mercoledì 16 febbraio 2022

La morte di Keith Flint

La mattina del 4 marzo del 2019 la polizia della contea dell'Essex, nell'Inghilterra orientale, venne chiamata da un dipendente del proprietario di una villa del quindicesimo secolo che aveva trovato il proprio datore di lavoro morto in casa. La polizia intervenne e trovò l'uomo impiccato, vittima evidentemente di un suicidio. Il proprietario suicida della villa era il quarantanovenne vocalist dei Prodigy Keith Flint, che negli anni 90 aveva goduto di notevole fama grazie al successo di brani quali Firestarter e Breathe che al tempo avevano molto airplay su MTV.


Flint aveva passato gli ultimi giorni della sua vita in apparente serenità. Sabato mattina, due giorni prima di essere trovato senza vita, aveva partecipato alla Chelmsford Central Parkrun, corsa amatoriale che si tiene ogni sabato al parco di Chelmsford, capitale della contea, su una distanza di cinque chilometri. Il cantante finì la competizione in ventidue minuti e ventuno secondi, stabilendo il proprio record personale. Dopo la corsa, pranzò con il suo personal trainer al Galvin Green Man di Chelmsford dove sembrava essere felice della sua forma fisica e dove scherzò anche con una famiglia seduta a mangiare vicino a loro, dopo che uno dei bambini fece cadere a terra una forchetta. Keith riservò qualche battuta anche al fotografo che lo aveva seguito nel locale a cui disse di voler essere ancora the firestarter, scherzando sul fatto di essere seduto vicino a un camino spento. Il giorno successivo, il cantante fu visto in un altro locale di Chelmsford, The Compasses, a bere senza dare particolari segni di stress o depressione.

Il giorno seguente, lunedì 4 marzo, la polizia trovò Flint morto impiccato nella sua villa nella periferia di Dunmow. Da subito gli inquirenti esclusero che si trattasse di omicidio, perché non c'erano segni di scasso, lotta o null'altro che facesse pensare a un atto criminale. La band confermò subito su Twitter il decesso del loro vocalist e il DJ Liam Howlett, con un drammatico post su Instagram, chiarì subito che il gruppo non aveva dubbi sul fatto che Keith si fosse tolto la vita. Del resto che Flint soffrisse di depressione non era una novità; nei primi anni duemila, dopo che la band non riuscì a replicare il successo di The Fat of the Land e dopo un tentativo fallimentare di disco solista, contrariamente ai buoni risultati ottenuti in solitaria dall'altro vocalist Maxim, Keith sviluppò una grave dipendenza da alcol e medicinali. Dipendenza da cui riuscì a liberarsi solo grazie al contributo della moglie, la DJ giapponese Mayumi Kai (nota con lo pseudonimo DJ Gedo Super Mega Bitch), sposata nel 2006.


Tuttavia il matrimonio tra i due era fallito alla fine del 2018 e nonostante sembrasse sereno e allegro all'esterno, Keith Flint stava attraversando un periodo difficile. Mayumi pochi mesi prima della morte del cantante aveva lasciato la casa nell'Essex, che Flint aveva comprato nel 1997 all'apice del suo successo. Nel febbraio del 2019 i due avevano messo in vendita la casa e Keith aveva contattato la moglie per provare a riconciliarsi con lei e a convincerla a rinunciare alla vendita della casa, ma la donna che si era trasferita di nuovo in Giappone fu inamovibile. Curiosamente l'omonimia causò problemi ad un altra DJ di nome Mayumi Kai che dovette chiarire sui social network di non essere la moglie di Keith Flint. Quelli coniugali non erano gli unici problemi che lo affliggevano, perché Keith al momento della morte aveva oltre sette milioni di sterline di debiti e la catena di pub di cui era proprietario era in negativo di cinquecentomila sterline. La delusione, la tristezza, e probabilmente la consapevolezza che non sarebbe mai tornato al successo di metà anni 90, portarono Keith a ricadere nelle proprie dipendenze; infatti l'autopsia stabilì che il cantante aveva in corpo alcol, cocaina e codeina al momento del decesso.

All'inchiesta tenutasi l'8 maggio 20019, il coroner comunicò le proprie conclusioni, secondo cui la causa della morte poteva essere il suicidio o un incidente domestico e che sarebbe stato impossibile arrivare a una conclusione definitiva. Purtroppo i fatti più recenti e il parere di Liam fanno propendere per la peggiore delle due ipotesi: Keith Flint è rimasto vittima della propria depressione e dei problemi che stava affrontando.



Fonti:

giovedì 3 febbraio 2022

Intervista a Giacomo Voli

Per commentare il recente successo all'edizione 2021 di All Together Now su Canale 5 e per parlare del nuovo album dei Rhapsody of Fire, Glory for Salvation, il vocalist della band Giacomo Voli ha accettato la nostra proposta di un'intervista che offriamo di seguito al nostri lettori.

Ringraziamo Giacomo per la sua cortesia e disponibilità.


martedì 25 gennaio 2022

Chi è la vocalist di Man in the Rain di Mike Oldfield?


Nel 1998 il compositore britannico Mike Oldfield pubblicò il terzo volume della serie Tubular Bells che conteneva tra le altre tracce il brano Man in the Rain, basato in modo molto evidente su Moonlight Shadow di cui è quasi un'autocover. Purtroppo su chi sia la vocalist che dà la voce al brano permane da allora molta confusione, i nomi che vengono proposti sono due: Cara Dillon e Pepsi DeMacque, ma le due vengono spesso scambiate.

Come si può facilmente riscontrare dal booklet dell'album, la vocalist che ha inciso la traccia in studio è l'irlandese Cara Dillon il cui nome compare come Cara from Polar Star in quanto al tempo la cantante faceva parte del duo Polar Star insieme a Sam Lakeman. Tuttavia la cantante non fu disponibile per le esibizioni dal vivo e venne sostituita da Helen "Pepsi" DeMacque, al tempo nota per aver fatto parte del duo Pepsi & Shirlie e per essere stata una corista degli Wham. Pepsi interpretò Man in the Rain al concerto di presentazione dell'album al Horse Guards Parade di Londra il 4 settembre del 98, nella tournée Then & Now svoltasi tra giungo e luglio del 1999 e al concerto The Art in Heaven Concert che si è tenuto nella notte tra il 31 dicembre 1999 e l'1 gennaio 2000 a Berlino.

In questo periodo, compreso tra la fine del 1998 e il 2000, Oldfield fu invitato dalla televisione tedesca al Golden Europe Award del 1999, dove fu insignito del premio Lifetime Award International, a interpretare Man in the Rain con Pepsi DeMacque, ma l'esibizione fu in playback e Pepsi fece quindi lip-sync sul cantato di Cara Dillon registrato in studio. Essendo questo il video più celebre del brano, di cui non esiste un videoclip ufficiale, ed essendo la canzone esattamente uguale a come suona dal disco, molti sono stati negli anni portati a pensare che la voce registrata in studio sia quella di Pepsi DeMacque. In ogni caso basta ascoltare una delle esibizioni dal vivo di Pepsi, che nel sopracitato concerto di Londra cantò anche Moonlight Shadow, per verificare che le due vocalist hanno voci completamente diverse: acuta e cristallina quella di Cara, potente e profonda quella di Pepsi.

Ad aumentare la confusione su chi sia l'interprete di Man in the Rain, talvolta viene riportato un terzo nome: quello di Heather Burnett. Anche in questo caso però il booklet chiarisce quale fu il ruolo di Heather perché il suo nome compare come additional vocals, cioè fece da corista a Cara Dillon.


Nel periodo della collaborazione tra Pepsi DeMacque e Mike Oldfield, la cantante partecipò anche alla realizzazione dell'album The Millennium Bell prestando la voce a tre tracce.

L'equivoco è stato quindi causato da una registrazione in playback, oggi molti ancora riportano il nome di Pepsi DeMacque come quello della voce solista di Man in the Rain, ma si tratta di un evidente errore: l'unica ad averla registrata in studio fu Cara Dillon.

martedì 18 gennaio 2022

James Taylor Quartet - Wait a Minute



Il James Taylor Quartet è una delle realtà di spicco dell'acid jazz degli anni 90; il gruppo esordì nel 1987 con Mission Impossible (album composto di cover di colonne sonore tra cui il celebre motivo omonimo di Lalo Schifrin) a cui seguì The Money Spyder nello stesso anno. Il terzo album del gruppo resta ad oggi la loro più celebre incisione ed uscì nel 1988 con il titolo Wait a Minute. Il disco è composto da dodici tracce, che salgono a tredici nell'edizione in CD, e che fanno esattamente ciò che ci si aspetta da una composizione del genere con un acid jazz ricco di innesti funk jazz guidato dall'organo Hammond suonato dal leader del quartetto James Taylor.

Tutte le tracce del disco suonano divertenti e di rapida presa, regalando così all'ascoltatore un disco di jazz di facile ascolto. Tra le dodici tracce ci sono otto composizioni inedite, tra cui la title track che è l'unica a contenere una linea vocale, e quattro cover quali una rivisitazione del tema di Starsky & Hutch, Jungle Strut di Gene Ammons (resa celebre anche da una cover dei Santana), il tema di Lulu di Johnny Harris e The Natural Thing di Jack McDuff. Nella versione in CD troviamo anche la cover di I Say a Little Prayer di Burt Bacharach interpretata negli anni da dive quali Dionne Warwick, Aretha Franklin e Diana King. Tra i brani più divertenti del disco troviamo, oltre alla già citata title track, anche gli echi caraibici di Indian Summer (da non confondere con l'omonima canzone dei Doors) e le suggestioni sudamericane di Baion-Ara.

Il James Taylor Quartet proseguì dopo Wait a Minute con il jazz strumentale per un solo disco, per poi cambiare radicalmente strada negli anni 90 passando a una mescolanza di soul e funk cantato e da allora l'attività della band non si è mai arrestata e oggi ha all'attivo più di trenta album, di cui alcuni firmati con lo pseudonimo di New Jersey Kings, l'ultimo dei quali intitolato Baker's Walk è uscito nel 2021. La discografia del combo guidato da James Taylor, originario di Rochester nel Kent, è costellata di successi e collaborazioni sia in studio sia dal vivo tra le quali Wait a Minute occupa un posto di rilievo e può essere un buon punto di partenza per scoprire questo straordinario gruppo e anche un facile primo ascolto per chi vuole entrare nel magico mondo della musica jazz.

lunedì 10 gennaio 2022

Rap: Una storia, due Americhe di Cesare Alemanni

Nel 2019 lo scrittore Cesare Alemanni ha pubblicato il volume Rap: Una storia, due Americhe che, come dice il titolo stesso, narra la storia della musica rap ponendo in parallelo ad essa le contraddizioni sociali degli Statu Uniti, in cui uno dei movimenti culturali più importanti del ventesimo secolo è nato in un contesto di povertà e criminalità lontanissimo dagli sfavillanti ambienti della finanza e del capitalismo che hanno fatto grande l'America. Il libro di Alemanni parte della nascita del rap nei ghetti di uptown New York negli anni 70 ed arriva fino ai giorni nostri con i più recenti casi di Drake o del movimento del sud degli Stati Uniti che ha trovato il proprio epicentro ad Atlanta, ed è particolarmente efficace per almeno due motivi.

Anzitutto l'autore spende gran parte del suo scritto nello spiegare il contesto sociale in cui le varie fasi del rap si sono sviluppate, passando quindi dai movimenti del black power alle rivolte di Los Angeles fino all'impoverimento di Detroit a causa dello spostamento della manodopera dell'industria automobilistica. Più avanti nel volume troviamo anche l'impatto che eventi più recenti, come l'11 settembre e le presidenze Obama e Trump abbiano avuto sulla musica hip hop.

In secondo luogo Alemanni non edulcora mai la propria narrazione mettendo in evidenza le contraddizioni e la superficialità di certe frange del rap che si ispirano a modelli comportamentali violenti, al contempo non si lascia andare a facili giudizi spiegando sempre quale sia il background di tali scelte. L'analisi dell'autore è molto lucida e distaccata anche nell'analizzare le azioni degli ultimi due presidenti, sottolineando l'incauto ottimismo di Obama, che invitava i genitori afroamericani a dare il buon esempio ai figli quando molti degli adolescenti afroamericani non avevano uno o entrambi i genitori, o l'inadeguatezza di Trump che Alemanni non esita a definire parafasciscta.

Trovare difetti a questo libro è veramente difficile perché funziona sotto praticamente tutti i punti di vista, dando un buon quadro di insieme su un tema sfaccettato e complesso come quello della musica rap e costituisce proprio per questo un ottimo prodotto come in italiano se ne vedono pochi.

mercoledì 22 dicembre 2021

Sarah Brightman - A Winter Symphony


Nel 2008 la soprano inglese Sarah Brightman ha pubblicato il suo primo, e finora unico, album natalizio intitolato A Winter Symphony che riprende il titolo di un precedente LP della cantante intitolato Symphony uscito a gennaio dello stesso anno.

Nel disco Sarah interpreta dodici pezzi, più varie bonus track contenute nelle diverse edizioni deluxe uscite dalla pubblicazione iniziale, della tradizione del natale attingendo dal classici come Silent Night o Jesu, Joy of Man's Desiring (composta nel diciannovesimo secolo sulla musica di Herz und Mund und Tat und Leben di Johann Sebastian Bach), brani moderni come I Believe in Father Christmas di Greg Lake e I Wish It Could Be Christmas Everyday dei Wizzard, e un'inedita Ave Maria in spagnolo scritta dalla stessa Brightman con il compositore messicano Jorge Avendaño Lührs e interpretata insieme al cantante argentino Fernando Lima.

L'album ha la sonorità che ci aspetta, con un canto elegante nello stile del classical crossover di cui Sarah Brightman è una delle migliori esponenti al mondo, arricchito da venature new age, che si sentono maggiormente nei brani di atmosfera come In the Bleak Midwinter, la cover di I've Been This Way Before di Neil Diamond, Amazing Grace, o l'Ave Maria di Gounod.

Nei brani lenti la cantante dà sfoggio del meglio delle sue doti canore grazie ad acuti celestiali, tuttavia riesce a interpretare in modo ottimo anche i pezzi veloci come la già citata I Wish It Could Be Christmas Everyday e Arrival degli ABBA, qui incisa con il testo di Björn Ulvaeus scritto per il musical Mamma Mia!, che finì comunque per essere esclusa dalla versione finale. Non si tratta dal primo adattamento cantato di Arrival, in quanto anche Time di Frida (una delle due vocalist degli ABBA) e BA Robinson e Belle della stessa Frida con in cantante francese Daniel Balavoine, entrambe del 1983, utilizzarono la base di Arrival, ma la versione di Sarah Brightman è la prima che utilizza la parola arrival come titolo e nel ritornello e grazie alla sua potenza interpretativa è sicuramente il brano più coinvolgente del disco.

Con la prima stampa dell'album ne è stata realizzata una versione deluxe venduta solo da Barnes & Noble che include come bonus track Happy Xmas di John Lennon, Carpe Diem del musicista tedesco Freddy Sahin-Scholl del 1999 e When a Child is Born, canto natalizio scritto sulla musica di Soleado del gruppo italiano Daniel Sentacruz Ensemble del 1974. Altre bonus track sono incluse nella versione giapponese che si conclude con First of May dei Bee Gees, canzone che parla del Natale nonostante sia stata pubblicata nei primi mesi del 1969, e la ballata folk irlandese He Moved through the Fair.

A Winter Symphony sicuramente non regala sorprese, le sonorità offerte sono quelle consuete delle composizioni di Sarah Brightman, ma non per questo è un album meno godibile delle attese. Se approcciato con le giuste aspettative è sicuramente un album divertente che crea un'atmosfera natalizia unica e magica grazie alla voce unica di Sarah Brightman che sa creare mescolanze suggestive di stili diversi come pochissimi altri.

lunedì 13 dicembre 2021

Storia di Happy Xmas (War Is Over) di John Lennon e Yoko Ono


Happy Xmas (War Is Over) è una delle canzoni più note e riconoscibili della tradizione natalizia degli ultimi decenni. Nonostante sia celebre, iconica ed entrata di diritto nei classici del Natale, si tratta di un pezzo piuttosto recente, scritto e inciso da John Lennon con la moglie Yoko Ono nel 1971.

Happy Xmas arrivò al culmine di due anni di attivismo pacifista della coppia rivolto in particolare alla guerra in Vietnam e iniziato nel primi mesi del 1969 con i bed-in per la pace di Amsterdam e Montreal e proseguito con l'acquisto di spazi pubblicitari in dodici città del mondo per l'esposizione del cartello che recava la scritta WAR IS OVER! If You Want It – Happy Christmas from John & Yoko, frase che verrà poi ripresa proprio in Happy Xmas. Prima di allora altre due celebri canzoni pacifiste avevano usato il verso the war is over: la canzone intitolata proprio The War is Over di Phil Ochs e The Unknown Soldier dei Doors, entrambe del 1968. Non è noto se Lennon abbia preso spunto da queste due incisioni precedenti alla sua, si tratta in ogni caso di una frase molto semplice e ovvia.

Pochi mesi prima nello stesso anno, Lennon aveva pubblicato Imagine e, intenzionato a replicarne il successo commerciale, decise di riproporne l'esperimento, realizzando un altro pezzo che condiva il proprio messaggio politico con una melodia accattivante e che desse un messaggio positivo anziché uno negativo, arricchendo il tutto con le atmosfere natalizie. Nelle prime settimane di ottobre del 1971 Lennon registrò due demo con solo chitarra e voce: la prima nella stanza del St. Regis Hotel dove alloggiava con Yoko Ono, e la seconda nell'appartamento di Greewich Village nel quale nel frattempo si erano trasferiti. La melodia del brano e la struttura melodica non erano creazioni inedite, ma erano tratte dalla ballata inglese Skeball del diciottesimo secolo nella recente interpretazione di Peter, Paul and Mary del 1963.

Lennon propose quindi il pezzo al produttore Phil Spector che aggiunse spunti presi da altri pezzi da lui prodotti: il verso iniziale So this is Christmas fu preso dall'intro di I Love How You Love Me delle Paris Sisters e i riff di chitarra da Try Some, Buy Some della moglie del produttore Ronnie Spector, alla cui produzione aveva partecipato anche George Harrison. Happy Xmas fu registrato nello studio Record Plant di New York a partire dal 28 ottobre del '71 e fu pronto in una sera, con la sola esclusione della parte corale dell'Harlem Community Choir, gruppo vocale di bambini tra i quattro e i dodici anni, che aggiunse i propri cori il 31 ottobre. Nelle stesse sessioni venne registrato anche il B-Side Listen, the Snow Is Falling, cantato dalla sola Yoko Ono.

Il 45 giri fu pubblicato l'1 dicembre del 1971, in ritardo per l'airplay natalizio e infatti si dovette aspettare la ristampa del 1972 affinché scalasse le classifiche e diventasse il singolo natalizio che oggi conosciamo e che vanta innumerevoli cover e reinterpretazioni.

Happy Xmas fu il primo, ma non l'unico, singolo natalizio pubblicato dai quattro ex Beatles; fu infatti seguito da Ding Dong, Ding Dong di George Harrison nel 1974, Wonderful Christmastime di Paul McCartney del 1979 e due decenni dopo, nel 1999, da I Wanna Be Santa Claus di Ringo Starr. Tuttavia nessuno di questi raggiunse la notorietà del pezzo di Lennon che a distanza di cinque decenni può essere considerato a pieno titolo un classico moderno del Natale.


Fonti:
  • 33 Revolutions per Minute: A History of Protest Songs, from Billie Holiday to Green Day, di Dorian Lynskey
  • Lennon Lives Forever, di Mikal Gilmore
  • Come together: John Lennon in his time, di Jon Wiener
  • The Beatles Diary Volume 2: After The Break-Up 1970-2001, di Keith Badman