giovedì 29 settembre 2016

Steel Panther - Milano, 28/9/2016

Nota: Questo articolo è stato scritto dal nostro guest blogger Tino, che ringraziamo per il prezioso contributo.

La musica non è come il cinema, nella musica ci sono i cicli si diceva in Be Cool, film del 2005 dove John Travolta interpretava un produttore musicale; mai come ora questa affermazione è vera, sopratutto se parliamo degli Steel Panther: una strepitosa band californiana che unisce, in pieno stile anni 80, musica orecchiabile ma potente e graffiante, capelloni, magliette strappate, testi espliciti a sfondo sessuale.

Il quartetto inizia la sua carriera all'inizio degli anni duemila, ma tra cover e apparizioni in spettacoli televisivi non fece molto altro e dovette aspettare il 2009 con il lancio di Feel the Steel che gli valse quasi la nomination per la categoria Best Comedy Album ai Grammy Awards del 2010.

Con una popolarità in crescita costante e l'uscita del secondo disco Balls Out, gli Steel Panther furono invitati ad aprire i concerti dei Def Leppard e dei Mötley Crüe e, solo una settimana dopo, dei Guns 'n Roses. Nei due anni successivi molte date dei due tour in UK, del tour in Europa e dei due tour in Australia (il primo dei quali sponsorizzato da Brazzers) furono dei completi sold-out e al Download Festival del 2012 si esibirono davanti a una folla di 100.000 persone.

L'ultimo album in studio della band, All You Can Eat, è del 2014 e il suo successo consente alle cotonate pantere di poter organizzare il primo tour negli Stati Uniti come headliner. Unica produzione live della band è Live From Lexxi's Mom Garage, un live acustico davanti a un pubblico di sole donne. Inclusa, appunto, la madre del bassista Lexxi Foxx.

Lo spettacolo sul palco laterale dell'Alcatraz inizia mandando on-air I Love It Loud dei Kiss, un inizio piuttosto insolito, prima dell'ingresso della band in pantaloni attillatissimi, magliette strappate e fasce in testa in puro stile anni 80 e iniziando lo spettacolo con Eyes of a Panther seguita da Just Like Tiger Woods. Il gruppo intervalla molti siparietti divertenti e autoironici durante il concerto, Satchel ad esempio ha chiesto quanti tra il pubblico sono venuti al concerto pensando di vedere i Poison.

Il concerto poi prosegue con Party Like Tomorrow is The End of The World, Asian Hooker, Turn Out the Lights prima di uno spettacolare assolo di chitarra dove Satchel ha suonato molti riff di pezzi famosissimi di altri gruppi (Iron Maiden, Guns 'n Roses, Metallica solo per citarne alcuni) mentre con un piede picchiava il pedale della cassa della batteria. Prosegue la carrellata di pezzi prima di arrivare alla parte acustica del concerto con She's on the Rag e arrivare al secondo spettacolino della band. Michael Starr invita una ragazza sul palco, Michelle, e sulle note dell'omonimo pezzo dei Beatles i quattro mattacchioni improvvisano un momento alla Uomini e Donne dove cercando di corteggiare (invano) la povera malcapitata.

17 Girls in a Row genera un po' quello che tutti si aspettano ovvero l'invasione di una ventina di ragazze sul palco che rimangono anche per il pezzo successivo, Gloryhole tratto dal loro ultimo album in studio.

I cavalli di battaglia Community Property e Death to All but Metal portano il concerto alla finta conclusione prima dei due pezzi finali Fat Girl e Party All Day (Fuck All Night).

16 pezzi per un paio d'ore di spettacolo, gli Steel Panther hanno dimostrato non solo di essere degli ottimi musicisti ma anche degli eccezionali intrattenitori.

lunedì 26 settembre 2016

Bruce Springsteen - Chapter and Verse

Sono passati oltre quattro anni dall'uscita dell'ultimo album di inediti intitolato Wrecking Ball e quasi tre dalla deludente raccolta di B-side e brani scartati intitolata High Hopes, e ora finalmente troviamo tra le uscite discografiche il nuovo album del Boss pubblicato in contemporanea con la sua autobiografia intitolata Born to Run.

Il disco si intitola Chapter and Verse ed è composto da 18 brani di cui 5 inediti e 13 già pubblicati su album o raccolte. I cinque inediti sono tratti dal passato remoto della carriera di Springsteen e spaziano dal 1966 al 1972. I primi due sono addirittura tratti dalle registrazioni dei Castiles (il primo gruppo di Springsteen) e risalgono rispettivamente al 66 e al 67. Il primo pezzo è intitolato Baby I ed è un rock and roll ruspante e grezzo in cui Springsteen, che mostra di non avere ancora la voce levigata che lo ha reso celebre, esprime tutta la sua gioia in modo molto spontaneo e un po' disordinato. Segue una cover di You Can't Judge a Book by the Cover di Bo Diddley (scritta da Willy Dixon) che i Castiles eseguono in modo piuttosto fedele all'originale ma aggiungendo un po' di allegria e, di nuovo, di rock and roll.

Il terzo pezzo si intitola He’s Guilty (The Judge Song) e risale al 1970, quando Bruce cantava in una band chiamata Steel Mill (da cui poi nacque la E-Street Band); il pezzo è ricco di riff di chitarra e molto energico e inizia a dare un assaggio di quella che sarà per decenni la musica distintiva del Boss, il suono è ancora un po' grezzo ma va raffinandosi con forza. Con la successiva The Ballad of Jesse James si cambia decisamente registro, come dice il titolo stesso si tratta di una ballad che vira fortemente verso il country, dal punto di vista canoro Springsteen inizia a far vedere le doti che nel giro di pochi anni saprà tirare fuori e il pezzo nel suo complesso è molto accattivante. L'ultimo inedito si intitola Henry Boy è composto solo di voce e chitarra e non suona del tutto nuovo perché la melodia è molto simile a quella che Bruce avrebbe poi usato per Rosalita.

Per il resto troviamo 13 brani che riassumono la carriera di Springsteen dal 1972 al 2012 con pezzi storici come 4th of July Asbury Park (Sandy), Born tu Run, Born in the U.S.A. e The Rising. E' ovvio che l'attenzione si debba concentrare sui cinque inediti, che sono gemme di grande valore. Magari qualitativamente sono più grezze di quanto ci si aspetterebbe da Springsteen, ma ci rivelano una versione del Boss fino ad oggi ignota, più ruspante, genuina e inesperta di quella che conosciamo bene.

Viene chiedersi quante altre perle di questo valore abbia Bruce nei propri archivi e il piacere di poterne ascoltare almeno cinque fa perdonare il fatto che forse ci aspettavamo un disco nuovo e che dopo quasi cinque anni sarebbe anche lecito chiederlo.

giovedì 22 settembre 2016

Cosa significa il nome Kiss?

Secondo una popolare leggenda metropolitana il nome della band Kiss significherebbe Knights In Satan's Service. Prima ancora di andare a vedere qual è la vera origine del nome scelto dalla band guidata da Paul Stanely e Gene Simmons sarebbe interessante che chi crede a questa teoria spiegasse dove vede dei rimandi satanici nell'attività dei Kiss, visto che la loro musica parla di norma di feste, divertimento e di amore.

Ma se il buon senso non basta, ci sono comunque smentite dettagliate e spiegazioni da parte dei fondatori del gruppo. Nella sua autobiografia Face the Music: A Life Exposed pubblicata nel 2014 Paul Stanley scrisse di aver sentito queste teorie per la prima volta nel 1977 e di aver deciso, dopo averle ignorate per un po', di volerle combattere affinché il nome della sua band non venga infangato da accuse infondate. We were not knight in Satan's service, devil worshipers on anything else chiarisce il cantante.

Nel libro Kiss And Make-Up uscito nel 2002 anche Gene Simmons smentisce queste voci aggiungendo che queste nacquero in seguito a una sua intervista alla rivista Circus in cui disse che talvolta si chiede che sapore abbia la carne umana, ma precisando che si trattava solo di una curiosità, non di qualcosa che avrebbe voluto sperimentare. Questa asserzione, unita alla sua usanza di fare il gesto delle corna portò alcuni a ritenere che Simmons fosse un adoratore del demonio.

Una terza smentita arriva anche dal chitarrista Ace Frehley che nella sua autobiografia No Regrets pubblicata nel 2011 chiarisce il concetto in modo più esplicito dei due colleghi: Complete and utter bullshit.

Sgombrato il campo dalle leggende, il vero significato del nome è spiegato nella biografia ufficiale dei gruppo intitolata Behind the Mask pubblicata nel 2003. Il nome Kiss è effettivamente un acronimo, ma significa Keep It Simple, Stupid.

Un'altra popolare leggenda riguardo i Kiss vuole che la doppia S nel logo sia disegnata in modo da ricordare il simbolo delle SS naziste. La bozza iniziale del logo fu disegnata da Ace e poi completata da Stanley. In realtà, come spiegato di nuovo da Frehley in No Regrets le due S volevano essere due fulmini senza altri significati, tuttavia Stanley (che si dice molto sensibile all'argomento in quanto di famiglia ebrea) spiega che anche suo padre fu ingannato dal disegno e pensò che ci fossero significati nazisti. La band fu comunque costretta a modificare il proprio logo in Austria, Svizzera, Polonia, Lituania, Ungheria e Israele sostituendo le due S con delle Z rovesciate e a distanza di quattro decenni dall'inizio della sua carriera la band usa ancora un logo diverso in questi stati. Basta confrontare, ad esempio, le copertine di Monster per rendersi conto di ciò.


Purtroppo accuse infondate di questo tipo, sia quelle legate al satanismo sia quelle legate al nazismo, possono infangare il nome di una band e arrecare danno a chi, come i Kiss, davvero non se lo merita. E in questo caso le leggende non aiutano a creare un'aura di mistero intorno alla musica, servono sono a screditare una delle più grandi band della storia.

venerdì 16 settembre 2016

Gli album dei Doors successivi alla morte di Jim Morrison

Contrariamente a quanto comunemente si crede L.A. Woman non è l'ultimo album in studio dei Doors e la morte di Jim Morrison non ha terminato la carriera della band. Dopo la scomparsa del loro storico leader infatti la band ha registrato altri due album in cui alla voce si alternano Ray Manzarek e Robby Krieger.

Il primo dei due album intitolato Other Voices uscì il 18 ottobre del 1971 (incredibilmente, solo due giorni dopo la pubblicazione del 45 giri di Riders on the Storm) ed è composto da otto brani di cui cinque cantati da Manzarek, due da Krieger e uno da entrambi. Il disco prosegue sulla strada del rock psichedelico ma cambiando radicalmente approccio e avvicinandosi più al periodo psichedelico dei Beatles piuttosto che alle produzioni precedenti dei Doors, del resto la voce di Manzarek se da una parte tenta di ricalcare lo stile di Morrison è anche molto simile a quella di Paul McCartney. In questi due dischi inoltre il trio non rinuncia al rock blues e esplora anche suoni nuovi e latineggianti.

L'album parte con In the Eye of the Sun, pezzo dal sapore blues cantanto da Manzarek che rimanda alle sonorità di Morrison Hotel. Il secondo pezzo, in cui troviamo Krieger al microfono, è la leggera è allegra Variety Is The Spice Of Life che proprio per la sua freschezza offre suoni nuovi e distintivi che non trovano simili nelle produzioni passate dei Doors. Anche il terzo brano intitolato Ships w/ Sails, cantato da Manzarek, propone sonorità decisamente nuove, ma questa volta la band si lascia influenzare dai suoni latini tipici di band come i Santana grazie alle percussioni suonate dal cubano Francisco Aguabella che vanta collaborazioni con alcuni tra i migliori musicisti di ogni tempo. Con la successiva Tightrope Ride, cantata ancora da Manzarek, il ritmo sale ed è forse il brano più veloce dell'intero album in cui l'influenza dei Beatles di Revolver si sente molto forte.

La quinta traccia è Down On The Farm, l'unica in cui i due cantanti duettano, ed è un altro brano allegro e divertente di chiara ispirazione country grazie all'armonica suonata dallo stesso Krieger e che al contempo non rinuncia alle influenza latine vista la presenza di una marimba suonata da Emil Richards. I'm Horny, I'm Stoned è l'ultimo pezzo cantato da Krieger e torna alle sonorità blues che avevano aperto il disco, sebbene con un approccio più leggero. Gli ultimi due brani sono entrambi cantanti da Manzarek. Wandering Musician è un pezzo guidato dal pianoforte suonato dallo stesso Manzarek che forse narra proprio di tre musicisti che vagano non potendo più contare sulla propria guida, anche in questo brano l'influenza dei Beatles si sente con forza. L'ultimo pezzo intitolato Hang on to Your Life vede ancora la presenza di Aguabella alle percussioni ed è forse il pezzo più latino dell'intero disco, ma questa volta le influenze non si fermano al rock latino ma virano anche verso il latin jazz anche grazie alla lunga jam session finale.

Non passò nemmeno un anno prima che i tre rimanenti Doors dessero vita ad un altro album nel luglio del 1972. Questo nuovo lavoro si intitola Full Circle e ripropone la mescolanza di suoni latini e psichedelia che aveva contraddistinto il disco precedente. Il primo brano si intitola Get Up and Dance e come suggerisce il titolo stesso è molto vivace e vibrante ed è sostenuto da un poderoso coro di voci femminili sul ritornello che si sommano al canto di Manzarek. Segue l'allegra 4 Billion Souls in cui alla voce torna Krieger e questa volta è proprio il chitarrista che sembra voler imitare lo stile canoro dei Beatles. La terza traccia è intitolata Verdilac e le sonorità tornano fortemente psichedeliche arricchite da forti influenze funk, il pezzo sembra ispirato a qualche sottofondo per la meditazione ed è impreziosito dal sax tenore suonato da Charles Lloyd che gli conferisce anche delle forti venature jazz. Con il brano successivo Hardwood Floor le atmosfere tornano festanti e spensierate e sostanzialmente si torna alla formula del brano di apertura con il coro di voci femminili che sostiene Manzarek sul ritornello. Il quinto pezzo è quello più smaccatamente blues e rock dell'intero album ed è una cover della celeberrima Good Rocking Tonight (qui intitolata Good Rockin') di Roy Brown interpretata in modo energico e vibrante a conferma che la band non rinuncia a nessun tassello della sua carriera precedente. Il brano seguente è quello che forse ha raggiunto il maggior successo nell'epoca dei Doors senza il loro leader storico: The Mosquito un pezzo latin jazz ispirato ai mariachi messicani e dal testo molto vacuo e scherzoso. La traccia successiva The Piano Bird è il secondo e ultimo in cui troviamo Krieger alla voce, il brano è fortemente jazz e di nuovo ispirato a ritmi latini, inoltre vede di nuovo dalla presenza di Charles Lloyd che questa volta suona il flauto. Con It Slipped My Mind le sonorità del gruppo tornano verso il blues rock ma questa volta con atmosfere più leggere. A chiudere l'album troviamo The Peking King and the New York Queen, altro brano piuttosto allegro con atmosfere che richiamano di nuovo la traccia di apertura, ma che vira anche verso il funk grazie alle chitarre in sottofondo.

Oltre a questi dischi, nel periodo successivo alla morte di Morrison la band pubblicò il brano Treetrunk come B-side di Get Up and Dance. Il pezzo non fu inserito nell'album perché ritenuto troppo commerciale ed effettivamente è molto pop e orecchiabile, ma comunque di ottimo livello soprattutto per il fatto di riproporre un duetto tra Krieger e Manzarek.

Dopo Full Circle la band pubblicò un ultimo disco nel 1978 intitolato An American Prayer, ma in questo caso tornò alla voce Jim Morrison. L'album è infatti una raccolta di poesie lette dal cantante defunto su cui è stata incisa una base musicale suonata dagli altri tre membri. Come è facile aspettarsi, Morrison non canta ma legge e l'intero disco suona molto forzato.

E' un vero peccato che Other Voices e Full Circle non godano della fama che meritano perché sono ottimi dischi dal suono sperimentale che mostrano che la band ha saputo lavorare bene anche senza il proprio leader e che forse Densmore, Manzarek e Krieger sono tre geni della musica troppo spesso adombrati dal loro ingombrante vocalist.

lunedì 12 settembre 2016

Hardcore Superstar Summerfield Music Festival - Cassano Magnago (VA), 11/9/2016

Nota: questo articolo è stato scritto dal guest blogger Tino che ringraziamo per il suo prezioso aiuto.

Quando associamo la Svezia alla musica di solito ci vengono in mente gli ABBA, gli Europe, e qualche centinaio di band black metal; dal paese scandinavo però arrivano anche gli Hardcore Superstar, band heavy metal formatasi a Göteborg alla fine degli anni 90 e tutt'ora in attività.

10 album e oltre 20 singoli per una band estremamente energica ma capace di mettere d'accordo i punk-rockettari, i metallari borchiati e gli amanti del glam con i loro pezzi forti ma estremamente orecchiabili; viene da chiedersi come mai non vengano inseriti nella programmazione di qualche radio prettamente rock (Virgin Radio, ad esempio) nel nostro paese. Il gruppo iniziò la sua carriera nel 1998 firmando con l'etichetta inglese Music for Nations per il lancio del loro primo disco ma è solamente nel 2000 che l'uscita di Bad Sneakers and a Piña Colada lanciò gli svedesi sotto i riflettori del panorama internazionale e l'anno successivo iniziò un tour che attraversò Europa, Giappone e Canada; nello stesso anno aprirono i concerti di Motorhead e Ac/Dc nel nostro paese. Dopo altri due dischi la band uscì con l'album eponimo che ricevette giudizi positivi da tutto il mondo e consacrò gli Hardcore Superstar in campo internazionale. L'unico cambio di formazione nella storia della band fu nel 2008 quando il chitarrista Thomas Silver lasciò volontariamente il gruppo e venne rimpiazzato da Vic Zino dei connazionali Crazy Lixx. I lavori più recenti della band sono del 2013 con C'mon Take on Me, non particolarmente apprezzato dalla critica ma a me i due singoli One More Minute e Above The Law sono piaciuti parecchio e il lavoro più recente della band, HCSS del 2015, è un gran disco quasi ai livelli di Bad Sneakers.

Nessun giro di parole, la band capitanata dal tarantolato Jocke Berg ha spaccato, tirando fuori tantissima energia a volumi da galera facendo tremare il tendone del Summerfield Music Festival, in quel di Cassano Magnago. Dopo un'ottima apertura da parte dei romagnoli Speed Stroke, gli Hardcore Superstar hanno iniziato il concerto con una scaletta che ha toccato ben sei album. Il martellante Hello/Goodbye è il pezzo di apertura seguito dal lento Touch the Sky. Si prosegue poi con i pezzi tratti da The Party Ain't Over 'Til We Say So come My Good Reputation e Wild Boys intervallati da Dreamin' In A Casket (che da il nome all'album che lo contiene) e Silence For The Peacefully.

Pubblico scatenato per Last Call for Alcohol prima dell'apice di We Don't Celebrate Sundays. Moonshine e Dear Old Fame conducono verso l'ultimo pezzo Above The Law.

Concerto non lunghissimo, un ora e venti circa per circa 14 pezzi. Non se se fosse dovuto a limitazioni di orario o alla voce del cantante arrivata al limite, ma i miei timpani non ce la facevano davvero più, gli 80 chilometri che mi separavano da casa li ho percorsi con le orecchie che fischiavano, oggi sembra andare meglio.

mercoledì 7 settembre 2016

Da dove nasce il termine heavy metal?

L'heavy metal è uno dei generi musicali più importanti al mondo e dagli anni 70 è tra quelli che ci hanno regalato alcuni dei più importanti capolavori musicali di ogni tempo. Ciò che però è poco noto è come sia nato l'uso di questo termine per descrivere un genere musicale.

Il primo utilizzo del termine heavy metal al di fuori del contesto chimico si trova nella trilogia di romanzi dello scrittore americano William Burroughs nota come The Nova Trilogy (pubblicata tra il 1961 e il 1968) e composta dai libri The Soft Machine (tradotto in italiano come La Macchina Morbida), The Ticket That Exploded (Il Biglietto che Esplose) e Nova Express (pubblicato in italiano con lo stesso titolo) in cui compare il personaggio di Uranian Willy the Heavy Metal Kid (chiamato in italiano L'Uraniano Willy il ragazzo del Metallo Pesante). Nei tre romanzi sono presenti anche gli heavy metal boys e si parla di heavy metal addict e heavy metal peril. Come è abbastanza evidente, però, il termine non ha alcun legame con la musica e al contrario vuole designare la dipendenza da droghe, di cui soffriva lo stesso Burroughs.

Il primo uso del termine heavy metal in campo musicale risale al brano Born to be Wild tratto dal primo ed eponimo album degli Steppenwolf uscito nel 1968 che recita all'inizio della seconda strofa I like smoke and lightning, heavy metal thunder, ma di nuovo non descrive un genere musicale, piuttosto potrebbe essere ispirato a quanto scritto nella trilogia di Burroughs.

Secondo una popolare leggenda metropolitana l'espressione heavy metal riferita a un ramo del rock particolarmente energico risalirebbe a una recensione del New York Times di un album di Jimi Hendrix in cui il recensore avrebbe scritto sounds like heavy metal falling from the sky. La leggenda nasce da quanto dichiarato da Chas Chandler nella quinta puntata, intitolata Crossroads (minuto 50, immagine accanto), della serie di documentari della PBS Rock & Roll del 1995 che menziona appunto il presunto articolo del New York Times. Per quanto la similitudine con del metallo che cade dal cielo sia affascinante, basta cercare nell'archivio del New York Times per verificare che tale testo non esiste, come confermato anche da altri ricercatori che si sono avventurati senza successo in questa ricerca; l'articolo più vecchio in cui compaiono le parole Jimi Hendrix ed heavy metal risale al 1975 e parla di come la musica rock stesse perdendo la propria parte danzante in favore di suoni più duri o più seri.

Secondo un'altra teoria l'inventore del termine sarebbe lo scrittore Lester Bangs che nella sua carriera ha scritto sia per Creem sia per Rolling Stone; vengono citati come testi nei quali l'avrebbe usato un suo articolo sui Black Sabbath o una sua recensione di Kick Out The Jams degli MC5, ma né il primo (disponibile solo su Archive.org, prima parte e seconda parte) né il secondo contengono l'espressione heavy metal. Altre fonti riportano invece che il primo scrittore ad utilizzare questo termine fu Sandy Pearlman nel descrivere la canzone Artificial Energy all'interno della recensione dell'album The Notorious Byrd Brothers dei Byrds, ma l'articolo di Pearlman in questione, pubblicato sul numero di maggio del 1968 della rivista Crawdaddy! (disponibile a questo indirizzo, pagina 2 della rivista) non contiene il termine heavy metal.

Secondo quanto riportato da Wikipedia, nel maggio del 1968 Barry Gifford usò il termine heavy metal nel recensire l'album A Long Time Comin' degli Electric Flag su Rolling Stone, la frase dell'autore fu Nobody who's been listening to Mike Bloomfield—either talking or playing—in the last few years could have expected this. This is the new soul music, the synthesis of white blues and heavy metal rock. Premesso che non siamo riusciti a verificare questa informazione perché l'articolo è irreperibile in rete, gli Electric Flag sono comunque un gruppo di musica soul e quindi questo uso del temine heavy metal (se confermato) non può essere considerato il primo che descriva ciò che poi è diventato l'heavy metal che oggi conosciamo. Che le intenzioni di Gifford fossero diverse è stato confermato dallo stesso autore secondo quanto riportato dal libro Louder Than Hell di Jon Wiederhorn e Katherine Turman, Gifford commentò infatti il suo stesso neoconio dicendo I was just describing the sound of the band, who, of course, bore no resemblance to what later became popularly known as heavy metal.

Nel gennaio del 1970, Lucian Truscott usò il termine heavy in una recensione dell'album Led Zeppelin II per definire la musica del gruppo di Robert Plant e Jimmy Page se confrontata con quella dei Blue Cheer o dei Vanilla Fudge. Tuttavia, di nuovo non si parla di heavy metal.

In realtà il primo autore ad usare il termine heavy metal per descrivere un genere di musica rock ricco di distorsioni e di suoni sostenuti (anche se non in termini del tutto positivi) fu Mike Saunders sulle pagine di Rolling Stone. Lo usò una prima volta nel recensire il disco As Safe as Yesterday Is degli Humble Pie nel novembre del 1970 scrivendo nel proprio articolo Here they were a noisy, unmelodic, heavy metal-leaden shit-rock band, with the loud and noisy parts beyond doubt. Un'immagine dell'articolo originale è mostrato dal documentario Heavy: The Story of Metal del 2006 (minuto 12, immagine accanto), il testo integrale è disponibile anche su Archive.org. In seguito ancora Saunders usò di nuovo il termine heavy metal nella sua recensione dell'album Kingdom Come dei Sir Lord Baltimore sul numero di maggio del 1971 di Creem nella quale scrisse Sir Lord Baltimore seems to have down pat most all the best heavy metal tricks in the book. Saunders spiegò anche alla scrittrice Deena Weinstein come l'idea gli venne, inventandola di sana pianta e non attingendo da Burroughs né dagli Steppenwolf.

Nessuno di noi attualmente definirebbe i Sir Lord Baltimore o gli Humble Pie come heavy metal, ma oggi siamo tutti profondamente debitori a Mike Saunders per aver coniato un'espressione entrata nel lessico mondiale e molto probabilmente l'autore non era cosciente che prendendo in prestito un termine dalla chimica avrebbe creato un'espressione destinata a durare in eterno e a condizionare la musica e il linguaggio.