato le riprese in anticipo decisero di rientrare il giorno prima.

Il volo avrebbe dovuto partire arrivare all'aeroporto delle Abaco alle 16:30 per partire poco dopo per Opa-locka, in Florida, ma il velivolo, un Cessna 402B, arrivò solo alle 18:15. Poco prima della partenza Aaliyah accettò la proposta di un giovane fan di scattare una foto con lei e quella fu l'ultima foto della cantante in vita. Secondo Wikipedia la medesima foto non fu scattata poco prima della morte della cantante ma al suo arrivo alle Bahamas, tuttavia non specifica da quale fonte abbia tratto questa informazione.

Insieme ad Aaliyah sarebbero saliti sull'aereo il suo truccatore Eric Foreman, il rappresentante della Virgin Records Douglas Kratz e altre due donne e tre uomini. Il pilota di un volo charter delle Bahamas, Lewis Key, riportò che il pilota del Cessna, Luis Morales, ebbe una discussione con i passeggeri a cui fece notare che l'aereo era sovraccarico per via delle nove persone a bordo e del materiale per le registrazioni e che questo avrebbe compromesso la sicurezza del volo; tuttavia Aaliyah e il suo staff insistettero sostenendo di dover rientrare a Miami entro la sera di sabato 25.

Lewis Key aggiunse che Morales ebbe problemi ad avviare uno dei motori del Cessna appena prima del decollo. L'aereo comunque si staccò dalla pista intorno alle 18:50 per schiantarsi verticalmente, scendendo con il muso, a soli 60 metri dalla fine della pista e disintegrandosi in una palla di fuoco. Un uomo sopravvisse all'impatto iniziale e fu rinvenuto la tra macerie urlante di dolore, ma morì poco dopo all'ospedale. Il libro Aaliyah: More Than a Woman di John Farley, riporta la testimonianza del pilota e pompiere Claude Sawyer che vide l'aereo alzarsi in volo per poi piegare a sinistra e schiantarsi verticalmente prima di raggiungere l'altezza di trenta metri.

Dal rapporto del coroner delle Bahamas emerse che il corpo di Aaliyah riportò gravi ustioni e un colpo alla testa e che lo shock fu tale che se la cantante fosse sopravvissuta il recupero sarebbe comunque stato quasi impossibile.

Anche l'NTSB, l'ente americano preposto a verificare le cause dei disastri nei trasporti, condusse un indagine sull'accaduto e il breve rapporto finale indicò che l'aereo superò le proprie capacità di carico per via delle persone a bordo, dei bagagli e del carburante e che il baricentro del velivolo era troppo arretrato rispetto alle specifiche. Di fatto l'NTSB confermò il sospetto che emerse già nei primi giorni dopo il disastro. Nel 2003 furono anche rivelati i risultati degli esami tossicologici sul corpo di Morales che rivelarono tracce di cocaina e alcol nel sangue dell'uomo. Poche settimane prima dello schianto mortale, Morales fu fermato alla guida della sua auto per non aver rispettato uno stop e la polizia trovò delle quantità di cocaina sulla sua auto, in quell'occasione Morales rispose che non fosse per uso personale ma per un amico. Poche settimane prima dell'incidente mortale Morales fu licenziato dalla Golden Airlines per non essersi presentato al lavoro e pochi giorni prima dello schianto fu assunto dalla Blackhawk International Airways; tuttavia l'FAA, attraverso la propria portavoce Kathleen Bergen, comunico di non aver concesso a Morales l'autorizzazione a volare negli USA e che il pilota autorizzato a condurre quel volo era una persona diversa da Morales. Infatti un articolo del Sun Sentinel pubblicato poco dopo l'incidente indicò il pilota identificato come "L. Maradel".

In rete si trovano facilmente delle teorie del complotto secondo cui Aaliyah sarebbe stata uccisa dagli Illuminati su mandato della cantante Beyoncé che voleva liberarsi della concorrente: ovviamente come tutte le teorie del complotto si basa su un'accozzaglia di scemenze senza alcuna prova.

La triste realtà è che una sequenza di errori umani, sia da parte del pilota sia da parte della stessa cantante de suo staff, ci ha tolto una delle più talentuose e promettenti cantanti della scena R&B.

mercoledì 22 febbraio 2017

Il messaggio di Mike Oldfield nascosto in Amarok

Nella lunga discografia di Mike Oldfield, l'album Amarok del 1990 occupa sicuramente un posto particolare per via del suo suono ostico e ostile ad un ascolto poco attento. Amarok è anche incredibilmente complesso dal punto di vista compositivo, con Oldfield che suona tutti i quaranta strumenti, e monolitico al punto che è impossibile estrarne dei pezzi come invece accade in altre composizioni musicali del medesimo autore come Tubular Bells o Incantations. Inoltre come si può notare facilmente, anche la copertina di Amarok è atipica e spezza la tradizione delle copertine di Oldfield, non mostra infatti paesaggi fantastici o oggetti misteriosi (come le celeberrime campane tubolari) ma un primo piano dell'autore.

Oltre a essere noto per la sua stranezza musicale, Amarok è anche famigerato per il messaggio segreto in codice morse che contiene intorno al minuto 48 e che invia un messaggio ben preciso al fondatore della Virgin Records, etichetta per cui Oldfield incideva al tempo, Richard Branson. Nella sua autobiografia intitolata Changeling: The Autobiography Oldfield spiega che dopo aver realizzato Earth Moving nel 1989 (il suo primo album di sole canzoni) decise di cambiare decisamente rotta e di incidere un disco interamente strumentale. Il risultato fu Amarok che lui stesso definisce wild and weird, a complete opposite of the albums before. La scelta del titolo cadde sulla parola Amarok che in gaelico significa "domani", ma Branson propose di cambiare il titolo in Tubular Bells II; Oldfield rifiutò perché aveva in mente di realizzare un disco intitolato Tubular Bells II, ma non era quello.

La Virgin decise quindi di non dare molta promozione pubblicitaria all'album e francamente sarebbe stato difficile farlo visto che per via del suo suono monolitico da Amarok era impossibile estrarre dei singoli che potessero essere trasmessi alla radio. Oldfield decise quindi di promuovere il disco a modo suo: introducendo in esso un messaggio segreto e promettendo un premio di 1000 sterline al primo che lo avesse individuato. Oldfield realizzò questa campagna pubblicitaria inviando la comunicazione per posta a chi avesse comprato biglietti per concerti rock pagando con carta di credito.

Il messaggio, chiaramente udibile al minuto 48 scandisce in codice morse questa sequenza di lettere "FUCK OFF RB": un chiaro invito a Richard Branson. Inoltre sul retro di copertina fu riportata la scritta HEALTH WARNING This record could be hazardous to the health of cloth-eared nincompoops. If you suffer from this condition, consult your Doctor immediately [AVVISO PER LA SALUTE Questo disco può essere dannoso per gli stupidi dalle orecchie foderate. Se soffrite di questa condizione, consultate immediatamente il medico].

Dopo Amarok Oldfield dovette per contratto incidere ancora un solo album per la Virgin, che fu Heaven's Open del 1991, l'unico album realizzato a nome Michael Oldfield, anziché Mike. Dopo aver lasciato l'etichetta inglese, Oldfield completò la beffa nei confronti di Branson. L'autore infatti approdò alla Warner Bros e il suo primo disco per la nuova casa discografica fu proprio Tubular Bells II.

mercoledì 15 febbraio 2017

Sir Lord Baltimore: i pionieri del metal americano

Quando si pensa ai progenitori del metal vengono di solito in mente i tre grandi gruppi dell'hard rock britannico degli anni 70 quali i Led Zeppelin, i Deep Purple e i Black Sabbath. Tuttavia anche molte band di oltreoceano hanno contribuito alla nascita del genere e tra queste le più famose sono sicuramente gli Stooges e gli MC5, ma oltre a questi c'è un gruppo di New York che troppo spesso viene ignorato nonostante abbia dato un contributi notevole alla nascita del metal: i Sir Lord Baltimore.

Come riportato dal volume Encyclopedia of Heavy Metal Music di William Phillips e Brian Cogan, il gruppo trasse il suo nome da quello di un personaggio minore del film Butch Cassidy and the Sundance Kid. La band nacque nel 1968 ed era in origine composta da un terzetto: John Garner cantante e batterista, Louis Dambra alla chitarra e Gary Justin al basso. Il loro primo album intitolato Kingdom Come uscì nel 1971 ed è composto da dieci pezzi caratterizzati da un hard rock grezzo e immediato di chiara ispirazione blues, ricco di riff e assoli di chitarra e di cori soprattutto nei ritornelli. Il suono è spesso duro e, oltre ad essere alla base dei pilastri che formeranno poi il metal, getta anche le fondamenta dello stoner rock. Nove dei dieci pezzi dell'album sono veloci e aggressivi, ad essi si aggiunge l'unica balla intitolata Lake Isle of Innersfree che si apre con un lungo arpeggio e che si distingue per i suoni morbidi e tendenti al prog. Nel disco spiccano anche la grintosa titletrack che apre l'album, il secondo brano I Got Woman dai suoni più neri e tendenti al funk e Hell Hound impreziosito dagli scream e dai falsetti del cantante. L'album è generalmente noto anche per essere uno dei primi (anche se non il primo in assoluto, come abbiamo spiegato in passato) per il quale è stato usato il termine heavy metal.

L'anno seguente la band inserì un quarto elemento nella propria formazione con l'aggiunta di Joey Dambra (fratello di Louis) come secondo chitarrista e nello stesso anno pubblicò il proprio secondo ed eponimo album. Il secondo disco è composto di sole sei tracce e da subito si capisce come la band voglia sterzare e muoversi verso suoni leggermente più lenti ma più curati e patinati: tutto suona più preciso e meno immediato rispetto all'album di esordio, dal cantato ai riff di chitarra a tutta la strumentazione. In genere le sonorità dei Sir Lord Baltimore si spostano più verso il blues seguendo le orme dei giganti dell'hard rock britannico. Tra i pezzi migliori troviamo Loe and Behold che mostra chiaramente come le doti vocali del cantante siano notevolmente migliorate sia in termini di potenza sia in termini di precisione. Notevole anche il pezzo di apertura intitolato Man From Manhattan e lungo oltre dieci minuti dai suoni sorprendentemente lenti e ancora tendenti al prog. Chiude l'album un pezzo indicato come live intitolato Where Are We Going che secondo quanto riportato da Wikipedia fu invece registrato in studio con il rumore della folla aggiunto a posteriori, sentendo il pezzo effettivamente si nota come il rumoreggiare del pubblico non abbia alcuna coordinazione con la musica che sembra un po' troppo perfetta per essere incisa dal vivo, sia a livello musicale sia canoro.

Pochi anni dopo la band iniziò a scrivere il materiale per il terzo album, ma visto lo scarso successo commerciale del precedente il progetto fu abbandonato. I Sir Lord Baltimore interruppero l'attività per più di trent'anni fino a quando John Garner e Louis Dambra decisero di riunire la band aggiungendo alla formazione Tony Franklin (ex bassista di innumerevoli band tra cui Whitesnake e Quiet Riot e che in Italia ha lavorato con Eros Ramazzotti e Vasco Rossi ) al basso. Il terzo album fu pubblicato nel 2006 con il titolo Sir Lord Baltimore III - Raw e in questo caso le sonorità del gruppo si spostarono decisamente sul metal. Il gruppo riprese parte del materiale scritto negli anni 70 e lo riattualizzò cambiandone soprattutto i testi che nella loro versione definitiva trattano temi cristiani e biblici e spesso riferiti all'Apocalisse. I riff di chitarra sono molto più duri rispetto in passato, le qualità canore di Garner sono ancora migliorate e in generale i suoni sono più ricchi e variegati. Il disco è composto da soli sei pezzi di ottima qualità, oltre ai due aggressivi brani di apertura spicca il midtempo Wild White Horses della durata di quasi sette minuti in cui i Sir Lord Baltimore dimostrano di essere in grado anche di rallentare i ritmi e suonare pezzi più rilassati con grande efficacia.

Dal 2006 i Sir Lord Baltimore non sono mai tornata in sala di incisione e la morte del 2015 di John Garner ha definitivamente chiuso la carriera della band, che nella loro lunga e travagliata carriera ha realizzato solo tre album. Tuttavia è un vero peccato che questo gruppo sia così sottovalutato e semisconosciuto, perché va comunque a pieno titolo considerato come una delle migliori band della storia dell'hard rock e del metal, senza cui il panorama musicale di oggi non sarebbe uguale.

mercoledì 8 febbraio 2017

La scelta della copertina di Slippery When Wet

Slippery When Wet è uno dei più celebri, e forse il migliore, album dei Bon Jovi; uscito nel 1986 contiene alcuni dei brani più noti della band come You Give Love a Bad Name, Livin' on a Prayer e Wanted Dead or Alive. La copertina del disco mostra uno sfondo nero bagnato, con la scritta Slippery When Wet tracciata nell'umidità con le dita. Nonostante l'immagine sia semplice, e comunque di grande impatto, la storia dietro la scelta di questa fu lunga e tortuosa e rischiò di compromettere il successo dell'album stesso.

Come raccontato nel 2015 dallo stesso Jon Bon Jovi a The Canadian Press, la prima immagine proposta dalla band fu una foto di loro quattro in una miniera di carbone, tutti con la barba lunga di un mese e mezzo, con indosso dei lunghi cappotti duster; in origine il titolo dell'album avrebbe dovuto essere Wanted Dead or Alive. Vista la foto, la casa discografica si rifiutò di usarla commentando "Over our dead bodies", ma al contempo realizzare una copertina era urgente perché You Give Love a Bad Name (singolo di lancio pubblicato prima dell'album intero) veniva già trasmessa dalle radio; la Mercury Records decise quindi di prendere l'iniziativa realizzando una copertina alternativa che mostrava il busto di una donna di cui non si vedeva il viso, con una maglietta gialla succinta che recava la scritta Slippery When Wet. La foto era stata scattata in precedenza in una discoteca, anche se Bon Jovi non specifica nel suo racconto se la donna era una cubista o una cliente del locale. All'immagine fu quindi sovrapposto un contorno rosa con il nome del gruppo. Questa volta fu la band a opporsi all'uso di questa immagine proprio per via del contorno rosa, poco adatto a un album rock. In un'intervista dell'epoca Bon Jovi diede una spiegazione leggermente diversa e più in linea con l'immagine del rocker ribelle che incarnava al tempo, cioè che la band scartò la copertina con la maglietta gialla perché questa incontrò il parere negativo del Parents Music Resource Center, l'ente che valuta sotto il profilo morale ed educativo i contenuti discografici, e il loro responso avrebbe bloccato la distribuzione del disco.

Per uscire dallo stallo Bon Jovi prese un sacco nero per la pattumiera, lo bagnò con acqua e poi con le dita scrisse nell'umidità Slippery When Wet e propose l'immagine come copertina dell'album, creando così l'immagine che oggi tutti conosciamo. La foto della ragazza con la maglietta gialla non fu comunque scartata: venne usata per la stampa giapponese dell'album e la stessa foto allargata venne usata anche per alcune edizioni del 45 giri di You Give Love a Bad Name.

Curiosamente altre edizioni di You Give Love a Bad Name propongono una foto della band con lo stesso contorno rosa della foto della maglietta gialla, mentre quella più nota mostra ancora il sacchetto della pattumiera con il titolo della canzone sotto al nome della band.

Non sapremo mai se la foto con la maglietta gialla avrebbe compromesso l'immagine della band e il successo del disco. E' pur vero che altre band coeve dei Bon Jovi, come i Lizzy Borden o i Britny Fox, hanno usato immagini di ragazze in pose sexy nelle copertine dei loro dischi, ma i Bon Jovi hanno sempre mantenuto un'immagine più seria di questi altri gruppi e quindi i dubbi del loro cantante erano più che fondati. Non possiamo comunque non lodare la creatività di Jon che gli ha concesso di sbloccare la situazione con un sacchetto della pattumiera.

mercoledì 1 febbraio 2017

Marco Mendoza - Pavia, 31/1/2017

Mi sembrava incredibile che un musicista leggendario come Marco Mendoza potesse venire a suonare a Pavia, eppure il piccolo e storico Spaziomusica di via Faruffini ci ha regalato lo scorso 31 gennaio un concerto del mitico bassista che ha militato nei Whitesnake, nei Thin Lizzy, che ha suonato con Tim "Ripper" Owens, con Dolores O'Riordan e che da qualche anno è membro stabile dei Dead Daisies.

Mendoza ha fatto l'ingresso sul palco più informale che abbia mai visto, camminando in mezzo alla folla mentre beveva qualcosa di fresco, per poi salire sul palco facendosi spazio tra il pubblico accalcato, togliersi la sciarpa e la camicia di jeans che indossava sopra alla maglietta prima di imbracciare il basso.

Da quel momento sono state due ore di musica ininterrotta di sano hard rock allegro e sanguigno condito da forti venature funk e di sonorità nere. Mendoza, accompagnato da un chitarrista e un batterista italiani, ha eseguito principalmente pezzi dal suo album solita Live for Tomorrow del 2007 a cui ha aggiunto alcune cover di artisti con cui ha lavorato, come Hey Baby di Ted Nugent o Hole in My Pocket di Neal Schon, e alcuni omaggi al passato come I Feel Good di James Brown, Give Peace a Chance di John Lennon e God Bless the Child di Billie Holiday, unico brano lento e raccolto eseguito in mezzo al pubblico in una serata di energia a fiumi. E proprio grazie alla varietà del repertorio Marco dimostra anche di essere un musicista a 360 gradi, non legato solo all'hard rock ma in grado di spaziare e far apprezzare forme musicali molto diverse attingendo anche a piene mani dalla tradizione della musica nera.

Mendoza ha scelto di eseguire, come di consueto nei suoi live, un set molto ristretto di pezzi, circa una decina, arricchendo ciascuno di lunghi assoli di basso, parti suonate e divertentissime interazioni con il pubblico scendendo spesso a suonare in mezzo alla folla. Ogni brani dura così circa dieci minuti: scelta insolita, ma sicuramente vincente e che dà modo a Mendoza di esprimere anche il proprio lato umano. Marco infatti si rivela un musicista vicinissimo al suo pubblico, cosa non comune per un artista che ha venduto milioni di dischi, che non nega a nessuno una foto, un autografo o una battuta.

E quasi non sembra di ritrovarsi al concerto di un musicista storico, uno senza il quale il rock non sarebbe uguale, perché Mendoza è così umano che si comporta come se fosse solo un musicista di talento chiamato ad animare una festa tra amici, uno che chiede agli altri musicisti in sala come si chiamano i loro gruppi e se hanno una pagina Facebook e se i loro video si trovino su YouTube. E invece quell'uomo con la barba e le catene al collo è bassista leggendario, uno che ha scritto la storia del rock, e per una sera la storia del rock si è fermata a Pavia.

lunedì 30 gennaio 2017

Xandria - Theater of Dimensions

Con il nuovo album Theater of Dimensions i tedeschi Xandria sono alla terza prova in studio con la attuale cantante Dianne van Giersbergen, ad un anno e mezzo di distanza dall'EP Fire and Ashes pubblicato nel 2015. In questo nuovo album la band di Bielefeld ripropone il proprio suono caratteristico fatto di basi musicali veloci e potenti a cui si somma la voce cristallina della cantante che spesso si cimenta nell'uso del registro lirico. L'album è composto di 13 pezzi (18 nella versione deluxe grazie alla presenza di 5 bonus track registrate in acustico). L'uscita dell'album è stata anticipata di alcuni giorni dal video di Call of Destiny che ha mostrato fin da subito che rispetto al passato gli Xandria presentano sonorità più maestose, ricche di lunghe parti suonate e un maggiore uso di poderosi cori. Esempi di questo approccio si possono riscontrare ad esempio nella traccia di apertura Where the Heart is Home in cui il coro fa da seconda voce sul ritornello e in Ship of Doom in cui il canto corale a cappella apre il brano prima dell'ingresso degli strumenti per poi ripresentarsi in un vocalizzo nel ritornello.

La vera forza di questa band resta comunque la potentissima voce della van Giersbergen che mostra di avere una notevole estensione sia verso l'alto sia verso il basso. Dei tredici brani dodici sono veloci ed energici ed è presente una sola ballad intitolata Dark Night of the Soul dai suoni piuttosto tradizionali. Il disco vede anche la presenza di alcuni ospiti. Burn Me è cantata da Dianne con Zaher Zorgati, cantante della band power metal tunisina Myrath, accostando con grande efficacia due stili di canto radicalmente diversi. Nel disco è presente anche Björn Strid dei Soilwork nel brano We Are Murderers che proprio per via della presenza del cantante svedese è il pezzo peggiore del disco e l'unico che avrebbe potuto essere tolto senza intaccare la qualità dell'album, la spiegazione è presto data: Strid canta in growl aggiungendo un tocco davvero brutto a un brano altrimenti bellissimo. Gli altri due ospiti sono Russ Thompson dei Van Canto nella già citata Ship of Doom e Henning Basse nella teatrale e lunghissima title track di chiusura, ricca di cambi di tempo e di stile.


Come anticipato, l'album in versione deluxe contiene cinque tracce in acustico. Le prime due sono Call of Destiny e Dark Night of Soul a cui seguono In Rememberance (la cui versione originale si trova su Fire and Ashes), Sweet Atonement (originariamente incisa su Sacrificium) e Valentine (tratta da Neverworld's End dove era cantata dalla precedente vocalist Manuela Kraller). Come sempre i brani acustici mostrano un lato diverso dei musicisti, sicuramente più leggero e meno aggressivo e più attento ai dettagli esecutivi, in particolare spicca sulle altre la nuova versione di Valentine che trasforma un pezzo aggressivo in uno leggero e divertente guidato dal suono delle chitarre acustiche nel quale Dianne dimostra di essere a proprio agio anche in uno stile di canto più tradizionale.

In sintesi Theater of Dimensions è un vero capolavoro del symphonic metal e il miglior disco della carriera degli Xandria per ricchezza dei suoni e per precisione nelle esecuzioni. Non si può infine non notare che i migliori dischi degli Xandria sono proprio gli ultimi tre e il merito è in ottima parte di Dianne van Giersbergen che si dimostra superiore alle due, pur brave, cantanti che l'hanno preceduta e che ha concesso al gruppo di affrancarsi dell'etichetta di clone tedesco dei Nightwish sviluppando sonorità proprie che li proiettano tra i migliori gruppi del panorama attuale del symphonic metal.

lunedì 23 gennaio 2017

Mike Oldfield - Return to Ommadawn

Il nuovo album del compositore e polistrumentista britannico Mike Oldfield arriva nei negozi tre anni dopo il precedente Man on The Rocks uscito nel 2014 e costituito interamente di canzoni, Man on The Rocks fu il secondo album della lunga carriera di Oldfield ad essere composto solo da brani cantanti a ben venticinque anni di distanza dal primo Earth Moving. Il nuovo disco specifica fin dal titolo in quale direzione voglia andare e quanto questa sia diversa da quella dell'album precedente, Return to Ommadawn si riallaccia infatti chiaramente al terzo album di Mike Oldfield uscito nel 1975 ed intitolato proprio Ommadawn, disco interamente strumentare e caratterizzato da sonorità celtiche condite saggiamente dall'uso di percussioni africane. Return to Ommadawn è anche il primo album di Mike Oldfield ad essere composto da due tracce strumentali intitolate semplicemente Part 1 e Part 2 da Incantations del 1978.

Con Return to Ommadawn Mike Oldfield propone quasi cinquanta minuti di musica d'atmosfera, rilassante e che trasporta in terre lontane e fantastiche, come nella migliore tradizione dei dischi strumentali del musicista di Reading. Anche in questa occasione, come in molte altre in passato, Oldfield suona tutti i venticinque strumenti tra tastiere, strumenti a corda e percussioni. Oltre ai consueti chitarra acustica, chitarra elettrica, basso e Hammond, non mancano strumenti meno comuni come metallofono, tamburo a cornice e arpa celtica. Il suono è armonico e varia poco tra le due metà del disco, l'unica differenza che si nota è che la seconda parte presenta un suono leggermente più aggressivo e meno rilassato della prima per via di una maggiore distorsione nelle chitarre. L'album è interamente strumentale con la sola eccezione della traccia vocale del coro di bambini di On Horseback, tratto da Ommadawn, e sovrapposta uguale verso nella seconda metà della prima traccia.

Return to Ommadawn è un disco di grande effetto che dimostra ancora una volta che nella sua quarantennale carriera Mike Oldfield non ha mai compiuto un passo falso e offre un'ottima prova dell'ecletticità dell'autore che riesce a passare dal rock alla musica strumentale con una facilità incredibile. E il fatto che Oldfield sia in grado di suonare una tale vastità di strumenti e di comporre musica che usi suoni così diversi proietta l'autore di diritto tra i più grandi musicisti di ogni tempo.

venerdì 20 gennaio 2017

Lock Up - Something Bitchin' This Way Comes

Prima di essere il chitarrista dei Rage Against The Machine e degli Audioslave, Tom Morello militava in una band chiamata Lock Up che ebbe una brevissima carriera alla fine degli anni 80. La band nacque nel 1987 e la formazione originale era composta da Mike Livingston alla chitarra, Kevin Wood al basso, Micheal Lee alla batteria e Brian Grillo alla voce. Lee lasciò la band poco dopo la fondazione e fu sostituito da D. H. Peligro il quale rimase nel gruppo per un periodo molto breve per poi essere a sua volta sostituito da Vince Ostertag. Nel 1988 Morello prese il posto di Livingston e Chris Beebe sostituì Wood al basso.

Con la formazione definitiva la band incise un solo album nel 1989 intitolato Something Bitchin' This Way Comes. La musica dei Lock Up si inserisce nel filone funk metal che a cavallo tra gli anno 80 e 90 includeva anche gruppi come i Fishbone e i Primus e che è composta da un hard rock vibrante e divertente condito con profonde venature di musica nera di ispirazione funk.

L'album dei Lock Up è composto da dodici brani il cui suono è contraddistinto dalla chitarra di Morello che si esprime in modo completamente diverso da quando farà in seguito nei Rage Against The Machine basandosi soprattutto su arpeggi e tapping; un altro aspetto distintivo dei Lock Up è la voce saltellante di Brian Grillo che risente sicuramente anche dell'esplosione dell'hip-hop che in quel periodo dominava le classifiche. Delle dodici tracce del disco, undici sono veloci e potenti e a queste si aggiunge il midtempo Kiss 17 Goodbye (scritto con 17 al posto di It anche sulla copertina del singolo) che rallenta leggermente il ritmo rispetto al resto del disco.

Tra i pezzi migliori e più energici troviamo sicuramente il brano di apertura Can't Stop the Bleeding arricchito dal controcanto sul ritornello dei tre strumentisti. Oltre a questo si distinguono Nothing New (di cui fu anche realizzato un video), Punch Drunk e Half Man, Half Beast in quanto sono i pezzi in cui si notano maggiormente gli esperimenti sonori di Morello alla chitarra.

Dopo l'uscita dell'unico album anche Ostertag lasciò il gruppo e fu sostituito da Jon Knox, ma il gruppo si sciolse poco dopo. Tuttavia l'unica prova in studio dei Lock Up è un disco di grande valore perché dimostra anzitutto l'incredibile versatilità di Tom Morello che nei decenni a venire avrebbe intrapreso strade musicali completamente diverse dal funk metal, ma anche che talvolta dei musicisti semisconosciuti possono creare album ottimi in grado di regalare un'ora di musica divertente e per nulla banale.

venerdì 13 gennaio 2017

Da dove nasce il termine blues?

Il blues è una delle forme musicali più influenti dell'ultimo secolo perché fu proprio dalle incisioni della leggendaria Chess Records di Chicago che presero le mosse il soul, il rock & roll, l'hard rock, l'heavy metal e ogni altro aspetto della musica moderna. Ciò che spesso si ignora è come il termine blues sia entrato nel lessico mondiale per descrivere questo genere musicale nato nel sud degli Stati Uniti.

Come riportato dall'articolo Why Is the Blues Called the ‘Blues’? di Debra Devi, il termine blues che oggi tutti utilizziamo deriva dalla contrazione di blue devils che nell'inglese classico indicava uno stato emotivo di tristezza e malinconia. Un primo uso di questo termine si trova nel titolo dell'opera teatrale Blue Devils del drammaturgo londinese George Colman del 1798. Ma lo stesso termine già nel 1600 indicava lo stato di allucinazione seguito all'abuso di alcol e nel diciannovesimo secondo negli Stati Uniti vennero varate le Blue Laws per proibire il consumo di bevande alcoliche nei giorni festivi.

Il primo uso documentato del termine blues in campo musicale risale alla composizione del 1908 I Got the Blues del musicista italiano Antonio Maggio che, come riportato dalla newsletter dell'Hogan Jazz Archve, nacque a Cefalù nel 1876 e si trasferì a New Orleans nel 1892. Tuttavia come si può facilmente verificare ascoltandolo, il brano non afferisce al blues come lo intendiamo oggi ma è piuttosto un ragtime.

I volumi The History Of The Blues: The Roots, The Music, The People di Francis Davis e The Country Blues di Samuel B. Charters riportano che quattro anni dopo, nel  marzo del 1912, il compositore Hart Wand di Oklahoma City usò di nuovo il termine blues nel suo brano intitolato Dallas Blues, ma anche in questo caso si tratta di un ragtime e non di un blues. Nell'agosto dello stesso anno il musicista Arthur Seal pubblicò Baby Seals Blues, in cui di nuovo a dispetto del titolo non si trovano le sonorità tipiche del blues.

Nel settembre dello stesso anno il musicista afroamericano William Christopher Handy compose il brano intitolato Memphis Blues che come sonorità si avvicina sicuramente di più al blues che poi sarebbe entrato nella tradizione della musica nera americana. L'anno seguente Wand cercò di ripetere il successo di Dallas Blues con Jogo Blues (dove la parola Jogo significa uomo di colore, come spiegato dallo stesso Handy nella sua autobiografia intitolata Father of Blues pubblicata nel 1941) e nel 1914  lo stesso autore pubblicò il celeberrimo Saint Louis Blues che virò ancora più energicamente sui suoni neri di ciò che sarebbe diventato il blues. Ad oggi Saint Louis Blues è uno degli standard più noti del jazz e del blues e vanta decine di interpretazioni da parte di grandissimi cantanti di ogni era come Billie Holiday o Chuck Berry

Secondo quanto riportato dai libri Long Lost Blues: Popular Blues in America, 1850-1920 di Peter C. Muir ed Encyclopedia of the Blues di Edward Komara, Maggio sostenne che Handy prese spunto dal suo lavoro nel realizzare Saint Louis Blues; nonostante sia poco probabile che Handy si sia spostato fino a New Orleans è invece plausibile che possa aver sentito il brano di Maggio a Memphis. Questo non deve suggerire che Handy abbia copiato, quando piuttosto che abbia tratto ispirazione dall'opera di Maggio come naturalmente accade nella scrittura di musica di ogni tipo. Del resto l'autobiografia di Handy non menziona Maggio da nessuna parte e quindi lo spunto tratto da Handy dalla musica di Maggio, ammesso che esista, può essere considerato involontario.

Possiamo quindi considerare William Christopher Handy come il padre del blues, ma il fatto che si sia ispirato a un lavoro di un siciliano può renderci orgogliosi del fatto che fu un italiano a porre il primo mattone alle fondamenta della musica nata nell'ultimo secolo.

sabato 7 gennaio 2017

Rolling Stones - Blue & Lonesome

Il 2016 ha visto il ritorno dei leggendari Rolling Stones, band dall'incredibile longevità che di certo non ha bisogno di presentazioni. Il nuovo album del gruppo di Mick Jagger si intitola Blue & Lonesome ed è il primo disco interamente di cover del quartetto inglese. I Rolling Stones fanno una scelta coraggiosa decidendo di reincidere dodici classici del blues di Chicago, spaziando da Little Walter a Magic Sam fino ad Howlin' Wolf. Prima di Blue & Lonesome l'album dei Rolling Stones che conteneva più cover era il loro eponimo disco di esordio del 1964 che ne conteneva nove più tre inediti.

Se da un lato la scelta di attingere dal blues di Chicago può sorprendere, perché il gusto degli ascoltatori moderni è molto lontano da quel genere musicale, dall'altro non va dimenticato che la carriera dei Rolling Stones prese le mosse proprio da quel repertorio come confermato dal suono dei loro dischi della origini ma soprattutto dal fatto che il nome stesso della band è tratto dal 45giri Rollin' Stone di Muddy Waters.

Il gruppo interpreta i classici mantenendo le melodie fedeli a quelle degli interpreti storici facendo anche grande uso dell'armonica, suonata da Mick Jagger che in questo disco non suona la chitarra, e delle chitarre in stile blues grazie anche alla presenza di Eric Clapton, ospite d'eccezione in Everybody Knows About My Good Thing di Little Johnny Taylor e I Can't Quit You Baby di Willie Dixon. La fedeltà agli originali è tale da regalare a questo disco un pregio di grande valore: l'album suona vecchio. I pezzi suonati dagli Stones non sembrano cover nuove di brani classici, ma pezzi presi di peso dalla Chicago degli anni 50 e trapiantati ai nostri giorni. Trattandosi di classici della musica è davvero arduo individuare pezzi migliori di altri perché ci troviamo davanti a dodici tracce da ascoltare e che trasportano in luoghi e tempi lontani interpretate con grande maestria da quattro leggende della musica.

Se proprio dovessimo scegliere i brani migliori di questo disco la scelta cadrebbe su Just a Fool di Buddy Johnson, qui interpretata nella versione di Little Walter, e I Gotta Go ancora di Little Walter per via del suono dell'armonica che non può mancare nei pezzi di Walter. Di grande impatto è anche la già citata Everybody Knows About My Good Thing grazie alla tecnica della slide guitar eseguita magistralmente da Clapton.

Il disco è stato registrato il soli tre giorni nel dicembre del 2015 e rende un bellissimo omaggio a un genere musicale da cui è nata ogni forma di musica moderna. La nostra speranza è che Blue & Lonesome possa far conoscere questi classici e i loro autori alle nuove generazioni, perché a chi non conosce il blues di Chicago manca una bella fetta delle basi per capire tutto ciò che è venuto dopo e che esiste oggi.